QUATTRO BLOCCHI DI MARMO DI COMO: UNA STORIA AFFASCINANTE.

  Fortuna volle che qualcuno riutilizzasse degli antichi blocchi di pietra  nel Medioevo e così   quattro blocchi in marmo di Musso del II sec. D.C.  riutilizzati come materiale da costruzione in una torre tardo-antica all’angolo tra viale Varese e via Cinque Giornate sono giunte fino a noi. Sono basi di colonne, decorate sulle quattro facce con motivi a bassorilievo inquadrati da lesene angolari con capitelli corinzi. I sedici rilievi raffigurano coppie di divinità, episodi mitologici, atleti e poeti. Ogni soggetto rappresentato si lega concettualmente a quello posto di fianco o di fronte.

Tra i miti riprodotti, compare ad esempio quello di Perseo e Andromeda, dove Perseo impugna con una mano la spada uncinata e con l’altra la testa di Medusa.

Di altro genere sono le facce contrapposte che raffigurano due pugili vincitori rispettivamente delle Olimpiadi (simboleggiate da un’anfora con il ramo di palma sacro a Zeus) e delle Pitiche (giochi che si svolgevano a Delfi, sacri ad Apollo come dimostrano gli oggetti simbolo del dio, ossia il tripode e l’alloro).

Affascinante, ma non condivido dai più recenti studi è che questi rilievi facessero parte della biblioteca donata a Como da Plinio il vecchio. Infatti  sulle  basi di queste  colonne vi sono  due scene affiancate sulle facce esterne: è raffigurato da un lato un giovane poeta imberbe che si accinge a scrivere il suo testo, aiutato dalla Musa che gli suggerisce alle spalle; sul blocco accanto lo stesso poeta, ormai adulto, con la barba che ne nasconde il mento, fa omaggio della sua opera alla Musa.

Le scene figurate dei pannelli sono  però tutti tipici  di molti schemi compositivi di fine II-III secolo d.C e diverrà frequentissimo alla fine del III secolo per scandire lo spazio (in particolare nei lati brevi) nei cosiddetti sarcofagi architettonici norditalici.
. Particolarmente interessante è
la presenza nei pannelli comensi del “capitello corinzieggiante” a foglie sovrapposte, che sarà poi anch’esso utilizzato dagli scultori dei sarcofagi architettonici a tabernacolo di scuola ravennate prodotti nella seconda metà del IV secolo. L’uso precoce di un sistema architettonico con funzione di cornice, che avrà poi così grande fortuna in ambito norditalico.
graie tardoclassiche ed ellenistiche, tutte presenti nei repertori di scultori, decoratori, incisori di età imperiale romana. Questo patrimonio di immagini spessissimo riprodotte non solo in opere artistiche ma anche su modesti monumenti funerari e su oggetti d’uso, diviene popolare specialmente in ambienti di cultura media ed in ambito provinciale. Il fenomeno ha la sua massima diffusione dall’età traianea in avanti. Esso si affermerà poi in età tardoantica caricandosi spesso di nuovi significati filosofici o sociali del tutto distaccati dal primitivo contenuto mitologico. Questa nuova lettura del patrimonio è uno degli aspetti più interessanti delle basi di Como.

I temi mitologici.

Interpretare i rilievi comensi con figurazioni mitologiche non presenta particolari problemi : le scene non sono mai narrate  ma riassunte in due personaggi riconoscibili dai loro attributi sufficienti all’osservatore per ricordare il mito . Le rappresentazioni comensi ricalcano indubbiamente le iconograie più note del periodo pur con aggiunte elementi originali  anche restringendo al massimo la scena. L’atelier degli scultori comensi (certamente più di uno) partiva da cartoni o modelli di buona qualità, li semplicava e vi aggiungeva anche  alcuni elementi inediti. Questi sono per lo più riferibili a quel particolare gusto norditalico  e provinciale caratterizzato dall’uso di un rilievo secco e poco rilevato e, d’altra parte, da una straordinaria attenzione realistica ai particolari.

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/36207592

https://www.academia.edu/resource/work/9621190

https://www.researchgate.net/publication/294582042_Le_Basi_figurate_di_Via_Cinque_Giornate_a_Como_Analisi_di_un_monumento_romano

PER LA RESTITUZIONE A FANO DELL’ATLETA DI LISIPPO.

Pochi sono gli originali greci in bronzo a noi pervenuti e ancor meno quelli riconducibili ai maestri dell’antichità. L’Atleta di Fano rappresenta probabilmente uno dei millecinquecento bronzi fusi da Lisippo, tale da renderci diretta testimonianza della grande arte dello scultore.

La Corte europea dei Diritti umani ha respinto il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

L’Italia ha tutto il diritto di confiscare e chiedere la restituzione della statua greca in bronzo dell’Atleta di Fano, attribuita a Lisippo, che si trova attualmente nel museo della Villa Getty a Malibu, in California.

Lo ha stabilito all’unanimità la Corte europea dei Diritti umani, respingendo il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

La decisione della Corte Ue di Strasburgo

 I giudici, in particolare, hanno sottolineato che la protezione del patrimonio culturale e artistico di un Paese rappresenta una priorità anche dal punto di vista giuridico. Diverse norme internazionali sanciscono inoltre il diritto di contrastare l’acquisto, l’importazione e l’esportazione illecita di beni appartenenti al patrimonio culturale di una nazione. La fondazione Getty, ha sottolineato ancora la Corte, si è comportata “in maniera negligente o non in buona fede nel comprare la statua nonostante fosse a conoscenza delle richieste avanzate dallo Stato italiano e degli sforzi intrapresi per il suo recupero”. Da qui la constatazione che la decisione dei giudici italiani di procedere alla confisca del bene conteso “è stata proporzionata all’obiettivo di garantirne la restituzione”.

Sangiuliano: “Su Atleta Fano lavoro serrato”

 Sul caso è intervenuto anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano: “La restituzione dell’Atleta di Fano è una questione su cui abbiamo lavorato in maniera serrata. Da quando sono ministro oltre 100 opere sono state restituite dagli Usa e altrettante dalla Gran Bretagna: inoltre ho fatto una circolare con la quale abbiamo stabilito che non si faranno più prestiti ai musei che hanno contenziosi con l’Italia”.


La storia della statua greca dell’Atleta di Fano

 Nella sua sentenza, la Corte di Strasburgo ha dunque riconosciuto la legittimità dell’azione intrapresa dalle autorità italiane per recuperare l’opera d’arte. 

Dal suo nome generico di “Lisippo” tratto dall’artista greco che l’ha scolpito, a quello di “Getty bronze”, poi meglio conosciuto come “l’atleta di Fano”, la statua del giovinetto che si incorona pescata in mare dai pescatori fanesi nel 1961 poi trafugata negli Stati Uniti, sta per ricevere una identità più precisa.

Chi è il giovinetto ritratto dallo scultore? E’ l’immagine simbolo di un atleta vittorioso? Oppure il vero e proprio ritratto di un ragazzo risultante vincitore nella corsa? Che si tratti di un atleta non vi sono dubbi: la mano destra che si avvicina al capo cinto da una corona d’ulivo è segno di vittoria, convalidato dalla posizione della mano sinistra che doveva tenere il ramo di una palma, ormai perduto.

Ma gli archeologi, impegnandosi nell’identificare nel volto del giovinetto un personaggio ben preciso, sono andati oltre. Alcuni lo hanno identificato come Demetrio Poliorcete, re di Macedonia, ma l’attribuzione che acquista maggior credito è quella fatta da Antonietta Viacava che ha riconosciuto nelle fattezze del quindicenne Seleuco Nikatore, diadoco di Alessandro Magno e sovrano di un regno che si estendeva dalla Siria all’Indo.  L’attribuzione ha ricevuto una convalida proprio da Rodolfo Battistini, noto critico d’arte fanese che l’altra sera, nel corso di un incontro organizzato dalla Fondazione Carifano alla Corte Malatestiana ha mostrato al pubblico una moneta da lui rintracciata con il profilo del re macedone che rivela una impressionante somiglianza con quello dell’atleta di Fano. 

I passaggi


Secondo Battistini la statua passò per Fano per ben due volte: la prima quando in epoca Severiana o meglio in epoca Costantiniana, molte opere d’arte furono trasferite da Roma a Costantinopoli che divenne la nuova capitale dell’impero; trasportato lungo la Flaminia il bronzo fu imbarcato a Fano o in Ancona. 

La seconda volta quando fu riportato in terra nel 1961, dopo che era stato ritrovato in mare dai pescatori fanesi, probabilmente naufragato durante il viaggio di ritorno dei Veneziani che avevano assediato Costantinopoli. Tra l’altro la data di esecuzione della statua colliderebbe con quella definita dalla analisi stilistica: Seleuco compiva 15 anni proprio nel 340 a.C e non era raro che un principe gareggiasse nello stadio per dimostrare la sua prestanza fisica. In più il particolare della bocca, leggermente arricciata che suggerisce una certa presunzione dovuta alla consapevolezza della sua regalità, lo si riscontra tanto nella statua quanto nella moneta: un tetradramma d’argento ritrovato in ottime condizioni, appartenente a una collezione privata. Tanti sono i particolari coincidenti che Battistini non esclude che chi ha inciso la moneta abbia visto la statua. In precedenza il professor Paolo Moreno che fu il primo ad attribuire la statua dell’atleta di Fano a Lisippo, aveva identificato nella stessa Agone, la personificazione dei giochi, tuttavia la tesi non è in contrasto con quella di Viacava, in quanto nell’antica Grecia, come poi a Roma, i principi e gli imperatori si facevano ritrarre con immagini allegoriche che sublimavano la loro corporeità e la assimilavano a un ideale.

Fonte( Tgcom e Corriere Adriatico)

MARMORA ROMANA : GLI ANTICHI MARMI DI LUNI A CARRARA.

dal 25 maggio 2024 al 12 gennaio 2025 al CARMI museo CARRARA e Michelangelo.

Da artego.it

S’intitola “Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori” la grande mostra dedicata alla cava romana di marmo bardiglio di Fossacava e al suo ruolo all’interno del più ampio e noto fenomeno dell’estrazione del marmo lunense.

«I vecchi ritrovamenti e i dati dello scavo recente hanno reso Fossacava una delle cave di età romana oggi meglio conosciute», spiegano i curatori Giulia Picchi e Stefano Genovesi. «L’apertura al pubblico, avvenuta nel 2021, ha fatto registrare una presenza annuale di 10.000 visitatori, che ha confermato lo straordinario interesse per questo sito. Con la mostra Romana marmora si è voluto consolidare e ulteriormente rilanciare questo trend positivo creando, attorno alla cava, un evento che raccontasse ad un pubblico più ampio possibile la storia del sito e dei personaggi che vi ruotavano attorno. Gli imperatori di Roma, i loro schiavi e i loro liberti, gli appaltatori, i commercianti, e, ovviamente, i cavatori sono gli attori di un copione di grande fascino, nel quale la fatica e il sacrificio di molti uomini sono indissolubilmente legati alla propaganda politica e al lusso che il marmo era in grado di esprimere».

Il sito di Fossacava è tra le pochissime cave di età romana ad essere stato oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico; le indagini, condotte nel 2015 dal Comune di Carrara e dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana all’interno del bacino estrattivo, hanno permesso di ricostruire la storia della cava in tutti i suoi aspetti, in particolare in merito alla tipologia dei prodotti semilavorati che qui venivano estratti, del personale che vi lavorava e delle modalità con le quali la cava era gestita dall’amministrazione imperiale romana.

Nel 2021 il sito di Fossacava è stato aperto al pubblico con un percorso ampliato e rinnovato, incentrato su una graphic novel che illustra ai visitatori di ogni età la storia della cava in modo avvincente ed efficace. L’esposizione Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori intende, quindi, presentare ad un pubblico ancora più vasto la vicenda storica del sito, conferendogli un rilievo di respiro regionale e nazionale.

Partendo dalla storia della colonia di Luni, nel cui territorio si trovavano le cave di Carrara, si approfondiranno i temi delle antiche tecniche estrattive, dei prodotti semilavorati e della gestione delle cave, si mostreranno i diversi utilizzi del marmo bardiglio e la loro diffusione nell’ambito dell’Impero Romano, oltre a gettare uno sguardo sulla religiosità di quanti frequentavano i bacini estrattivi.

Statua della Dea Luna dall’area di Fossacava. Età romana. Marmo bianco. Museo Civico del Marmo di Carrara. Foto Giuseppe D’Aleo. Immagine concessa dal Ministero della Cultura – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

Il percorso espositivo si articolerà in quattro sezioni: Luni e le sue cave di marmo (sala 1), Fossacava. Storia di una cava, dall’età romana allo scavo archeologico (Sala 2), Gli dèi dei cavatori. La religione a Fossacava (Sala 3), La fortuna del bardiglio nell’Impero (Sala 4).

La Sala 1 è dedicata alla storia della colonia romana di Luni e a quella dell’estrazione del marmo lunense, tra la seconda metà del I secolo a.C. e il III-IV secolo d.C. Sarà inoltre posto in rilievo il ruolo determinante dell’imperatore, primo tra tutti Augusto, nello sviluppo dello sfruttamento delle cave di marmo di Carrara. Opera centrale della sala sarà la statua loricata di imperatore rinvenuta negli scavi Fabbricotti a Luni del 1889, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara.

La Sala 2 è incentrata sul sito di Fossacava, del quale sarà raccontata la storia, dall’escavazione del marmo bardiglio in età romana fino allo scavo archeologico qui condotto nel 2015. Saranno messe a fuoco in particolare le tecniche di scavo, con l’esposizione di strumenti antichi, e le problematiche relative alla gestione delle cave da parte dello stato romano.

La Sala 3 è dedicata alla religiosità dei cavatori e degli altri personaggi che popolavano le cave di marmo di Carrara in età romana: grande risalto sarà dato alla statua della dea Luna rinvenuta a Fossacava, verosimilmente una replica della statua di culto del cosiddetto “Grande Tempio” di Luni. Nella sala saranno esposti inoltre l’altare dedicato alla Mens Bona, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, e un rilievo raffigurante il dio Silvano, il cui culto è molto attestato negli ambienti delle cave, proveniente da una domus di Luni e in prestito dal Museo archeologico nazionale di Luni.

Statua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di CarraraStatua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di Carrara

La Sala 4 narra infine al visitatore la diffusione del marmo bardiglio a Roma, nelle città dell’Italia e delle province e in quali tipi di edifici e strutture esso sia stato utilizzato: sarà approfondito, in particolare, il suo impiego per i colonnati dei palcoscenici dei teatri e per la realizzazione di fontane (labra). L’allestimento di alcuni semilavorati e di altri reperti in marmo bardiglio illustrerà i diversi usi di questa varietà di marmo. Uno spazio sarà inoltre dedicato ad un progetto di archeologia sperimentale condotto con l’Accademia di Belle Arti di Carrara, nell’ambito del quale saranno scolpite, dagli studenti e dal personale docente, delle repliche in marmo di un semilavorato in marmo bardiglio e di un labrum finito.

L’evento espositivo sarà accompagnato da un apparato didattico dispiegato lungo il percorso di visita (pannelli, didascalie, grandi disegni di ricostruzione, video tematici). All’interno di quest’ultimo, sarà inoltre inserito uno storytelling dedicato ai bambini, nel quale uno dei personaggi attestati dalle epigrafi apposte sui blocchi semilavorati di Fossacava racconterà la propria storia, coinvolgendo i piccoli visitatori in una caccia al tesoro. La mostra potrà essere inoltre fruita per mezzo di laboratori e visite guidate rivolte alle scuole e per mezzo di iniziative, quali visite guidate in orario di apertura e in notturna e conferenze a tema, rivolte al pubblico degli adulti.

Piccozze e cuneo in ferro rinvenuti nell’area delle cave. Età romana. Museo Civico del Marmo di Carrara.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava. – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Area archeologica di Fossacava. Particolare dei semilavorati di epoca romana.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

INFO:

Il CARMI museo Carrara e Michelangelo è aperto al pubblico fino al 31 maggio da martedì a domenica ore 9.00-12.00 e 14.00-17.00, dal 1 giugno da martedì a domenica ore 9.30-12.30 e 17.00-20.00, chiuso il lunedì, chiuso 1° novembre, 25-26 dicembre, 1° gennaio, 6 gennaio, nei pomeriggi del 24 e del 31 dicembre, nel pomeriggio del 14 agosto. Ingresso al CARMI (comprensivo della visita alla mostra): intero € 5, ridotto € 3, disponibili gratuità.

Per informazioni: museo.carmi@comune.carrara.ms.it, https://carmi.museocarraraemichelangelo.it

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/78617761

UN APOXYOMENOS AL LARGO DELL’ISTRIA

Da glicineassociazione.com

Il Museo dell’Apoxyómenos dell’isola di Lussino è stato istituito per ospitare un’unica statua, quella di un gioiello emerso dalle acque del Quarnero dopo circa duemila anni.

Nelle acque del Mare Adriatico, l’anno 1999 segnò la fine di un sonno durato quasi due millenni. Dagli abissi al largo di Lussino, isola del versante occidentale dell’arcipelago del Quarnero, in ISTRIA, a circa settanta miglia nautiche da Trieste, riemergeva l’Apoxyómenos, una statua greca in bronzo risalente al II secolo a.C. che oggi rappresenta una delle più straordinarie scoperte mai avvenute nelle acque dell’Adriatico e del Mediterraneo tutto.

Alto 192 centimetri, l’Apoxyómenos – come suggerisce il nome che in greco significa “colui che si deterge” – vede immortalato nel bronzo un giovane atleta in nudità ideale mentre si deterge il corpo con uno strigile, attrezzo usato nel mondo antico per pulirsi dall’olio col quale si soleva ungersi prima di affrontare una gara e dal sudore e dalla polvere che si accumulava dopo la lotta.

Particolarità che rende la statua recuperata nelle acque di Lussino ancora più preziosa è il piedistallo originale – ornato da decorazioni geometriche –, una rarità per un manufatto così antico.

L’Apoxyómenos sarebbe stato gettato a causa di una tempesta

Chiamata anche Atleta di Lussino, la scultura ha riposato sott’acqua per circa duemila anni, come detto, dal I secolo d.C., quando probabilmente fu abbandonata da una nave romana da navigazione di cabotaggio che, diretta a Pola o a Aquileia, sarebbe stata sorpresa da una tempesta marina e perciò costretta a disfarsi di parte del carico. Una ricostruzione presunta dei fatti abbastanza comune, attribuita anche ad altre statue dell’antichità riemerse dopo secoli o millenni dagli abissi del Mare Nostrum, come ad esempio i Bronzi di Riace.

Nel braccio di mare in cui è riaffiorata la scultura del giovane Atleta, di fatti, le ricerche subacquee non hanno rilevato alcun resto di imbarcazioni antiche che possano avvalorare, invece, l’ipotesi di un naufragio.

Il restauro “italiano” e le mostre in giro per il mondo

Ritrovato nei fondali difronte alla costa di Lussino nel 1996 da un sommozzatore belga nel corso di una immersione a 45 metri di profondità – altra conferma di quanto siano ricchi di tesori e da esplorare i fondi marini del Mediterraneo –, l’Apoxyómenos è stato estratto dalle acque solo tre anni dopo e da lì ha cominciato la complessa opera di restauro condotta con la collaborazione, fra gli altri, dell’Opificio delle pietre dure di Firenze e dei Musei civici di Como.

Completati gli interventi conservativi, nel 2006 è partita la peregrinazione della statua in giro per i musei: prima al Museo archeologico di Zagabria, e successivamente in altri istituti croati – Osijek, Fiume, Spalato, Zara –; poi, in giro per il mondo: Palazzo Medici Riccardi di Firenze, City Museum di Lubiana, Louvre di Parigi, British Museum di Londra e J.P Getty Museum di Los Angeles.

A Lussinpiccolo la nuova casa dell’Apoxyómenos

Dalla primavera del 2016 il bronzo di Lussino ha una casa dedicata. A Lussinpiccolo, principale centro dell’isola quarnerina, infatti è stato inaugurato un museo appositamente ideato per la esposizione della statua: il Museo dell’Apoxyómenos.

Gli altri Apoxyómenos

Oltre a quello di Lussino, nel mondo ci sono altri quattro Apoxyómenos, dando la cifra di un tema discretamente percorso nell’arte greca: di questi, uno, in marmo, si trova alle Gallerie degli Uffizi e un altro ai Musei Vaticani, nello specifico una copia romana in marmo pentelico di un originale perduto attribuito a Lisippo.Foto Bosnic/Dorotic

Fonte:

Antonio Pagliuso

Museo dell’Apoxyómenos Lussinpiccolo

MIRABILIA DELL’ANTICHITÁ A MILANO : “RECYCLING BEAUTY”ALLA FONDAZIONE PRADA.

Dire che sono in mostra alla fondazione Prada di Milano dei capolavori della antichità è assolutamente riduttivo. Questa mostra è straordinaria , inaspettata, emozionante, bellissima. La cornice in cui vengono esposti questi reperti è poi di tutto rispetto : la fondazione Prada. Non solo si tratta di pezzi archeologici di una preziosità unica ma è anche estremamente intrigante la storia complessa del loro reimpiego e riuso durante i secoli . Per questo mi sono permesso di inserire questo post un po’ “fuori tema” qui. Mi perdoneranno i lettori. Vi invito a visitare questa mostra a Milano alla fondazione Prada fino al 27 febbraio 2023.

La Zingarella e il Moro Borghese sono opera del francese Nicolas Cordier (1567-1612), che uni parti di sua creazione a frammenti antichi in marmi pregiati. Le sculture sono qui presentate per la prima volta in “dialogo” fra loro, come lo erano in casa del cardinale Scipione Borghese intorno al 1613. Oggi il Moro è al Louvre, La Zingarella è rimasta a Roma.

https://vm.tiktok.com/ZMYLdSNDr/

Da fondazione Prada:

Questo e un altro pavone di bronzo dorato sono i soli sopravvissuti tra quelli che decoravano il mausoleo dell’imperatore Adriano (118-138 d.C.), che nel Medioevo
fu trasformato in residenza fortezza (Castel Sant’Angelo). due pavoni, insieme a una grande pigna antica di bronzo ornarono lungo una fontane davanti alla vecchia basilica di San Pietro, poi smontata nel Cinquecento quando venne costruita la nuova basilica

Recycling Beauty” è un’inedita ricognizione dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi, dal Medioevo al Barocco. Una mostra a cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica il cui progetto allestitivo è ideato da Rem Koolhaas/OMA.

Composto da Nicolas Cordier a partire da una testa antica di moro, da un frammento – anch’esso antico – di torso in marmo nero e da un altro di alabastro, il Moro Borghese è una creazione interamente barocca. Secondo un poema del 1613, il Moro era disposto in coppia con La Zingarella: “A destra c’è un giovane moro […] che sorride lietamente e pare che inviti a danzare con lui una gentile fanciulla, anch’ella di pelle scura, che però fa la sdegnosa e non vuole ballare”.

La premessa di questa ricerca è la necessità di considerare il classico non solo come un’eredità del passato ma come un elemento vitale in grado di incidere sul nostro presente e futuro. Attraverso un innovativo approccio interpretativo e una modalità espositiva sperimentale, il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa, per usare le parole di Settis, “una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo”.


Nonostante la sua rilevanza culturale e la sua ampia diffusione, il reimpiego di materiali antichi è stato al centro degli studi archeologici solo di recente. Solo negli ultimi anni è stato approfondito il dato essenziale di questo fenomeno, ovvero la relazione visuale e concettuale fra gli elementi antichi riusati e il contesto post-antico, lontano da quello di origine, in cui sono stati inclusi. “Recycling Beauty”, al contrario, intende focalizzare l’attenzione sul momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso.

Considerata “meravigliosissima” da Michelangelo, questa scultura greca della fine del IV secolo a.C. apparteneva forse a una più vasta rappresentazione di Alessandro Magno a caccia. L’opera fu portata a Roma in antichità e nel Medioevo fu posta in Campidoglio, nel luogo in cui erano comminate le sentenze capitali, dove simboleggiò la potenza di Roma. Del famoso gruppo capitolino esistono numerose derivazioni in ogni materiale e di ogni dimensione.

Il progetto espositivo, concepito da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri, si sviluppa in due edifici della Fondazione, il Podium e la Cisterna, come un percorso di analisi storica, scoperta e immaginazione. Nel Podium un paesaggio di plinti bassi permette di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre le strutture simili a postazioni di lavoro incoraggiano un esame più ravvicinato grazie alla presenza di sedie da ufficio. Nella Cisterna i visitatori incontrano gli oggetti gradualmente, in una sequenza di spazi che facilitano l’osservazione da punti di vista alternativi. Due sale della Cisterna sono dedicate alla statua colossale di Costantino (IV sec. d.C.), una delle opere più importanti della scultura romana tardo-antica. Due monumentali frammenti marmorei, la mano e il piede destro, normalmente esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma, saranno accostati a una ricostruzione del Colosso in scala 1:1, mai tentata prima, che evidenzia come l’opera sia il risultato della rielaborazione di una più antica statua di culto, probabilmente di Giove. Questo progetto è il risultato di una collaborazione tra i Musei Capitolini, Fondazione Prada e Factum Foundation, la cui supervisione scientifica è stata seguita da Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali.

La ricostruzione della ciclopica statua di Costantino originariamente posta bella basilica di Massenzio e Costantino . Frammenti originari un piede ed una mano

Evidenziando l’importanza dei frammenti, del riuso e dell’interpretazione, “Recycling Beauty” contribuisce a considerare il passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione. La mostra ospita oltre cinquanta opere d’arte altamente rappresentative provenienti da collezioni pubbliche e musei italiani e internazionali come Musée du Louvre di Parigi, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, Musei Capitolini, Musei Vaticani e Galleria Borghese di Roma, Gallerie degli Uffizi di Firenze e Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Il torso in onice dorato, di età adrianea (118-138 d.C.), agli inizi del XVII secolo fu integrato dal fiammingo François Duquesnoy con testa, mani e piedi in bronzo, sostituiti in marmo nel 1766. Esportata in Francia, l’opera rimase nella collezione d’Orsay fino alle confische della Rivoluzione (1794).
Ritenuta a lungo di età greco-romana questa protome è opera di Donatello (1455 ca.). Era destinata al monumento equestre di Alfonso d’Aragona, re di Napoli. Per dono di Lorenzo il Magnifice (1471) venne in possesso di Diomede Carafa. Spiccava tra molti marmi antichi esposti nel cortile di Palazzo Carafa, tanto che esso veniva chiamato “Palazzo del Cavallo di bronzo”.
Il sarcofago (160-180 d.C. ca.), che mostra una battaglia di Dioniso/Bacco in India, fu riusato nel 1247 come tomba del Beato Guido. Nel 1282 lo scrittore Ristoro d’Arezzo ne diede una fantasiosa descrizione. Donatello lo vide in viaggio da Roma a Firenze e ne parlò con Filippo Brunelleschi, che subito si recò a Cortona per disegnarlo.

Altri link:

https://www.salonemilano.it/it/articoli/design/la-bellezza-si-ricicla-nella-grande-mostra-fondazione-prada

https://www.artribune.com/arti-visive/2022/11/mostra-recycling-beauty-fondazione-prada-milano/

NUOVA VITA PER IL MUSEO ARCHEOLOGICO OLIVERIANO DI PESARO

IN OTTOBRE LA RIAPERTURA CON UN NUOVO ALLESTIMENTO

Oggetti in bronzo museo archeologico di Pesaro

Da “la Repubblica”

Nel cuore del centro storico di Pesaro, tra vie e case scampate alla Seconda guerra mondiale che danno un senso di un delicato equilibrio urbano, a palazzo Almerici al numero 97 di via Mazza tra ottobre o, con più probabilità novembre, riapre un gioiellino dell’archeologia: il Museo Archeologico Oliveriano.

Da raccolta privata a cosa pubblica per spirito civico

A piano terra in quattro sale con volte e laterizi in vista si dispiega una raccolta di oltre 200 reperti che copre un arco di tempo dal VII secolo a.C. circa all’epoca paleocristiana, al IV secolo d.C.. Al di là dei pezzi esposti, il Museo Oliveriano rappresenta un caso esemplare di quelle donazioni innervate di spirito civico da cui si genera una raccolta di tutto rispetto: il nucleo infatti è formato dal lascito alla città dell’erudito e intellettuale Annibale degli Abbati Olivieri (1708-1789), che inglobava i reperti avuti in dono dall’amico Giovan Battista Passeri (1684-1780), e che nel testamento dispose che fossero unite “perché la cittadinanza in un sol luogo e ad uso pubblico potesse liberamente disporre di tutto quello che due cittadini avevano saputo amorosamente raccogliere”. Olivieri lasciava alla città anche una ricca biblioteca.

Museo e biblioteca Olivieri di Pesaro

Una proprietà privata diventava dunque cosa pubblica a beneficio di tutti. Il museo aprì in un altro edificio nel 1793, si trasferì a palazzo Almerici, rimase chiuso dal 1928 al 1967. Nel 2012 pesanti infiltrazioni d’acqua nell’edificio obbligarono il Comune a chiudere, riaprì tra il 2014 e il 2015, richiuse: servivano lavori complessivi.

La riapertura con un nuovo allestimento

La prolungata chiusura del museo aveva generato negli anni discussioni in città. L’amministrazione comunale guidata oggi dal sindaco Matteo Ricci non stava però a guardare: insieme alla Fondazione Ente Olivieri presieduta da Fabrizio Battistelli che gestisce la raccolta archeologica e la biblioteca al piano superiore e con una spesa di 1,2 milione di euro ha riallestito, restaurato e adeguato le sale anche in vista di Pesaro Capitale italiana della cultura nel 2024.

Mosaico e Eros in bronzo. Pesaro museo archeologico

Ha curato il progetto scientifico l’archeologa del Ministero della cultura Chiara Delpino; ha firmato l’allestimento e il progetto museografico lo studio Startt. Il Comune fa sapere che bookshop e servizi vari verranno approntati per la riapertura al pubblico. Intanto la raccolta è già allestita, i giornalisti sono ammessi e possono descrivere un viaggio che dall’età del bronzo passa per la romanizzazione e la fondazione della colonia romana nel 184 a.C. conduce fino ai sarcofagi paleocristiani in una classica sequenza di culture susseguitesi nel medesimo territorio.

 Pesaro Museo archeologico oliveriano, testa di Augusto
 Pesaro Museo archeologico oliveriano, testa di Augusto  

La stele con la battaglia navale

L’incipit lo dà la prima sala con tre “stele di Novilara”, da un gruppo di otto stele dalla necropoli picena dell’VIII-V secolo a.C. scoperta vicino a Pesaro nel 1860. Il pezzo più impressionante sembra un grosso fumetto di pietra su una scena navale: ha una nave a vela e tanti piccoli rematori nella fascia superiore, due imbarcazioni con combattenti che si fronteggiano nella fascia inferiore.

Come riporta il pannello espositivo, un’altra stele con iscrizioni è un falso di fine ‘800 mentre l’originale di quella con figure in lotta e a caccia è al Museo Pigorini del Museo della civiltà di Roma e tuttavia, avverte sempre il Museo Oliveriano, probabilmente è anch’essa opera di un falsario. In ogni caso apre il percorso un affascinante “anemoscopio di Boscovich”, ovvero un disco solare inciso sui venti e per osservazioni astronomiche del II secolo d.C. e scoperto a Roma nel 1759.

Anemoscopio di Pesaro

Perché sta all’ingresso? Perché Annibale Abbati degli Olivieri lo dispose in modo chiaro: l’anemoscopio doveva aprire la raccolta e così è. Per inciso: il restauro dei corredi della Necropoli di Novilara è stato finanziato dall’Ufficio Cultura del Governo Svizzero. 🇨🇭

La direttrice Paolini: “I pezzi forti? Dall’epigrafe ad Augusto”

 “Il museo ha quattro sezioni. La prima appunto è su Novilara. La seconda è sul Lucus Pisaurensis, un bosco sacro e luogo di culto che individuò qui vicino Olivieri nel 1737. La terza sezione è sulla Pesaro romana, la quarta è sulle collezioni Olivieri e Passeri”, spiega Brunella Paolini, che dirige l’ente Olivieri compresa la biblioteca al piano superiore del palazzo e aperta al pubblico. Facendo da guida a Repubblica.it  e invitata a indicare tre pezzi forti della collezione, cosa sceglie la direttrice? “Partirei dall’epigrafe bilingue in latino ed etrusco del I secolo d.C. – risponde – Dimostra la presenza di un aruspice a Pesaro.

Eros in bronzo

In secondo luogo indico gli oggetti dalla domus pesarese, con i mosaici, il brano d’affresco, l’amorino o eros in bronzo del II secolo d.C.”.

Quale terzo pezzo forte, Brunella Paolini suggerisce la sequenza di quattro teste romane con Augusto, sua moglie Livia, il cui padre era pesarese, e due bambini, un figlio sicuro della donna “mentre il più piccolo non è stato identificato”.

Ex voto
Pesaro Museo archeologico oliveriano, Ercole bronzetto
Pesaro Museo archeologico oliveriano, Ercole bronzetto 

La vetrina dei bronzetti

Di suo gusto la direttrice invece predilige “la vetrina dei bronzetti, oggetti votivi molto comunicativi anche per il nostro tempo”. Annotazione pertinente. La vetrina espone un’elaborata “hydria” del VI secolo a.C. di origine greca, da un’anfora, come numerosi pezzi per lo più etrusco italici, dal frammento di un braccio con panno a una mano che impugna un serpente saettante fino a un piccolo Ercole con clava. “Il bronzetto, del VI-V secolo a.C., era stato rubato negli anni ’60, fu recuperato negli Stati Uniti nel 2015 dal comando dei carabinieri del patrimonio artistico”, ricorda la direttrice. Il catalogo, informa il Comune, sarà pronto in autunno.  Info su https://oliveriana.pu.it

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LA DOMUS DI VIA DELL’ABBONDANZA DI PESARO

L’area archeologica di via dell’Abbondanza (nota anche come Domus di via dell’Abbondanza) è stata scoperta nel corso di lavori edili nel 2004 e scavata fino al 2005; musealizzata da fine agosto 2015, oggi è aperta e accessibile al pubblico con modalità di fruizione all’avanguardia.

L’odierna sistemazione è il risultato del progetto di lavoro a cura della Soprintendenza Archeologia delle Marche, del Comune di Pesaro e di Sistema Museo.

Museo archeologico Pesaro

Si tratta di un esempio di abitazione signorile della prima età imperiale romana. L’importanza e la disponibilità economica del proprietario si esprimono sia nella posizione della domus nel tessuto urbano, con l’ingresso principale aperto sul cardine, sia nella ricchezza dell’apparato decorativo.

Costruita fra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C., fu restaurata più volte e continuò a essere abitata almeno fino agli inizi del III secolo d.C.

La planimetria e lo schema architettonico appaiono molto regolari. Lo spazio era organizzato intorno all’asse che dall’ingresso passava attraverso l’atrium, posto oltre i limiti di scavo in direzione del Duomo, e arrivava al peristilio, di cui è conservata buona parte della struttura porticata, con basi di colonne disposte lungo i lati interni, a margine delle canaline di raccolta dell’acqua piovana.

Ai lati del peristilio si aprivano le stanze riservate alla vita privata della famiglia, alle quali si accedeva attraverso importanti soglie a mosaico. I mosaici, tutti in bianco e nero, sono ampiamente conservati e costituiscono l’elemento più affascinante della casa, grazie anche a una recente e accurata opera di restauro.

Degli affreschi restano solo porzioni alla base di alcuni ambienti, ma numerosi frammenti sono stati rinvenuti negli scavi insieme a stucchi e a rare decorazioni in terracotta.
Al V secolo d.C. si data la costruzione dell’impianto termale documentato dall’ambiente a ipocausto su suspensurae, ricavato scavando una delle stanze originarie della domus, già abbandonata da tempo. ( da pesaromusei.it)

IN VIAGGIO LUNGO LA VIA DELLE GALLIE,DALLA TRANSPADANA FINO A LUGDUNUM E VIENNE

Dai confini  della Regio Transpadana, la via delle Gallie ci ha condotto  fino a LUGDUNUM , l’odierna Lione, la capitale delle tre Gallie.

La via delle Gallie è una antica strada romana consolare fatta costruire da Augusto , probabilmente seguendo il tracciato di più antichi sentieri che collegavano la Gallia Cisalpina con quella Transalpina. Fu anche la prima opera pubblica realizzata dai Romani in Valle d’Aosta. La via attraversava in parte le moderne Italia, Francia e la Svizzera.

Vie Romane nelle Gallie

Era stata progettata con lo scopo di facilitare l’espansione militare e politica romana verso le Alpi che si concretizzò poi nelle guerre alle popolazioni alpine sotto Augusto. La via delle Gallie iniziava da Mediolanum (la moderna Milano) e passava per Augusta Eporedia (Ivrea) biforcandosi in due rami all’altezza di Augusta Praetoria (Aosta).

Il teatro romano di Aosta /Augusta Pretoria
Aosta – resti del teatro romano illuminato di notte
Ricostruzione del foro di Aosta Augusta Pretoria. Spettacolare la visita del criptoportico

https://postiepasti.com/2020/12/02/criptoportico-foro-romano-aosta/amp/

Da Augusta Praetoria un ramo della strada si dirigeva verso il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis) fino a Lugdunum (Lione), mentre l’altra diramazione giungeva al passo del colle del Gran San Bernardo (lat. Mons Iovis) per poi condurre verso Octodurus (Martigny), nel moderno Canton Vallese, in Svizzera.

Domnas nei pressi di Bard, via delle Gallie- Valle D ‘ Aosta

Per raggiungere Lugdunum dal territorio dei Salassi si poteva valicare il Piccolo San Bernardo, nelle Alpi Graie, e attraversare le terre dei Ceutrones, oppure affrontare il Poeninus, il Gran San Bernardo. Secondo Strabone il primo tragitto era più agevole ed era percorribile quasi interamente con i carri, mentre l’altro era stretto e ripido, ma più breve. Più a ovest, nel territorio dei Cozii, si aprivano il valico del Monginevro e quello del Moncenisio. « Le grandi vie romane, le quali collegavano l’Italia con la valle del Rodano, erano quelle delle due Dore : il Mons Matrona ( Monginevro ), la Alpis Graia (Piccolo San Bernardo ) e l’Alpis Poenina ( Gran San Bernardo ). »

noi abbiamo seguito la strada fino a LUGDUNUM teoricamente attraversando le seguenti tappe:

Da Augusta Praetoria (Aosta), attraversiamo Fundus Gratianus (Gressan), Fundus Joventianus (Jovençan), Sarra (Sarre), Aimivilla (Aymavilles), Arvarium (Arvier), Avisio (Avise), Sala Duria (La Salle), Moriacium (Morgex), Araebrigium (Pré-Saint-Didier) e Tuillia Salassorum (La Thuile), dopo di cui valichiamo il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis), per poi dirigersi verso Sextum Segetium (Séez), Capellae Centronum (Les Chapelles), Bellantrum (Bellentre), Axima (Aime), Munsterium (Moûtiers), Aquae Albae (Aigueblanche), Liscaria (La Léchère), Fessona Brigantiorum (Feissons-sur-Isère), Cevis (Cevins), Bastita (La Bâthie), Turres (Tours-en-Savoie), Oblimum (Albertville), Hillium (Gilly-sur-Isère), Camusellum (Chamousset), Castrum Novum Allobrogum (Châteauneuf), Capanna ad Melianum Montem (La Chavanne), Riparia (La Ravoire), Camberiacum (Chambéry), Nanciae (Nances), Dulinum (Dullin), Verale Bellomontium (Verel-de-Montbel), Bellus Mons ad Tramonaecum (Belmont-Tramonet), Romagnieu (Romagnieu) terminando a Lugdunum (Lione).

VIENNE

Vienne è stata prima di essere romana , la capitale degli Allobrogi , una potente tribù gallica . Il termine Allobrogi significava probabilmente che essi erano una popolazione celtica proveniente da altre aree( Allobrogi in celtico “allo brox ” ovvero quelli di un altro territorio). Nel 123 a.C. dopo aver ospitato il re dei Salluvi Tutomotulo, in fuga dai Romani, gli Allobrogi furono attaccati dai Romani che riuscirono a battere nell’agosto del 123 questo popolo . Inizia poi un periodo di intensa romanizzazione.

MUSEO GALLO-ROMANO DI SAINT ROMAIN EN GAUL

La prima tappa che abbiamo raggiunto è stata quella di visitare il sito di Saint Romain EN Gaul-VIENNE a circa 30 km a sud di Lione, sulla riva destra del Rodano. Il museo gallo-romano di recente inaugurazione è bellissimo! La parte musealizzata contiene tantissimi tesori( eccezionali mosaici , pitture ceramiche, etc) tutti esposti con moderni criteri di fruizione per il pubblico. L’ ambiente è luminoso ed accogliente .Al momento sono stati scavati tre ettari di una parte di un quartiere della città romana di Vienne, una delle città più ricche della Gallia romana già importante centro dei Galli Allobrogi. Vi consigliano di farvi dare una audioguida in italiano. Al di fuori del museo si estende l’area archeologica con i resti delle domus , delle abitazioni, dei centri termali etc. Molto suggestive sono le anastilosi con la ricostruzione delle fontane dove sgorga acqua fresca.

Mosaico dei due oceani. Il mosaico è diventato il simbolo del museo stesso. Realizzato verso il 180 d.C. .Le macchie più scure sono dovute ad incendio che ha distrutto la villa nel III sec.d.C.

Mosaico degli atleti vincitori III sec d.C Vienne
Affresco dalle pareti delle terme dei littori. L’ affresco era posizionato sulle pareti delle latrine pubbliche delle terme. Scoperto nel 1991-Vienne
Mosaico degli atleti vincitori.inizio III Sec.d.C.
Mosaico dei due fiumi.scoperto a Vienne nel 1981. Museo di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Mosaico dello scudo II sec d.C
Mosaico dello scudo II SEC d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Affreschi Museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Affreschi .museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli Saint Romain EN VIENNE II sec.d.C.
Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli II sec.d.c Vienne
Mosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN VIENNE museo archeologico. Orfeo nel mosaico originale si trovava al centro attorniato da vari animali
Mosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE museo archeologico
Mosaico di Orfeo fine II sec d.C. VIENNE museo archeologico Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Afrodite sulla destra e sul fondo gli affreschi del ninfeo dei trampolieri Saint Romain EN Gaul-VIENNE.
Affreschi del ninfeo dei Trampolieri. Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Statua di Afrodite scoperta nel 1845 non lontano dal museo che ora la ospita. II – inizio III sec.d.C. sullo sfondo l affresco del ninfeo dei Trampolieri I sec d.C.
Statua di Afrodite inquadrata da dietro II- inizio III sec d.C.
Frammento di affresco della villa dei Due Oceani .Saint Romain EN Gaul Vienne II sec d.C.
Frammento di affresco da Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Altorilievo del dio gallico Sucellus , dio delle selve. I suoi attributi sono un martello ed una coppa. Spesso , come in questo caso è accompagnato da un cane vedi link: http://bifrost.it/CELTI/Museo/Archeologia-Sucellos.html

Intorno a questi oggetti rinvenuti a Vienna o nei dintorni si trovano collezioni da siti lontani: oggetti in provenienti da necropoli di Champagne dell’età del bronzo donati dal curatore Vassy, o necropoli predinastiche di Khozan (Egitto) e antiche necropoli di Koban (Ossezia) donate da l’archeologo lionese Ernest Chantre.

Ceramiche votive falliformi e lucerne erotiche – Museo delle belle arti di Vienne
Altorilievo del dio gallico Sucellus. La divinità veste alla gallica e porta un martello sulla spalla sinistra ed un olla nella mano destra.un cane sta ai suoi piedi. II sec d.C.Vienne.
Passeggiando per le strade di Saint Romain EN Gaul-VIENNE

Intorno a questi pezzi eccezionali sono serie notevoli: antefisse, tubi di piombo, lucerne, sigillata, cristalleria, ceramica comune…

Passeggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Area archeologica di Saint Romain en Gaul Vienne
Passeggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Il teatro di Vienne.

IL MUSEO DELLE BELLE ARTI DI VIENNE: Questo museo benché sia progettato ed esposto con un taglio un po’ ottocentesco ha al suo interno dei pezzi pregevoli sulla storia della citta’.

la ricchezza dell’antica città di Vienna si riflette nelle collezioni di questo periodo. Diversi bronzi monumentali (statua a grandezza naturale a tondo di Pacaziano, II secolo dC, rilievo in bronzo dorato di delfini, frammenti di una statua equestre) costituiscono un insieme notevole.

Il deposito di Place Camille-Jouffray è stato scoperto nel 1984, durante il salvataggio di Place Camille Jouffray. Fu trovato in una casa, situata a est della strada principale e vicino a un fanum, un tempietto di tradizione gallica. Il ritrovamento comprende una serie di oggetti metallici risalenti all’inizio del IV secolo[9].

Comprende elementi in ferro (utensili), bronzo (stoviglie) e soprattutto argento: sepolto all’inizio del IV secolo, si compone di stoviglie (piatto con decorazione pastorale, tridente in miniatura in particolare), due portaspezie, oggetti relativi a ornamento (specchio) e un oggetto di culto (patera).

Armi dei Galli Allobrogi-Vienne museo delle belle arti
Tesoro romano in argento -. Vienne museo delle belle arti
Scrigno di avorio di testa di giovane e sullo sfondo statua in bronzo di Pacaziano-Vienne museo delle belle arti
Delfini di bronzo- Vienne museo belle arti
lucerne con scene gladiatorie

LUGDUNUM (LIONE)

Lugdunum (o Lugudunum ), oggi Lione , è il nome del sito gallico dove venne poi fondata una colonia romana dal Governatore della Gallia Lucio Munatius Plancus nel 43 a.C. ovvero un anno dopo l’uccisione di Cesare. In tale sito furono ospitati i coloni scacciati dagli Allobrogi dalla vicina Vienne . Dal 27 a.C divenne la capitale delle tre Gallie. La città Romana dalla collina di Fourviere si estese successivamente fino alla penisola tra i due fiumi. Recenti ritrovamenti hanno evidenziato che l’area era già occupata da popolazioni celtiche.

Origine del nome della città

Dibattuta è l’origine del nome Lugdunum o nella versione Lugudunum . Deriverebbe da parole celtiche :

1 ipotesi da Lug Dunum ovvero la fortezza del Dio Lug ( una delle principali divinità galliche)

2 ipotesi dal Leucos Dunum ovvero la fortezza luminosa

In Gallia altre spesso associati a un alto santuari, portavano il nome di Lugdunum , tra gli altri, Laon in Aisne , Saint-Bertrand-de-Comminges ( Lugdunum Convenarum ) in Haute-Garonne . Il nome di Leida ( Leithon in 860 Legihan per * Legthan del ix °  secolo) nei Paesi Bassi è probabile un antico Lugdunum.

LUGDUNUM

Da

PUBBLICAZIONE DI ADA GABUCCI SULLA DISTRIBUZIONE DELLA CERAMICA SIGILLATA GALLICA LUNGO L ASSE DEL PO

LINKS: https://books.openedition.org/efr/3248#tocfrom3n1

(…)Colonia Copia Felix Munatia Lugdunum LUGDUNUM viene fondata nel 43 a.C. da L. Munazio Planco, come egli stesso ricorda nell’iscrizione del suo mausoleo a Gaeta84, con il tradizionale rito del solco tracciato con l’aratro trainato da una giovenca e un bue bianchi, preceduto e seguito da tutte le usanze e le cerimonie connesse alla sacralità dell’atto. Le tracce del primo impianto della colonia sono emerse solo di recente e sono molto labili, poiché si trattava di una città di terra e di legno, edificata sullo schema dei campi legionari, per la quale non si riconoscono edifici pubblici tranne uno pseudo santuario di Cibele85. In età augustea, con la riorganizzazione della provincia voluta da Agrippa, Lugdunumdiventa non solo la capitale della Gallia Lugdunense, ma anche la sede del potere imperiale e di quello religioso per le tre Gallie, e si avvia a essere la « métropole économique des Gaules »86 ; nel 15 a.C. nasce la zecca di Lugdunum.

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La vera trasformazione urbanistica avviene però solo in età claudia, probabilmente anche grazie ai favori che il principe elargisce alla sua città natale, ma non sono molte le opere che gli si possono attribuire con sicurezza87.

Sappiamo dalle fonti di un incendio devastante scoppiato nel 64, che avrebbe provocato danni tanto ingenti da spingere Nerone a restituire alla città quattro milioni di sesterzi inviati a Roma prima del disastro. Di questo evento, però, non è mai emersa alcuna traccia archeologica sicura88.

Elemento cardine della città, sulle pendici della Croix-Rousse, è il santuario federale delle Tre Gallie ( https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_federale_delle_Tre_Gallie), il cui aspetto ci è noto dalle raffigurazioni sulle monete di età giulio-claudia, ma della cui organizzazione sappiamo molto poco.

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anfiteatro di Lugdunum e sotto moneta con raffigurazione della Altare delle tre Gallie

Risultati immagini per SANTUARIO FEDERALE DELLE TRE GALLIE

Lugdunum, grazie alla sua felice posizione geografica, alla confluenza tra la Saône e il Rodano, diventa ben presto uno snodo commerciale, un porto e un centro di produzione di primo piano, come testimonia anche una eccezionale concentrazione di iscrizioni (almeno una trentina) che ricordano artigiani diversi tra i quali produttori di sapone e di tessuti, tintori, mercanti di vino e di ceramica89, oltre a un negotiator argentarius et vascularius90. Ben attestati sono soprattutto i nautaedelle corporazioni legate alla navigazione fluviale sul Rodano e sulla Saône e, più in generale, i negotiatoresattivi nei commerci tra i due versanti alpini, come Sennius Metilius, originario di Treviri, noto da un cippo rinvenuto a Lione nel 188491.

Lugdunum impiantano grandi filiali anche alcuni produttori italici, come il ceramista pisano Cn. Ateius92, che si rendono conto di poter così gestire meglio l’approvvigionamento degli eserciti stanziati sul limes renano, e in breve la città attira artigiani e mercanti da centri vicini e lontani, come un anziano 

produttore di vetri di origine cartaginese93 o i negotiatores vinarii di Alba94 e di Treviri95. Sono noti intermediari attivi in diversi rami, come C. Sentius Regulianus che commercializzava vino, ma importava anche olio della Betica, ed è probabile che almeno parte dei battellieri gestisse delle vere e proprie imprese di trasporti sia fluviali che terrestri96.

Sulla Saône sono stati individuati a più riprese diversi porti probabilmente destinati alla gestione di merci differenti e, in anni recenti, sulla riva destra, nello scavo per la realizzazione del parcheggio Saint-Georges, sono stati rinvenuti ben sedici relitti databili tra il I e il XVIII secolo ; di questi, sei sono di epoca romana (I-III secolo). Si tratta di chiatte a fondo piatto, prive di chiglia, che arrivano a superare i 30 metri di lunghezza e i 5 di larghezza ; profonde fino a 120 cm, potevano caricare circa 150 tonnellate, una portata di tutto rispetto, che fa pensare a traffici regolari e probabilmente destinati anche a centri lontani. Le chiatte erano in grado di navigare nei due sensi, scendendo lungo il fiume e risalendo poi la corrente al traino di bardotti o animali da tiro97.

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Ricostruzione Lugdunum

Dozzine di piombi da dogana scoperti nell’Ottocento sono una ulteriore testimonianza dell’intensa attività commerciale di Lugdunumtra il I secolo e gli inizi del V e l’identificazione recente di una produzione di anfore in città avvalora l’ipotesi di un grande centro di ridistribuzione di merci, poiché si ritiene che i contenitori servissero a confezionare prodotti importati sfusi in botti o dolia per smerciarli poi per via fluviale o terrestre98. A questo si aggiunge ancora almeno una considerazione : se davvero gli enormi magazzini venuti alla luce a Vienne, poco a valle di Lione, servivano, come è stato proposto, allo stoccaggio delle derrate usate per il pagamento in natura delle imposte che le province galliche inviavano a Roma (tessuti, cereali, pelli, minerali, vino ecc.), bisogna allora pensare che tutta questa gigantesca massa di merci transitasse in qualche modo da Lugdunum99. ( …)

IL MUSEO GALLO-ROMANO DI FOURVIERE

Il museo è stato progettato dall’architetto Bernard Zehrfuss e inaugurato nel 1975. L’edificio si trova al limite dell’area archeologica, semi nascosto sul versante della collina. All’interno, il museo è costituito da una rampa in cemento che scende a spirale, ramificandosi verso dei pianerottoli destinati alle collezioni del museo. Dall’interno del museo è possibile ammirare i resti del teatro e dell’odeon accanto.

Ricchissime le collezione, strepitosi i mosaici di notevoli dimensioni, bellissimi i tanti oggetti della vita comune e della architettura monumentale della città. Tra i pezzi famosissimi troviamo la tabula Claudiana ricomposta in frammenti che riporta in bronzo il discorso dell’imperatore Claudio sull’accesso dei Galli al Senato di Roma. Un altro reperto famosissimo è la tavola di Coligny che permette di allineare calendario lunare antico a calendario solare.

Sarcofago di Bacco

ARMI E ARMATI

Umbone gallico
Umbone e resti di cotta di maglia di epoca imperiale

MOSAICI

Mosaico corsa lungo il circo – Lione museo gallo romano.

DIVINITÀ

Divinità galliche: le Matrone museo Gallo-Romano di Lione
Le Matrone divinità di origine celtica .museo gallo romano di Lione
Venere . Museo gallo romano di Lione
Venere statuetta in bronzo – museo Gallo-Romano di Lione

NECROPOLI.

Sepolcreto della giovane Primilia non ancora diciottenne.Il padre Terenzio ha fatto costruire il sepolcreto con l’immagine scolpita della figlia mntre mostra i suoi gioielli. Sul fianco un amorino con la fiaccola dell’amore al contrario. Amate finché vi è possibile voi che leggete
Calco del viso di una bimba romana morta prematuramente Claudia Victoria. La tomba è stata scoperta sulla collina di Fourviere ala fine del 1800

TESORO DI VAISE

VIDEO LUGDUNUM E VIENNE

APP/ APPLICAZIONI PER IPHONE ED ANDROID: EO LUGDUNUM e VIENNE

https://play.google.com/store/apps/details?id=fr.orpheo.eolugdunum

https://apps.apple.com/it/app/eo-lugdunum/id1548252219

https://play.google.com/store/apps/details?id=fr.orpheo.saintromainengal

ULTERIORI SCOPERTE:

https://www.sotterraneidiroma.it/blogpost.php?id=125

LINKS:

https://wp.me/pe9NPD-4m

https://www.romanoimpero.com/2018/09/vienne-francia.html

https://www.romanoimpero.com/2022/03/lugdunum-lione-francia.html

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Ostilio Saserna, denario in argento, Roma, 48 a.C., RRC 448/3. D/ Personificazione della Gallia con carnyx dietro la testa R/ Artemide-Diana di Efeso con lancia nella sinistra e la destra che trattiene una cerva per le corna

LE TRE GALLIE ,VERCINGETORIGE E LA MONETAZIONE ROMANA:

DOSSIER SPECIALE | Per un identikit numismatico di VERCINGETORIGE

SITI GALLO -ROMANI:

https://www.archeophile.com/rwcat_66-civilisation-gallo-romaine.htm

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ORBIS UNA GOOGLE MAPS DELLE STRADE ROMANE

Nel 2012 la Stanford University (California, Stati Uniti) ha realizzato un sito che permette di simulare un viaggio all’interno dell’Impero Romano nel 200 d.C., quindi all’apice della sua espansione. Il sito, chiamato Orbis (globo, in latino), è stato sviluppato da una collaborazione tra il dipartimento di studi storici ed umanistici e quello d’informatica.

Funziona grossomodo come una sorta di Google Maps: andando sul sito appare una mappa dell’Impero Romano, che include gran parte dell’attuale Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente; si sceglie un punto di partenza e uno di arrivo, la stagione in cui si vuole viaggiare e il mezzo (a piedi, a cavallo, o con un carro, per esempio). Il mezzo e la velocità con cui si sceglie di viaggiare hanno implicazioni sui costi: se si volesse andare da Roma a Costantinopoli a giugno utilizzando una staffetta di cavalli, senza utilizzare navi, si impiegherebbero circa 9 giorni. Sempre con una staffetta di cavalli, ma passando anche per un tratto di mare, si impiegherebbero due giorni in meno, e il viaggio risulterebbe anche meno costoso.

ULTIME SCOPERTE

DALLA MINERVA DI STRADELLA A QUELLE DELLA CISALPINA

La Minerva di Stradella, è una statua bronzea di circa 60 cm del II secolo d.c., ritrovata nel 1828 durante alcuni scavi al torrente Versa e donata al re Carlo Felice. La Minerva è custodita al Museo dell’Antichità di Torino,

Minerva di Stradella- museo archeologico di Torino

Minerva nella piccola bronzistica dell’Italia settentrionale

Margherita Bolla

Da PUBLICATIONS DE L’INSTITUT NATIONAL D’HISTORIE DE L’ART https://books.openedition.org/inha/7255https://books.openedition.org/inha/7255

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 I bronzetti di Minerva hanno suscitato a più riprese l’interesse di Claude Rolley1, cui dedico questo censimento2 degli esemplari a tutto tondo dall’Italia settentrionale3, senza pretese di esaustività. Si tratta di più di quaranta statuine in bronzo oltre a otto irreperibili e non illustrate, due in argento (di cui una perduta) e tre in piombo; Minerva è quindi fra le dee più riprodotte in quest’area nella piccola plastica in metallo, accanto a Fortuna/Iside e Venere4.

2Fra gli esemplari con dati di provenienza (di solito luogo e talvolta data della scoperta, senza indicazioni sul contesto), alcuni paiono di antichità dubbia o appartengono a serie sulle quali sussistono sospetti; al proposito si ricorda che i bronzetti romani dell’Italia del nord sono giunti nelle raccolte pubbliche in gran parte nell’Ottocento, quando fu attivo un vivace mercato antiquario di falsi, copie, rielaborazioni.

Le Minerve più antiche

3Dal santuario della dea Reitia a Este, attivo forse già dalla fine del VII sec. a.C. al II-III sec. d.C., vengono due statuette, anteriori all’età imperiale, accomunate da elmo corinzio, braccia nude, peplo con lungo apoptygma e cintura subito sotto il seno, egida bilobata con gorgoneion a piccola borchia e proporzioni del corpo (con torace breve e sottile e parte inferiore allargata), ma diverse nelle dimensioni e negli attributi. Una reca nella destra una patera ampia e concava5; l’altra – più alta – ha la mano destra sul fianco mentre la sinistra posa su un pilastrino sul quale striscia un serpente, indizio per un’interpretazione come Minerva Igea6, supportata dalla presenza nella stipe di un cane e un serpente in bronzo, animali connessi ai culti iatrici7.

1. Aquileia

1. Aquileia

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Foto dell’A.

Le due Minerve sono probabilmente prodotti locali realizzati per le specifiche esigenze del santuario, dove erano attive da tempo fiorenti botteghe per la fabbricazione di votivi metallici, ma richiamano la bronzistica centroitalica di età ellenistica, presentando affinità strutturali con una Minerva da Siena, per la quale Bentz ha proposto un archetipo pergameno e quindi una datazione dopo la metà del II sec. a.C.8. Il bronzetto atestino di maggiori dimensioni sembra situabile ancora nel II sec. a.C., mentre quello con patera potrebbe essere un poco più recente, della fine del II-primi decenni del I sec. a.C.9.

4È forse da situare nel I sec. a.C. anche una Minerva – con patera e probabilmente scudo poggiato al suolo – di Aquileia (fig. 1)10, dove si ha una presenza precoce della dea, testimoniata da un’epigrafe11.

Gli altri bronzetti di maggiori dimensioni

statua di Stradella, con peplo altocinto, datata su base stilistica all’età antoniniana12, è alta cm 60 cioè due piedi romani, forse una misura standardizzata13; richiama la Parthenos fidiaca (è l’unica in Italia del nord con elmo con tre creste14), però attraverso mediazioni ellenistiche; forse votivo per un luogo di culto, poteva tenere lo scudo con la sinistra e la patera nella destra15.

6Da un edificio del VI secolo sul Monte S. Martino, proviene un elmo corinzio con tori sui paraguance, notevole per qualità e dimensioni (alt. cm 5,8), pertinente a una figura alta una quarantina di centimetri, ritenuto asportato dal vicino santuario, in cui si veneravano soprattutto divinità femminili, fra cui Minerva, testimoniata da una testina fittile16.

7In Cisalpina, l’uso di porre in ambito cultuale statue in bronzo inferiori al vero è testimoniato anche da un’epistola di Plinio il Giovane17.

8Non lontano da Este è stato rinvenuto un gorgoneion di altissima qualità, applicazione per una statua di loricato o di Minerva, quindi pertinente alla grande plastica18.

Bronzetti con peplo e cintura, senza mantello

2. Trento

2. Trento

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Cavada 1993, fig. 17.

3. Chiarano

3. Chiarano

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Bellis 1968, fig. a p. 43.

9Vicina al tipo di Stradella sembra una statuina da Reggio Emilia, molto danneggiata, da una domus in uso dal I al V sec. d.C.19.

10Ancora a braccia nude, con egida più evidente e peplo con risvolto e cintura, sono due piccoli gruppi: uno costituito dagli esemplari da Trento (fig. 2, piazza Duomo, contesto di III secolo con materiali anteriori) e Verteneglio in Istria, con breve crista aderente all’elmo, lancia nella destra e scudo posto di tre quarti nella sinistra20; l’altro formato dalle statuine di Chiarano (fig. 3) e Promontore (Istria), con civetta nella destra estesa e lancia a sinistra21, inoltre forse una dispersa da Campegine22. I bronzetti del secondo gruppo richiamano la statua di un tempio urbano riprodotto su serie monetali neroniano-flavie, identificato in via ipotetica con il santuario dell’Aventino23.

IL TIPO VERONA PARMA

4. Tipo «Verona-Parma», Serie di minori dimensioni, Brescia

Tipo «Verona-Parma», Serie di minori dimensioni, Brescia

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Foto dell’A.

11Il tipo di Minerva prediletto in Italia del nord, con attestazioni ovunque ma soprattutto nella Venetia, è quello cosiddetto «Verona-Parma» (fig. 4), individuato negli anni Settanta24, nel quale sono distinguibili – riguardo alle dimensioni – due serie25. Alla lista di esemplari proposta in un recente riesame del tipo26 va aggiunto un bronzetto da Claterna (Ozzano nell’Emilia), peculiare poiché è l’unico a presentare l’inversione della posizione delle braccia (reggeva la lancia con il sinistro alzato)27.

Statuine con mantello

12Una Minerva dalla mansio di Sirmione (fig. 5, provenienza solo ipotizzata)28 ha peplo con apoptygma senza cintura e kolpos, ma con l’aggiunta del mantello discendente sul retro dalla spalla destra e coprente il braccio sinistro; l’elmo (perduto) era lavorato a parte.

5. Forse da Sirmione

5. Forse da Sirmione

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13Il tipo sembra ispirato, più che alla statuaria attica degli ultimi decenni del V sec. a.C. (Procne di Alcamene, Cariatidi dell’Eretteo), a creazioni della prima metà del IV sec. a.C., come l’Eirene di Cefisodoto, riproposta in un bronzetto romano di Atene29; il favore riservato allo schema nel II secolo30 determinò forse la sua diffusione nella bronzistica. La Minerva del larario di Ostia, in strato di incendio del 270-280 d.C., attesta comunque la permanenza in uso del tipo in quest’epoca31. Altri esemplari sono conservati a Berlino (con lancia nella destra ed imponente elmo attico)32 e Verona33; nessuno conserva l’attributo della mano sinistra, attraversata da un foro cilindrico: potrebbe essere lo scudo o la civetta. Come per la serie «Verona-Parma», questo tipo è stato utilizzato per la creazione di altre figure: Minerva-Iside-Fortuna, cambiando la posizione delle braccia e gli attributi34; Iside-Fortuna, eliminando l’egida35.

Foto dell’A.

6. Trento, Piedicastello

Trento, Piedicastello

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Walde-Psenner 1983, n. 178.

14Vestono mantello discendente sul retro e peplo con maniche e cintura in vita due Minerve trovate nell’Ottocento e disperse, dal Lodigiano e da Trento-Piedicastello (fig. 6)36, questa con grandi occhi cordonati e gorgoneion insolito, con chioma fiammeggiante. Fanno parte di una serie, con lancia e patera, ispirata al periodo protoclassico, ritenuta sospetta da Franken e testimoniata da esemplari di provenienza ignota a Göttingen, Köln, in Austria (forse da Carnuntum)37, e al Museo di Bologna.

15Un buon numero di statuine dell’Italia del nord è caratterizzato dal mantello che copre la parte frontale, con esiti diversi.

7. Tortona

7. Tortona

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Foto di Guido Rossi.

16Nel tipo Kaufmann-Heinimann I A rientrano due statuine di qualità differente, collegabili – pur con molte semplificazioni – all’Atena Giustiniani: da Tortona (fig. 7), con scudo (mentre la lancia è perduta), dubbia per le caratteristiche tecniche e stilistiche, e da Libarna, raffinata e ricca di dettagli, forse databile fra la fine del I e il II sec. d.C. per le proporzioni allungate38.

8a-b. Moio di Chizzola

8a-b. Moio di Chizzola

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Walde-Psenner 1983, n. 6.

17Ancora al tipo I A si riferisce un gruppo, con provenienze dal Trentino (Moio di Chizzola, fig. 8, e Trento-Piedicastello) e dal territorio di Altino39; qualche dubbio suscita la struttura del mantello sul retro e il suo rapporto con la cresta dell’elmo. Un esemplare pressoché identico è di provenienza dichiarata da Liberchies, località che ha «attratto» falsificazioni40; altri sono di provenienza ignota41.

9. Aquileia

9. Aquileia

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Foto dell’A.

10. Felegara

10. Felegara

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D’Andria 1970, n. 163.

18Al tipo Kaufmann-Heinimann I B si riferiscono quattro esemplari, accomunati dalla posizione di braccia e gambe: da Gazzo Veronese42 e Aquileia (fig. 9)43 (entrambi con lancia perduta nella sinistra) e due molto simili da Tortona (dispersa, con patera nella destra)44 e Felegara (fig. 10, priva degli attributi)45, trovate nell’Ottocento. La Minerva di Gazzo, di ritrovamento recente, è sicuramente antica, ma bronzetti analoghi sono moderni46; quelle di Tortona e Felegara rientrano in una serie caratterizzata da proporzioni tozze e testa grossa, con mento prominente che appare quasi «barbato47», ripresa (o reimpiegata?) nella bronzistica rinascimentale48

11. Fodico

. Fodico

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Foto dell’A.

19Un altro gruppo di Minerve è caratterizzato dal mantello che risale non sulla spalla, ma sull’avambraccio sinistro. Si tratta di quattro esemplari differenti, concentrati nella zona orientale dell’Italia del nord: a Trento-S. Bartolomeo, forse a Oderzo, a est dell’Isonzo (con ponderazione inversa)49, a Fodico in Emilia (fig. 11)50. Nell’esemplare forse da Oderzo, il panneggio passa sotto il braccio sinistro, collegandosi all’Atena tipo Velletri; il gruppo cui questa statuina appartiene, definito da Menzel, Galliazzo e Ţeposu-Marinescu, Pop, è poco numeroso, con statuette differenti ma riferibili ad uno stesso modello in Gallia, Renania, Dacia, oltre che in Italia: vicina all’esemplare forse da Oderzo è la Minerva da Porolissum, mentre quella di Vaison conserva lo scudo circolare, sollevato con la mano sinistra51. Per la Minerva di Fodico (fig. 11) un confronto fa pensare che l’attributo nella destra fosse la civetta52.

12. Gran San Bernardo

12. Gran San Bernardo

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Leibundgut 1980, tav. 66.

20Le Minerve in cui il mantello copre completamente il petto sono rappresentate da tre esemplari diversi da Alessandria, Gran San Bernardo (fig. 12) e Este, quest’ultimo in argento.

21Al tipo Kaufmann-Heinimann III si riferisce la Minerva di Alessandria, da larario privato (associata ad una Minerva più piccola del tipo «Verona-Parma»), molto danneggiata53, appartenente a una serie di notevoli dimensioni e di alta qualità, studiata fra gli altri da Boube-Piccot, Leibundgut, Boucher, Kaufmann-Heinimann54, con datazione all’età augustea-prima età imperiale. L’ampia distribuzione degli esemplari noti, dalla Pannonia alla Gallia al Marocco, non consente l’individuazione di una zona privilegiata di produzione.

22Nel piccolo bronzetto del Gran San Bernardo (fig. 12), l’egida quasi indistinguibile è in diagonale sopra il mantello, verso la spalla sinistra, con un minuscolo gorgoneion; questo particolare55 consente l’inserimento in una serie riesaminata da Annemarie Kaufmann-Heinimann, che ne ha messo in luce la forte variabilità, evidenziando come non si individui – data la vasta dispersione del motivo nell’Impero – un centro di elaborazione56. In Italia del nord, per ora il tipo con egida in diagonale è presente solo in questo centro periferico, di transito verso le Gallie.

23Miniaturistica è la Minerva in argento dal santuario di Reitia a Este, forse un orecchino prodotto fra I sec. a.C. e I sec. d.C. e deposto come offerta votiva, particolare per gli attributi rappresentati (lancia, scudo con il serpente Erittonio; un probabile altro serpente sul fianco destro della dea, che reggeva forse una patera), in connessione con la valenza salutistica della dea in questo luogo57. Il gorgoneion e i serpenti dell’egida, posta sopra il mantello, sono a malapena visibili; è inoltre singolare il mantello sulla testa della dea.

Minerva con piede su globo

lavoro a cesello (iridi cave, ciocche incise sulle gote, egida, elmo); fori cilindrici sono in entrambe le mani58.

13. Aquileia

13. Aquileia

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Foto dell’A.

Un esemplare analogo è a Vienna, di provenienza ignota59, mentre un altro, differente (braccia volte in avanti con mani aperte, globo sferico), è noto da un disegno e ritenuto moderno60. La posa della gamba destra sollevata, con panneggio rovesciato sulla coscia a formare una grossa piega e piede su globo, è nota anche per bronzetti di Fortuna/Iside Panthea61. Una placca in bronzo da Charlton Down, tardoantica per i caratteri stilistici, mostra Minerva con piede sinistro su globo, intenta a scrivere su uno scudo, per contaminazione con l’iconografia della Vittoria62.

Minerve in corsa

25Questo schema iconografico, il cui terminus post quem per la diffusione nella bronzistica sarebbe la statua di culto del tempio di Minerva Chalcidica a Roma, eretto da Domiziano63, è presente a Vada Sabatia, a Marani in Trentino, e a Fodico (fig. 14), nel territorio di Reggio Emilia.

14. Fodico

14. Fodico

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Foto dell’A.

26La statuina di Vada ha elmo sormontato da Sfinge (cresta perduta) e braccia fuse a parte (perdute). Nonostante il ritrovamento recente (1942) e l’acquisizione per dono e non per compravendita, è stata ritenuta falsa per l’iconografia insolita e la lega usata, con stagno e piombo in tracce e con il 9 % di zinco. Sono però note in età romana statuette ad alto tenore di zinco, anche se le proporzioni della lega della statuina di Vada hanno pochi confronti64; in Italia settentrionale la campagna di analisi sui bronzi di Industria ha rivelato un tripode con alta percentuale di Zn (11,2) e scarsa presenza di Sn e Pb (2,9 e 4,2)65.

27Peculiare la Minerva da Marani, in cui il corsetto è decorato da volute e il gorgoneion è trasformato in un «occhio di dado66», ma va ricordato che un esemplare molto simile dalla Romania è stato ritenuto sospetto67.

28La Minerva di Fodico (fig. 14)68 è insolita per l’egida trasformata in una lorica indossata sopra il peplo, la forma curiosa dell’elmo e la resa stilistica (tacche sul retro dell’egida).

29Rispetto al censimento delle Minerve «in corsa» proposto da Hélène Chew69, le statuine norditaliche confermano la grande eterogeneità di questi bronzetti, che non sembrano potersi riunire in vere e proprie serie70. La rarità in Italia settentrionale potrebbe indicarne sia un’origine allogena sia elaborazioni locali isolate.

Parti di statuette

30Cimieri di elmo isolati, da Vada Sabatia e dal Veronese71, possono riferirsi – ma solo in via ipotetica – a Minerva, considerando che statuine di Marte a tutto tondo sono poco attestate nel Norditalia, mentre il Genius elmato è finora assente72.

Piombo

31Minerve in piombo del tipo a braccia nude, con peplo e cintura73, sono a Pavia (con patera nella destra, lancia nella sinistra, scudo a lato) e forse nell’agro altinate (braccio destro sollevato forse con patera, sinistro alzato per la lancia, perduta)74; a S. Giorgio di Valpolicella si trovano un frammento di scudo e una figurina femminile ritenuta Fortuna o Minerva75.

Bronzetti perduti

24Nel Museo di Aquileia, senza provenienza ma ritenuta dalla città, è una Minerva insolita (fig. 13), con piede destro su globo informe; benché costruita su un unico piano, è di resa accurata, con un considerevole

Osservazioni sulle tipologie

33Le «serie» ben definite sono quattro (con parziali sospetti di non antichità): «Verona-Parma» (fig. 4), Lodigiano/Trento-Piedicastello (fig. 6), Moio (fig. 8)/Trento-Piedicastello/Altino, Tortona/Felegara (fig. 10). Per il resto, pur classificandosi in grandi tipi, i bronzetti sono diversi l’uno dall’altro, probabilmente per la pluralità di modelli o di centri di produzione.

34Per gli attributi, quasi sempre perduti, possiamo ipotizzare: lancia + scudo, l’associazione più frequente78; patera + scudo79; patera + lancia80; civetta + lancia81. Al momento sembra poco attestata la civetta, ma si deve considerare che per alcuni tipi82 l’attributo non è noto neanche da confronti. Le maggiori peculiarità si trovano a Este per la presenza dei serpenti83.

35La crista dell’elmo è molto variabile: breve, compatta e aderente nei bronzetti di Este (Minerva di minori dimensioni), Trento-piazza Duomo (fig. 2) e Verteneglio, Lodigiano/Trento-Piedicastello (fig. 6); discendente sul dorso e in genere bifida negli altri, spesso aderente all’elmo (come nel tipo «Verona-Parma»), ma anche a tutto tondo e connessa all’elmo mediante un sostegno variamente sagomato (Chiarano (fig. 3), Promontore, Libarna; cimieri isolati). In qualche caso l’estremità verso la fronte raffigura una testa di grifo (Libarna) oppure una protome apparentemente di bovide (Tortona (fig. 7), Gazzo Veronese, a est dell’Isonzo, forse da Oderzo); l’indicazione di occhi e naso sull’elmo di tipo corinzio è talvolta più evidente (Minerva più bassa da Este, Libarna; alcuni del tipo «Verona-Parma»); la presenza della sfinge si riscontra a Vada e Campegine, mentre la statuina con mantello da Alessandria – secondo i confronti – poteva avere una civetta sopra la calotta; a Vada e Alessandria sono presenti anche i paraguance sollevati.

36Gli esemplari di buona qualità sono pochi: Libarna, Alessandria (con mantello), Vada Sabatia.

37In generale, dal punto di vista dell’assimilazione di schemi iconografici, si riscontra – per il cospicuo numero dei bronzetti del tipo «Verona-Parma» (fig. 4) – una leggera predominanza delle figure con peplo e senza mantello, di gusto «conservatore84». A parte il caso di Este, le peculiarità cisalpine nella riproduzione di Minerva nella piccola bronzistica consistono appunto nella preferenza accordata al tipo «Verona-Parma» e nella scarsissima affermazione dei tipi «in corsa» e «con egida in diagonale».

15. Distribuzione delle Minerve in metallo in Italia settentrionale (escluse quelle di dimensioni maggiori dei bronzetti e gli elementi isolati)

15. Distribuzione delle Minerve in metallo in Italia settentrionale (escluse quelle di dimensioni maggiori dei bronzetti e gli elementi isolati)

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Triangolo pieno, Minerve conservate o illustrate; triangolo vuoto, Minerve perdute e non illustrate.

38Esaminando la carta di distribuzione (fig. 15), si notano zone di assenza nella Transpadana e una considerevole diffusione invece nella Venetia et Histria e in Aemilia, con concentrazioni a Trento, Este ed Aquileia; per comprenderne il significato sarebbero necessarie ulteriori ricerche sugli altri prodotti in bronzo85, anche non a carattere cultuale (appliques, pesi, ecc.), e sulle testimonianze epigrafiche e figurative in materie diverse dal bronzo86. Un rapido sguardo a queste ultime indica scelte iconografiche differenti: la Minerva sulla grande lamina argentea con teoria di divinità in rilievo87 del tesoro di Marengo, sepolto dopo l’inizio del III secolo, appare accanto a Giove e Giunone, ed è rappresentata con le gambe incrociate, iconografia rara nei bronzetti88; nella terracotta è frequente Minerva accanto ad un’ara89, motivo ignoto nella bronzistica. Anche le grandi statue in marmo (a Breno e Trieste)90 non sembrano aver influito direttamente sulle scelte dei bronzisti; questi avevano dunque un proprio repertorio, non coincidente con quelli usati per la terracotta e il marmo.

Contesti e associazioni

39Alcune Minerve sono in contesti votivi: due, di cui una perduta, nel santuario di Juppiter Poeninus al passo del Gran San Bernardo, dove sono forse legate al carattere guerriero della dea e al passaggio di truppe attraverso il valico; elementi in piombo nella stipe di San Giorgio di Valpolicella, attribuita da ultimo a una popolazione latina che venerava – in ambiente retico – diverse divinità; due statuine in bronzo e due probabili orecchini in argento (di cui uno perduto) nella stipe del santuario di Reitia a Este, dove la dea ha competenze su ambiti diversi (militare, della scrittura, della salute, forse del passaggio sul fiume); una dispersa a Padova, nella stipe «domestica» del Pozzo dipinto, forse deposta in età augustea, con figure maschili di epoca anteriore e amuleti fallici.

40Per le associazioni in contesti privati, ad Alessandria, in un edificio con monete fino alla seconda metà del IV secolo, troviamo due Minerve e una Venere, con una configurazione del larario solo femminile, finora unico caso in Italia settentrionale di iterazione della figura di Minerva. A Gazzo Veronese, in un edificio residenziale (I-IV sec. d.C.), Minerva è associata ad un piccolo albero. A Trento-piazza Duomo, in un’officina di fabbro (III sec. d.C.), è associata a Mercurio, con due possibili interpretazioni: 

in un’officina di fabbro (III sec. d.C.), è associata a Mercurio, con due possibili interpretazioni: oggetti metallici accumulati nell’officina per rifusione/riparazioni o piccolo larario dell’artigiano. A Campegine, in un contesto successivo al 161-180 d.C., disperso, la dea è con Apollo, Marte, Mercurio, Venere e Fortuna. Le associazioni finora ricorrenti sono quindi quelle con Venere e Mercurio, probabilmente perché si tratta di alcune fra le divinità più diffuse nell’area. Un dato interessante è l’assenza della triade capitolina.

BIBLIOGRAFIA

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VIAGGIO NEL TEMPO ATTRAVERSO I MUSEI DELLA LOMBARDIA

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Da ilcittadinomb.it

Da il

ROMANI FAMOSI A MANTOVA AL TEMPO DI VIRGILIO: GENS CAEPIA

Monumento della gens Caepia (Mantova)

Presso il museo archeologico di Mantova è possibile ammirare i resti e la ricostruzione del monumento funerario ad edicola della gens Caepia (I a.C. – I d.C.), ricomposto da frammenti rinvenuti a Mantova presso il Seminario Vescovile. Secondo l’iscrizione dedicatoria Lucio e Publio Caepio, figli di Lucio, lo edificarono per la madre, Acuzia Massima. I personaggi sono ritratti da tre statue: la donna, abbigliata con una tunica e ornata di gioielli, è affiancata da due figure maschili con la toga, imposta da Augusto come abito distintivo della classe senatoria. il monumento è di epoca augustea e quindi la Gens Caepia era contemporanea dell’autore dell’Eneide, Virgilio.

Monumento funerario gens Caepia -Museo archeologico Mantova
Monumento funerario gens Caepia -Museo archeologico Mantova
Modellino del Monumento funerario gens Caepia -Museo archeologico Mantova
Monumento funerario gens Caepia -Museo archeologico Mantova