QUATTRO BLOCCHI DI MARMO DI COMO: UNA STORIA AFFASCINANTE.

  Fortuna volle che qualcuno riutilizzasse degli antichi blocchi di pietra  nel Medioevo e così   quattro blocchi in marmo di Musso del II sec. D.C.  riutilizzati come materiale da costruzione in una torre tardo-antica all’angolo tra viale Varese e via Cinque Giornate sono giunte fino a noi. Sono basi di colonne, decorate sulle quattro facce con motivi a bassorilievo inquadrati da lesene angolari con capitelli corinzi. I sedici rilievi raffigurano coppie di divinità, episodi mitologici, atleti e poeti. Ogni soggetto rappresentato si lega concettualmente a quello posto di fianco o di fronte.

Tra i miti riprodotti, compare ad esempio quello di Perseo e Andromeda, dove Perseo impugna con una mano la spada uncinata e con l’altra la testa di Medusa.

Di altro genere sono le facce contrapposte che raffigurano due pugili vincitori rispettivamente delle Olimpiadi (simboleggiate da un’anfora con il ramo di palma sacro a Zeus) e delle Pitiche (giochi che si svolgevano a Delfi, sacri ad Apollo come dimostrano gli oggetti simbolo del dio, ossia il tripode e l’alloro).

Affascinante, ma non condivido dai più recenti studi è che questi rilievi facessero parte della biblioteca donata a Como da Plinio il vecchio. Infatti  sulle  basi di queste  colonne vi sono  due scene affiancate sulle facce esterne: è raffigurato da un lato un giovane poeta imberbe che si accinge a scrivere il suo testo, aiutato dalla Musa che gli suggerisce alle spalle; sul blocco accanto lo stesso poeta, ormai adulto, con la barba che ne nasconde il mento, fa omaggio della sua opera alla Musa.

Le scene figurate dei pannelli sono  però tutti tipici  di molti schemi compositivi di fine II-III secolo d.C e diverrà frequentissimo alla fine del III secolo per scandire lo spazio (in particolare nei lati brevi) nei cosiddetti sarcofagi architettonici norditalici.
. Particolarmente interessante è
la presenza nei pannelli comensi del “capitello corinzieggiante” a foglie sovrapposte, che sarà poi anch’esso utilizzato dagli scultori dei sarcofagi architettonici a tabernacolo di scuola ravennate prodotti nella seconda metà del IV secolo. L’uso precoce di un sistema architettonico con funzione di cornice, che avrà poi così grande fortuna in ambito norditalico.
graie tardoclassiche ed ellenistiche, tutte presenti nei repertori di scultori, decoratori, incisori di età imperiale romana. Questo patrimonio di immagini spessissimo riprodotte non solo in opere artistiche ma anche su modesti monumenti funerari e su oggetti d’uso, diviene popolare specialmente in ambienti di cultura media ed in ambito provinciale. Il fenomeno ha la sua massima diffusione dall’età traianea in avanti. Esso si affermerà poi in età tardoantica caricandosi spesso di nuovi significati filosofici o sociali del tutto distaccati dal primitivo contenuto mitologico. Questa nuova lettura del patrimonio è uno degli aspetti più interessanti delle basi di Como.

I temi mitologici.

Interpretare i rilievi comensi con figurazioni mitologiche non presenta particolari problemi : le scene non sono mai narrate  ma riassunte in due personaggi riconoscibili dai loro attributi sufficienti all’osservatore per ricordare il mito . Le rappresentazioni comensi ricalcano indubbiamente le iconograie più note del periodo pur con aggiunte elementi originali  anche restringendo al massimo la scena. L’atelier degli scultori comensi (certamente più di uno) partiva da cartoni o modelli di buona qualità, li semplicava e vi aggiungeva anche  alcuni elementi inediti. Questi sono per lo più riferibili a quel particolare gusto norditalico  e provinciale caratterizzato dall’uso di un rilievo secco e poco rilevato e, d’altra parte, da una straordinaria attenzione realistica ai particolari.

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/36207592

https://www.academia.edu/resource/work/9621190

https://www.researchgate.net/publication/294582042_Le_Basi_figurate_di_Via_Cinque_Giornate_a_Como_Analisi_di_un_monumento_romano

PAROLE DI CELTICO E  ROMANO DAI COCCI DI BERGAMO .

Piccoli cocci di colore rosso , abbandonati per tanto tempo insieme ai sassi , parole e storie dimenticate sussurrate e poi portate via dal vento del tempo.. ecco questi piccoli cocci rivivono e parlano un po’ in Celtico un po’ in Romano forse con la loro tipica cadenza bergamasca..eh pota cosa volete ancora.. ecco il link

https://www.academia.edu/resource/work/5255535

Parlando poi di altre scoperte della antica Bergamo non possiamo non riportare la notizia  che proprio oggi sabato 20 aprile 2024 si apre al pubblico  l’area archeologica di Sant’Agata, rivelatasi durante i lavori di restauro di un ex complesso monastico,

Un’imponente struttura muraria, lunga una decina di metri e larga fino a un metro e sessanta centimetri, è stata scoperta al centro degli scavi, suggerendo la presenza di un grande edificio pubblico lungo il decumano massimo, l’attuale via Colleoni. La struttura, che differisce da una semplice “domus”, indicava chiaramente un luogo di significative attività pubbliche. Gli archeologi, guidati da Stefania De Francesco e Cinzia Robbiati per conto della Soprintendenza, hanno inoltre trovato frammenti di intonaci affrescati, pavimenti in marmo policromo, stucchi a rilievo e decorazioni in terracotta che adornavano il tetto dell’edificio.

Scavi nel giardino del circolino, Sant’Agata Bergamo

Link:

https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/bergamo-citta/santagata-svela-bergamo-romana-o_2164927_11/

SEPOLTURE  CON CANI E CAVALLI PRESSO I CELTI CENONANI

Da https://lastatalenews.unimi.it/eta-ferro-studio-indaga-sepolture-celtiche-cani-cavalli

La ricerca, condotta sul sito di Seminario Vescovile di Verona e realizzata con il contributo dell’Università Statale di Milano per le analisi archeozoologiche, ha indagato le particolari sepolture di persone con animali con il ricorso a innovativi metodi di indagine.

Approfondire e tentare di comprendere le ragioni della presenza di animali allevati a scopo non alimentare, nello specifico cani e cavalli, nelle sepolture celtiche della tarda età del Ferro. Del tema si è occupato uno studio, innovativo per i metodi di indagine utilizzati, pubblicato sulla rivista PLOS ONE a cui ha preso parte anche l’Università Statale di Milano, con il coinvolgimento di Umberto Tecchiati, docente di Preistoria e Ecologia preistorica e Alfonsina Amato, archeozoologa. Lo studio si inserisce nel progetto CELTUDALPS, finanziato dalla Provincia autonoma di Bolzano, e dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica.

Titolo del lavoro è “Until death do us part“. A multidisciplinary study on Human- Animal co-burials from the Late Iron Age necropolis of Seminario Vescovile in Verona, ovvero “Finché morte non ci separi”. Lo studio è stato infatti condotto sul sito di Seminario Vescovile a Verona dove è stata rinvenuta una necropoli preromana, attribuibile ai celti Cenomani, databile alla tarda età del Ferro, ovvero tra III e I secolo a.CDelle 161 sepolture individuate, 16 contenevano resti animali. In particolare, in 4 di esse – una donna tra 36 e 50 anni, un feto formato di 38 settimane, un uomo tra 20 e 35 anni, un uomo tra uomo 36 e50 anni – sono stati rinvenuti scheletri di cani (Canis familiaris), o cavalli (Equus caballus).

Ricercatori e ricercatrici hanno utilizzato, per l’indagine, un nuovo metodo che combina analisi archeologiche e archeozoologiche, antropologiche, paleogenetiche e isotopiche. Confrontando età della morte, sesso, status sociale, eventuali legami di parentela, tipo di dieta si è cercato di stabilire un pattern, uno schema che potesse spiegare la scelta culturale di deporre insieme ai defunti proprio questi animali.

Monete celtiche con cavalli

Tra i punti fermi a cui è giunto lo studio c’è la vicinanza alle tradizioni culturali transalpine, in primis La Tène, forse mescolate con elementi locali Venetici e Romani. L’analisi del DNA antico – il primo di Seminario Vescovile – ha rivelato che non ci sono legami di parentela, almeno fino al terzo grado. Anche il tipo di dieta era diverso, come dimostrato dalle analisi degli isotopi stabili di Carbonio e Azoto sulle ossa animali. La sepoltura con cani o cavalli non si può ricondurre nemmeno a classe sociale, età o genere. Anche le strategie di gestione degli animali erano diverse. Il cane deposto con il neonato, per esempio, veniva nutrito con soli cereali, non si sa se per motivi rituali. La cosa certa è che presentava una frattura, poi sanata: forse perché si trattava di un animale d’affezione, oggetto di particolari cure?

Sepoltura di una donna adulta associata a resti di un cavallo intero prono, resti scheletrici di altri tre cavalli e un cranio di cane. © Foto di S.R.Thompson, per gentile concessione di SABAP-VR Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. In "Until death do us part". A multidisciplinary study on Human- Animal co-burials from the Late Iron Age necropolis of Seminario Vescovile in Verona

Sepoltura di una donna adulta associata a resti di un cavallo intero prono, resti scheletrici di altri tre cavalli e un cranio di cane. © Foto di S.R.Thompson, per gentile concessione di SABAP-VR Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza

Nella sepoltura della donna matura si contano un cavallo intero, un cranio di cane, altre parti di cavalli e un feto a termine. Il ritrovamento, unico nel suo genere, fa pensare che cani e cavalli potessero essere legati alla sfera della fertilità, facendo ipotizzare per la donna un ruolo di guaritrice o ostetrica. Ma questa resta appunto un’ipotesi da verificare.

L’uso di seppellire cani e cavalli con alcuni individui non è ancora del tutto chiaro, anzi, questo studio ha contribuito a moltiplicare le domande. Il nostro lavoro – commenta il professor Umberto Tecchiati – è stato in grado di fornire un nuovo approccio e un nuovo metodo di lavoro, in grado di integrare discipline differenti per colmare i vuoti della ricerca archeologica e fare luce sul reale rapporto tra i nostri antenati e due delle specie che ancora oggi amiamo di più”. In particolare, gli archeozoologi Tecchiati e Amato hanno condotto un’analisi sulla morfometria dei reperti faunistici, resa possibile grazie alla collezione di confronto presente in laboratorio. “Questo studio è complementare alle analisi del DNA e biochimiche – spiegano i due ricercatori –. Il nostro ruolo, inoltre, è stato quello di fornire confronti con altri siti simili contribuendo all’interpretazione storico culturale complessiva. Tutte le analisi sono finalizzate alla raccolta di dati biochimici interni ai reperti, ma valgono di base per la ricostruzione di processi storici e culturali“. “Le ricerche paleogenomiche – concludono i ricercatori – sono state utilizzate per individuare una eventuale parentela tra gli individui sepolti con cani e cavalli; e le analisi sugli isotopi stabili umani e animali sono state utili per esplorare le differenze alimentari (e forse socioeconomiche) tra gli individui sepolti con questi animali e il resto della popolazione”.

La ricerca multidisciplinare ha coinvolto diverse realtà accademiche. Oltre al PrEcLab, Laboratorio di Preistoria, Protostoria ed Ecologia preistorica, che fa parte del dipartimento di Beni culturali e Ambientali della Statale diretto da Giorgio Zanchetti, e a cui afferiscono Umberto Tecchiati e Alfonsina Amato, figurano infatti anche: l’Istituto di medicina forense del dipartimento di Antropologia fisica di Berna; l’Istituto per lo studio delle mummie Eurac research di Bolzano; l’Ex-Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, settore territorio, Sede di Padova-nucleo di Verona; la Thompson Simon scavi e rilevamenti archeologici di Verona; la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza; il dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Firenze; e infine il Dipartimento di Chimica, Biochimica e Scienze Farmaceutiche e Centro Oeschger per la ricerca sui cambiamenti climatici, Università di Berna.

Il link allo studio pubblicato su PLOS ONE.

RIVIVE IL CARRO CELTICO DI SESTO CALENDE.

È partito il progetto ‘BACK ON TRACK ‘ per ricreare in 3D il antico carro a due ruote trovato nella Seconda Tomba di Guerriero di Sesto Calende (Varese), un importante sito della cultura dell’età del Ferro di Golasecca, scoperto nel 1928. Questo progetto multidisciplinare coinvolge l’Università dell’Insubria e il Comune di Varese, insieme al Museo Civico Archeologico di Villa Mirabello, con il sostegno del Ministero della Cultura.



Il carro, parte del corredo funebre che identifica il defunto come un capo guerriero, era composto principalmente da bronzo e ferro, con ruote di circa 50-60 centimetri (probabilmente rivestite in legno) e poteva essere manovrato da due persone. Tra centinaia di frammenti del carro, ne sono stati selezionati 50 per essere studiati e restaurati: i pezzi saranno esposti singolarmente una volta completato il lavoro. La ricostruzione virtuale del carro avverrà tramite un modello 3D, consentendo ai visitatori di immergersi nel passato e osservare il veicolo in movimento, utilizzato durante l’età del Ferro. Grazie al corredo della tomba, è possibile datarla tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C..

Il progetto ‘BACK ON THE TRACK’ è ora in fase operativa, con il restauro e l’analisi delle leghe metalliche attualmente in corso. La nuova ricostruzione tridimensionale del carro sarà presentata in una mostra prevista per il 2024 al Castello di Masnago, per poi essere esposta permanentemente nella sala del museo dedicata alla Seconda Tomba di Guerriero. Inoltre, verrà realizzato un video per documentare il progetto e tutte le fasi del restauro.

LA SECONDA TOMBA DI SESTO CALENDE:

https://www.academia.edu/resource/work/7076484

LE LAMINETTE MAGICHE DEL LONGONE.

Il Museo Civico di Erba ospiterà sabato 23 marzo 2024 alle ore 17.00 una conferenza di Isabella Nobile De Agostini dal titolo “Trovare e ritrovare. Un’eccezionale scoperta archeologica a Longone nel 1866“.

I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI DI LONGONE AL SEGRINO

Nel 1866 a Longone al Segrino (CO) vennero alla luce cinque tombe ad inumazione, i cui corredi furono parzialmente consegnati al Museo Archeologico Paolo Giovio di Como, dove sono tuttora conservati. Le tombe erano di varia tipologia, ma alcune presentano particolarità interessanti che suscitarono già allora l’interesse di eminenti studiosi: una, infatti, era internamente dipinta con un motivo decorativo e un’iscrizione, un’altra conteneva due laminette-amuleti che pure recavano incisi lettere o segni. La datazione delle tombe è compresa tra la fine del IV e la fine del V secolo d C., se non i primi decenni del secolo successivo. Il ritrovamento è stato recentemente studiato in modo approfondito da Isabella Nobile De Agostini, già conservatrice del Museo Archeologico di Como, che ha pubblicato un articolo sull’ultimo numero della Rivista Archeologica Comense (n. 205 del 2023).

LAMINETTE MAGICHE

Nei corredi di Longone furono ritrovate due laminette “magiche”, una d’argento e una di bronzo, che furono srotolate, lette e pubblicate pochi anni dopo. L’uso di laminette magiche ad uso personale è molto antico ed è diffuso presso culture diverse, dalla greca alla punica, dalla ebraica alla romana. Fu però con l’epoca imperiale romana che si diffuse a livello popolare il loro impiego.

Questi oggetti, su cui venivano iscritti testi e simboli magici o divini, venivano portati addosso per cacciare i demoni, le malattie, il malocchio, o per ottenere successo. Essi erano spesso arrotolati e introdotti in una piccola teca cilindrica dotata di due anellini per la sospensione al collo. La frequenza con cui si ricorreva a loro ci spiega perché i Padri della Chiesa, come ad esempio S. Agostino, sovente li menzionano per condannarne l’uso, anche se gli esemplari giunti fino ad oggi sono piuttosto rari ed è per questo motivo che i ritrovamenti di Longone appaiono così significativi.

INFORMAZIONI

Sabato 23/03/2024, ore 17.00.

Ingresso libero e gratuito.

Dove: Museo Civico di Erba, presso Villa Ceriani, via Ugo Foscolo 23 – Erba (CO)

Per informazioni: 031.3355341; museoerba@comune.erba.co.it

“LOVERE ROMANA  DAL TESORO ALLA NECROPOLI” IN MOSTRA SUL LAGO DI ISEO

Lovere che è uno dei “borghi più belli d’ Italia”  si specchia nelle acque del lago Sebino ovvero di Iseo , circondata dalle cime delle alpi Orobiche. Tante sono le vestigia storiche ma non tutti conoscono quelle di epoca romana . La mostra “Lovere romana. Dal tesoro alla necropoli”  intende illustrare, attraverso l’esposizione di alcuni significativi corredi portati alla luce grazie allo scavo della necropoli scoperta in località Valvendra, l’importante ruolo di Lovere in età romana, quando il territorio gravitava sulla Valle Camonica.

Da un’iniziale condizione di semidipendenza da Brescia, la Valle passò velocemente a Civitas e quindi a res publica.
Centro giuridico politico e amministrativo era Cividate Camuno, vera e propria città romana con edifici e spazi pubblici monumentali di cui sono stati parzialmente scavati e valorizzati le terme, il foro e il quartiere degli edifici da spettacolo con un teatro e un anfiteatro.

Lovere non era una città, ma poteva essere considerata un insediamento con un apparato amministrativo proprio come vicus o, più probabilmente, un emporium, una sorta di propaggine e di avamposto meridionale della Civitas Camunnorum.
Il centro, posto in posizione strategica alla testa del lago d’Iseo, doveva svolgere una funzione di emporio e di raccordo dei contatti commerciali e culturali tra il Sebino, la Val Borlezza, la Val Cavallina e la Val Camonica.
Ad oggi non è stata individuata alcuna traccia di Lovere romana, con l’eccezione di due iscrizioni con dedica a Minerva trovate nei pressi del monastero di San Maurizio.
È, dunque, la vasta necropoli emersa fin dagli inizi dell’Ottocento lungo le attuali vie Martinoli e Gobetti a testimoniare la ricchezza e l’importanza di Lovere.
Come di consueto nel mondo romano, la necropoli si sviluppava all’esterno dell’abitato, lungo la strada di collegamento con la Valle Camonica.
Era organizzata in grandi recinti funerari in muratura, che delimitavano spazi riservati a gruppi famigliari o collegiali. Le indagini archeologiche ne hanno individuati almeno sei, con dimensioni variabili da 40 a 150 mq.
L’alto numero di tombe e le caratteristiche dei corredi dimostrano la prolungata continuità d’uso dell’area, dal I al IV secolo d.C.

Organizzata dal Comune di Lovere in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia e la Fondazione Accademia di belle arti Tadini onlus la mostra “Lovere romana. Dal tesoro alla necropoli” sarà visitabile, gratuitamente, fino al prossimo 2 giugno (venerdì e sabato dalle ore 15 alle 19; domenica e festivi dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 15 alle 19), ma altri importanti appuntamenti sono in agenda nelle prossime settimane: sabato 16 marzo, nella Sala degli Affreschi dell’Accademia Tadini (alle ore 17), verrà presentato il volume “La necropoli di età romana di Lovere (BG): una comunità sulle sponde del Sebino”, a cura di Maria Fortunati, già funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, e dell’archeologa Chiara Ficini; infine, sabato 6 aprile, nella stessa sede, si svolgerà la giornata di studi intitolata “E dell’oscura morte al passo andare”, organizzata dalla Rete PAD-Paesaggi Archeologici Diffusi, nel corso della quale i relatori si confronteranno sulla tematica della morte e sui rituali, sui simboli e sulle credenze che attraversano lo spazio e il tempo sotto l’aspetto archeologico, storico-artistico e sociale. Al termine dei lavori si terrà una tavola rotonda in cui gli argomenti dibattuti nel corso della giornata di studi saranno affrontati dal punto di vista antropologico.

https://www.teleboario.it//notizia/9301/accademia-tadini-da-marzo-una-mostra-con-i-tesori-romani-di-lovere/

STORIA DEI RITROVAMENTI

Di Lovere romana non è emersa alcuna traccia, ad eccezione di due iscrizioni con dedica a Minerva trovate nei pressi del monastero di San Maurizio, ma la sua ricchezza e la sua importanza sono indirettamente suggerite dalla necropoli emersa fin dagli inizi dell’Ottocento lungo le attuali vie Martinoli e Gobetti, in occasione dei lavori di realizzazione dell’Ospedale e nei pressi del Campo sportivo parrocchiale.

LA STORIA DEI RITROVAMENTI

Dopo sporadici ritrovamenti nel 1818-1819 e 1847 la prima vera “scoperta” della necropoli avvenne nel 1907 quando la costruzione del nuovo Ospedale e del tracciato ferroviario Lovere – Cividate, comportò un abbassamento e un allargamento della strada, con la messa in luce di numerose tombe e ricchi corredi, fra cui oggetti d’ornamento in oro e pietre preziose e un vero e proprio servizio di argenteria comprendente un piatto, una casseruola, una coppetta, un cucchiaio e una bellissima coppa con un pescatore contorniato da pesci marini.

Altre tombe emersero nel 1929 durante la sistemazione del piazzale antistante l’ospedale e nel 1957 in seguito a smottamenti del muraglione di sostegno del nuovo campo sportivo parrocchiale. Una trentina di altre tombe furono poi scavate nell’agosto 1973, in occasione della demolizione del muro di sostegno per la costruzione di un’autorimessa di fronte alla facciata della chiesa di Santa Maria. Nel 1996 fu condotto uno scavo d’emergenza in seguito al crollo del tratto sud del muro di contenimento del campo di calcio. Nell’estate 2013 furono effettuati saggi esplorativi e quindi uno scavo dell’area tra gennaio e maggio 2015.

Le sepolture, a inumazione e a incinerazione, sono caratterizzate da ricchi corredi che mostrano la vivacità commerciale e culturale del territorio che, sin dalla seconda età del Ferro, gravitava verso la valle Camonica.

In età romana è molto probabile che Lovere e il suo territorio fossero all’interno dell’areale di competenza della Civitas Camunnorum (odierna Cividate Camuno), come suggerito da un’epigrafe del 23 d.C. conservata a Rogno con dedica a Druso, figlio di Tiberio, da parte della Civitas Camunnorum.

RITROVAMENTI UN PICCOLO ANTIPASTO:

LA LUNULA D’ORO

Il crescente lunare, lunula, è uno dei tipi di pendaglio più diffusi nel mondo romano fra ultimo quarto del I secolo a.C. e tutto il I secolo d.C., con attestazioni che arrivano Oltralpe e in Valcamonica anche nel II secolo d.C. Il motivo a forma di crescente lunare, ereditato dai modelli ellenistici e orientali, si differenzia nel mondo romano per la decorazione delle punte con minuscole sferette. Tale pendaglio di norma era portato al collo dalle donne o dai fanciulli ed era spesso impiegato quale amuleto- portafortuna infantile. Molto diffuso nelle tombe, si trova in bronzo, spesso in argento, raramente in oro. Il tipo è molto diffuso nella necropoli di Lovere, sia semplice che impreziosito da un disco centrale con elementi figurativi.

Esemplari simili sono presenti in Valcamonica, soprattutto nella necropoli di Borno i cui corredi sono esposti al Museo Archeologico Nazionale della Valle Camonica a Cividate Camuno.

IL BOCCALE MONOANSATO

Dai corredi della necropoli di Lovere provengono numerosi frammenti riconducibili alla forma del boccale monoansato caratterizzato da una depressione in prossimità dell’ansa, funzionale a facilitarne la presa. Erano manufatti ceramici adatti alla mensa e all’offerta e verosimilmente venivano usati durante le cerimonie libatorie.

Il tipo deriva da precedenti boccali dell’età del Ferro; la forma evolve tra il I secolo a.C. e la metà del II secolo d.C. nel boccale tipo Lovere, contraddistinto da una forma troncoconica, con ampia spalla arrotondata e fondo piatto, dalla parte inflessa in corrispondenza dell’ansa molto più rientrante e dalla restante superficie del corpo quasi sempre decorata da tacchette lineari o da stampiglie a rosetta. Un esemplare intero è esposto nell’antiquarium di Parre, proveniente dal vicino Oppidum degli Orobi.

Il boccale, intero, proveniente dalla T. 77 della necropoli di Lovere scavata nel 2015, rappresenta invece l’evoluzione successiva della forma, definita Salurner Henkelldellenbecher, con corpo dal profilo più sinuoso e privo di decorazione. È diffuso per tutta l’età romana fino al IV-V sec. d.C. nel territorio trentino, altoatesino, e con maggiore concentrazione nell’area bresciana e gardesana occidentale, in Valcamonica e nelle valli Giudicarie.

Il catalogo della mostra , che si compone di 644 pagine, sarà disponibile gratuitamente in versione digitale e sarà scaricabile presso i siti web del Comune di Lovere e dell’editore (www.saplibri.it, dal giorno della presentazione).

GALLERY :

Coltello di tipo Lovere
Lucerna con copertura a forma di elmo gladiatorio
Resti di spade , un coltello di tipo Lovere fuso con lama di ascia
Tegole romane- una tegola ha una scritta in caratteri camuni
Catene e anelli . Amuleti a forma di luna

Per informazioni e approfondimenti:

Scarica la locandina

Scarica il comunicato stampa

(fonti:  https://www.pad-bg.it ; arte.go.it; eco di Bergamo )

NOTIZIE DALLA GALLIA CISALPINA II/2024


TESTA DI MINERVA DA PALAZZO PIGNANO

 da ” La provincia di Cremona”

Il ritrovamento risale a sei mesi fa, ovvero in concomitanza con l’ultima campagna di scavi effettuata dagli archeologi della Cattolica nell’area della villa tardo romana. Ma l’ufficializzazione è stata data solo ieri da Furio Sacchi docente responsabile delle ricerche, in accordo con la sovrintendenza ai beni culturali e artistici di Cremona e Mantova. Informata ovviamente anche l’amministrazione comunale. Una testa di Minerva, dea della giustizia e della saggezza, è stata rinvenuta dagli studenti del professor Sacchi.

Un ritrovamento assolutamente raro considerando l’epoca della villa, giunta al suo apice ormai in pieno cristianesimo, era il IV-V secolo dopo Cristo. Un tale simbolo pagano non si sa come è scampato alla distruzione, all’oblio. Com’era solito avvenire il marmo, il materiale di cui è fatta la testa, si recuperava per altre costruzioni. A maggior ragione se rappresentava una divinità che doveva essere cancellata dalla memoria per affermare la nuova religione. Dopo alcuni mesi di indagini e verifiche Sacchi, che insegna archeologia classica in Cattolica, e il suo team hanno potuto affermare con certezza che si trattava di un reperto molto più antico rispetto alla datazione della villa, centro agricolo autosufficiente che rappresenta una testimonianza fondamentale della presenza romana nel Cremasco.

Dopo il restauro la testa verrà esposta nell’Antiquarium, il piccolo museo a poche decine di metri dagli scavi e dalla pieve di San Martino, che ospita i reperti emersi in questi decenni dall’area archeologica. Da quanto è emerso dagli studi condotti sul ritrovamento, la statua della dea doveva misurare circa un metro, un metro e venti centimetri di altezza. Probabilmente non era sola, ma faceva parte di un ciclo di sculture. E’ stata ritrovava a fianco dei resti della grande sala absidata della villa. Magari era una scultura destinata a un luogo di studio, essendo appunto minerva dea della saggezza e della giustizia, ad esempio una biblioteca.

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VENETI :SACRIFICI UMANI O ESECUZIONI ?

Lo dicono a mezza voce, da studiosi seri vanno con i piedi di piombo e si limitano a parlare di ipotesi, suggestioni che dovrebbero essere supportate da riscontri e da un rosario di elementi oggettivi che oggi non ci sono. Ma il dato di partenza nudo e crudo legato allo scavo e all’analisi di alcune tombe della necropoli preromana di Padova (VII-VI secolo AC) apre la strada al dubbio: quei corpi sepolti in modo totalmente differente dagli altri, rannicchiati, in un paio di casi con le mani che sembrano legate, possono essere riconducibili a una situazione punitiva? Ovvero, veneti del primo millennio avanti Cristo che erano stati condannati a morte o peggio vittime di sacrifici umani?

Abbiamo alcune situazioni su cui al massimo possiamo coltivare un sospetto – spiega Giovanna Gambacurta, professore associato di Etruscologia e Archeologia italica a Ca’ Foscari – per l’anomalia che presentano alcune sepolture a inumazione (peraltro nel complesso poche a fronte della gran parte a incinerazione, ndr). In pochissimi casi abbiamo trovato gli scheletri scomposti, apparentemente gettati nella tomba senza cura, con mani e piedi legati. Certamente sepolture diverse dalle altre, che dimostravano invece attenzione per la posizione del corpo nella classica postura con le mani giunte sul petto o lungo il corpo e per la disposizione degli arredi funebri del sepolto. Supponiamo che possano essere riconducibili a situazione di sacrificio o punizione, ma sappiamo poco o nulla di questa società per poter arrivare a certezze di qualche tipo e non abbiamo prove per sostenerlo. Noi archeologi non viviamo di certezze…».

LE RIVELAZIONI

Un passo indietro: stiamo parlando di quanto stanno rivelando le tombe prelevate agli inizi degli anni ‘90 dalla necropoli tra via Tiepolo e via San Massimo a Padova e incassonate in un magazzino della città, dove da trent’anni a questa parte – peraltro con un lunghissimo periodo di stop – proseguono i lavori di scavo, analisi e restauro degli oggetti funerari. La storia di questo intervento è in parte legata al percorso della professoressa Gambacurta, giovane collaboratrice della Soprintendenza quando l’area in parola fu interessata dai lavori per la costruzione di un edificio dell’Esu di Padova. «Nella consapevolezza che si trattava di un’area archeologica di estrema importanza nel cuore della città – ricorda la professoressa – si procedette prima alla scavo di alcune tombe e poi alla rimozione della gran parte per sistemarle in un magazzino e procedere con calma all’analisi successiva» In sostanza, vennero prelevate vere e proprie grandi zolle di terra con all’interno le tombe (solitamente più di una per ogni cassone) .

Dopo una prima fase di lavori i cassoni sono rimasti per anni “dimenticati” fino a quando nel 2016, arrivata in cattedra a Ca’ Foscari, Giovanna Gambacurta si è messa in testa di tornare a lavorare su quelle tombe dei nostri antenati. «C’erano ragioni di studio importanti – ricorda – ma parallelamente la possibilità di fare didattica dando agli studenti la possibilità di lavorare “sul campo”. Ho avuto il supporto dell’Università di Ca’ Foscari, massima collaborazione dalla Soprintendenza di Padova, l’attenzione di Comune e Regione. Una bella sinergia che ha prodotto risultati importanti: a oggi sono stati esaminati 57 cassoni su 75 e 97 tombe su 120».

L’AIUTO DALLA TAC


E tante eccellenze si sono messe a disposizione per ricavare il meglio. «Rispetto agli studi dei primi anni ‘90 abbiamo potuto far leva sulle nuove tecnologie – spiega Gambacurta – grazie ad esempio alla collaborazione con l’Azienda ospedaliera universitaria patavina: attraverso analisi di antropologia fisica e sfruttando la Tac sappiamo ad esempio cosa troveremo all’interno delle tombe e dei recipienti. E ora è tutto informatizzato per effetto del lavoro di un centro di eccellenza come quello di Ca’ Foscari, che ci consente di andare avanti anche con l’idea di ricostruire digitalmente il villaggio».

Proprio perché poco si sa della civiltà degli antichi veneti  preziosissime sono le informazioni che arrivano dallo studio della necropoli su una società basata sull’organizzazione delle famiglie. «E’ di straordinario interesse – evidenzia l’archeologa – rilevare come seppellivano, cosa mettevano nella tomba e come aggregavano. Come abbiamo detto quasi tutti i corpi erano cremati, sbarrando quindi la strada all’analisi del Dna. Ma anche qui l’evoluzione della ricerca ci ha dato una mano e l’analisi dei residui basata sugli isotopi dello stronzio ha permesso di capire se il corpo sepolto era nato e cresciuto a Padova o era quello di un forestiero». Una sorta di identikit della composizione delle più antiche famiglie di Padova, pure per molti aspetti rivelatrice. «Le sepolture erano per gruppi, sorta di tombe di famiglia. Ebbene la ricerca ha evidenziato che tra i sepolti di una stesso gruppo familiare spesso c’era uno “straniero”, aggregato di fatto a quel determinato ceppo, con un riscontro collegato anche agli oggetti del corredo funebre che ne certificano l’origine non autoctona. Una prova che attraverso il corridoio delle Alpi Padova integrava i forestieri». Già, ogni epoca ha i suoi migranti. ( Fonte il gazzettino artico di T. Graziottin)

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IL DOLIO DELLE MERAVIGLIE DI BOLOGNA

Il Museo Civico Archeologico di Bologna presenta una nuova esposizione del Ripostiglio di San Francesco, un importante deposito dell’Età del Ferro in Italia. Dal 11 febbraio al 6 aprile, il museo ospiterà il ciclo di conferenze, visite guidate e laboratori “Il dolio delle meraviglie”, focalizzati sul valore straordinario di questo reperto, definito “importante per la storia di Bologna, soprattutto dal punto di vista archeologico” da Eva Degli Innocenti, direttrice del settore musei civici del capoluogo emiliano.


La scoperta del Ripostiglio avvenne nel 1877 da parte dell’archeologo Antonio Zannoni nella Basilica di San Francesco, dove venne ritrovato un grande vaso di terracotta, noto come “dolio”, contenente circa 14 quintali di 14.841 oggetti metallici, tutti accuratamente catalogati. Questi reperti, che risalgono dalla fine dell’Età del Bronzo agli inizi del VII secolo a.C., includono armi, oggetti ornamentali, utensili, frammenti di vasellame e altro ancora.
Per rendere l’esposizione accessibile al pubblico, saranno esposti solo 3.500 pezzi, suddivisi per tipologia e serie, con un intervento di riqualificazione dell’illuminazione e dell’allestimento della Sala Xb del Museo. Il nuovo allestimento è stato reso possibile grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna, della Fondazione Luigi Rovati di Milano e della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

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SPUNTA UNA STATUA NELLE CAMPAGNE  DI ALTINO

Ad un primo sguardo sembrava un blocco di pietra qualunque, ma poi, guardando meglio, si vedeva invece la forma di una testa, con il volto dai tratti ben conservati e un curioso copricapo con una punta ricurva. La segnalazione giunta alla Soprintendenza archeologia,belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e laguna e ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Venezia ha fatto scattare i sopralluoghi degli archeologi, che hanno subito compreso l’eccezionalità della scoperta.

Il recupero è stato affidato dalla Soprintendenza, in collaborazione con la direzione regionale Musei Veneto, agli archeologi della ditta Malvestio di Concordia Sagittaria, che ha proceduto a un vero e proprio piccolo scavo stratigrafico, necessario per comprenderne il contesto e recuperare materiale datante. Si tratta di una scultura sostanzialmente integra, che raffigura un personaggio maschile seduto su una roccia, con il busto proteso in avanti e la schiena curva. Con un braccio si sostiene appoggiandosi sulle ginocchia, con l’altro mantiene il colletto della veste, avvolgente e dal raffinato panneggio. Il personaggio indossa inoltre un ampio mantello, che sulla testa assume la forma appuntita del tipico berretto frigio. E’ triste, perché sta partecipando al dolore per la scomparsa della persona seppellita nel monumento funerario di cui faceva parte.

La pertinenza a un importante mausoleo è indiziata anche dalla posizione del ritrovamento: nelle vicinanze del tracciato dell’antica via Annia, lungo la quale – come lungo tutte le strade periurbane in età romana – si distribuiva la necropoli della città. Due i prossimi passi da parte degli esperti della Soprintendenza e della direzione regionale Musei: studiare approfonditamente reperto e contesto di rinvenimento e metterlo a disposizione del pubblico in uno degli spazi espositivi del Museo di Altino. ( da Veneziatoday.it)

EDIFICI ROMANI IN PROVINCIA DI FERRARA

Da stilarte.it

A seguito degli interventi di scavo a Ostellato per la posa della nuova condotta idrica su via dei Lidi ferraresi, da parte di CADF La fabbrica dell’acqua, sono stati portati alla luce interessanti resti del periodo romano. Lo ha comunicato ora il Mic – Segretariato Regionale per l’Emilia-Romagna. Ostellato (Ustlà in dialetto ferrarese) è un comune di 5 595 abitanti della provincia di Ferrara in Emilia-Romagna. Fa parte dell’Unione dei comuni Valli e Delizie.

Continua a leggere su: https://stilearte.it/scavi-per-lacquedotto-sorpresa-scoperti-edifici-romani-in-provincia-di-ferrara-cosa-sono-trovati-prodotti-antichi-pluri-marchio/

LA CULTURA PROTO-CELTICA DI CANEGRATE IN MOSTRA A LEGNANO

Fonte : Legnanonews.com

La cultura e la necropoli di Canegrate sono sconosciuti ai più. Eppure ebbero un importante ruolo nella formazione delle prime culture proto-storiche della Lombardia.

PERCHÉ ” PROTO CELTI

Nel titolo abbiamo definito la cultura di Canegrate come proto celtica . Perché? Perché la cultura di Golasecca che è riconosciuta come la prima civiltà celtica in Italia è figlia di quella di Canegrate. La cultura di Golasecca si sviluppo’ durante tutto l’arco cronologico della prima eta del Ferro, vale a dire dal IX fino al V secolo a.C., ma le sue radici affondano molto piu indietro nel tempo fino al Bronzo Medio avanzato con la cultura della Scamozzina di Albairate e al Bronzo Recente con la cultura di Canegrate. Infatti, in quest’area – a differenza di altre regioni dell’Italia set-
tentrionale – si osserva una notevole continuitá di sviluppo dall ‘eta de!
Bronzo all’eta de! Ferro, senza che intervengano cesure tali da far supporre a un certo punto l’arrivo di elementi intrusivi ed allogeni. ( Da i Celti e la Lombardia https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/15858/1/13-deMarinis_203-226.pdf)

LA MOSTRA SULLA CULTURA DI CANEGRATE

A 70 anni dai primi scavi che portarono alla scoperta di questo sito, è stata organizzata una mostra a Palazzo Leone da Perego (a Legnano) con l’esposizione e la valorizzazione di preziosi reperti dell’epoca. Tra i promotori ci sono la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Milano, il Comune di Legnano e il contributo del Comune di Canegrate. 

L’esposizione si tiene dal 16 dicembre, 2023 e sarà aperta fino al 17 marzo 2024.

Dal punto di vista cronologico, il sito si colloca nel momento pieno e finale dell’età del Bronzo Recente, ovvero nel XIII secolo a.C. circa. Il ritrovamento così significativo spinse gli studiosi dell’epoca a utilizzare il nome di questa località per definire convenzionalmente un’intera cultura sviluppatasi in questo territorio nel XIII secolo a.C.

Ma questa storia risale a qualche decina di anni prima, quando nel 1926 l’Ingegner Guido Sutermeister ( https://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Sutermeister) scoprì le prime urne e, da allora e fino agli scavi diretti da Ferrante Rittatore Vonwiller (1953-1956),( https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrante_Rittatore_Vonwiller ) vigilò con passione e costanza su quel sito, che rimane tuttora uno dei più importanti della Lombardia occidentale.

«La mostra – spiegano i promotori – vuole riportare all’attenzione questa importante scoperta cercando di raccontare quali erano i costumi, le attività e la società di una popolazione alle radici del nostro territorio. Saranno esposte numerose tombe, alcune delle quali per la prima volta, composte dall’urna cineraria e da ricchi corredi di oggetti in bronzo. 

Attraverso gli oggetti di corredo si cercherà di fornire un’immagine più ampia dei defunti e di questa popolazione.

Comprendiamo che indossavano abiti fermati da spilloni di bronzo e portavano goliere e bracciali in bronzo; goliere e bracciali sembrano essere stati portati sia da maschi sia da femmine e, in virtù della loro frequenza, possono essere considerati rappresentativi del costume della cultura di Canegrate».


Ma lo sguardo viene portato anche in altri territori: «In questo racconto le storie antiche delle persone che vennero sepolte più di tremila anni fa a Canegrate si intrecciano con quelle più recenti degli studiosi e dei ricercatori che hanno permesso di riportarle alla luce: personaggi straordinari del mondo della cultura, della ricerca e dell’archeologia.

Oltre ai corredi rinvenuti a Canegrate, nella mostra trovano spazio anche altri oggetti provenienti dal medesimo areale geografico (Albairate, Turbigo, Milano, Monza, Gambolò) e riferibili anche alla cultura immediatamente precedente, detta della Scamozzina -Monza (XIV secolo a.C.). Sono oggetti frutto di ritrovamenti ottocenteschi e di recentissima scoperta, esposti per la prima volta  associazione tra loro. Oggetti che parlano di mobilità e di relazioni con altre culture, anche molto
distanti. Oggetti che rivelano gesti e riti di un mondo lontano, il mondo prima di noi»

Necropoli di Canegrate – pira funeraria Disegno di Sara Zannardi

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LE SPADE NELLA CULTURA DI CANEGRATE

Le spade: modelli comuni, variazioni locali. Da Monza a Canegrate (XIV-XIII sec. a.C.)

Nel panorama delle spade finora note sono documentate varie tipologie che prendono il nome dalla località del primo ritrovamento. Talvolta rimane tuttavia incerto l’inquadramento tipologico degli esemplari frammentari che provengono da contesti funerari, dove si possono presentare bruciati e defunzionalizzati.

Tra le spade della cultura di Canegrate sono particolarmente caratteristiche quelle a lama lunga e stretta con codolo filiforme (tipo Monza) e quelle con codolo piatto e triangolare con tre o quattro fori per ribattini (tipo Rixheim). La variabilità di una serie di tipi intermedi dimostra la stretta affinità tra le spade tipo Monza e tipo Rixheim.

Tra queste forme intermedie si riconoscono gli esemplari inquadrabili nel tipo Cattabrega. Vi appartengono le spade ritrovate a Turbigo, Cassano d’Adda e Oleggio (NO), forse prodotte da officine indipendenti. Esse, pur ispirandosi a tipi di riferimento comuni, esprimevano gusti ed esigenze locali che spiegherebbero l’alta variabilità dei tipi.

Dalla necropoli di Canegrate provengono anche spade caratterizzate da lama più corta con espansione verso la punta, che sembrano indicare una evoluzione formale e funzionale relativamente più tarda.

Anche nel territorio della cultura di Canegrate si manifesta un importante fenomeno cultuale ampiamente documentato in tutta Europa durante l’età del Bronzo e oltre: la deposizione a scopo votivo e il sacrificio di manufatti di vario tipo, specialmente armi e oggetti d’ornamento in bronzo, gettati nelle acque di fiumi, laghi e sorgenti.

E probabile che le cerimonie connesse a questo rito fossero celebrate dalla stessa aristocrazia, i cui maschi adulti erano seppelliti con la spada. Tali cerimonie si configurano, verosimilmente, come manifestazioni legate al mondo del sacro, alle quali potrebbero essere tuttavia sottese anche motivazioni di ordine sociale e politico.

Nel caso del recente ritrovamento di Turbigo, nelle acque del Ticino, è suggestivo ricordare che, ancora oggi, poco a sud del luogo della scoperta, un ponte è attraversato tutti gli anni dalle greggi transumanti, provenienti dalle Prealpi Lariane e dirette alla bassa pianura tra Pavia e Vercelli. In altri termini, non può essere esclusa una relazione tra il punto in cui avveniva il sacrificio e l’esistenza di ponti, guadi o linee di confine, nonché la possibile relazione con attività economiche come lo spostamento delle greggi, già praticato nell’età del Bronzo.

Altre spade provengono da Veduggio con Colzano (MB), località Cariggi, da Oggiono (LC), dal letto del fiume Adda presso Cassano d’Adda, dal letto del fiume Mera, all’uscita del Lago di Mezzola (Gera Lario, Olonio-CO).

…prendete lamia buona spada Excalibure portatela alle rive del laga: vi ordino di gettarla nell’acqua e di tornare poi a dirmi cosa avete visto…(Re Artù al cavaliere Sir Bedivere; da Thomas Malory, La morte d Arta, libro XXI, capitolo V)

INFO UTILI

La mostra è sostenuta da Fondazione Cariplo e dalla Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate.
L’ingresso alla mostra è libero
Aperture: sabato, domenica e festivi – 10:00-12:30 | 15:00-19:00
Chiusure: 25 dicembre, 1 gennaio
Informazioni: Ufficio Cultura 0331 471575/578

IL PIEMONTE ROMANO DI SANDRO CARANZANO.

Il Piemonte Romano: Tra Tribù Celtiche e Dominio Romano

Il popolamento delle area subalpina occidentale prima della dominazione di Roma è avvolto da un velo di incertezza a causa della limitata documentazione . Celti e Liguri, spesso descritti come Celto-liguri a causa della fusione delle etnie , popolavano la regione. Tribù come i Salassi, i Taurini, i Bagienni, e gli Epanteri Montani occupavano aree con confini definiti , ma non svilupparono strutture istituzionali stabili, limitandosi a difendere il territorio.

Statuetta in bronzo da Industria

La conquista romana, più tarda rispetto ad altre regioni settentrionali, iniziò nel II secolo a.C. con interventi settoriali. La resistenza indigena fu repressa violentemente nel sangue , specialmente nel Piemonte meridionale e in Liguria. Un primo inseduamento della potenza romana iniziò tra i fiumi Po, Tanaro e Stura, con Pollentia come possibile primo insediamento nel II secolo a.C.

Nel 125 a.C., Marco Fulvio Fiacco favorì l’insediamento di coloni centro-italici, contribuendo alla crescita di Dertona (Tortona). Nel II secolo a.C., importanti realizzazioni viarie e colonie come Eporedia (Ivrea) e Dertona emersero come centri , ma l’urbanizzazione fu graduale.

La svolta avvenne nell’89 a.C. con la Lex Pompeia de Transpadanis e la Lex Plautia Papiria, estendendo il diritto latino di cittadinanza alle comunità italiche. Nel I secolo a.C., Roma consolidò la presenza nel Piemonte, fondando colonie come Augusta Taurinorum (Torino) e Augusta Praetoria (Aosta). Nel 49 a.C., le colonie latine divennero municipi, garantendo la cittadinanza romana a tutti gli abitanti.

Nel 42 a.C., la Gallia Cisalpina ottiene di essere integrata nell’Italia romana. Augusto estese pertanto il regime municipale all’Italia settentrionale, incluso il Piemonte. Le Alpi occidentali furono suddivise in distretti militari, con il Piemonte non montano incluso nelle Regiones XI e IX per il nord e sud del Po, rispettivamente.

PIEMONTE ROMANO: IL LIBRO DI SANDRO CARANZANO

Piemonte romano. Una storia lunga quasi mille anni: la romanizzazione del Piemonte fu un fenomeno di grande portata, iniziato con la conquista della porzione più occidentale della pianura padana, a partire dalla metà del II secolo a.C., e concluso, ai fini di questo libro, soltanto nel tardoantico, con l’età di Costantino, l’avvento del Cristianesimo e il fruttuoso esperimento di convivenza romano-gotica. Un trapasso epocale che, dopo le perturbazioni iniziali tra i colonizzatori e le popolazioni celto-liguri stanziate sul territorio, diede vita a una nuova e originale civiltà, frutto della fusione tra gli indigeni e i nuovi arrivati.

Aqui terme resti dell ‘acquedotto
Area archeologica di Libarna con il suo anfiteatro

Il Piemonte in età tardorepubblicana e la discesa di Annibale; la fondazione delle città (Tortona, Acqui, Vercelli, Ivrea, Libarna, Industria, Alba, Pollenzo, Chieri e poi, in epoca augustea, Susa, Torino, Bene Vagienna, Asti, Novara…) e il significato degli impianti urbani; il reticolo delle strade romane nella regione; le suddivisioni del territorio: sono solo alcuni degli argomenti di una trattazione appassionante, divulgativa ma rigorosa e documentata, che informa il lettore sulle più recenti indagini archeologiche, seguendo l’ordine cronologico degli eventi e combinando l’inquadramento storico con le puntuali descrizioni dei siti della romanità in Piemonte.

Piemonte romano. Con un ricco apparato iconografico e cartografico, schede e approfondimenti artistici, storici e culturali sulla civiltà romano-piemontese, un glossario e un elenco dei musei e delle aree archeologiche visitabili nella regione.

In 160 pagine e 180 immagini, tutto il Piemonte nell’età romana.

Mura romane di Vercelli

PIEMONTE ROMANO, L’INDICE:

✦ LE ORIGINI DEL PIEMONTE ROMANO

  • La discesa di Annibale.
  • Lingua e transizione celtica.
  • Iulia Dertona (Tortona).
  • Aquae Statiellae (Acqui Terme).
  • Le vie romane.
  • Vercellae (Vercelli).
  • Roma e le vie d’acqua.
  • Eporedia (Ivrea).
  • Centuriare il territorio.
  • Le aurifodinae gallo-romane.
  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia III, 46-47.
  • Strabone, Geografia, V, 11-12.
  • Libarna (Serravalle Scrivia).
  • I culti topici.
  • Industria.
  • Il culto degli Dei egizi.
  • Alba Pompeia (Alba).
  • Pollentia (Pollenzo).
  • Economia del Piemonte romano.
  • Vici, fora e conciliabula.
  • Forum Vibii Caburrum (Cavour).
  • Carreum Potentia (Chieri).

✦ AUGUSTO E UN NUOVO ASSETTO

  • Segusio (Susa).
  • La cultura del vino.
  • Augusta Taurinorum (Torino).
  • La tradizione augurale e la città.
  • Gli acquedotti romani.
  • Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna).
  • Necropoli e riti funerari.
  • Le magistrature.
  • Hasta (Asti).
  • La quadragesima Galliarum.
  • Novaria (Novara).
  • Il tesoro di Marengo.
  • Gli insediamenti rustici.
  • La produzione ceramica.
  • I luoghi della romanità in Piemonte.

✦ IL TARDOANTICO: UN MONDO NUOVO

  • La cristianizzazione.
  • La discesa di Costantino.
  • Destrutturazione e nuovi assetti.
  • La memoria di san Secondo a Torino.
  • Diatreta Trivulzio.
  • I martiri tebei.
  • Il complesso episcopale di Torino.
  • Il Tractus Italiae e le chiuse.
  • L’esperimento romano-goto.
  • I sermoni di san Massimo.

✦ Glossario dei termini non esplicitati nel corpo del testo.

✦ Bibliografia essenziale.

✦ Elenco dei musei con materiale romano e barbarico in Piemonte.

Particolare di busto bronzeo di principe della dinastia Giulio Clau

L’AUTORE:

Sandro Caranzano si è formato presso la scuola archeologica torinese e ha svolto studi e ricerche sulla preistoria alpina e sulla civiltà romana provinciale. Autore di articoli scientifici e divulgativi e con una lunga esperienza di docenza, ha condotto ricerche in Giordania per l’Università di Torino (G. Gullini) e ha collaborato allo studio e alla pubblicazione dei siti archeologici di Chiomonte La Maddalena e di Viverone promossi dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Dal 2014 dirige con N. Ceka la missione archeologica italiana presso la cittadella ellenistica di Selca (Albania). Per Edizioni del Capricorno ha pubblicato Gli antichi popoli del Piemonte.

LINK: https://www.quotidianopiemontese.it/2023/12/27/piemonte-romano-sandro-caranzano-racconta-una-storia-lunga-mille-anni/

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TUTTA L ‘ARCHEOLOGIA DEL PIEMONTE MINUTO PER MINUTO

http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/en/quaderni-della-soprintendenza-archeologica-del-piemonte

http://www.sabap-to.beniculturali.it/index.php/attivita/editoria/13-editoria/140-quaderni-5

http://ambientecultura.it/territorio/piemonte/

RIAPRE AL PUBBLICO L’AREA MEGALITICA DI AOSTA.

L’Area megalitica di Aosta, tra le più affascinanti e ricche zone megalitiche d’Europa, riapre al pubblico dopo un significativo intervento di rinnovamento e riorganizzazione dal punto di vista museale e museografico, con una durata superiore a un anno. Questo tesoro archeologico si distingue per vari motivi: l’antichità dei reperti risalenti al 4200 a.C., la conservazione sul luogo del ritrovamento, il progetto architettonico all’avanguardia del museo e le installazioni tecnologicamente avanzate.

“L’Area megalitica di Aosta rappresenta un sito la cui importanza storico-archeologica è senza dubbio proporzionata agli sforzi considerevoli compiuti nel corso degli anni da diverse figure professionali per esplorarlo, analizzarlo, proteggerlo, valorizzarlo e renderlo accessibile,” dichiara Cristina de La Pierre, Soprintendente per i beni e le attività culturali. Una vasta area di quasi un ettaro custodisce circa seimila anni di storia, emersi dall’oscurità dal 1969 ad oggi. Si susseguono antichi riti fondativi, tumuli funerari, dolmen e stele di pietra dal profilo umano, insieme a tracce dell’epoca romana e altomedievale. L’Area megalitica offre un’esperienza fisica nel passato, un viaggio per comprendere le origini e la complessità della storia umana, accompagnato dalle note leggere del Maestro Giovanni Sollima, autore dell’identità musicale del sito.

Un nuovo ingresso del museo accoglie i visitatori con tre monoliti di ferro colorato, eretti come vessilli sopra la pensilina che preserva l’entrata. Il percorso inizia con un’immagine simbolica: la Rampa del Tempo, un corridoio discendente che consente di viaggiare all’indietro nel tempo per 6mila anni, a una profondità di sei metri. Qui, una sequenza di date si svela, dal presente fino agli ultimi secoli del V millennio a.C. Dopo il conto alla rovescia, la vista si apre sull’area coperta, una vasta “navata” che custodisce le strutture preistoriche datate dalla fine del Neolitico all’età del Bronzo Antico. Il risultato di uno scavo iniziato nel 1969, che ha portato alla luce testimonianze intatte di un passato ancora avvolto nel mistero. Dettagli come il dolmen al centro, le arature rituali, i pozzi, le buche di palo e il tumulo funerario emergono lentamente come geometrie di un disegno generale, grazie a un gioco di luci che simula il sorgere e il tramontare del sole, proiettando le ombre dei reperti.

Inizialmente allineate a pali lignei, le oltre 40 stele antropomorfe rappresentano la prima espressione del megalitismo nel sito di Saint-Martin-de-Corléans. Monumenti celebrativi dedicati al culto di guerrieri, eroi o divinità, esse testimoniano non solo aspetti rituali o religiosi, ma anche una forma d’arte. Le più antiche presentano tratti essenziali, mentre le più avanzate mostrano una raffigurazione dettagliata di parti del corpo, abiti, ornamenti e armi. La funzione funeraria pervade, in epoche diverse, l’intero sito con monumenti costruiti con grandi pietre, i megaliti, tra cui spicca un imponente dolmen a piattaforma triangolare. Sepolture di varie tipologie includono ciste, dolmen semplici, dolmen a corridoio e tombe con fossa circondata da un massiccio muro. Una scoperta recente riguarda orme umane risalenti al 2200 a.C., le più antiche della regione, fornendo preziose informazioni su chi abitava e coltivava quella terra. Rimaste impresse su terreni arati, sono conservate grazie al terreno argilloso e agli strati protettivi di detriti e terreno di esondazioni.

Al piano superiore, l’attenzione si sposta sull’epoca romana, simulando un viaggio lungo la Via delle Gallie per raggiungere l’antica Augusta Prætoria, esplorando il territorio extra-urbano. Numerose evidenze archeologiche si riferiscono ad attività insediative e funerarie di epoca romana a Saint-Martin-de-Corléans. La sezione dedica spazio agli insediamenti rustici e alla vita quotidiana, mentre un’altra mette in luce le necropoli sotto la chiesa parrocchiale di Saint-Martin-de-Corléans. Le tombe presentano corredi particolarmente ricchi, testimonianza dell’opulenza degli abitanti. Dopo l’epoca romana, l’edificio rustico diventò un’area agricola, ma la strada identificata sotto l’attuale corso Saint-Martin-de-Corléans fu mantenuta in funzione, arricchita in epoca altomedievale da un possente muraglione e un nuovo fondo viario. Durante questo periodo, fu eretta la chiesa dedicata a San Martino di Tours, menzionata per la prima volta in una bolla papale del 1176. “La magnificenza e la ricchezza di un sito come l’Area megalitica rendono Aosta una capitale del megalitismo europeo,” afferma Jean-Pierre Guichardaz, Assessore regionale per i Beni e le attività culturali. “Con l’apertura di questo sito, allestito secondo standard decisamente elevati, la nostra offerta culturale regionale si arricchisce di un gioiello di risonanza internazionale, valorizzando il patrimonio archeologico cittadino e consolidando l’identità storico-culturale di un territorio alpino di confine, da sempre crocevia di incontri, scambi e contaminazioni culturali.”

Fonte: avvenire.it

A poca distanza :

IL GUERRIERO CELTICO DI AOSTA

da Aostasera.it

In attesa di poterlo vedere dal vivo, nel sito che verrà realizzato nell’ambito dei lavori di ampliamento dell’Ospedale Parini di Aosta, il guerriero celtico svela ulteriori dettagli su se stesso. A snocciolare le ultime scoperte è stato l’Assessore regionale ai Beni culturali, rispondendo ad un’iniziativa della Lega VdA.

Il viaggiatore del Nord | trailer (HD)

Le molte analisi scientifiche effettuate da diversi specialisti hanno permesso di scoprire come lo scheletro, conservato presso il laboratorio di restauro della Soprintendenza, appartenga ad un uomo adulto, morto all’età di circa 30/40 anni per cause naturali, alto circa 1.74 m e di costituzione robusta. “Il viaggiatore”, come è stato soprannominato, soffriva di artrosi vertebrale, soprattutto lombare, e di un disallineamento della colonna vertebrale con rotazione verso l’esterno. Le analisi al Carbonio 14 riportano una data calibrata al 627 a.C.

Le analisi archeobotaniche e polliniche sui sedimenti di terreno raccolte all’interno della camera funeraria intorno al corpo hanno permesso agli studiosi di ricostruire  l’ambiente nel quale l’uomo ha vissuto, caratterizzato dalla presenza di boschi di betulacee (betulle e ontani), di pini silvestri e querce e di coltivazioni di cereali (farro). “Nel terreno vicino alla mano sinistra è stato individuato l’unico campione di polline appartenente alla famiglia delle Liliacee”.

I resti del guerriero

La dieta dell’uomo era ad alto contenuto proteico, come ricostruito attraverso le analisi degli isotopi dello Stronzio radioattivo (87Sr / 86Sr). Si nutriva in particolare di carne, latte e derivati. “Le concentrazioni di metalli bio-essenziali sono compatibili con valori di individui sani moderni e, al contrario, non sono state riscontrate alterazioni da elementi tossici (piombo e mercurio).” Non è stata trovata dagli studiosi nessuna traccia, inoltre, di carie o tartaro nella dentatura. 

Altri elementi forniti dalle analisi chimiche sullo Stronzio riguardano il fatto che l’individuo si è spostato dal luogo dove è nato a un altro luogo in un’età compresa tra i 7 e i 16 anni. Dopo i 16 anni è arrivato ad Aosta, dove è morto. “Tuttavia la mancanza di valori di riferimento dei rapporti isotopici dello Stronzio nell’areale di Aosta non permette di indicare se sia nato ad Aosta, in una località vicina o in una località distante”.

L’analisi del Dna antico, tutt’ora in corso, ha per ora permesso di ipotizzare l’appartenenza del guerriero celtico “all’aplogruppo mitocondriale H5d” e una corrispondenza del suo Dna per linea materna con un individuo sepolto nel sito di Kleinaitingen-Gewerbegebiet Nord, in Germania.

Il guerriero celtico in futuro potrà essere ammirato nel sito archeologico che verrà realizzato all’interno dell’Ospedale, di cui la Soprintendenza ha già approvato, in via preliminare, una bozza di progetto. Lo scheletro, in particolare, sarà ricollocato  all’interno della sua tomba nel tumulo. “Deve restare, e resterà, là dove è stato pensato e costruito quasi 2650 anni fa – ha ribadito in aula l’Assessore Guichardaz –  e sarà valorizzato all’interno del nuovo Ospedale

Altri link: https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/archeoastronomia/il-guerriero-celtico-di-aosta/

https://www.valsesianotizie.it/2023/11/20/leggi-notizia/argomenti/costume-e-societa-1/articolo/area-megalitica-apre-il-nuovo-parco-archeologico-di-aosta-1.html