di Salvina Pizzuoli

Luni/Lunigiana, l’accostamento è immediato, eppure oggi l’area archeologica dell’antica Luni non appartiene amministrativamente alla regione Toscana.

Di antica origine etrusca e poi ligure, divenne colonia romana con il nome di Luna, collocata in Etruria, la VII Regio, in base alla compartimentazione di Ottaviano, la cui estensione comprendeva varie aree della regione attuale, ma non ne riproponeva i medesimi confini a nord e a sud.
Colonia romana dal 177 a.C. Luna era importante per il suo porto alla foce del Magra e per i suoi marmi, i pregevoli marmi delle Apuane.
Sull’origine del suo nome varie le congetture, ma nulla di certo: gli studiosi ci dicono che potrebbe essere legata o al culto di Diana oppure alla dea Selene, protettrice dei naviganti o, ma in modo meno probabile, alla forma di falce di luna del suo porto.
Il Repetti nel suo Dizionario geografico fisico storico della Toscana precisava:
“Non dirò della origine, né del nome di Luna, che taluni alla figura falcata del suo porto, altri alla pagana divinità, che presiede all’astro notturno, vollero attribuire, in guisa che dagli abitanti di Lunigiana è fama che s’imprimesse l’emblema della Luna sulle grandi forme dei loro caci, se dobbiam creder a Marziale che cantò: Caseus Hetruscae signatus imagine Lunae. Checché ne sia, nè il porto lunense può dirsi di figura semilunare, tostochè è più lungo e profondo che largo; nè la città di Luni fu unica fra quelle dell’antica Italia a portare l’emblema di Diana. “
Altri indicano nell’etimo celto ligure, lun oppure luk che significava palude, l’origine del nome di Luni e di Lucca.
E allora, tra tutte queste possibilità, si potrebbe anche contemplare che il suo toponimo fosse dovuto al biancore dei suoi splendidi marmi, bianchi come la luna, le cui cave biancheggiano ancora oggi sulle Apuane o per le sue mura di candide pietre, così come furono descritte da Strabone

Di certo Luna/Luni aveva lasciato nell’immaginario collettivo un fascino che si protrasse a lungo tanto da far nascere l’interesse nei suoi scavi sin dal Rinascimento. La città infatti scomparve progressivamente fino ad essere completamente morta nel XII secolo. Dante ne lasciò traccia nei suoi versi quando Cacciaguida per indicare la caducità delle cose umane la prese ad esempio tra le varie città prima fiorenti e poi decadute:
“Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno”
(Paradiso XVI, 73)
Ricca e fiorente con i suoi commerci doveva la sua opulenza ai preziosi carichi diretti verso Roma, bianca dei suoi marmi detti lunensi, ma era famosa anche per il legname, i formaggi lodati da Marziale e il vino indicato da Plinio il vecchio come quello che tra i vini dell’Etruria ne portasse la palma. Resisterà infatti a diverse incursioni barbare e vari saccheggi, ma non resistette alla natura che interrò il suo porto, il Portus Lunae, come era già accaduto, in tempi diversi e lungo il medesimo litorale, al porto di Pisa. La zona divenne malsana e inospitale perché i detriti accumulati alla foce, probabilmente determinati dai continui diboscamenti, ne impaludavano i corsi dì acqua.
Oggi possiamo ammirarne ciò che gli scavi sono riusciti a restituirci fino ad ora.




Fuori le mura giganteggia ciò che resta dell’anfiteatro iniziato nel II secolo d.C., costituito da due semiellittici separati da un deambulatorio che ne segue i contorni.

È possibile camminare lungo un breve tratto dell’antica Emilia Scauri (poi entrata a far parte dell’Aurelia) o visitare il foro lastricato di marmi e immaginare le botteghe e le taverne che lo fiancheggiavano.
Divenuta sede vescovile, su una preesistente domus conserva i resti di una basilica paleo cristiana; splendidi mosaici ancora oggi impressionano il visitatore per la loro precisione nel riprodurre i pesci del nostro mare: nel mosaico detto del dio Oceano sono riconoscibilissimi una rana pescatrice e uno scorfano. Il mosaico, policromo, a prevalenza del blu marino raffigura la testa di Oceano dalla cui barba escono due delfini ed è contornata di pesci mentre due amorini a cavallo di delfini pescano. La cornice presenta tralci e foglie di edera che nascono da due coppe.


Un altro interessante mosaico a riquadri, raffigura la testa di Medusa e quella di un sileno con due facce diverse a seconda di come lo si guarda.
I riquadri sono separati da medaglioni floreali.


Molti dei reperti dell’antica Luna sono oggi conservati al Museo archeologico di Firenze e al Museo civico di La Spezia e all’Accademia di Carrara. Interessanti anche le sale del Museo in loco con vario materiale statuario e fittile.


Sulla fine di Luni, la città morta, varie leggende si diffusero e furono riportate anche dai cronachisti come Giovanni Villani. Nessuna allora dava credito al lavorio della natura associato alla scarsa lungimiranza umana e le leggende si soffermarono su altre possibili motivazioni, decisamente più fantasiose e interessanti dal punto di vista narrativo e riportate nel testo di Pietro Giuria con il titolo di “Racconti popolari dell’Ottocento ligure” di cui racconteremo, in sintesi e con alcuni stralci, nel prossimo articolo sulla bianca Luna.

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