( http://www.liguriarcheologica.it/) è un bellissimo sito ricco di informazioni , collegamenti , documenti e risorse divise secondo le province della Liguria . Quindi una vera e propria fotografia ” archeologica” di un territorio straordinario popolato fin dalla più remota antichità. La documentazione è ricchissima.( Mi perdonino gli autori se mi permetto di suggerire di estendere l’area di studio non solo al territorio dell’attuale Liguria ma a tutto il territorio ligure antico che comprendeva come noto una area più estesa com il Piemonte Meridionale, la Lunigiana , l Emilia appenninica e parte della Provenza.
Vi lascio alla descrizione del sito da parte dell’autore:
Il progetto “LiguriArcheologica” non vuole sostituire assolutamente guide, libri o siti web specialistici, che è possibile continuare a consultare e leggere da parte dell’appassionato di archeologia, ma dare solo un piccolo contributo, a chi ne fosse interessato, per allargare la platea di coloro che non sono ancora riusciti a conoscere ed apprezzare pienamente i molti tesori della Liguria archeologica.
MICHEL TARPIN “LA PENETRAZIONE DEI ROMANI SULLE ALPI PRIMA DI AUGUSTO”
Fin dal libro di Oberziner, più di un secolo fa,1 la conquista delle Alpi da parte di Roma è stata oggetto di discussioni attorno alla natura dell’imperialismo romano. Nella storiografia, la conquista delle Alpi rimane maggiormente, quando non esclusivamente, opera di Augusto,2 che avrebbe avuto un piano d’insieme nel quadro di una sorta di ‘grand strategy’ di controllo dell’Europa e, per necessaria conseguenza, delle sue vie di comunicazione. La conquista delle Alpi avrebbe avuto come unico – o almeno principale – scopo l’apertura di strade tra l’Italia romanizzata e la Gallia / Germania, così come l’organizzazione dello spazio conquistato nel quadro di un sistema provinciale irrigidito dal Principe.3 Ciononostante, le sue possibili motivazioni non sono al centro di questa comunicazione. Vorrei, al contrario, sottolineare l’importanza delle Alpi prima di Augusto ed approfittare dell’evoluzione recente dell’archeologia per capire il rapporto dei Romani della Repubblica con la catena alpina e i suoi abitanti. Come ben rilevato da S. Martin Kilcher, la nostra visione della ‘romanizzazione’ delle Alpi dipende in modo eccessivo dalla letteratura e dalla propaganda augustea.4 Si sa da tempo che il commercio transalpino era già molto attivo nella prima età del ferro, come dimostrano diverse e a volte spettacolari scoperte, come i grandi vasi di bronzo di Vix o Grächwill, ma anche i graffiti di Montmorot.5 Lo sviluppo delle ricerche sulle «agglomérations ouvertes» della seconda età del ferro ha confermato il vigore del traffico commerciale tra l’Europa del Nord e l’Italia.6 Il ritiro dei ghiacciai e l’archeologia recente hanno messo in luce il ruolo di passi finora giudicati minori.7 Inoltre, i Romani sapevano perfettamente che diversi popoli avevano attraversato le Alpi in massa. Rimane inoltre possibile che diverse città latine abbiano fatto riscorso a mercenari Galli durante il IV sec. a.C.8 Attraverso scambi e migrazioni i Romani avevano probabilmente appreso almeno qualche elemento di geografia e di economia alpina. L’evoluzione rapida dell’archeologia alpina ci permette di riconsiderare
le fonti scritte utilizzate da Oberziner in un senso differente da quello che avevo seguito anch’io anni fa.9 Insomma, se rimane chiara l’esistenza di un discorso letterario convenzionale e ostile alle Alpi,10 è ora possibile esaminare le fonti scritte con un approccio più storico che letterario, integrando la recente interpretazione politica delle banalità sull’insuperabilità della catena alpina.11 Le fonti geografiche, a guardarle bene, ci trasmettono una visione particolare delle Alpi, piuttosto differente dalla vulgata augustea, anche quando gli autori ripetono questa propaganda. È particolarmente il caso di Strabone, che sembra accettare i discorsi del casus belli augusteo, ma ricorre a fonti repubblicane di buona qualità. Logicamente le Alpi sono descritte alla fine del libro IV (Gallia), prima del libro V (Italia). A seconda delle fonti utilizzate, il geografo riesce a unire l’osservazione critica, abbastanza precisa di Posidonio, e l’ideologia augustea.12 Le Alpi hanno uno spessore soprattuto etnologico, arricchito a volte di dettagli economici, ma un’ampiezza fisica precisa soltanto a proposito della strada attraverso il territorio dei Voconzii e il regno di Cozio, ossia esattamente 200 stadi.13 Però il geografo ricorda anche, seguendo Polibio, che ci volevano almeno cinque giorni per arrivare in cima (= ai passi).14 Non tralascia di indicare le città di fondazione indigena, tutte πόλεις, o le strade più importanti. Ma l’elemento più significativo rimane il fatto che, dopo aver detto che la catena alpina era il limite tra Gallia e Italia, Strabone dà una vera consistenza alle Alpi, perché descrivendo la catena da ovest a est, va dal versante gallico al versante italico, per concludere sui popoli stanziati sulle cime, dando corpo al discorso di Polibio sull’identità etnico-linguistica dei due versanti.15 Passa poi ai popoli che si trovano ‘sopra’ Como. Però, questa volta, non ci sono due versanti, ma uno solo, quello dell’Italia. Inoltre parla delle strade alpine soprattuto a proposito di Como e dei popoli che inquadrano la città.16 Como, per lui, è un punto di rottura nella descrizione della catena. Strabone, scrivendo al tempo di Tiberio e conoscendo l’importanza delle guerre augustee, ignora pure l’elenco dei popoli e sotto-popoli del trofeo della Turbie, o perché non lo conoscesse o perché ne diffidasse. Da Mela non ci si deve aspettare nulla. Non dice niente se non che le Alpi sono il limite di diverse regioni.17 Plinio, come al solito, descrive prima il litorale e poi l’interno delle singole regioni augustee, ripetendo a volte gli stessi nomi (fig. 1). Non c’è un capitolo alpino specifico.18 Per la Liguria, alla quale manca Veleia, troviamo due volte i Bagienni e Statielli: sotto il nome delle loro città e in un capitolo a parte dedicato ai popoli della Liguria meridionale (tra Marsiglia e Veleia).19 A nord, le città della regio XI, Transpadana, sono tutte associate a un nome di popolo secondo un raggruppamento etnico, come si vede bene dal fatto che Bergamo, ad est dell’Adda, è associata a Comum e Forum Licinii, le altre città degli Oromobii. La fonte di questo discorso etnico potrebbe essere Catone, citato appunto a proposito degli Oromobii (III, 17, 124). Plinio
ricorre a formule anomale per i Galli come «Boii condidere, Insubres condidere» che ricordano l’interesse del censore per le origini delle città. Logicamente, anche se è assurdo, Eporedia, che non è registrata come colonia, è «a populo Romano condita», mentre la colonia di Augusta Praetoria è una città dei Salassi… L’associazione tra popoli indigeni e città – sempre con un riferimento a Catone – si presenta in modo differente per la Venezia. L’elenco delle città costiere segue l’uso normale, senza indicazioni di tipo etnico. Per l’interno, invece, Plinio ritorna alla procedura della Transpadana, raggruppando le città per popoli, ma senza mai ricorrere a condere.20 Fa la distinzione tra colonie di fondazione romana (Cremona, Aquileia, Iulia Concordia,21 Tergeste e Pola), senza indicazione, e città come Brixia e Ateste, legate a popoli indigeni. Questa differenza è interessante perché potrebbe testimoniare l’esistenza di un elenco urbano-etnico, redatto prima della formazione delle colonie di Brixia e Ateste, e che Plinio avrebbe incrociato con la lista augustea. Il panorama delle Alpi è ancora più sconcertante e Plinio non riesce a raggruppare la catena in un capitolo unico. Sembra ignorare l’esistenza delle province alpine. Le Alpi si dividono in due parti. Ad est, nel Noricum, dopo la conclusione sull’Italia, «diis sacra»,22 s’incontrano delle città vere, elencate in ordine quasi circolare, da Celeia a Flavia Solva.23 Sono tutte delle fondazioni imperiali, soprattutto di Claudio. Il resto delle Alpi è maggiormente integrato all’Italia (III, 20, 133-138) e ci ritroviamo i Salassi, ma senza Aosta questa volta.24 Gli Octodurenses e i Ceutroni sono stranamente di statuto latino, perché Plinio sembra ignorare i due fora creati da Claudio nelle loro valli. In un altro capitolo, dedicato alla Narbonensis, Plinio, dopo la lista delle regiones, elenca diversi nomi di popoli alpini al nominativo, come se fosse passato da una lista ufficiale dell’amministrazione romana ad una fonte di tipo etnologico, il che potrebbe corrispondere a un momento in cui questi popoli non erano ancora sottomessi.25 Claudio Tolomeo è ovviamente più sistematico (fig. 2). La maggior parte delle città è situata sulle grandi strade, in accordo con la Tabula Peutingeriana. Le città sono ordinate in province e poi in comunità etniche. Il confine dell’Italia è a volte indicato, ad esempio a Iulium Carnicum, limite tra Italia e Noricum.26 Ma, nel libro III, 1, 26-43, per l’Italia settentrionale e l’Istria, la lista è ordinata per popoli. Come Plinio, Tolomeo ha conservato il nome Octodurus (Ἐκτόδουρον) per Forum Claudii Vallensium (II, 12, 5). La scelta etnologica può essere spiegata dal fatto che Tolomeo, come Plinio e Strabone, si serve anche di fonti invecchiate. Però hanno tutti e tre anche delle fonti ufficiali recenti. Secondo l’ipotesi del Van Berchem, il facchinaggio a pagamento riduceva le strade ai nomi dei popoli che ci vivevano.27 Questi tre autori danno poche indicazioni sul limite delle Alpi e sui confini. Plinio, in particolare, integrava i Salassi, gli Oromobii, una parte dei Reti e i Tarvisani nella descrizione dell’Italia. Tolomeo integra nel capitolo III, 1, corrispondente all’Italia, la parte ligure delle Alpi meridionali, da Nizza a Genova, e poi le città delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie (sola Ocelum) e delle Alpes Graiae….
Cisalpina ed Alpi secondo Plinio
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Quando parliamo dei popoli antichi che hanno abitato la regione Padana ed Alpina ,quella che sarà chiamata poi dai Romani Gallia Cisalpina , dobbiamo ovviamente pensare ad un vero e proprio mosaico di tante diverse popolazioni . Ad esempio, parlando dei Galli essi erano diversamente cugini tra loro . Insubri e Cenomani avevano avuto una diversa etnogenesi solo per fare un esempio.. Altri popoli Celti, i Boi e soprattutto i Senoni erano fortemente fuse con le popolazioni etrusche ed umbre tanto da creare una koinè celto- italica.
Nel Piemonte e sugli Appennini la commistione con Liguri fu ancora più forte. Altre popolazioni come i Camuni e i Triumphilini erano definiti come Euganei e seppur molto affini ai Reti avevamo assorbito anche molti elementi etruschi, celtici e venetici. I Reti sulle Alpi, affini ai Tirreni per lingua, avevano anche loro assorbito molti elementi celtici e venetici così come i Veneti ,affini a loro volta linguisticamente ai Latini. Nel video che qui segue il vicedirettore del Gruppo Archeologico Comasco ci descrive appunto questo complesso mosaico di popoli e nazioni. Buona visione .
Dopo duemila anni Susa nel 2011 scopre sotto il suo castello i resti del palazzo del Re piu’ antico del Piemonte. No, non era un Savoia. Era Cozio, figlio di Donno. Dal 13 avanti Cristo, per piu’ di una ventina d’anni, fu sovrano delle Alpi che ancora portano il suo nome. Governava quattordici tribu’ celtiche, controllava i passi Alpini e ne riscuoteva il pedaggio. La sua epopea ritrova attualita’ grazie a cinque anni di scavi archeologici, appena conclusi dalla Soprintendenza guidata da Egle Micheletto. Con il sostegno di Stato, Provincia e Comune di Susa, l’archeologo Federico Barello dal 2005 ha indagato i sotterranei e le pertinenze del castello segusino. Ha scoperto che le sue cantine voltate sono antichi ambienti romani, fondati sulla roccia. Con robusti pilastri sostenevano stanze in cui sono emersi resti di pavimenti a mosaico.
«Facevano parte del Palazzo di Cozio» assicura Barello. «Era un complesso di almeno 3500 metri quadri, su piu’ piani. Dominava la strada che conduce al Monginevro. Vi si accedeva dalla scalinata monumentale rinvenuta negli anni Trenta del Novecento dall’archeologo Carlo Carducci. Al piano terra vi erano magazzini e servizi, a quello superiore gli appartamenti. L’impianto fu modificato nel quarto secolo dopo Cristo, per trasformarlo in fortezza». E’ una storia che verra’ raccontata al grande pubblico la prossima primavera, con una mostra curata dal Comune. Parlera’ della dimora di un personaggio che seppe mediare fra cultura celtica e quella romana. «Gli storici Strabone e Damiano Marcellino – spiega Barello – narrano che quando Cozio vide arrivare le legioni di Cesare Ottaviano Augusto non solo seppe farsi rispettare, ma divenne in seguito sincero amico del futuro imperatore, tanto da dedicargli l’arco di trionfo che dall’anno 9 avanti Cristo tutt’ora lo celebra. Augusto lo ricambio’. Ne fece il suo prefetto. Lo associo’ persino alla propria famiglia, la «gens Giulia», con il nome di Marco Giulio Cozio». Fu un’alleanza che trasformo’ il villaggio originario di Cozio. Da borgo di capanne divenne la sua capitale: Segusio. In vetta al colle che la sovrasta sorse la reggia. Nel foro, l’odierna piazza Savoia, fu eretto il tempio che celebrava la divinita’ dell’amico Augusto. Nella citta’ furono profusi i bianchi marmi che Cozio estraeva dalle cave di Foresto e Chianocco. Susa divenne patria di una dinastia locale, ma molto intraprendente, che ebbe discendenza fino al tempo di Nerone. «I figli di Cozio, Donno II e Cozio minore – ricorda Barello – ebbero interessi anche a Torino. Furono loro a finanziare la costruzione del teatro romano della citta’. Al padre defunto, verso il 13 dopo Cristo, offrirono una tomba monumentale, rintracciata a Susa nel giardino di casa Ramella, in piazza Savoia. Qui nel 1904 venne alla luce l’urna funebre del Re, oggi custodita dal museo civico». Nei pressi gli archeologi trovarono anche una testa di bronzo, oggi proprieta’ del Metropolitan Museum di New York. Raffigura un uomo con collo taurino, mascella squadrata, naso dritto, sotto uno sguardo fiero. «All’atto del ritrovamento – ricorda Barello – si disse che rappresentava Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto e fondatore del Pantheon di Roma. Fu lui che medio’ l’alleanza fra Ottaviano e Cozio. Ma uno studioso tedesco, Dietricht Boschung, oggi nega che sia Agrippa». Chi sarebbe? «Un personaggio importante di Segusio». Potrebbe essere Cozio? «Non ci e’ pervenuto alcun suo ritratto. Ma e’ certo che quella testa e’ comparsa accanto alla sua tomba».
Autore: Maurizio Lupo
Fonte: La Stampa, Torino, 3 gennaio 2011
Arco di Augusto a SusaAcquedotto tardo romano di SusaPorta Romana a SusaPorta Romana a SusaAcquedotto in primo piano ed arco di Augusto a SusaTesta di Venere -museo diocesano di Susaframmento di statua di auriga epoca romana -Susa museo diocesano
Gli antenati di Donno e Marco Giulio Cozio furono sempre in buoni rapporti con i Romani, è emblematico il caso della “Battaglia di Taurasia” del 218 a.C. che vide i Cartaginesi di Annibale scontrarsi contro i Taurini (originari della Valsusa) ed una guarnigione di militari romani.
Nel 58 a.C. Giulio Cesare passò almeno due volte dalla Valsusa, diretto in Gallia e li fu ospitato in amicizia dal Re Donno I che regnava su 14 tribù galliche fra Piemonte e Provenza.
Il figlio Marco Giulio Cozio I proseguì sulla linea diplomatica del padre migliorando i rapporti con Roma, trattando con le tribù ribelli e portandole a più miti consigli. Per questo rapporto di lealtà Augusto lo nominò prefetto permettendogli di mantenere il controllo sul territorio e le sue tribù: de facto Cozio I ed i suoi successori rimasero i monarchi regnanti fino all’estinzione (per cause naturali) della prodiga dinastia, avvenuta nel 64 d.C.
Risolte le controversie con le tribù ribelli, Cozio I fece terminare la Via Domizia (costruita dal 121 al 117 a C.) nel tratto mancante da Susa a Torino.
Quando venne costruita la Colonia di Augusta Taurinorum si occupò di finanziare la costruzione del Teatro e del Foro.
Re Cozio I per la sua saggezza e lungimiranza venne venerato come una sorta di divinità e la sua tomba fu oggetto di Culto fino al IV secolo d.C. I governatori Romani intitolarono in suo onore la prefettura su cui lui ed i suoi successori avevano regnato: Praefectura Alpis Cottiarum.
Il caso di Donno I, del figlio Cozio I e dei loro successori rappresenta un unicum nella storia della romanizzazione, per lo più segnata da repressione e spargimento di sangue.
La storia di Marco Giulio Cozio I
Marco Giulio Cozio nacque nell’oppida di Segusium nel 60 a.C. Fin da bambino familiarizzò con i funzionari e militari romani amici di suo padre Re Donno I che frequentavano il palazzo. Soprattutto divenne amico con i figli di questi dignitari romani suoi coetanei.
Nel 58 a.C. ospitò con tutti gli onori il Generale Caio Giulio Cesare diretto in Gallia per avviare e guidare la celebre Guerra di Gallia per scopi imperialisti. I Taurini erano abituati a vedere passare le legioni romane fin dal III secolo a.C. ma esistevano ancora alcune tribù come quella dei graioceli che mal sopportavano la loro presenza e disturbavano i soldati romani a scopo dimostrativo. Donno I fece chiamare i capi dei briganti ed impose loro una condotta non ostile verso Roma, pena la loro condanna a morte e l’esilio degli abitanti dai loro villaggi. La responsabilità che i sovrani valsegusini ebbero verso il loro popolo fu elevata: quattordici tribù fra i versanti alpini di Italia e Francia da gestire quali:
Segovii: capoluogo Goesao (Cesana Torinese)
Segusini: capoluogo Segusio (Susa)
Belaci: capoluogo Bedalarius (Beulard)
Caturigi: capoluogo Caturigomagus (Chorges)
Medulli: capoluogo Mansio ad Mutatio (Modane)
Tebavi: capoluogo non noto. (Val d’Ubaye)
Adanati: Capoluogo Adana (St. Michel de la Maurienne)
Savincati: capoluogo Savingomagus (Savine le Lac)
Ectinii: capoluogo non
noto (Val Tinee)
Veamini: Brigantio (Briancon)
Venisani: Capoluogo non noto (Valle dell’Arc)
Imerii: Ocelum (Usseaux)
Vesubiani: capoluogo non noto (Val Vesubie)
Quadiati: capoluogo non noto (Val Queyras)
Diversamente dal padre, Cozio I visse durante il periodo della Pax Augustea e poté amministrare con serenità, saggezza e lungimiranza il territorio ed i popoli di cui era a capo come prefetto di nomina e come monarca di fatto.
Albintimilium fu in un primo tempo la capitale dei Liguri Intemeli e per questo era conosciuta con il nome di Albium Intemelium.
La vicinanza con le colonie greche sulla costa meridionale della Francia fu insidiosa per i Liguri, popolazione comunque molto bellicosa, che respinse ogni tentativo di conquista della propria zona, mantenendo l’indipendenza, a danno in particolare delle mire espansionistiche di Marsiglia.
Albium Intemelium entrò in contatto con Roma in modo ostile, ma dal II secolo a.C. si inserì progressivamente nell’orbita romana. Divenne municipium nell’89 a.C. e poi nel 49 a.C. fu concessa la cittadinanza romana, e la città fu direttamente coinvolta in alcuni disordini associati alla guerra civile tra Cesare e Pompeo, parteggiando per il primo.
Erma di Dioniso e di Menade ritrovate nei pressi del teatro
I monumenti rimasti testimoniano in parte la ricchezza raggiunta dalla città, che in età augustea cambiò il nome in Albintimilium, avvantaggiata nei commerci dal passaggio della via Aurelia. Subì un grave saccheggio nel 69 d.C., ma si riprese in fretta, e continuò a essere un centro vitale fino al IV-V secolo, quando fu coinvolta dalle invasioni barbariche e si spopolò.
I resti dell’antica Albintimilium sono custoditi all’interno dell’area archeologica in località Nervia. L’area è suddivisa in più zone che ospitano diversi elementi di interesse. Si può ritrovare anche l’abitato protostorico dei liguri che si compone di alcune basi di capanne, ma la maggior parte dei resti sono romani: si distinguono l’area intorno alla cinta muraria romana, di cui rimangono solo delle tracce, con la porta sul lato occidentale della città, la Porta di Provenza (costruita nel I secolo, originariamente aveva tre fornici con torri circolari). Altri monumenti di grande interesse sono le terme e soprattutto il teatro.
Il teatro era collocato nell’area occidentale della città, vicino a una delle strade principali, la via Julia Augusta, che nel tratto urbano veniva a sovrapporsi con il decumano massimo, e poi continuava come strada consolare che collegava Piacenza ad Arles. A nord del teatro si può osservare una parte della strada, con due marciapiedi e la pavimentazione rivestita in pietra di Turbie. Sotto la strada è visibile una parte del sistema di scolo.
L’elemento principale dell’area archeologica è il teatro, che conserva la sua struttura quasi del tutto intatta, di forma semicircolare, mantiene il rivestimento in pietra calcarea bianca detta di Turbie, perché proviene dall’omonima località sopra Monaco. Oltre alla cavea, si vede benissimo l’orchestra e una delle due parodos, con ingresso monumentale ben conservato.
Qui di seguito ( sotto la figura)il link al volume IL TEATRO ROMANO DI ALBINTIMILIUM RESTAURI E RICERCHE
Acqui Terme. Sabato 30 aprile alle ore 16.00, presso la Sala del Consiglio di Palazzo Levi, si torna a parlare di archeologia con la presentazione ufficiale del volume degli Atti del Convegno “I Liguri e Roma- Un popolo tra archeologia e storia” tenutosi ad Acqui Terme tra il 30 maggio e il 01 giugno 2019, e organizzato dal Comune di Acqui Terme tramite il Civico Museo Archeologico insieme alla Soprintendenza SABAPAL e all’Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Studi Storici.
Il volume, veramente imponente, edito da Quasar (428 pagine) a cura di Silvia Giorcelli Bersani enoMarica Venturino, raccoglie integralmente gli interventi presentati in occasioni del Convegno, le comunicazioni inviate e gli estratti del dibattito conclusivo, permettendo la diffusione presso un vasto pubblico delle importanti giornate di studi acquesi.
Liguri e Roma atti del convegno
Per il Civico Museo Archeologico il Convegno, che aveva inaugurato l’importante mostra “Le ceneri degli Statielli. La necropoli dell’età del Ferro di Montabone” (terminata a dicembre 2021), è stato un momento davvero importante; lo ribadisce il Conservatore museale Germano Leporati che ci tiene a sottolineare: “siamo davvero molto orgogliosi di poter presentare qui ad Acqui un volume così importante, che mette in risalto il ruolo del Museo e l’importanza del nostro patrimonio archeologico, ed evidenzia quanto realizzato negli scorsi anni dal punto di vista della ricerca e della divulgazione; aver collaborato con la Soprintendenza e l’Università degli Studi di Torino a questo importante incontro costituisce per l’archeologia acquese e per la città un motivo di orgoglio”.
All’incontro interverranno Egle Micheletto, già Soprintendente per le province di Alessandria, Asti e Cuneo, e le curatrici del volume, Silvia Giorcelli Bersani, Professoressa Ordinaria di Storia Romana presso l’Università degli Studi di Torino, e Marica Venturino, già funzionaria SABAPAL e curatrice della mostra “Le ceneri degli Statielli”, nonché del relativo volume, realizzato da Museo e Soprintendenza e presentato anch’esso presso la Sala Consigliare di Palazzo Levi nel febbraio 2020. ( Da settimanalelancora.it)
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I LIGURI E ROMA UN POPOLO TRA ARCHEOLOGIA E STORIA
Il volume nasce dall’esigenza condivisa di aggiornare, a quarant’anni dall’uscita di Fontes Ligurum et Liguriae antiquae (1976) e a quindici dalla mostra “I Liguri: un antico popolo europeo tra il Mediterraneo e l’Europa” (2005), il quadro delle conoscenze storiche e archeologiche sui Ligures e sul loro rapporto con Roma
A cura di: Silvia Giorcelli Bersani e Marica Venturino (con la collaborazione di Giordana Amabili) Anno edizione: 2021 Collana: Studi e ricerche sulla Gallia Cisalpina, 29 Isbn: 978-88-5491-172-7 Materie: Archeologia Formato: 21,5×28 Pagine: 425
Atti del Convegno Aqui Terme (31 maggio – 1 giugno 2019)
Sommario:
Presentazioni
Luisa Papotti
Gianluca Cuniberti
Lorenzo Lucchini – Germano Leporati
Ricordando Filippo
I sessione: la documentazione archeologica
Filippo Maria Gambari, I Liguri tra Etruschi e Celti: la Liguria interna prima della romanizzazione
Silvia Paltineri, Dinamiche del popolamento ligure dal Bronzo finale alla romanizzazione
Marica Venturino, L’identità nella morte. Le necropoli dei Liguri
Daniele Arobba, Sila Motella De Carlo, I Liguri. Aspetti economici e paleoambientali
Mirella T.A. Robino, I Liguri Statielli tra identità e assimilazione nel mondo romano
II sessione: la discussione storica
Michele Bellomo, L’espansione romana nella seconda metà del III secolo a.C. e il caso delle guerre liguri: tra ‘grande strategia’ e competizione nobiliare
Mattia Balbo, Contare i Ligures: il contesto del trasferimento degli Apuani nel Sannio
Elisabetta Todisco, Per un modello di organizzazione degli agglomerati secondari della regioIX augustea
Michel Tarpin, La sententia Minuciorum: La procedura finanziaria come chiave dell’interpretazione territoriale
Francesco Mongelli, Forme di vita rurale nella Liguria romana di età imperiale
Francesco Rubat Borel, La componente celtica nell’onomastica epicoria dell’epigrafia latina della Regio IX Liguria
Giovanni Mennella, La “Prìa scritta” di Cichero: una cultualità di Iuppiter nel Levante ligure
Andrea Pellizzari, Liguri e Liguria nelle fonti letterarie e scoliastiche tardoantiche
COMUNICAZIONI
Sila Motella De Carlo, Frascaro (AL) – località Cascina Brumosa: dati archeobotanici
Stefano Marchiaro, Note sulla ceramica della seconda età del Ferro di Fossano (CN)
Marina Giaretti, Marica Venturino, Elementi di costume ligure della seconda età del Ferro da Palazzolo Vercellese
Germano Leporati, Reliqua desiderantur. Mancanze e osservazioni preliminari per un riesame del bronzo siracusano di Ierone II di provenienza acquese, nel contesto di Acqui preromana
Alberto Carlevaris, Fra continuità e innovazione. La romanizzazione del Piemonte sud-orientale nel I secolo a.C. e il caso di Forum Fulvii
Furio Ciciliot, Alcuni presunti toponimi romani acquesi in fonti anteriori al 1671
Angela Pola, Importazioni falische in sepolture liguri. I più antichi vasi figurati falisci della necropoli preromana di Genova
Simona Minozzi, Gloria Saccò, La necropoli ligure di Genicciola: nuovi dati bioarcheologici
Ivan Repetto, La via Postumia tra Genova e Libarna. La funzione Least Cost Path di ArcGIS per una ricostruzione dell’antico percorso
Michela Ruffa, Golasecchiani o Liguri? Una comunità composita a Gropello Cairoli (PV)
Annamaria Carini, Borchie in bronzo dell’età del Ferro nel Piacentino: una moda etnica resiliente
James Tirabassi, Nicolò Donati, Claudio Cavazzuti, Alcuni Liguri sulla Pietra di Bismantova alle soglie della romanizzazione: prime analisi dei corredi delle tombe e del profilo biologico dei cremati
Roberto Macellari, Giada Pellegrini, Lucia Romoli, Valentina Uglietti, La signora della pietra: una Ligure alle soglie della conquista romana nel territorio reggiano. Storytelling e story-game ai Musei Civici di Reggio Emilia
Silvia Landi, Emanuela Paribeni, Luca Parodi, Ivo Tiscornia, Ricerche intorno alla necropoli ligure di Pulica (Fosdinovo – MS)
Giulio Ciampoltrini, Paolo Notini, L’insediamento ligure apuano del Monte Pisone (San Romano di Garfagnana, Lu). Nuovi dati (e qualche ipotesi per i Friniates)
Giulia Picchi, La Versilia fra III e II secolo a.C.: Liguri, Etruschi e Romani
“Pietra di Issel o delle coppelle” è stata scoperta nel 1908 da Arturo Issel, ricercatore e studioso nato a Genova nel 1842 . Si trova in località Giutte in Comune di Mele, sopra Acquasanta.
La roccia è ricoperta da qualche centinaio di cavità rotonde di varie dimensioni, chiamate appunto coppelle e da figure geometriche stilizzate, filiformi o a forma di croce, di significato antropomorfo.
Per arrivarci bisogna prendere da Acquasanta la strada in salita che conduce alla frazione di Giutte, dove poco prima dell’ abitato sulla destra salendo, si trova una bacheca in legno della Comunità Montana Argentea.
Da qui si prosegue a piedi lungo una strada sterrata che corre a lato di una grande proprietà recintata, fino ad arrivare alla presa di un acquedotto in un tornante, dove sulla destra si stacca un sentiero che in 5/10 minuti conduce alla pietra (palina in legno con indicazioni).
Come dicevamo prima la roccia è ricoperta di coppelle e croci. Molte sono sicuramente preistoriche, mentre altre sono di epoca medioevale: è difficile stabilirne ad occhio nudo con precisione l’epoca. Spesso infatti vi è una sovrapposizione di epoche . È presente inoltre un tetraedro scavato, con la punta orientata verso nord, con 35 coppelle delimitanti in un’area circolare. Si riconoscono anche affilatoi a polissoir.
Pietra di ISSEL Pietra di ISSEL
Un piediforme ormai appena visibile è di verosimile età preistorica così come alcune delle coppelle di dimensioni medie . La loro fattura e soprattutto le loro condizioni non lasciano dubbi sulla loro antichità. Altre incisioni sono sicuramente più recenti. Tra di esse sulla pietra sono visibili le più piccole incisioni a coppella che abbia mai visto, si tratta di pochi millimetri di diametro.
Un’altra anomalia è un cerchio perfetto di una decina di centimetri di diametro. Per queste incisioni si parla di epoca medioevale o anche più recente, ma visto che la pietra venne ritrovata nel 1908 dal professor Issel e che ne esistono raffigurazioni dell’epoca, non s. Su “Incisioni rupestri e megalitismo in Liguria” di Priuli Ausilio e Pucci Italo (Priuli e Verlucca ed.) leggo che sul luogo si trovava anche una pietra molto simile che venna distrutta purtroppo durante la costruzione di un oleodotto negli anni ’60.
Bibliografia: “Incisioni rupestri e megalitismo in Liguria” di Priuli Ausilio e Pucci Italo (Priuli e Verlucca ed.)
Villa del Foro è un caso-studio esemplare per quanto concerne gli insediamenti a carattere artigianale dell’epoca protostorica del Piemonte meridionale. Il sito si estende per una superficie di circa 60.000 m2. Le indagini archeologiche si sono articolate in prospezioni di superficie e campagne di scavo (1985-1993; 2007-2008), finalizzate anche all’adozione di misure di tutela. Gli scavi hanno confermato il carattere artigianale dell’insediamento, legato in particolare alla produzione di vasellame in ceramica, alla fabbricazione di piccoli oggetti di ornamento e di abbigliamento in bronzo e alla filatura. Dall’analisi dei reperti è apparsa evidente l’interazione tra competenze tecniche e catene operative diverse e caratteristiche di regioni geograficamente e culturalmente differenti.
Si è tenuta il 1 aprile 2022 presso la Sala Conferenze di Palazzo del Monferrato ad Alessandria , la presentazione del volume “Villa del Foro. Un emporio ligure tra Etruschi e Celti” a cura di Marica Venturino e Marina Giaretti.
Insieme al Sindaco della Città di Alessandria, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, e al Presidente della Camera di Commercio di Alessandria-Asti, Gian Paolo Coscia, sono intervenuti l’arch. Lisa Accurti, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo e il prof. Giuseppe Sassatelli, Professore Emerito di Etruscologia e Archeologia Italica dell’Università degli Studi di Bologna.
La pubblicazione di un volume monografico con illustrazione dei risultati degli scavi archeologici effettuati nell’abitato protostorico, nel quadro delle più ampie conoscenze acquisite negli ultimi venti anni sul popolamento antico dell’Alessandrino, era inserita nel progetto finanziato dalla Regione Piemonte: “Dagli Etruschi a Baudolino” e rappresenta il punto di arrivo di un percorso condiviso tra Amministrazione comunale e Soprintendenza.
Il volume raccoglie una serie articolata di contributi che illustrano in dettaglio le indagini archeologiche, i reperti e le analisi condotte su diverse classi di materiali di un centro artigianale e commerciale della media età del Ferro (VI-V secolo a.C.): un emporio fluviale che sfruttava la confluenza del Belbo nel Tanaro, ubicato a non molta distanza dall’area dove poi in età romana sorgerà il municipium romano di Forum Fulvii.
“Molti sono gli elementi che rendono il volume un’opera di particolare pregio – sostiene il Sindaco, Gianfranco Cuttica di Revigliasco -. Desidero innanzitutto esprimere un sincero plauso nei confronti delle due curatrici – Marica Venturino e Marina Giaretti – e, al contempo, della Soprintendenza di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo che, insieme alla nostra Amministrazione, hanno inteso promuovere questo lavoro.
Si tratta in realtà del poderoso quanto affascinante risultato – o, se si preferisce, di una interessante sommatoria di risultati, raccolta in una prospettiva analitica di sintesi veramente coordinata – relativo ad una serie di approfondimenti “sul campo” (ma non solo) che hanno segnato di fatto mezzo secolo di storia delle ricerche su Villa del Foro e sulle sue straordinarie peculiarità archeologiche.
Non vi è dubbio che, in merito all’abitato di Villa del Foro, la presentazione di questa opera testimonia in modo palese la necessità di rilanciare un attento ragionamento di valorizzazione complessiva dell’area: un contesto di grande interesse per le prospettive di ricerca storica e archeologica che vennero avviate anni orsono e che, dopo una lunga quanto “sorprendente” interruzione, oggi siamo tutti chiamati a riprendere per ampliare la conoscenza e la consapevolezza della nostra Comunità locale sia per ciò che riguarda il proprio passato, sia per le opportunità di sviluppo culturale, turistico, paesaggistico, per il presente e per gli anni futuri”.
Secondo il Soprintendente, arch. Lisa Accurti, “la pubblicazione del volume è l’ideale completamento di un percorso ormai quarantennale di tutela, ma anche di ricerca, sviluppato sotto la guida di Marica Venturino – già funzionario archeologo della Soprintendenza – che insieme a Marina Giaretti ha curato il volume.
Tutelare il patrimonio culturale significa in primo luogo conoscerlo e comprenderlo, acquisendo piena consapevolezza del suo irripetibile significato di testimonianza: ciò è tanto più vero per il patrimonio archeologico il cui valore, più che nei singoli manufatti, risiede nel loro insieme e nel “contesto” da cui provengono.
Come questo libro dimostra, solo attraverso uno studio attento e sistematico che sa però essere sagace, quella testimonianza può essere davvero compresa e quindi narrata in modo veritiero e democratico”. da telecitynews24.it
Emanuela Zanda, Maria Cristina Preacco Ancona e Mauro Somà, Nuclei di necropoli di Forum Fulvii e Hasta (PDF), in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, vol. 12, Torino, Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 1994, pp. 127-192. URL consultato il 19 giugno 2016.
Emanuela Zanda, Centurazione e città (PDF), in Liliana Mercando (a cura di), Archeologia in Piemonte. II. L’età romana, vol. 2, Torino, 1998, pp. 49-66. URL consultato il 1º maggio 2019.
Nella Regio IX, corrispondente all’attuale Liguria e Piemonte meridionale (fig. 1), l’occupazione romana si sviluppò attraverso due fasi. Nella prima metà del II secolo a.C. (173a.C.) le campagne condotte dal console Marco Popillio Lenate si conclusero con una vittoria sulla popolazione dei Ligures Statielli. Molti di essi caddero e i restanti furono fatti
prigionieri; la loro capitale Caristo fu completamente rasa al suolo. Tale operazione militare ben si inseriva in quell’ampia politica di espansione di Roma verso l’area padana: l’obiettivo principale, attraverso la gestione e il controllo dei valichi alpini, era lo spostamento del confine della Cisalpina sempre più verso occidente…( PAOLO SAPIENZA)
Un aggiornamento sulle importanti ricerche e studi archeologici degli ultimi vent’anni relativi al territorio della Lomellina e di Vigevano.
Quando: il 18/12/2021 dalle 10:30 alle 12:00
Dove: Museo Archeologico Nazionale di Lomellina in Vigevano – Castello Visconteo – Sforzesco di Vigevano.
Gli Atti raccolgono le ricerche di nove illustri archeologhe e di un Accademico dei Licei su vasti e approfonditi argomenti come le dinamiche del popolamento tra l’età del Bronzo e l’età del Ferro in Lomellina; i centri egemoni di Gropello e Garlasco nella Lomellina dell’età del Ferro; i guerrieri liguri di Garlasco tra età del Bronzo e romanizzazione; la cultura materiale legata ai modi di vita ed ai commerci come emersi dallo scavo di Villa Maria di Gropello; le sorprendenti decorazioni parietali di tipo pompeiano dalla villa romana di Santo Spirito di Gropello Cairoli; la preziosità e l’originalità del vetro romano in Lomellina; le ascendenze colte della coroplastica in Lomellina; i reperti archeologici della necropoli longobarda di Gambolò-Belcreda; infine, il contributo archeologico della Lomellina alle Collezioni Civiche Milanesi.
Tesoretto di Antoniani scoperto nel 1978 a Morsella ora nel museo di Vigevano. Io e mio papà abbiamo partecipato con il gruppo archeologico Milanese alla scoperta