I ROMANI SULLE ALPI IN EPOCA PREROMANA

MICHEL TARPIN “LA PENETRAZIONE DEI ROMANI SULLE ALPI PRIMA DI AUGUSTO”

Fin dal libro di Oberziner, più di un secolo fa,1 la conquista delle Alpi da parte di Roma
è stata oggetto di discussioni attorno alla natura dell’imperialismo romano. Nella storiografia, la conquista delle Alpi rimane maggiormente, quando non esclusivamente, opera di Augusto,2 che avrebbe avuto un piano d’insieme nel quadro di una sorta di ‘grand strategy’ di controllo dell’Europa e, per necessaria conseguenza, delle sue vie di comunicazione. La conquista delle Alpi avrebbe avuto come unico – o almeno principale – scopo l’apertura di strade tra l’Italia romanizzata e la Gallia / Germania, così come l’organizzazione dello spazio conquistato nel quadro di un sistema provinciale irrigidito dal Principe.3 Ciononostante, le sue possibili motivazioni non sono al centro di questa comunicazione. Vorrei, al contrario, sottolineare l’importanza delle Alpi prima di Augusto ed approfittare dell’evoluzione recente dell’archeologia per capire il rapporto dei Romani della Repubblica con la catena alpina e i suoi abitanti. Come ben rilevato da S. Martin Kilcher, la nostra visione della ‘romanizzazione’ delle Alpi dipende in modo eccessivo dalla letteratura e dalla propaganda augustea.4 Si sa da tempo che il commercio transalpino era già molto attivo nella prima età del ferro, come dimostrano diverse e a volte spettacolari scoperte, come i grandi vasi di bronzo di Vix o Grächwill, ma anche i graffiti di Montmorot.5 Lo sviluppo delle ricerche sulle «agglomérations ouvertes» della seconda età del ferro ha confermato il vigore del traffico commerciale tra l’Europa del Nord e l’Italia.6 Il ritiro dei ghiacciai e l’archeologia recente hanno messo in luce il ruolo di passi finora giudicati minori.7 Inoltre, i Romani sapevano perfettamente che diversi popoli avevano attraversato le Alpi in massa. Rimane inoltre possibile che diverse città latine abbiano fatto riscorso a mercenari Galli durante il IV sec. a.C.8 Attraverso scambi e migrazioni i Romani avevano probabilmente appreso almeno qualche elemento di geografia e di economia alpina. L’evoluzione rapida dell’archeologia alpina ci permette di riconsiderare

le fonti scritte utilizzate da Oberziner in un senso differente da quello che avevo seguito anch’io anni fa.9 Insomma, se rimane chiara l’esistenza di un discorso letterario convenzionale e ostile alle Alpi,10
è ora possibile esaminare le fonti scritte con un approccio più storico che
letterario, integrando la recente interpretazione politica delle banalità sull’insuperabilità della catena alpina.11 Le fonti geografiche, a guardarle bene, ci trasmettono una visione particolare delle Alpi, piuttosto differente dalla vulgata augustea, anche quando gli autori ripetono questa propaganda. È particolarmente il caso di Strabone, che sembra accettare i discorsi del casus belli augusteo, ma ricorre a fonti repubblicane di buona qualità. Logicamente le Alpi sono descritte alla fine del libro IV (Gallia), prima del libro V (Italia). A seconda delle fonti utilizzate, il geografo riesce a unire l’osservazione critica, abbastanza precisa di Posidonio, e l’ideologia augustea.12
Le
Alpi hanno uno spessore soprattuto etnologico, arricchito a volte di dettagli economici, ma un’ampiezza fisica precisa soltanto a proposito della strada attraverso il territorio dei Voconzii e il regno di Cozio, ossia esattamente 200 stadi.13
Però il geografo ricorda anche, seguendo Polibio, che ci volevano almeno cinque giorni per arrivare in cima (= ai passi).14 Non tralascia
di indicare le città di fondazione indigena, tutte πόλεις, o le strade più importanti. Ma l’elemento più significativo rimane il fatto che, dopo aver detto che la catena alpina era il limite tra Gallia e Italia, Strabone dà una vera consistenza alle Alpi, perché descrivendo la catena da ovest a est, va dal versante gallico al versante italico, per concludere sui popoli stanziati sulle cime, dando corpo al discorso di Polibio sull’identità etnico-linguistica dei due versanti.15 Passa poi ai popoli che si trovano ‘sopra’ Como. Però, questa volta, non ci sono due versanti, ma uno solo, quello dell’Italia. Inoltre parla delle strade alpine soprattuto a proposito di Como e dei popoli che inquadrano la città.16
Como, per lui, è un punto di rottura nella descrizione
della catena. Strabone, scrivendo al tempo di Tiberio e conoscendo l’importanza delle guerre augustee, ignora pure l’elenco dei popoli e sotto-popoli del trofeo della Turbie, o perché non lo conoscesse o perché ne diffidasse. Da Mela non ci si deve aspettare nulla. Non dice niente se non che le Alpi sono il limite di
diverse regioni.17 Plinio, come al solito, descrive prima il litorale e poi l’interno delle singole
regioni augustee, ripetendo a volte gli stessi nomi (fig. 1). Non c’è un capitolo alpino specifico.18
Per la Liguria, alla quale manca Veleia, troviamo due volte i Bagienni e Statielli: sotto il
nome delle loro città e in un capitolo a parte dedicato ai popoli della Liguria meridionale (tra Marsiglia e Veleia).19 A nord, le città della regio XI, Transpadana, sono tutte associate a un nome di popolo secondo un raggruppamento etnico, come si vede bene dal fatto che Bergamo, ad est dell’Adda, è associata a Comum e Forum Licinii, le altre città degli Oromobii. La fonte di questo discorso etnico potrebbe essere Catone, citato appunto a proposito degli Oromobii (III, 17, 124). Plinio

ricorre a formule anomale per i Galli come «Boii condidere, Insubres condidere» che ricordano l’interesse del censore per le origini delle città. Logicamente, anche se è assurdo, Eporedia, che non è registrata come colonia, è «a populo Romano condita», mentre la colonia di Augusta Praetoria è una città dei Salassi… L’associazione tra popoli indigeni e città – sempre con un riferimento a Catone – si presenta in modo differente per la Venezia. L’elenco delle città costiere segue l’uso normale, senza indicazioni di tipo etnico. Per l’interno, invece, Plinio ritorna alla procedura della Transpadana, raggruppando le città per popoli, ma senza mai ricorrere a condere.20
Fa la distinzione tra colonie di fondazione romana (Cremona, Aquileia, Iulia Concordia,21 Tergeste e Pola), senza
indicazione, e città come Brixia e Ateste, legate a popoli indigeni. Questa differenza è interessante perché potrebbe testimoniare l’esistenza di un elenco urbano-etnico, redatto prima della formazione delle colonie di Brixia e Ateste, e che Plinio avrebbe incrociato con la lista augustea. Il panorama delle Alpi è ancora più sconcertante e Plinio non riesce a raggruppare la catena in un capitolo unico. Sembra ignorare l’esistenza delle province alpine. Le Alpi si dividono in due parti. Ad est, nel Noricum, dopo la conclusione sull’Italia, «diis sacra»,22
s’incontrano delle città vere, elencate in ordine quasi circolare, da Celeia a Flavia Solva.23 Sono tutte delle fondazioni imperiali, soprattutto di Claudio. Il resto delle Alpi è maggiormente integrato all’Italia (III, 20, 133-138) e ci ritroviamo i Salassi, ma senza Aosta questa volta.24
Gli Octodurenses e i
Ceutroni sono stranamente di statuto latino, perché Plinio sembra ignorare i due fora creati da Claudio nelle loro valli. In un altro capitolo, dedicato alla Narbonensis, Plinio, dopo la lista delle regiones, elenca diversi nomi di popoli alpini al nominativo, come se fosse passato da una lista ufficiale dell’amministrazione romana ad una fonte di tipo etnologico, il che potrebbe corrispondere a un momento in cui questi popoli non erano ancora sottomessi.25 Claudio Tolomeo è ovviamente più sistematico (fig. 2). La maggior parte delle città è situata sulle grandi strade, in accordo con la Tabula Peutingeriana. Le città sono ordinate in province e poi in comunità etniche. Il confine dell’Italia è a volte indicato, ad esempio a Iulium Carnicum, limite tra Italia e Noricum.26
Ma, nel libro III, 1, 26-43, per l’Italia settentrionale e
l’Istria, la lista è ordinata per popoli. Come Plinio, Tolomeo ha conservato il nome Octodurus (Ἐκτόδουρον) per Forum Claudii Vallensium (II, 12, 5). La scelta etnologica può essere spiegata dal fatto che Tolomeo, come Plinio e Strabone, si serve anche di fonti invecchiate. Però hanno tutti e tre anche delle fonti ufficiali recenti. Secondo l’ipotesi del Van Berchem, il facchinaggio a pagamento riduceva le strade ai nomi dei popoli che ci vivevano.27 Questi tre autori danno poche indicazioni sul limite delle Alpi e sui confini. Plinio, in
particolare, integrava i Salassi, gli Oromobii, una parte dei Reti e i Tarvisani nella descrizione dell’Italia. Tolomeo integra nel capitolo III, 1, corrispondente all’Italia, la parte ligure delle Alpi meridionali, da Nizza a Genova, e poi le città delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie (sola Ocelum) e delle Alpes Graiae….

Cisalpina ed Alpi secondo Plinio

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https://www.academia.edu/resource/work/41551057

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