MOSTRA “LE VIE D’ACQUA A MEDIOLANUM”. MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO -MILANO
Vetri romani e cesoie
Questa mostra nasce dalla collaborazione tra il Museo Archeologico Civico , la Soprintendenza Archeologia Belle Arti di Milano e il supporto scientifico Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’ antica Mediolanum, ancora più della moderna Milano, ha avuto un rapporto strettissimo con le acque di tanti fiumi, canali, marcite che attraversano il suo territorio . Questo stretto rapporto che ha modellato la città e ne ha influenzato il destino, viene ripercorso come filo conduttore della mostra e diventa anche l’ occasione per mostrare i più recenti reperti archeologici emersi dagli scavi urbani.
Patera del tesoro di Lovere ( BG)Patera del tesoro di Lovere (BG)
L’esposizione, che comprende oltre 300 reperti in gran parte inediti, rappresentati da oggetti d’uso quotidiano e di pregio, quali sculture, gioielli, affreschi, è accompagnata da un ricco apparato grafico e fotografico, che illustra le progressive trasformazioni della città condotte parallelamente a continue opere volte all’amministrazione delle risorse idriche. Il percorso intende quindi collegare la città antica e la metropoli moderna, evidenziando come l’accorta gestione delle risorse idriche e il loro sfruttamento per le attività produttive e i commerci abbiano accompagnato e determinato lo sviluppo di Milano dalle sue origini (V secolo a.C.) sino ad oggi.
La mostra, arricchita anche dal contributo di MM Spa riguardo la gestione dell’acqua oggi, è accompagnata da un catalogo edito da Nomos edizioni, grazie al finanziamento di UNIC-Lineapelle.
La mostra segue un itinerario temporale che va dalle prime tracce dell’utilizzo dell’acqua fino alla fine dell’era imperiale, quando Milano venne scelta come capitale dell’Impero Romano e la città subì una profonda trasformazione con la costruzione di grandiosi edifici pubblici, quali il Circo, il Palazzo imperiale , gli Horrea , le Terme Erculee, e con una espansione delle mura cittadine e del fossato ad esse adiacente.
SEZIONE I – ACQUA E PRIME FASI URBANISTICHE DELLA CITTÀ
Ceramica celtica- VASI DI TRADIZIONE CELTICA Ceramica IV-Ill sec ac Milano, area dell’anfiteatro romano (via De Amicis/via Arena) SABAP Milano, St. 20.883 20.927 +20.941 St 203149, St. 20.586, St. 20.033 20.940 Durante le indagini effettuato nell’area dell’anfiteatro nel 2019-2020 è stata individuata una buca ricolma di frammenti ceramici, che consentono di ricostruire quasi interamente numerose forme. Si tratta soprattutto di vasi per la preparazione e il consumo di pietanze e bevande databili tra la fine del V e il II secolo a.C. Tali materiali sono forse da riferire ad offerte di tipo alimentare e a banchetti praticati presso un luogo di culto di epoca pre-romana situato nell’area e deposti nella buco nel momento in cul la zona fu adibita od altre funzioni.Ceramica celtica
Partendo dalle prime fasi di vita della città di Milano viene illustrato il ruolo dell’acqua nella configurazione del primo abitato e la successiva costruzione del primo circuito murario, difeso da un fossato alimentato da corsi d’acqua appositamente deviati.
Il rinvenimento nella zona compresa tra via Santa Croce e via Calatafimi – a breve distanza dalla “cerchia interna” – di un corso d’acqua trasformato dall’intervento umano, oltre a rivestire notevole importanza per la ricostruzione delle vie d’acqua in epoca romana, ha consentito il recupero di un’imponente quantità di reperti di diversa natura presentati per la prima volta al pubblico nel percorso espositivo. Essi attestano non soltanto la presenza di attività legate all’acqua, ma restituiscono anche innumerevoli testimonianze della vita quotidiana, talvolta agiata, degli abitanti di Mediolanum, che avevano facile accesso a merci di importazione e svolgevano attività redditizie, come ostentano alcuni monumenti funerari appartenute a commercianti della città nei primi secoli.
Ricostruzione area portuale via Santa CroceCavigliere insubri ed armillaOLLETTA CON DECORAZIONE A EXCISIONE VASE WITH EXCISED DECORATION
Terra sigillata gallica
Primi decenni del il secolo d.c.
Pioltello, Cascina Gabbadera
SABAP Minc, St. 160307
olletta decorata con un motivo vegetale realizzato incavando la superficie del vaso quando forgia è ancora tresca (tecnica definita excisione). te “terre sigillate” provenienti dal comprensorio nord-orientale della Gallia potevano giungere in Cisalpina sfruttando perconsi viari che facevano capo a Mediolanum, da cui si diramavano le strada dirette alle principali città della Padania.Ceramica aretina con scene di Vendemmia.CALICE DELL’ATELIER DI PERENNIUS BARGATHES TERRA SIGILLATA
Primi decenni del secolo d.c
Miana via Moneta
Calice decorato a matrice con una scena di vendemmia di satir, in terra sigillata, ceramica fine da mensa rivestita da uno strato di argilla finissima che otteneva un colore rosso brillante in cottur Si tratta di un prodotto importato come si deduce dal bollo (marchio di fabbrica) M. PERE BAR in due cartigli separati riferibili all’atelier di M. Perennius Bargathes localizzato ad Arezzo, tra i principali luoghi di produzione di terra sigillata in ItaliaMateriali ceramici, anfore e lucerne da via Calatafimi -S.CroceApplique a forma di serpente marino, animale acquatico e sigillataLucerna con pescatore ed amida pescaCatena e fiocina da pescaRicostruzione di area fluviale commerciale
SEZIONE II – L’ ACQUA UNA RISORSA DA GESTIRE : LA REGIMAZIONE.
Collo di anfora con titulus pictus indicante Ga His il Garum (salsa di pesce) HispanicusTappo di anfora con figura di” bonus eventus” I-II sec d.C Milano foro Bonaparte Gruppo di pentole in bronzo e tappi di ancora
L’accurata gestione dell’acqua da parte dell’amministrazione romana si traduceva sia in opere monumentali, come gli acquedotti (di cui Milano, proprio per la sua ricchezza idrica, non ebbe mai bisogno, ma ricordate da numerose emissioni monetali appartenenti alla collezione del Civico Medagliere), sia in un virtuoso sistema di canalizzazioni – dal fossato intorno alle mura a più contenuti canali di scolo ai lati delle strade – di cui sono state registrate molte evidenze. Ampiamente diffusi a Mediolanum erano i pozzi per attingere l’acqua di falda, presenti all’interno di ogni abitazione privata.
Anfore utilizzate nelle opere di bonificaAnfore utilizzate per drenare l’acqua
Un documento straordinario esposto in mostra è una porzione di pompa idraulica in legno e piombo, eccezionalmente recuperata dal fondo di un pozzo romano, il cui sistema di funzionamento rappresenta una testimonianza dell’alto livello raggiunto nella tecnologia idraulica dai Romani. Le loro avanzate competenze tecniche sono altresì attestate dai diversi sistemi adottati per consolidare i terreni umidi e fortemente imbibiti, caratteristici di molte aree del centro di Milano, rendendoli adatti anche a sostenere edifici monumentali.
Resti di pompa idraulica romanaRicostruzione ideale della pompa idraulica:
SEZIONE III- ACQUA ED ATTIVITÀ PRODUTTIVA A MEDIOLANUM
mosaico pavimentale di triclino. 16 riquadri floreali con al centro il dio Dioniso. via Illica Milano età imperiale Frammento di affresco – motivo a candelabro I sec a.C- Inizio I sec d.C piazza Fontana MilanoAffresco motivo a gemme colorate I sec a..C inizio I sec d.C. Milano Piazza FontanaAffresco con Bucranio – I sec d.C Via del Lauro
L’abbondanza di acqua giocò inoltre un ruolo fondamentale per lo sviluppo in città di attività artigianali per tutta l’età romana. Accanto alla produzione ceramica è la lavorazione dei metalli, dei tessuti e delle pelli a dare lustro ai Milanesi: eccezionale è il rinvenimento di un vero e proprio distretto conciario emerso in piazza Meda durante le attività di scavo archeologico preliminare alla realizzazione di un parcheggio (una ricostruzione virtuale inserita nel percorso ricostruisce la fisionomia di questo impianto). Un dato che conferma il ruolo di Milano come centro manifatturiero di rilievo, ruolo mantenuto lungo tutta la sua storia.
Matrici a placca per appliques in terra sigillata – via Calatafimi I sec.d. C.Matrici di appliques di sigillataFrammenti di terra sigillata Matrici per la parte superiore delle lucerne . Età imperiale GEMMA MAGICA CON ANGUIPEDE Milano Piazza Meda. Anguipede è raffigurato con testa di gallo e piedi di serpente. Con un braccio tiene lo scudo ( con lettere IAW indicante il Dio di Israele)e con un altra mano una frusta. Sul retro le lettere AB/PA/CA con significato numerico astrologico di 365 come le stelle che circondano l ‘ anguipede
SEZIONE IV -L ‘ ACQUA NELLA MEDIOLANUM TARDO IMPERIALE.
Foto degli scavi di Piazza Meda a Milano. Sono testimoniate le modifiche in epoca imperiale di una area conciariaPiazza Meda conceria in età imperialeRicostruzione di un affresco esterno lungo i portici. Piazza Meda Milano Ricostruzione dove era posizionato l ‘ affresco sopra- piazza Meda Milano età tardo antica
Tra gli edifici monumentali antichi connessi all’uso e alla celebrazione delle virtù benefiche dell’acqua spiccava il grandioso complesso delle Terme Erculee, riccamente ornate con marmi policromi di varia provenienza e costruite per volere dell’imperatore Massimiano nel momento in cui Milano, alla fine del III secolo d.C., viene scelta come residenza imperiale. La presentazione di questo imponente complesso, al quale in origine appartenevano il colossale Torso di Ercole e un mosaico pavimentale già parte del percorso permanente di visita del museo, è integrata con l’esposizione di ulteriori materiali ed è accompagnata da un breve video che propone una ricostruzione virtuale dell’ambiente del tepidarium, appositamente realizzata per questa mostra.
SEZIONE V – L’ACQUA NEI CONTESTI ABITATIVI.
Frammento di affrescoErote – frammento di affrescoElemento di fontana a forma di pigna ( I-III sec d.C) e Rubinetto a forma di gallo
Oltre che in ambito pubblico, nel mondo romano l’acqua ricopriva ovviamente un ruolo centrale anche all’interno delle abitazioni private, sia per scopi strettamente funzionali e di servizio che, nel caso delle residenze di maggior prestigio, per finalità di carattere ludico-ricreativo e ornamentale. I giardini delle domus appartenenti a famiglie facoltose erano spesso arricchiti da fontane, vasche, sculture e altri arredi marmorei utili a godere dei piaceri dell’acqua, a impreziosire gli ambienti e a esibire il lusso privato.
SEZIONE VI LA SACRALITÀ DELL’ACQUA
La funzione dell’acqua come strumento di purificazione diffusa nel mondo pagano e successivamente ereditata dalla Cristianità determinò il suo largo impiego nei rituali, compresi quelli funerari. La presenza di corsi d’acqua in prossimità di molte necropoli milanesi risponde probabilmente a necessità di diverso tipo, dalla volontà di delimitare le aree funerarie a quella di disporre di acqua corrente per i rituali della morte. In questa sezione sono esposti alcuni corredi funerari recuperati dalle necropoli che circondavano la città
Corredi funerariParte superiore di monumento funerario
SEZIONE VII – L ‘ACQUA DOPO MEDIOLANUM
Il percorso si conclude con una linea del tempo che evidenzia, attraverso la riproduzione di importanti fonti documentarie (planimetrie, disegni, quadri, fotografie), la progressiva trasformazione della rete idrografica cittadina, dallo sviluppo dei canali navigabili – che per secoli sono stati parte integrante del paesaggio di Milano – fino alla loro scomparsa. Oggi l’acqua continua a scorrere abbondante nel sottosuolo della città e, oltre a soddisfare le esigenze di suoi abitanti, grazie agli impianti di depurazione continua ad alimentare le campagne a sud del centro urbano.
Il catalogo della mostra è edito da Nomos editore.
Nota personale:
La mostra è molto interessante e propone tanti piccoli reperti inediti . Tuttavia , a mio parere , la parte relativa alla sacralità dell’acqua è deficitaria per quanto riguarda la centralità del battesimo nel Cristianesimo che sarà motore centrale della tarda romanità . Inutile ricordare qui l’importanza della figura di Sant’Ambrogio. Aggiungo qui un link personale alla relativo proprio alle fonti battesimali di Milano:
Scoprire e valorizzare necropoli dimenticate è un compito arduo, ma fondamentale per la ricostruzione della storia di un territorio. È ciò che ha fatto Gabriella Tassinari nel suo libro “Necropoli romane di Malgesso e Oltrona al Lago (Varese): recupero e studio dei materiali conservati”, presentato il 5 maggio presso la Sala Risorgimento di Villa Mirabello. Il volume è stato pubblicato grazie alla collaborazione di diversi enti ed è parte delle “Monografie della Società Storica Varesina”.
La presentazione del libro ha visto la presenza dell’autrice, del professor Giuseppe Armocida della Società Storica Varesina, della dottoressa Isabella Nobile, già conservatore del Museo Archeologico di Como, della dottoressa Fulvia Butti della Società Archeologica Comense e della dottoressa Elena Poletti del Museo Civico Archeologico di Mergozzo. L’Assessore alla Cultura Enzo Rosario Laforgia ha sottolineato l’importanza del volume per la conoscenza del territorio varesino nell’antichità e la collaborazione tra enti diversi.
Il recupero delle necropoli di Malgesso e Oltrona al Lago è stato reso possibile grazie alla ricostruzione delle realtà di questi luoghi e alla scansione minuziosa tra centinaia di oggetti conservati in musei e in proprietà private. Gli esemplari, fino ad ora inediti, sono stati disegnati, fotografati e analizzati, inserendoli nel panorama del territorio varesino, lombardo e delle aree vicine.
Il volume ricostruisce le varie zone cimiteriali di Malgesso e Oltrona al Lago, i riti funerari della cremazione e dell’inumazione, le strutture tombali, nel quadro delle tipologie sepolcrali della zona. L’autrice ha inoltre ricostruito la fisionomia della Malgesso romana e la necropoli di Oltrona al Lago, che sarebbe estesa e frequentata dall’età augustea ad almeno il III-IV sec. d.C.
Gabriella Tassinari, laureata in Archeologia presso l’Università degli Studi di Milano e specializzata in Archeologia, è autrice di contributi sulle necropoli romane del territorio lombardo, sulla ceramica romana e sulla glittica antica e post-antica. Ha studiato anche le raccolte di calchi di intagli e cammei realizzate dalle botteghe romane Dehn, Cades e da Giovanni Pichler, conservate al Medagliere delle Civiche Raccolte Numismatiche di Milano, e ha pubblicato il catalogo delle gemme non antiche della cospicua collezione dei Civici Musei d’Arte di Verona. Il suo lavoro di recupero e studio dei materiali conservati rappresenta un importante contributo alla conoscenza della storia del territorio varesino.
Il volume raccoglie gli Atti di un Convegno internazionale tenutosi presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano il 28-29 novembre 2019. L’incontro aveva lo scopo di sollecitare nuove prospettive di ricerca attraverso lo scambio e il confronto tra specialisti di diversa formazione, nel superamento di rigidità periodizzanti e barriere disciplinari. I contributi si concentrano sull’area oggi definibile come lombarda, vista nei suoi rapporti con altre realtà geografiche in una prospettiva di lungo periodo (dall’età imperiale romana sino a tutto l’alto medioevo), e affrontano tematiche di storia politica, militare, economica, religiosa e culturale.
Nel 50 avanti Cristo tutta la Gallia è occupata dai Romani… Tutta? No! Un villaggio , abitato da irriducibili Galli resiste ancora e sempre all’invasore. E la vita non è facile per le guarnigioni legionarie romane negli accampamenti ..”. Questo è l ‘incipit che precede tutte le avventure a fumetti di Asterix il Gallico, storie che neanche a dirlo hanno acceso la mia fantasia. René Goscinny e Albert Uderzo, crearono le strisce a fumetti dove un piccolo e orgoglioso guerriero gallo dall’elmo alato, con casacca nera e pantaloni rossi, un paio di baffi resiste agli invasori. Ho parlato del mio fumetto preferito per inserire gli studi su un piccolo villaggio LEPONTICO che è riuscito a mantenere per lungo tempo almeno fino ai Gordiani nel II sec d.C le sue tradizioni seppur all’interno di un mare ormai Romano. Si tratta del villaggio di altura di Marano.
Qui di seguito troverete uno stralcio dell’ articolo originale che potete leggere nella sua forma originale dal titolo ” CONTINUARE A SENTIRSI LEPONTI NEL VASTO IMPERO ROMANO – FULVIA BUTTI”
<< L’incontro tra il nascente impero romano ed i Leponti fu all’inizio superficiale e non presenta differenze così significative del costume funerario se non quelle che rispecchiano i mutamenti storico-sociali in corso alla fine del II secolo aC. Possiamo desumere che i rapporti fra Leponti e “stranieri” Romani inon siano stati particolarmente profondi: risultano gestiti dalle elites, che si limitano ad usare i prodotti importati ed esibiscono nei loro corredi tombali raffinato vasellame di provenienza italica come segno di prestigio. Gli uomini, che si “presentano nelle tombe ancora come guerrieri, dotati di armi (spada e lancia), non appaiono intaccati nella loro identità.
Tale situazione ha un prima netta svolta attorno al 40-20 a.C. quando le testimonianze di cultura materiale sono chiaramente “romane”: probabilmente in questa fase la popolazione vive “alla romana, sia perché gli oggetti d’uso sono quelli comunemente diffusi, sia perché doveva avere adottato usanze “importate”, come quelle relative alla toilette nelle tombe compaiono infatti balsamari che testimoniano l’impiego di profumi ed oli, e vengono deposti specchi.
Ma il vero mutamento “interiore” è ancora successivo, solamente infatti in età augustea gli uomini non vengono più sepolti armati, rinunciando così all’antico modello del guerriero, e non adottano più il tradizionale mantello. fissuto con la vistosa fibula “Ornavasso”, tipica del loro territorio (MARTIN-KILCHER 1998, pp. 234-238). Penso che solamente in questo momento si possa dire sia effettivamente completato il processo di romanizzazione. quando cioè i notabili si identificano nei nuovi modelli romani
Questa fase cruciale della romanizzazione dovette essere comunque articolata e variamente sfumata, poiché ad esempio ad Ornavasso gli uomini continuano per più tempo rispetto a Locarno a vestirsi “all’antica”. Ancora più tradizionaliste appaiono le donne che, sulle sponde del Verbano settentrionale, sono molto più restie dei mariti ad aprirsi ai nuovi influssi e conservano fino oltre la meta del I secolo. d.C. I valori tradizionali della loro terra (MARTIN-KILCHER 1998, p. 138)
Il processo di romanizzazione si potrebbe perciò dire concluso con relativa velocità, e l’epigrafe di La Turbie, in cui i Leponti compaiono fra le popolazioni alpine conquistate, costituirebbe anche il loro epitaffio funebre: proprio quando vengono alla ribalta” della storia citati nell’imponente monumento che celebra l’impresa militare del 15 a.C., essi si annullano rapidamente nel grande impero romano. Infatti i materiali tombali non si distinguono sostanzialmente da quelli cisalpini, anche se si notano differenziazioni fra la parte orientale e quella occidentale (Xe XI Regio), e anche se all’interno di quest’ultima sono state evidenziate caratteristiche specifiche del “comprensorio del Verbano”
La piccola necropoli di Madrano, presso uno degli accessi al passo del San Gottardo e non distante dall’attuale traforo, è per vari aspetti interessante (BUTTI RONCHETTI 2000). Il primo aspetto è proprio questo, la sua posizione in ambito alpino, cioè in un territorio completamente diverso, ma complementare a quello delle numerose tombe del Locarnese che, con la loro alta concentrazione e con la bellezza e ricchezza degli oggetti deposti (anelli, vetri, bronzi, ecc.), avevano dominato “la scena dell’archeologia ticinese e rappresentato “ufficialmente” la romanità del Canton Ticino. Le tombe di Madrano, anche se solo quindici, documentano una realtà in parte differente da quella lacuale. Le diversità erano ovviamente già intuibili a priori, ma proprio il confronto fra le due situazioni permette di conoscere meglio il mondo antico.
Un secondo aspetto è quello del rito funerario adottato, l’inumazione invece della cremazione, che viceversa diventa dominante o esclusiva in pianura. Oltre ad un valore intrinseco già di per sé significativo, questo rito offre il vantaggio di conservare la disposizione originale degli oggetti sul cadavere ed all’interno della tomba (fig. 1). rendendo così fruibile un interessante serie di dati, primo fra tutti la ricostruzione di come era vestito il defunto (MARTIN-KILCHER 1993).
La “novità” emersa dalla ricerca della professoressa Martin- Kilcher è proprio quella di superare il dato archeologico per fornire aspetti di vita antropologici; la studiosa ha appurato in primo luogo che i morti erano vestiti come i vivi ed è riuscita, tramite il confronto con alcuni rilievi pervenutici, a individuare l’abbigliamento in voga, nel quale sorprendentemente rimangono in uso abitudini ed oggetti di antica tradizione .
Un altro aspetto è quello dei materiali rinvenuti: anch’essi si discostano in parte da quelli della pianura e forniscono ulteriori elementi conoscitivi. Mentre le suppellettili ceramiche e vitree sono con ogni probabilità di produzione regionale, è attestato un consistente gruppo di materiali di importazione, vasi e fibule transalpini. Inoltre compare tra i reperti un particolare tipo di fibula quella di “Mesocco” (CRIVELLI 1958-1959, tipo C), su cui è necessario soffermarsi. E un ornamento massiccio di ragguardevoli dimensioni, che raggiunge anche i 16 centimetri di lunghezza , portato in coppia sulle spalle dalle donne per fissare la “sopratunica” (corrispondente al peplo), un rettangolo di stoffa che avvolge il corpo (fig. 5). Certamente di produzione locale. ne possiamo all’incirca delimitare la diffusione ai Grigioni, Canton Ticino, Valli Ossolane ed Alto Vallese. In quest’ultimo ne era presente un atelier produttore, poichè a Brig/Waldmatte, ne sono stati rinvenuti due pezzi non ultimati (PACCOLAT 1998a, p. 88) ed all’interno dell’ambito sopra definito questa spilla raggiunge picchi di alta concentrazione (ETTLINGER 1973, p. 46).
Siamo in grado anche di tratteggiarne la genesi, già la Ettlinger infatti (ETTLINGER 1973, p. 51) aveva individuato una forma intermedia fra la Misorerfibel e la Knotenfibel (rispettivamente forme Ettlinger 7 ed Ettlinger 8) di cui più esemplari provengono da Ornavasso e dal Locarnese (fig. 6). Essi sono ornamenti più raffinati rispetto ai successivi, poiché conservano ancora la staffa traforata ed i noduli sull’estremità dell’arco, sono in argento e normalmente di piccole dimensioni, anche se qualche esemplare supera i 10 centimetri (SIMONETT 1941, Liverpool u tomba 33, n. 13: ETTLINGER 1973, tav. 24, n. 1), ma presentano già l’arco piatto come sarà caratteristico nella “Mesocco”, Altri pezzi provengono da Coira (SIEGFRIED-WEISS 1991, pp. 141-142, tav. 51, n. 3) (fig. 7) e da Gamsen (Vallese). All’età angustea si data la maggior parte dei rinvenimenti sopra citati ed in quest’epoca dobbiamo collocare perciò la nascita della Misoxerfibel. 1 secoli di maggiore concentrazione sono il I-II, ma la sua durata è sorprendente, poiché è ancora presente, successivamente, nella necropoli di Arcegno (tomba 61) (fig. 8) associata a monete di Gordiano III, e nel Vallese (PACCOLAT 1997, p. 33, fig. 15, tomba 89/3)………>> .
Possiamo dire che ancora ai tempi dei Gordiani resistevano tradizioni specifiche identificative della cultura dell’ ‘antica area insubres -lepontica
DAI CELTI AI ROMANI . IL CATALOGO NON UFFICIALE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA
Il “Quasi Catalogo”o il “Catalogo non ufficiale” del Museo Archeologico della Lomellina di Vigevano è nato dalla nostra passione e dalla volontà di fornire ai visitatori ed agli appassionati una breve guida delle preziose testimonianze scoperte nella Lomellina e custodite in una meravigliosa cornice che è il castello Visconteo. (Alessandro Guerri)
IL MUSEO
Il Museo Archeologico del Castello Visconteo Sforzesco di Vigevano è un’importante istituzione culturale della Lombardia, che custodisce una ricca collezione di reperti archeologici provenienti dalle necropoli lomelline di epoca tardo celtica, La Tène e romana. Il percorso espositivo, che prende avvio dal suggestivo spazio con interni coperti da volte a crociera, offre al visitatore la possibilità di ammirare oggetti di uso quotidiano, ma anche statuine a tuttotondo e appliques per letti funebri, che conferiscono unicità ai corredi lomellini.
Le prime tracce di popolamento nella zona risalgono al Mesolitico e al Neolitico, ma sono nell’età del Bronzo e del Ferro, in cui si afferma la cultura celtica, e soprattutto in età romana che le testimonianze diventano progressivamente più abbondanti. In questo periodo, compreso tra la seconda metà del II sec. a.C. e la fine del I d.C., si assiste alla massima fioritura di insediamenti in questo territorio, come dimostrano l’abbondanza e il grande interesse dei ritrovamenti, in cui predomina il rito funerario della cremazione.
Tra i corredi esposti, significativa è la tomba di guerriero da Valeggio-cascina Tessera e il ricco corredo femminile con vaso a trottola e fibule da Dorno-cascina Grande. Si possono anche ammirare un corredo maschile proveniente da Tromello e uno femminile da Dorno, nel quale fanno comparsa i primi manufatti in vetro soffiato (balsamari, olpai, bicchieri, coppe), il vasellame in vernice nera e in terra sigillata che documentano la fase della romanizzazione. L’olpe sostituisce il vaso a trottola. La piena età romana è illustrata da questi corredi, esposti in ordine cronologico da Dorno, Zinasco, Vigevano, Gropello Cairoli. Particolarmente significativa la tomba a cassetta di laterizi proveniente da Zinasco Nuovo.
Nella sezione dedicata alla coroplastica, si possono ammirare statuine a tuttotondo, appliques per letti funebri, in bassorilievo o a tutto tondo, che conferiscono unicità ai corredi lomellini. E’ esposto anche un frammento di stele funeraria a edicola, iscritta, della seconda metà del I sec. d.C. dall’abbazia di S. Pietro a Breme, un reperto raro per la Lomellina.
Il Museo Archeologico è ubicato all’interno del complesso architettonico del castello Visconteo Sforzesco di Vigevano, nella terza Scuderia Ducale, attribuita a Leonardo da Vinci (1490) che, come ingegnere ducale, intervenne nel castello e nelle campagne vigevanesi, dove affrontò il problema della regolamentazione delle acque.
LOMELLINA: i siti dei ritrovamenti -pannello esplicativo del mueso archeologico della Lomellina di vigevano
ETA’ DEL BRONZO
Goliere ed Armille vedo figura qui sotto per la descrizioneRIPOSTIGLI DEL TERRITORIO DELLA LOMELLINA ( MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)
1 Ripostiglio di asce a margini rialzati in bronzo a vari stadi di lavorazione e diversa percentuale di rame
Pieve Albignola. Bronzo Antico (2200-1700 a. C.)
(Deposito del Civici Musei di Pavia)
2 Ripostiglio di bronzo comprendente goliere e collari a capi aperti, armille a spirale e un’ascia a flabello Robbio Lomellina. Bronzo Antico-Medio (XVII-XVI secolo a. C.)
(Deposito del Civici Musel di Pavia)
3 Ripostiglio di pani di rame per fusione Evidenti i segni del prelievi per analisi condotte nel 1923 Semiona. Bronzo Recente (Xil secolo a. C.)
4 Ripostiglio di bronzi comprendente anello, pinzette, pugnale. spilloni e panelle per fusione Gropello Cairoli, Santo Spirito, Inizi Bronzo Recente (Xil secolo a.C.)
ETÀ DEL FERRO
L’inizio della prima Età del Ferro in Italia settentrionale è convenzionalmente fissato al 900 a.C. e si conclude al momento della storica invasione gallica del 388 a.C.
In questo periodo la Lomellina, occupata dal popolo dei Laevi rientra nell’ambito della cultura “protoceltica” di Golasecca, che si estendeva sull’area compresa tra Adda e Sesia, la regione dei laghi a nord e il corso del Po a sud in continuità con il Bronzo Finale e il periodo precedente .
Sembra di assistere però nella fase iniziale della prima Etá del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) uno spopolamento della bassa pianura, come testimoniato dai pochi rinvenimenti relativi a questo periodo. Tale spopolamento è forse legato al cambiamenti climatici che, con l’aumento della piovositá hanno comportato un dissesto idrogeologico della pianura, insieme a fattori politici e sociali che hanno impedito il formarsi di realtà de- demografiche importanti
Con il Vil secolo a.C. territorio assume nuova importanza, grazie all’esistenza di una rete di traffici attivata dagli Etruschi che, dalle coste della Liguria, per correndo la direttrice del Ticino, raggiungeva Lago Maggiore, dove era situato il principale centro golasecchiano, e da li le comunità transalpine.
L’importanza di questa direttrice risulta ben evidente a partire dal VI secolo a.C e la ceramica d’importazione rinvenuta a Lomello insieme al vasellame metallico ritrovato a Dorno e Garlasco confermano l’inserimento del territorio lomellino in una rete di scambi di ampio portata legati all’ampliamento del centri etruschi della pianura padana e alla fondazione di un emporio etrusco a Genova alla fine del VI secolo a.C.
Durante V secolo o.C. sorgono nuovi pic- coli centro in tutta la Lomellina e acquisisce sempre più importanza l’abitato di Gropello Cairoli Santo Spirito. Questo crescita è cetamente favorita dalla nascita di Milano, che determina la creazione di nuove dinamiche commercial lungo una direttrice nord-sud in direzione di Genova: l’abitato a Santo Spirito. era posto proprio su percorso che da Milano. lungo to vale Scrivia, raggiungeva Genova.
PRIMA ETÀ DEL FERRO- CIVILTÀ PROTOCELTICA DI GOLASECCA
Reperti celtici civiltà di Golasecca da Groppelo Cairoli Santo Spirito VI-Vsec.aC 1 tazza monoansata 2 scodella a urlo cordonato 3 coppa a orlo cordonato 4 olletta 5 bicchiere a tulipano 6 bicchieri decorati 7 presa di coperchio 8 olla ovoide 9 Olla con la spalla 10 olla decorata 11 brocca decorata 12 olla con decorazione 13 fibule 14 borchie 15 pendagli 16-fibula a drago in bronzo 17 Fibule a sanguisuga 18-19 parti terminali di staffa di fibula 20 strumento da toilette in bronzoVedi sopra MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
L’ABITATO DI GROPPELO CAIROLI
L’importante abitato di Gropello Cairoli era localizzato sull’altura di Santo Spirito creata dai depositi alluvionali del Ticino sul margine destro del fiume in una posizione favorevole al controllo del territorio.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’altura è stata destinata a cava di sabbia e tali lavori hanno completamente asportato i depositi archeologici. I controlli durante le escavazioni hanno consentito, però, l’individuazione di un insediamento di circa cinque ettari di estensione.
L’abitato, formatosi nel corso dell’VIII secolo a.C., crescerà d’importanza nel VI e soprat- tutto nel V secolo a.C., come conseguenza dell’incremento dei commerci dell’Etruria con i paesi a nord del Po e le regioni alpine.
L’abbondante materiale ceramico raccolto documenta la compresenza di elementi golasecchiani nella ceramica fine, e lo sviluppo di forme locali e di aspetti formali della tradizione ligure nella ceramica grossolana.
I resti delle strutture individuate, realizzate con palizzate lignee e argilla, permettono di ipotizzare l’organizzazione interna dell’abitato. dove l’area insediativa, affacciata sul Ticino, era chiusa da un fossato che attraversava l’altura nel punto di minor larghezza e nei cui pressi, fuori dal centro, era localizzata una zona artigianale, documentata da un’officina per la lavorazione del bronzo.
Mancano dati certi sulla presenza di una necropoli, ma alcuni indizi inducono a ipotizzare che fosse in posizione arretrata rispetto al nucleo insediativo/produttivo.
Le attività quotidiane sono testimoniate da macine, rocchetti, fuserole, pesi da telaio e dai frammenti di piastre in argilla forate relative a piani di cottura mobili.
L’abitato di Santo Spirito. localizzato in una posizione privilegiata in un sistema di comunicazioni stradali e fluviali, riveste dunque durante la media Età del Ferro il ruolo di centro egemone sul territorio, forse insieme a Garlasco. L’altura continuerà ad essere occupata anche durante la seconda Età del Ferro
Un inquadramento della situazione del pavese e in particolare della Lomellina all’inizio della latenizzazione, nella seconda età del Ferro, appare oggi, dopo il riconoscimento della celticità, almeno linguistica, dei Liguri, molto più agevole che in passato.
La lettura delle fonti operata dal Gabba nel 1984 (1) trova ora una chiarezza prima non facile da riconoscere (2). I Laevi (i Laci di Polibio (3)) sono per Livio (4) popolazione ligure (mentre per Poli- bio (5) sono celti), collocata a Nord del Po, inco- lentes circa Ticinum flumen. Sull’altra riva sono gli Anares. Ad essi si sovrappone una popolazione di origine gallica, i Marici
Oggi non possiamo più dubitare che i due gruppi abbiano potuto collegarsi sulla base di comuni premesse etnico-linguistiche, come certamente è avvenuto alla fine del V secolo in molte altre aree “celto-liguri” della Cisalpina. 1 Laevi avevano par- tecipato, nel corso della prima età del Ferro, all’elaborazione e allo sviluppo delle Culture cosiddetta di Golasecca. I Marici portavano gli stimoli culturali delle culture lateniane d’Oltralpe. In altri termini, nel corso della seconda età del Ferro, si è sviluppata in Lomellina e nel Pavese una cultura lateniana su sostrato celto-ligure-golasecchiano, con due gruppi uniti (fusi?), che “condidere Ticinum non procul a Pado” (6)
Se il Po rappresenta, dal IV secolo a.C. (7), una delimitazione territoriale molto precisa, oltre la quale sono gli Anares, in tutte le altre direzioni, verso gli altri gruppi prima celto-liguri, poi celti co-lateniani, i confini appaiono molto vaghi. Ciò in particolare per la prima fase, dei Laevi golasecchiani, la cui collocazione areale ci sfugge completamente, ma anche per la seconda età del Ferro, con i Laevi Marici latenizzati, che mal si distinguono da Vertamocori, Salluvii, Libui. Così come, oltre il Ticino, appare difficile individuare il confine con il gruppo insubre (8). Dagli Insubres, infine, i Laevi-Marici risultano dipendere nel III seco- lo a.C., se non da epoca precedente. Quindi, in questa sintetica trattazione, si preferisce riferirsi all’attuale realtà territoriale della Lomellina, ben sapendo come essa appaia in gran parte artificiale, legata più alle vicende storiche moderne che a quelle antiche (9).
Un corretto inquadramento delle vicende della Lomellina nella seconda età del Ferro non può così prescindere dai precedenti della prima (10), in quanto proprio nel sostrato golasecchiano dei Laevi è da riconoscere la premessa delle specifici tà nelle epoche successive.
L’area, come si è detto, è collocata, nella prima età del Ferro (11), in un ampio spazio culturale, com- plessivamente definibile come “Golasecchiano”, ma con sensibili differenziazioni locali.
Nella Lomellina ci è possibile, infatti, riconoscere, nella documentazione materiale, caratteri specifi ci, sia nelle ceramiche, che nell’ornamentazione personale (ad esempio nel gigantismo delle fibule, che nel tempo resterà un motivo costante, fino alla romanizzazione). Tali specificità, che devono esse- re verificate in parallelo con le specificità degli altri comparti golasecchiani, nell’analisi dei quali forse talvolta si insiste più sulle concordanze che sulle discordanze, rendendo meno facile una lettu ra in termini “storici”, vengono messe in rapporto con la più facile apertura di questo territorio ai condizionamenti (persone, materiali, idee) di pro- venienza etrusca (12), se non più lontana, fino alla Daunia (13). Condizionamento giustificato dalla collocazione della Lomellina lungo uno degli assi di penetrazione principali dal Mediterraneo, dalla Liguria marittima alla Padania, all’Europa conti- nentale.
10 Ciotola e olla decorate a incisioni Garlasco, Bozzole, cavo Striello
11 imboccatura di vaso a trottola con iscrizione sinistorsa graffita ESOPNOSKEPI Garlasco, Bozzole
12 Olette decorate a incisioni Groppelo Cairoli
13 Frammenti di armille in vetro fuso blu e porpora Gropello Cairoli Santo Spirito
14 Fondo di patera con iscrizione
Graffito ERIPOCHIOS Groppelo C. vigna GaraldiERIPOCHIOS N11In primo piano fibule tipo pavese n 4- strigile in Bronzo n3 -dracma padana n2Ollette da Groppelo Cairoli n12Frammenti di braccialetti di vetro celtici n13
NECROPOLI CELTICHE DELLA SECONDA ETA DEL FERRO-LOMELLINA
NECROPOLI DELLA SECONDA ETA DEL FERRO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)
VIGEVANO, LOCALITÀ RONCHI, NECROPOLI A INCINERAZIONE Tomba 33. Sepoltura femminile. Prima metà I secolo a. C.
1 Fusaiola decorata a incisioni 2 Fibula in bronzo
3 Armilla in vetro biancastro rifuso dal rogo
4 Patere a vernice nera
5 -6 Tegame in impasto semidepurato
6 Ciotola a orlo rientrante e ciotola-grattugia troncoconica
7 Patere deformate durante la cottura
8 Olette decorate a impressioni e a incisioni
DINTORNI DI VIGEVANO Materiale sporadico da contesti tomball. II-I secolo a. C.
9 Ciotoline con fondo ombelicato Provenienza non precisable
10 Bicchiere miniaturistico Località Ronchi
11 Ciotolina e bicchiere di piccole dimensioni Provenienza non precisabile
12 Cuspidi di lancia in ferro Località Monte Oliveto
13 Spada a codalo in ferro, con resti del fodero,deformata Località Monte Oliveto
14 Coltello in ferro Località Monte Oliveto
15 Cesole in ferro Località Monte Oliveto
16 Strigile in ferro Località Monte OlivatoNECROPOLI DELLA SECONDA ETÀ DEL FERRO VELEZZO LOMELLINA, LOCALITA’ PIEVE necropoli a cremazione
Tomba 59. Sepoltura maschile, Inizio I secolo a.C 1 Coltello in ferro con resti di legno sul manico 2 Asse repubblicano in bronzo, consunto D/Giano bifronte. R/ Prua di nave 3 Anello di sospensione in bronzo 4 Cesoie in ferro con resti di tessuto mineralizzato 5 Patere acrome, imitazione della ceramica a vernice nera 6 Vasi a trottola decorati a fasce sovradipinte 7 Ciotole troncoconiche con orlo a tacche impresse Ciotole carenate 9 Ciotole a orlo rientrante 10 Ciotola troncoconica 11 Olletta ovoide Tomba 14. Prima metà I secolo a. C. 12 Ciotola treppiede 13 Ciotola carenata 14 Olletta lenticolareOlpi a trottola vedi sopraGARLASCO tombe celtiche GARLASCO , necropoli ad incenerizzazione
Tomba 1 femminile III sec a.C 1 Fuseruola decorata a placche incise
2 Ciotola troncoconica e ciotolina in impasto grossolana
3 Olla globulare 4 Brocca biconica con orlo a beccuccio cilindrico obliquo
Tomba 1a 5Armilla a due giri in bronzo e anello di sospensione in ferro entrante
6 ciotola ad orlo rientrante e ciotolina troncoconica 7 Oletta globulare 8 Oletta situliforme decorata a impressioni
Tomba 28. Sepoltura maschile 9 Spada in ferro ancora inserita nel fodero decorato,deformata dal fuoco
10 Elementi di catena reggispada in ferro 11 Borchie in ferro
12 Fibule in ferro
13 Armilla in sapropelle
14 Cuspide di giavellotto in ferro
15 Lama di collello 16 Frammenti di cesoie e di impugnatura di strigile in ferro
17 Ciotole troncoconiche in impasto semidepurato 18 Olla biconica
19 Oletta situliformeVedi sopraNECROPOLI DELLA SECONDA ETA’ DEL FERRO
GARLASCO, BOZZOLE NECROPOLI A INCINERAZIONE Fine III -Inizio IIsecolo a. C.
Tomba 8 sepoltura maschile
1 Fibule in ferro 2 Lame e impugnatura di cesoie in ferro 3 Cuspidi di lancia: conservano tracce del tessuto in cui erano avvolte
4 Coltelli in ferro con residui di legno e tessuto 5 Olletta globulare e ciotolina troncoconica 6 Olla biconica e vaso a trottola decorato a fasce sovradipinte
Tomba 29. Sepoltura maschile 7 Umbone di scudo in ferro 8 Spada ravvolta nel fodero, ritualmente deformata, e punta di fodero in ferro 9 Ciotola-cineraria e ciotola in argilla semidepurata 10 Olla globulare e vaso a trottola
Tomba 4. Sepoltura femminile 11 Borchie in bronzo 12 Fibule ed elementi di catenina in bronzo
13 Bottoni conici in bronzo, con asola interna 14 Vetro blu rifuso dal rogo, probabile armilla
15 Ciotoline in argilla semidepurata
16 Bicchiere a corpo ovoide
17 Olletta con decorazione incisa e brocchetta
18 in argilla semidepurata 19 Ciotole-cinerarie carenate Vaso a trottolaVedi sopraVALEGGIO LOMELLINA cascina Tessera necropoli ad incenerazione Temba 189, Sepoltura maschile. Seconda metà II secolo a. C.
1 Spada in ferro: la lama è ancora inserita nel fodero 2 Rasoio e cesoie in ferro 3 Fibula a molla bilaterale in ferro 4 Pinzette e anello di sospensione in bronzo 5 Punta di lancia in ferro decorata da reticolo inciso, con resti di legno mineralizzato sul manico 6 Assi repubblicani in bronzo
D/ Giano bifronte. R/ Prua ali nave. Al di sotto: ROMA
7 Vittoriato in argento D/Testa di Giove, R/ Vittoria che incorona un trofeo. Al di sotto: ROMA 8 Umbone di scudo in ferro 9 Coltello in ferra, deformato dal rogo 10 Olle in ceramica comune modellate a mano: una à decorata a incision! 11 Quattro ciotole in ceramica comune: una è decorata a tacche Impresse sull’orlo 12 Olle e olletta in ceramica comune. modellate al tornio e a mano
Tomba 199. Fine Il-inizi I secolo a. C. 13 Cesoie in ferro 14 Asse repubblicano in bronzo, consunto D/Giano bifronte. R/ Prua di nave 15 Patere a vernice nera: una reca il graffito IEVO 16 Ciotolina monoansata e bicchiere a spalla cordonata in ceramica comune 17 Olla globulare in ceramica comune 18 Ciotola cinerario carenata in ceramica comuneVedi sopra
ROMANIZZAZIONE
GROPPELO CAIROLI Cascina Menabrea il corredo contiene strumenti del mondo femminile : 10 fuseruole variamente decorate con motivi geoimpressi o con impressioni a tacche Le due grandi fibule di tipo pavese servivano a sostenere pesanti tessuti come quelli dei mantelli. Frequenti in età tardo celtica sono però usato fino alla prima età imperiale perché espressione della cultura locale VELEZZO LOMELLINA località Pieve tomba 53 L’attaccamento alla cultura locale è rappresentata dalla ciotola carenata a due anse e dalle ollette dall’impasto semidepuratoVedi sopra – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)VELLEZZO LOMELLINA. Statuetta di mulo segno della presenza di influssi romani MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
GROPELLO CAIROLI, località Marone – tomba II GAMBOLÒ, Dosso della Guardia – tomba 21 Seconda metà del I secolo a.C.
Gli oggetti del due corredi in vetrina rispecchiano di fondo la tradizione culturale indigena, ma contengono alcuni manufatti indicativi della penetrazione commerciale (e culturale) romana.
Il corredo di Gropello Cairoli piuttosto semplice e ridotto nella composizione, accanto a oggetti tipici del periodo tardo celtico, come il vaso a trottola e le ciotole carenate, contiene una lucema dal serbatoio biconico e dal beccuccio ad ancora, che imita analoghi esemplari laziali, di solito a vernice nera. Il vaso a trottola, un contenitore per il vino dalla stretta imboccatura che veniva chiusa con un fappo, e le ciotole, oggetto di utilizzo comune sulla tavola. sono invece di produzione locale.
Ugualmente la tomba di Gambolò accanto alle più tradizionali ollette. decorate e non, e al piatto tegame verosimilmente prodotti in loco. presenta un oggetto di importazione, una grande patera a vernice nera di buona qualità, che sulla tavola era utilizzata per servire il cibo.DORNO – CASCINA GRANDE Corredo femminile seconda metà del I sec a.C . Incenerizzazione indiretta. Sono presenti fibule bronzee di varie dimensioni, ceramica tra cui un olpe a trottola , una Armilla di vetro deformata dal fuoco.
BIBLIOGRAFIA UTILE E LINKS:
PROBLEMi DI ARCHEOLOGIA LOMELLINA: UN GRUPPO DI TOMBE DAL PODERE PANZARASA DI GROPPELLO CAIROLI , GIOVANNA ARATA RAC 166 anno 1984 pag 41-121
LA NECROPOLI DI DORNO LOCALITÀ S.MATERNO , MARIA VITTORIA ANTICO GALLINA ,RAC 167 pag 113-162
LA NECROPOLI ROMANA DI OTTOBIANO , GLORIA VANNUCCI LUNAZZI RAC 168 anno 1986 pag 47-104
CASSOLNOVO, località Brugarolo – tomba 1 località Gerassa – tomba 1 Prima metà I secolo d.C.
Due corredi tombali ritrovati nel territorio di Cassolnovo si distinguono per la presenza di ceramica ottenuta da matrice, che imita nella forma e nella decorazione il prezioso vasellame metallico ed è rivestita di vetrina verde all’esterno e gialla all’interno.
La tomba di Cassalnovo località Brugarolo era probabilmente una sepoltura femminile, come suggeriscono i balsamari in vetro e l’anello a spirale. Tra i materiali di corredo, spicca lo skyphos (coppa biansata per bere) in ceramica invetriata, decorato da due tralci di vite contrapposti con una rosetta a otto petali al centro. Il rilievo è di notevole qualità tecnica e la resa della decorazione molto naturalistica.
Cassalnovo Brugarolo- Balsamari e skyphos a motivi vegetali( vite) prima metà I sec d.C -MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
Da Cassolnovo loc. Gerassa proviene un altro corredo femminile: esso è composto da una patera a vernice nera, da una ciotolina in terra sigillata, che reca sul fondo il bollo del fabbricante AE NC racchiuso nella caratteristica planta pedis, e da diversi balsamari. L’oggetto più importante è lo skyphos invetriato, decorato in questo caso da tralci d’edera contrapposti e da nastri annodati al di sotto delle anse. Il rilievo è di buona tecnica e il gusto della decorazione di carattere naturalistico.
Gerassa -balsamari e skyphos con foglie di edera . prima metà del I secd.C.
ALAGNA LOMELLINA, cascina Guzza – tomba 4 DORNO, cascina Grande – tomba 33 Primi decenni del I secolo d.C.
Tra la fine del I secolo a.C. e i primi decenni del I d. C.. in Italia settentrionale, si affermano alcune officine di ceramistiche producono vasellame in terra sigillata realizzato a matrice dalle forme tipiche e con decorazioni caratteristiche. Tra i più famosi sono Sarius Surus e C. Aco Diophanes, che “firmano” i loro prodotti con un’iscrizione a rilievo nel corpo del vaso.
Bicchiere tipo ACO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
Creazione di Sarius è la coppa biansata ad alto orlo, dal corpo decorato a motivi vegetali, come quella della tomba di Alagna, mentre è tipico delle officine di Aco il bicchiere troncoconico decorato da motivi vegetali e dalla riproduzione dell’intelaiatura di un canestro, come nell’esemplare di Dorno che è firmato. Con il tempo, tuttavia, le stesse forme sono prodotte dai diversi ateliers. Benché l’utilizzo delle matrici permetta una produzione in serie, si tratta di manufatti raffinati, realizzati da artigiani famosi.
Anche gli altri oggetti dei due corredi indicano l’adozione di prodotti commerciali romani, mentre l’attaccamento alle consuetudini locali si esprime nella scelta dei cinerari: la ciotola carenata ad Alagna, l’olla di impasto grezzo a Dorno.
Interessante nel corredo di Alagna l’anello, benché rovinato dal rogo. che porta impresso nel castone il volto di un satiro barbato.
Anello con satiro barbato Alagna Lomellina Oggetti di vetro in primo piano .dietro coppa biansata a motivi floreali di Sarius Surus e bicchiere a tulipano
ZINASCO NUOVO, località La Madonnina Tomba a cassetta Primi decenni del I secolo d.C.
Nella vetrina si presenta la ricostruzione di una sepoltura ritrovata all’interno di una fossa rivestita da sei tegoloni. Il corredo, piuttosto ricco, comprendente sia oggetti combusti dal rogo sia integri, era distribuito tra l’interno e l’esterno della cassetta.
Assai interessanti appaiono i manufatti deposti intatti dentro la cassetta di laterizi. La duplicazione di alcuni esemplari (le olpai, le lucerne, gli specchi) e la concentrazione di reperti ossei in punti diversi della sepoltura fanno pensare alla deposizione nella stessa tomba di almeno due individui. La presenza di fusaiole e balsamari, inoltre, fa ritenere che si trattasse della sepoltura di individui di sesso femminile.
L’analisi dei manufatti porta a ipotizzare che le due donne fossero morte a poca distanza di tempo l’una dall’altra, in un arco cronologico. compreso tra l’età augustea e quella tiberiana.
Zinasco Nuova Località Madonnina – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
BIBLIOGRAFIA E LINKS:
RAC 190 anno 2008 pag 67 -156 Il vasellame “tipo Sarius”: ceramica romana di tradizione ellenistica in Italia settentrionale MARIA PAOLA LAVIZZARI PEDRAZZINI
Coppe tipo Surus – decorazione sopra da Pavia scavi del tribunale fine I sec a C-inizi I sec d.C – coppa sotto da Alagna Lomellina ora a Gambalò fine I sec a.C – inizio I sec d. C ( DA RAC 190)
La scena rappresenta la libagione compiuta sull’altare da Manillo Giusto, prima del sacrificio di un torello addobbato delle sacre bende. Il dedicante, vestito della toga e con il capo coperto. celebra rito alla presenza delle immagini degli antenati collocate su plinti.
Si tratta di una delle rare testimonianze di scultura di età romana conservate in Lomellina.
Come riporta l’iscrizione, il personaggio, con l’offerta della vittima e la posa dell’altare, scioglie un voto a una divinità il cui nome non è conservato. Manillus doveva essere un facoltoso membro dell’élite locale, come prova la solennità del rito. Le pettinature del personaggi e gli accurati caratteri dell’epigrate indicano una datazione intorno al 25-50 d.C. L’altare in marmo di Candoglia è stato privato del basamento e del coronamento per essere riutilizzato, a scopo decorativo, in una muratura del battistero di Lomello, probabilmente nel Medioevo. Alla fine dell’Ottocento venne portato a Vigevano e murato prima nel Municipio poi a Palazzo Roncalli ove ora si trova un calco sostitutivo.
T MANILIVS SAL F IVSTVS MVSLM
Tito Manillo Glusto figlio di Salvio con gratitudine, sciolse il voto, volentieri, meritatamente
La stele infissa verticalmente nel terreno contrassegnava il sepolcro celebrando il defunto. I monumenti funerari sono frequenti nel mondo romano, ma rari in Lomellina 4’esemplare da Breme è quindi di eccezionale importanza nonostante la sue frammentarietà, mancano infatti le parte inferiore e la decorazione sul lato destro, che era speculare a quella di sinistra
La stele ha le forme di un tempietto con frontone decorate da una testa di Medusa e da rosette . La Medusa, circondata da serpentelli ha anche valore apotropaico ( scaccia il malocchio e gli spiriti maligni) L’iscrizione commemorativa è inscritta all’interno di un apposito riquadro delimitate de lesene coronate da capitelli corinzi. La parte terminale è invece distrutta e non è possibile risalire al nome della moglie . Seguivano poi in genere i nomi dei figli e dei liberti. L ‘uomo è vissuto in Lomellina nela seconda metà del I sec. d.C. come indica la tipologia della stele e l’ ‘accuratezza ed il tipo di caratteri .
TFI P CORNELIUS M FRONTO SIBI ET ….TATE CONI….
Per disposizione testamentaria Publio Cornelio Frontone, figlio di Marco fece innalzare il monumento per sé e per la moglie …
VETRI
GROPELLO CAIROLI, podere Castoldi – tomba 14 Seconda metà I secolo d. C. Tra le sepolture ritrovate nel podere Castoldi, la tomba 14. verosimilmente femminile, si distingue per la presenza di manufatti in vetro ben conservati: si distingue in particolare la raffinata brocca in vetro blu soffiato a stampo e decorata a baccellature, utilizzata sulla mensa per servire le bevande, Anche lacolombina di piccole dimensioni, in vetro soffiato liberamente. costituisce un oggetto di lusso: la sua forma ricorda l’animale sacro alla dea della bellezza Venere. All’interno sono ancora conservate le tracce del suo contenuto, probabilmente un profumo o un unguento per il corpo. Per utilizzarlo, si sarebbe dovuta spezzare la coda oppure il becco. Un ulteriore rimando a Venere sembra presente anche nella statuetta in terracotta raffigurante Amore e Psiche: Il personaggio maschile reca infatti nella mano sinistra una colomba. Completano il corredo uno specchio in bronzo, un balsamario tubolare in vetro, una lucerna in terracotta ed alcuni oggetti impiegati sulla tavola: una coppetta a pareti sottile ed un piatto in terra sigillata,
Ad imitazione del lusso . Si tratta di APPLIQUES che venivano posizionate soprattutto nel I sec d.C. sui letti funebri ad imitazione di quelli di lusso. Costituite da materiali ceramici dovevano imitare i ben più preziosi intarsi in osso avorio o metalli presenti in letti ben più preziosi.
COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.C
Ne sono rinvenute soprattutto in necropoli del territorio della Lomellina, dove probabilmente erano prodotte, data la grande e quasi esclusiva diffusione in quest’area.
COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.COTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986OTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986
GIOCARE A DADI O CON LE PEDINE
VARIE
IL TESORETTO DI MORSELLA
Tesoretto di Antoniniani dalla località Morsella
Il tesoretto è costituito da circa 1.400 antoniniani, monete della fine del III secolo d.C. prevalentemente di Gallieno ma anche di Claudio il gotico fino ad Aureliano Sono state rinvenute nel 1978 a seguito delle ricerche del Gruppo Archeologico Milanese coordinate dalla Sovraintendenza, successive a dei lavori di aratura di un campo. Erano interrate insieme ad un’olla fittile che originariamente le conteneva. Probabilmente sono state nascoste a seguito del periodo di grave instabilità politica e dei confini. Io e mio papà eravamo lá nel 1978 e non vi posso esprimere l ‘emozione nel vederle,sempre con mio padre ora, esposte al museo.
Tesoretto di MorsellaTesoretto di MorsellaTesoretto di Morsella
COLLEZIONE STRADA
La raccolta costituita da 260 oggetti appartenenti ad un arco cronologico che va dalla preistoria all’età rinascimentale, ma particolarmente ricca in relazione all’età della romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e alla prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.). Per la maggior parte rinvenute a seguito di lavori agricoli, sono testimonianze che quasi certamente provengono da corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Si va dalle ceramiche di uso comune, alle terrecotte figurate, agli oggetti d’ornamento, agli utensili di metallo. E ai vetri. Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Una meraviglia di fattura mediorientale destinata ad una famiglia facoltosa e di rango. Sempre tra i vetri, materiale distintivo della collezione, vanno citate, per integrità e qualità, anche la pisside in vetro blu e l’anforetta porpora con decorazione piumata in bianco
Che Castione della Presolana potesse nascondere nel sottosuolo le tracce di un antichissimo villaggio non era certo una novità. Infatti già nel 1941 proprio nella zona del Castello, l’11enne Natale Migliorati, (padre dell’attuale primo cittadino Angelo), ritrovò casualmente tracce di antiche sepolture e poi furono scoperti in quegli anni nella zona resti di vasellame e reperti in metallo risalenti all’età del Ferro e del Bronzo.
Si discoprirono fibule, monete romane , un frammento di epigrafe sacra dedicata a Mercurio, una lancia, corredi funerari, una lama di pugnale, due spade, di cui una in bronzo e l’altra della seconda metà dell’età del Ferro). Il piccolo Natale riferì al curato don Rocco Zambelli del ritrovamento di alcuni cocci e di una spilla di bronzo in una caverna. Tale scoperta diede l’impulso alle ricerche e a nuovi ritrovamenti nella zona proseguiti poi da don Giulio Gabanelli e in seguito da numerosi studiosi archeologi e paleontologi da tutta Europa.
ma veniamo alle scoperte più recenti che riportiamo da un articolo di Nicola Andreoletti comparso su myvalley.it –
” Hanno dato i frutti sperati, gli scavi archeologici effettuati negli ultimi giorni a Castione della Presolana. L’obiettivo era valutare la reale consistenza del sito in località Castello. E dalle indagini sono emersi i resti di un abitato risalente a circa 2500 anni fa.
Gli scavi sono stati effettuati dall’Università degli studi di Pavia sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia. «Questo intervento è la parte iniziale di un progetto di ricerca che stiamo portando avanti su Castione della Presolana – spiega Paolo Rondini, ricercatore dell’Università di Pavia -. Gli scavi erano mirati a verificare alcuni dati che avevamo già acquisito con rilevamenti geoelettrici e geomagnetici in collaborazione con l’Università di Padova e la professoressa Rita Deiana».
Il terreno in località Castello ha dunque restituito parti di un insediamento antico, risalente circa al quinto secolo prima di Cristo. «Tutte e tre le trincee aperte hanno dato riscontri molto interessanti – prosegue Paolo Rondini -. Abbiamo documentato dei livelli di un abitato protostorico di età pre romana, che si può datare alla media età del ferro. Resti parziali di abitazioni, acciottolati, focolari: tutto quello che riguarda la vita quotidiana delle genti di allora. Sono indizi che secondo noi ci condurranno alla scoperta di un villaggio che di fatto è il primo nucleo di Castione della Presolana».
A Castione, di fatto, è stata aperta una finestra significativa sul passato. Ma il lavoro non è finito. «Proseguiremo sempre sotto la guida della Soprintendenza con la dottoressa Cristina Longhi, direttrice di questo progetto di ricerca – aggiunge Paolo Rondini -. Credo che nei prossimi anni amplieremo la ricerca estendendo le nostre indagini ad altre zone del sito».
I risultati degli scavi sono stati accolti con soddisfazione dal sindaco di Castione, Angelo Migliorati. «L’interesse verso questo sito risale al 1945 con don Rocco Zambelli che fu il primo scopritore di questi resti – sottolinea Migliorati -. Ci aspettavamo dei risultati, ma non di questa consistenza. Trovare le radici di Castione ci fa molto piacere. Il Comune intende valorizzare quest’area che riteniamo sia rilevante non solo dal punto di vista culturale, ma anche turistico».
Non solo Pompei ed Ercolano, e neppure solo l’Urbe: la pittura romana è solitamenta legata a queste aree per ragioni legate alla storia della conservazione e alla densità delle testimonianze. Ma si faceva pittura anche in provincia, e di una qualità che ha lasciato stupiti gli stessi studiosi. È il caso della decorazione murale delle domus della città di Cremona, riaffiorata in migliaia di frammenti una ventina di anni fa in occasione di saggi di scavo in piazza Marconi una zona del centro storico che un tempo si affacciava sul Po. Oggetto di una importante campagna di studi e di restauri, ancora in corso, sono ora oggetto di una mostra di grande interesse, dal titolo “Pictura Tacitum poema. Miti e paesaggi dipinti nelle domus di Cremona” al Museo del Violino (che proprio su piazza Marconi si affaccia), visitabile fino al 31 maggio prossimo.
Cremona è stata insieme a Piacenza nel III secolo a.C. la prima colonia romana della Gallia Cisalpina. Ricco e importante centro Regio X Venetia et Histria, nel 69, l’anno dei quattro imperatori, durante la guerra civile tra Vespasiano e Vitellio venne assediata e distrutta dalle truppe del primo. La presa della città è raccontata da Tacito come una serie di violenze inaudite e orrori. Plutarco ricorda una “catasta di corpi che sfiora in altezza i frontoni del tetto”. Per quanto ricostruita da Vespasiano, Cremona uscì dalla storia per lungo tempo.
Frammenti di intonaco dipinto dalla Domus del Ninfeo a Cremona (foto drm-lombardia)
Le ricche domus della città vennero incendiate e distrutte. È da queste che arrivano i frammenti, pazientemente riconosciuti e riassemblati, presenti nella mostra curata da Nicoletta Cecchini, Elena Mariani e Marina Volonté. Materiale raro per quantità, la cui qualità – che nel percorso è messa direttamente a confronto con riproduzioni di affreschi romani e originali di area vesuviana – testimonia lo sfarzo e anche la piena adesione ai modelli culturali e pittorici che dalla capitale si espandevano insieme alle leggi, alla lingua e ai costumi.
Gli affreschi provengono da domus differenti. La prima è denominata “Domus dei candelabri dorati”, proprio in virtù della decorazione dell’atrio (ricostruito in un video) che presentava campiture di prezioso rosso cinabro ritmate da alti candelieri. Ritrovati in campagne di scavo condotte tra 2014 e 2016, presentano inoltre elementi provenienti dalla zona del peristilio e da un larario. Alcuni frammenti testimoniano la presenza di “quadri” (ossia scene di vario tipo, circoscritte da una finta cornice) di grande raffinatezza. Tra questi una scena con nani e pigmei messa a confronto con un frammento proveniente da Ostia. Il gusto nilotico, riscontrabile in tutte le decorazioni cremonesi, raccontano quanto la romanità fosse affascinata dalla civiltà egizia (si pensi alla grande diffusione del culto di Iside), anche se non di rado gli elementi erano ripresi ed elaborati in modo autonomo e del tutto svincolato dai significati originari, come è possibile osservare anche dal raffronto con reperti egizi concessi dal Museo Archeologico di Firenze.
Gli affreschi più importanti arrivano però dalla Domus del Ninfeo, così chiamata per la presenza di una fontana monumentale mosaicata. Tra le varie testimonianze spiccano qui le decorazioni di quello che era probabilmente di un grande cubicolo, secondo le curatrici di ambito femminile, di 25 metri quadrati. Sito al secondo piano e coperto con una volta a botte ribassata e decorato a stucco, presentava alle pareti fregi e le storie di Arianna. La stanza precipitò al piano sottostante in seguito all’incendio del 69 e venne devastata dal saccheggio, a cui poi si aggiunsero le nuove costruzioni medievali. Resistono però gli affreschi di almeno metà delle pareti. Le decorazioni sono direttamente accostabili a quelle dello studiolo di Augusto, con rimandi così precisi che non possono essere considerati casuali, al punto che si ipotizza tanto l’esecuzione da parte di maestranze romane quanto il legame dei proprietari con la famiglia imperiale. Vere curiosità sono la presenza nel fregio decorativo dell’ananas, frutto conosciuto dai romani (era infatti coltivato sulle isole Canarie) ma estremamente raro e costoso, e il tema tipico del grifo, simbolo di Apollo, declinato però con uno strano becco piatto, in cui gli ornitologi hanno riconosciuto quello della spatola bianca, uccello oggi molto raro ma che un tempo nidificava sul Po.
I frammenti superstiti rivelano poi la presenza di tre grandi quadri, con figure pressoché a grandezza naturale, di qualità davvero straordinaria a partire dal volto di Arianna abbandonata sulla spiaggia di Nasso. Notevoli anche i frammenti dell’apparizione di Dioniso, che si innamora della principessa cretese e ne fa la sua sposa. Si tratta, spiegano le curatrici, dell’esemplare dell’episodio non solo più grande ma anche più antico tra quelli conosciuti e quindi quello più prossimo temporalmente al modello perduto. L’episodio era molto diffusa nell’antichità e presentava due varianti, con Arianna dormiente mostrata di schiena, come nel caso di Cremona, o frontalmente. La fortuna (testimoniata anche a livello poetico, da Catullo a Ovidio) del soggetto è spunto per un approfondimento ed è documentata da affreschi di area vesuviana, da un coperchio di sarcofago proveniente dalla Villa d’Este di Tivoli e da una testa rinascimentale di Arianna dormiente, da Firenze.
La mostra racconta inoltre il lavoro di studio e ricostruzione, oltre ai restauri realizzati Centro per la Conservazione e Restauro de “La Venaria Reale” e dal Laboratorio Arvedi dell’Università di Pavia. Complementare è la visita al Museo archeologico (accessibile gratuitamente ai possessori del biglietto della mostra) allestito nella chiesa di San Lorenzo, dove si trovano i pavimenti musivi delle domus e una ricostruzione con gli elementi decorativi della fontana della Domus del Ninfeo. Articolo originale di Alessandro Bertrami comparso su “Avvenire “.
frammenti di affreschi della stanza di Arianna in ricomposizione in uno dei laboratori del museo archeologico Frammenti provenienti dall’atrium della Domus dei Candelabri -scene nilotiche I sec d.C.
Presso le Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano dal 10 febbraio al 4 dicembre 2023, sarà possibile ammirare l’esposizione completa della collezione Strada, recentemente acquisita dal Ministero della Cultura , affidata ora al Museo archeologico nazionale della Lomellina a Vigevano.
L’acquisizione al patrimonio dello Stato è avvenuta con un esproprio per pubblica utilità, reso possibile dalla Soprintendenza per le province di Como, Lecco, Monza Brianza, Pavia, Varese. Questo permetterà la conservazione unitaria, lo studio e l’esposizione al pubblico della collezione raccolta da Antonio Strada (1904 – 1968), e custodita fino al 2021 nella dimora della famiglia nel Castello di Scaldasole.
Emanuela Daffra, direttore regionale Musei della Lombardia si esprime in merito in questo modo «Questa esposizione completa è, insieme, il passaggio intermedio di un percorso e l’apice ‘pubblico’ della collezione. Dopo l’anteprima, che ha immediatamente offerto ai nostri visitatori i reperti più importanti ed integri, questa mostra è voluta per permettere a studiosi e appassionati di conoscere la totalità dei pezzi, tutti restaurati per l’occasione. Sarà un affondo importante sulla storia del collezionismo privato in Lomellina, che ora giunge ad arricchire il patrimonio collettivo e la storia del territorio. Anche per questo abbiamo voluto una ampia durata ed una ricca serie di attività per pubblici diversi. Al termine della mostra, con cognizione di causa, i nuclei più significativi confluiranno nell’esposizione permanente del museo imponendone una rilettura, a testimonianza di come il patrimonio archeologico non sia immobile».
La raccolta comprende 260 oggetti di epoche diverse , dalla preistoria all’età rinascimentale, ma è particolarmente centrata sul periodo compreso tra la romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e la prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.).
La gran parte dei rinvenimenti proviene da reperti scoperti a seguito di lavori agricoli. Si tratta di corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Troveremo esposti ceramiche di uso comune, a terrecotte figurate, oggetti d’ornamento, utensili di metallo e vetri . Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Un capolavoro di fattura mediorientale destinata ad una famiglia ricca e di rango.
Sempre tra i materiali in vetro , vanno citate come piccoli capolavori anche una pisside in vetro blu e una anforetta porpora con decorazione piumata in bianco.
«Tutti i reperti della Collezione saranno esposti in un’unica sala che verrà caratterizzata, anche dal punto di vista grafico e visivo, rispetto agli altri spazi museali.L’allestimento sarà concepito in modo da enfatizzare i pezzi più importanti, gli altri reperti saranno raggruppati per tipologie. I pannelli guideranno il visitatore evidenziando non solo la sequenza di lettura dei reperti, ma anche le reciproche connessioni con il resto della collezione museale.»
Strada non si limitò a raccogliere i reperti rinvenuti nei suoi possedimenti.
«L’esposizione completa degli oggetti ci permettere di cogliere anche i modi della formazione della raccolta, che si configura come “collezione di collezioni”», ci spiega Rosanina Invernizzi, co-curatore scientifico della mostra. «Ai reperti già posseduti dai suoi antenati, Antonio Strada aggiunse altri nuclei acquistati da collezionisti del territorio della Lomellina: tra essi, in particolare, la raccolta Steffanini di Mortara (che comprendeva la coppa di Aristeas) e la raccolta Volpi-Nigra di Lomello, che includeva anche reperti di provenienza magno greca. Altri piccoli nuclei furano aggiunti nel tempo frutto di acquisti, doni o scambi. Non mancano, come spesso accade nelle collezioni, pezzi falsi o di dubbia antichità, ma nell’insieme la raccolta Strada ci mostra un quadro di attivi scambi tra i proprietari e soprattutto quell’interesse per le” antichità patrie” caratteristico degli anni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.»
Dopo il lungo periodo di esposizione, i reperti della Collezione Strada, selezionati, diverranno parte integrate del percorso museale del Museo Archeologico nazionale della Lomellina.
Storia del sito: La maggior parte delle costruzioni di epoca celtica era eseguita principalmente di legno o in legno con fondazioni di pietra. Rari sono i ritrovamenti di edifici realizzati completamente in pietra (in Irlanda, Bretagna, Occitania e Galizia) e quello di Roldo è l’unico ad essersi discretamente conservato in tutta l’area Gallo-romana. L’edificio è stato scoperto e studiato da Tullio Bertamini nel 1975 .
Dall’accurato esame dei materiali e delle tecniche costruttive, l’edificio è stato datato al primo secolo dell’era cristiana in un periodo nel quale gli influssi culturali romani erano ancora molto scarsi. Che si trattasse di un edificio di culto è dimostrato dalle tecniche costruttive, dalla posizione, dall’orientamento sull’asse nord-sud e soprattutto dall’uso della pietra e del marmo locale e la pianta interna a doppia cella che attestano un uso sacrale “importante”. Dopo la cristianizzazione dei territori dell’Ossola (IV sec.) fu convertito ad uso profano e, attorno al XIII secolo, fu sopraelevato per trasformarlo in torre di vedetta. Esso si trova oggi inglobato in mezzo ad altre costruzioni.
Descrizione del sito: L’edificio sorge in cima a uno sperone da cui si vede l’intera alta valle e da essa è perfettamente visibile. Esso è poi stato costruito su una grande roccia che è stata scavata per ospitarne le fondamenta e tutto lascia pensare che fosse proprio tale roccia la prima origine del culto su quel sito. E’ costruito interamente in pietra lavorata con una certa maestria e legata a calce.
La soprelevazione medievale è chiaramente visibile all’esterno anche per la diversità del paramento murario. Il tempietto di Roldo ha forma rettangolare dalle misure esterne di m 5,50 di lunghezza e di m 3,60 di larghezza. All’interno è diviso in due piccoli vani: una cella di 2,45 per 2,90 m e un atrio di m 2,45 per 1,10. Si accede all’atrio da una porta con arco a tutto sesto e si passa nella cella grazie ad un’altra porta, che è stata però demolita per creare un ambiente più ampio, a cui fu opposta una porta: queste sono le modifiche più evidenti.
La cella è coperta da una volta a botte impostata a m 2,85 di altezza ed alta, al centro, m 4,10. La copertura era di lastre di pietra sagomate a tegoloni ed è stata nascosta dalla sopraelevazione. Il tetto in beole di tale torre è crollato all’inizio del decennio 1970-80 e fu sostituito con una copertura in lamiera. Vicino alla finestra doveva trovarsi l’altare (o una base con la statua), dati i segni che si rilevano sul pavimento. A circa 4 m di altezza lungo l’intero perimetro del muro sta una pietra piatta e scura, la “laugera”, non di cava locale ma proveniente dalla val Bognanco che aveva una precisa funzione: sui lati Sud e Nord funge da corda di un arco di scarico, sul quale poggiano gli elementi della volta a botte della cella, perché la spinta sia solo in parte scaricata su questi due muri. L’edificio ha una sola piccola finestra, di cm 45 per 58, posta sulla parete di fondo ad una altezza dal pavimento tale che la luce solare penetri direttamente nell’edificio solo nel periodo compreso fra l’equinozio di autunno e quello di primavera (23 settembre – 21 marzo) e che l’illuminazione massima si abbia a mezzogiorno del solstizio d’inverno (22 dicembre), quando il raggio del sole attraversa l’intero tempietto. Per questo non è del tutto azzardato supporre che il tempio fosse dedicato al dio solare Belenos.
Informazioni: In frazione Roldo. Telefono Pro Loco 0324 232883
I vasi di bronzo costituiscono una particolare tipo di vasi ad uso domestico. Realizzati per durare a lungo , rappresentavano un patrimonio familiare che passava da madre in figlia per generazioni . Questa particolare preziosità antica, rende più difficile una fine identificazione cronologica . Tuttavia è possibile in ogni caso identificare in Gallia Cisalpina almeno tre fasi principali di utilizzo del vaso di bronzo. Questi tre periodi vanno dal 388 aC al periodo augusteo e ricalcano la divisione cronologica del periodo La Tène. Lo studio cerca di definire le forme e le tipologie dei vasi di bronzo, il loro legame con il rango sociale in Cisalpina utilizzando come area privilegiata l’area veronese ( Povegliano soprattutto). Tale zona ha permesso di osservare infatti almeno 150 esemplari, databili dal IV/III secolo a.C. all’età augustea in gran parte recuperati da contesti funerari.
PRIMO PERIODO: (388-130a.C)
Nonostante l ‘invadione gallica del 388 a.C. prosegue la produzione locale, rappresentata da recipienti destinati al consumo del vino o di altri tipi di vevande fermentate. Nelle aree occupate dai Leponti e dagli Insubri sono attestate le situle (tipi Pianezzo, Cerinasca e Castaneda), le capeduncole,le brocche a becco (Tessiner Kannen). Sono recipienti prodotti nel Sopraceneri – per le brocche a becco anche nel Comasco – e attestati nell’area occidentale della Cisalpina, tra il Canton Ticino e la Bergamasca, sui quali non mi soffermo in questa sede perché esaurientemente analizzati da De Marinis in occasione della mostra sui Leponti , e ancora più recentemente, da Nagy e Tori per la necropoli di Giubiasco. Produzioni locali sono ben attestate anche in area Cenomane – mi riferisco alle fiasche da pellegrino, con gli esemplari della tomba di Castiglione delle Stiviere e
Brocca a becco di area Lepontica
in area veneta e retica, dove permane la produzione di situle a sbalzo e di simpula. Sono attribuite a officine locali, che continuano una tradizione lunga e feconda, Le situle di Este, da quelle a corpo troncoconico e sinuoso della tomba Ricovero 23, la famosa tomba di Nerka Trostiaia, a quelle istoriate delle tombe Boldù-Dolfin 52–535. Per le situle è stata identificata anche un’area di produzione tra le valli dell’Adige e del Piave, con uno o più ateliers che operano nel IV secolo unendo elementi di tradizione halstattiana a motivi di influsso celtico ed etrusco. Anche i simpula prodotti a partire dal IV secolo riprendono e rielaborano il tipo etrusco a vasca emisferica e manico verticale, ma con il manico a nastro applicato con ribattini alla vasca.Nel santuario di Lagole di Calalzo(Belluno) questi attingitoi sono utilizzati anche nei rituali delle acque.
Vasellame d’importazione
Per quanto riguarda invece le importazioni di vasellame di bronzo dall’Etruria, che avevano caratterizzato tra VI e V secolo a.C. lo sviluppo dell’Etruria padana e della civiltà di Golasecca, si ha effettivamente una contrazione in seguito all’invasione gallica del 388 a.C., che non sembra però toccare l’area di Spina, dove recipienti e candelabri di bronzo caratterizzano sia le tombe dell’ultimo quarto del V secolo, sia quelle del primo quarto del secolo successivo.
SECONDO PERIODO ETÀ LT D
Con l’età tardorepubblicana, corrispondente in ambito padano al LT D (130–15 a.C.), la presenza di vasellame di bronzo d’importazione si fa numericamente più rilevante e più varia quanto a tipi rappresentati. Per la Gallia Cisalpina si possono considerare ancora validi i saggi sulle varie forme e le liste di distribuzione elaborati in occasione dellatavola rotonda di Lattes, La vaisselle tardo-républicaine en bronze (Feugère, Rolley (eds.) 1991), con aggiornamenti relativi all’asse Ticino-Verbano e, sul versante opposto, al Caput Adriae al territorio dell’attuale Lombardia, con specifiche dedicate al Comasco e al territorio di Bergamo; molto si attende, inoltre, dalle necropoli del Veronese che sono state scavate recentemente e sono attualmente in corso di studio. Più numerosi, a tutt’oggi, gli aggiornamenti e le pubblicazioni di recipienti di età tardorepubblicana in ambito europeo In linea generale, si può osservare che alle padelle tipo Montefortino e Povegliano si sostituiscono le padelle tipo Aylesford, con vasca fortemente convessa e il caratteristico motivo a spina di pesce sul labbro (cfr. Tav. 5: XXVI/7), che formano una coppia funzionale con le brocche carenate tipo Gallarate e, talora, anche con le brocche a corpo piriforme tipo Ornavasso-Ruvo,Ornavasso-Montefiascone,Kelheim e Kjaerumgaard.
Le brocche tipo Gallarate, bitroncoconiche a carena bassa con ansa terminante a foglia cuoriforme e puntale, sono a tutt’oggi, insieme alle padelle Aylesford, le forme più rappresentate nei contesti funerari di questo periodo; che in Gallia Cisalpina le padelle rivestissero un ruolo fortemente simbolico all’interno dei servizi da banchetto, è indiziato dalla frantumazione rituale del recipiente durante i riti di sepoltura e dalla deposizione sul rogo funebre. Del successo delle brocche bitroncoconiche possono essere indicative le imitazioni “povere” in terracotta attestate già dal terzo quarto del II secolo a.C. in Grecia, e la presenza, nel santuario di Delo,frequentato da mercanti e visitatori italici, di una matrice in calcare riferibile ad una forma a carena bassa di piccole dimensioni.
Padella tipo Aylesford. Museo di Mergozzo
TERZO PERIODO-ETA’ AUGUSTEA
Con l’età augustea, il nuovo dinamismo economico della Cisalpina, legato all’espandersi delle strutture produttive transpadane e all’apertura della zona centropadana a più veloci circuiti commerciali, vede la rapida diffusione di un repertorio di forme in parte legato alla serie tardorepubblicana, della quale vengono riproposti elementi strutturali e ornamentali, in parte del tutto innovativi.
Nella tomba 16 della necropoli del Colabiolo di Verdello (Bergamo), ad esempio, datata in base a una moneta e un boccale del tipo Aco intorno al 20 a.C.88, è già presente una brocchetta “moderna”, di produzione verosimilmente campana89. Si tratta infatti di un recipiente riconducibile alle serie Tassinari C1224, che trova un confronto puntuale con una brocchetta di Levate (Bergamo), da una tomba di età augustea . Alcune forme tardorepubblicane, del resto, risultano ancora in produzione, come le padelle tipo Aylesford, che continuano con una produzione bollata da Cornelius, alla quale sembrerebbe appartenere anche l’esemplare rinvenuto a Domodossola in una tomba di età prototiberiana, e le brocche carenate tipo Gallarate con labbro arricchito da un kyma ionico91. Anche i simpula-colini continuano ad essere prodotti con il tipo Radnόti 40, con vasca larga a fondo piatto (Fig. 17), datato tra il 20/15 a.C. e il 10/15 d.C.92 Appare legata alla serie tardorepubblicana anche la brocca tipo Tassinari C1210, attestata in Italia centrale (a Pompei, nel Viterbese e in Val di Cornia) e in Italia settentrionale a Genova, Fino Mornasco (Como), Castrezzato (Brescia).