BRIC SAN VITER : LA RISCOPERTA DI UN INSEDIAMENTO DEI TAURINI .

BRIC SAN VITER si trova , in cima a un’altura presso Pecetto Torinese. Questo luogo completamente ricoperto da una volta vegetazione, è stato riscoperto nel 1991 grazie alle esplorazioni dei volontari del Gruppo Archeologico Torinese (GAT).
La locale tradizione storiografica basata su voci popolari avevano erroneamente identificato il sito della antica chiesa dedicata a San Vittore, citata dalle fonti, con la sommità del Bric omonimo (in dialetto: Bric San Vitèr). Le ricognizioni del GAT hanno invece evidenziato  immediatamente che i ruderi presenti sulla sommità non potevano essere riferiti con la chiesa di S. Vittore ma piuttosto ad una costruzione fortificata medievale della quale non sono giunte  notizie documentarie.Solo nelle vicinanze invece sono state individuate le mura di una struttura absidata che è riconducibile alla chiesa citata.

L’indagine del sito ha interessato il castrum che occupa la parte sommitale del bric, fortificata da una cortina muraria continua che ne segue il profilo, disegnando un poligono di poco meno di 600 mq. L’area così delimitata è circoscritta da un fossato artificiale con andamento a spirale, che sale verso la porta d’ingresso. La struttura  fortificata comprende anche due torri, una delle quali, la cosiddetta “torre grande”, sembra essere la struttura più antica del sito, mentre l’altra, la “torre piccola”, viene ritenuta  direbbe un rinforzo difensivo della area strategicamente più delicata.

L’area del Bric San Vito fu sicuramente abitata e frequentata almeno fin dalla seconda età del Ferro, quando qui esisteva un piccolo insediamento dei Taurini con funzioni di emporio. Di questo villaggio sono state trovate notevoli evidenze archeologiche.

Il materiale raccolto in superficie, nell’area sommitale e lungo le pendici fino al vallo, e nel corso delle campagne di scavo attesta diverse fasi di frequentazione a partire dalla tarda età del Ferro. La presenza di materiali ceramici d’uso comune e nobiliari, tra i quali alcune pedine del gioco degli scacchi, confermano l’occupazione dell’area almeno fino al XIV secolo. Nel corso delle ricerche di superficie sono state rettificate le pareti di uno scavo circolare (forse un intervento clandestino, forse il risultato della rimozione di una postazione contraerea), profondo quasi due metri, che ha permesso di osservare in anteprima la situazione stratigrafica del terreno: negli strati sovrapposti, visibili in sezione, si potevano infatti distinguere livelli preistorici, romani e medievali. ( fonte Comune di Pecetto)

LINK : http://archeocarta.org/pecetto-torinese-to-bric-san-vito/

IL SITO PROTOSTORICO

Gli scavi hanno individuato i resti di un villaggio del IV-III secolo a.C., riferibile alla popolazione  celto-ligure dei Taurini, il cui capoluogo, mai localizzato con precisione, doveva trovarsi nell’area della città di Torino. Gli storici latini, come ad esempio Polibio, narrano che nel 218 a.C., durante la seconda guerra punica, Annibale, dopo tre giorni di assedio, distrusse la città dei Taurini e ne annientò la popolazione. Anche l’insediamento del Bric San Vito, con la fine del III secolo a.C., venne improvvisamente abbandonato.
La posizione del sito e i reperti venuti in luce, in particolare la ceramica, indicano come la funzione del villaggio fosse duplice: quella di controllo del Po, che costituiva il confine fra il territorio dei Taurini, a nord, e dei Liguri, a sud, e quella di testa di ponte commerciale dei Taurini verso gli abitati liguri, primo fra tutti Carreum, l’odierna Chieri.

Capanna Taurina A  con buche dei pali e resti di focolare.

Pannelli sotto fonte :Gat ( gruppo archeologico Torinese)

APPROFONDIMENTI:

https://www.academia.edu/resource/work/3178307

https://www.academia.edu/resource/work/1763856

UN CIPPO CONFINARIO TRA GENOVA E L’IMPERIUM ROMANO

Da Levante news.

Sulla vetta del Monte Ramaceto nell’alta Val Fontanabuona in provincia di Genova, in prossimità del confine tra i comuni di Orero e San Colombano Certenoli è stato individuato, sottoposto a scavo archeologico e prelevato con l’impiego di un elicottero un cippo in pietra arenaria di età imperiale romana, datato al II secolo d. C., con iscrizioni su entrambe le facce; esso è identificabile come una rarissima tipologia di documento epigrafico, che ha segnato, quasi 2000 anni fa, il confine tra un latifondo di proprietà diretta dell’Imperatore romano e i terreni di proprietà invece del municipio della città di Genua (attuale Genova). Si tratta di una scoperta del tutto eccezionale e di importanza a livello nazionale in quanto rappresenta la seconda attestazione nota in tutto il territorio italiano di tale tipologia di cippi, entrambi rinvenuti peraltro a distanza di pochi anni e spazio tra loro.
A quasi dieci anni dal recupero nell’ottobre del 2015 di un primo cippo confinario con iscrizione su entrambe le facce, oggi conservato al Museo Archeologico e della città di di Sestri Levante, grazie ad una recente segnalazione da parte di esperti escursionisti, l’archeologia ligure si arricchisce oggi di un nuovo eccezionale documento epigrafico.

Soprintendenza di Genova e La Spezia dopo aver provveduto a verificare, tramite un sopralluogo da parte di un team di funzionari archeologi e collaboratori, il luogo del ritrovamento, che è poco sotto la vetta del Monte Ramaceto a 1345 metri d’altitudine, ha condotto nel corso di questa settimana lo scavo archeologico dell’area circostante il ritrovamento ed oggi ha provveduto a recuperare il macigno inscritto.
Data l’assenza di strade carrabili il trasferimento del cippo è potuto avvenire del tutto eccezionalmente grazie all’impiego di un elicottero, che lo ha prelevato direttamente dalla cima del monte e, una volta imbragato con ogni possibile cura ed attenzione, lo ha trasferirlo su un furgone che lo attendeva più a valle; da qui scortato dal personale tecnico-scientifico dell’Ufficio, grazie alla disponibilità e alla collaborazione del Museo Archeologico e della città di Sestri Levante, il pesante monolite è stato depositato in condizioni di sicurezza in un locale del Museo, dove sarà sottoposto ad un esame per verificarne lo stato di conservazione al fine di un eventuale intervento di pulizia, restauro, consolidamento e quindi, infine, esposizione al pubblico.

Ma in che cosa consiste l’importanza del ritrovamento? A questa domanda risponde il dott. Luigi Gambaro, funzionario archeologo della Soprintendenza:
Va sottolineata l’eccezionalità assoluta del ritrovamento, che si può considerare con tutte le ragioni di importanza epocale anche a livello nazionale. In primo luogo va detto che si tratta di un secondo cippo “gemello” di quello scoperto del tutto casualmente da una guardia forestale nel 1988, ma recuperato solo nel 2015.
Se già aveva fatto scalpore tale rinvenimento in quanto si trattava, come scriveva il prof. Giovanni Mennella l’epigrafista, già docente presso l’Università di Genova, che lo ha reso noto nel 2017 del “primo cippo confinario inscritto pertinente a latifondi romani fin qui attestato nell’Italia romana”, sembrava quasi impossibile, vista la assoluta rarità di epigrafi di tale tipologia, che a pochi anni di distanza e poche centinaia di metri dal primo cippo si verificasse la circostanza di imbattersi e riconoscerne un secondo identico; riporta anch’esso su un lato l’iscrizione: Caesaris n(ostri) = “di proprietà del nostro Cesare”, mentre di più difficile interpretazione è l’iscrizione incisa sull’altra faccia: P.M.G., che potrebbe sciogliersi come P(ublici) M(unicipii) G(enuensium) = “di proprietà del municipio di Genova”. Mentre il primo cippo è stato recuperato in modo piuttosto fortunoso e già verosimilmente spostato dalla sua sede originaria, il secondo ritrovamento è connesso alla sua collocazione originaria; da qui il secondo elemento di eccezionalità”.

La dott.ssa Nadia Campana, anche lei funzionaria della Soprintendenza, sottolinea “Inoltre essendo stato possibile pianificare il recupero in modo scientifico, con l’intervento diretto della Soprintendenza, che è l’Istituzione preposta alla tutela del patrimonio archeologico nazionale, la sua asportazione è stata preceduta dallo scavo archeologico del sedime circostante per una superficie di circa 25 metri quadrati, col recupero e la documentazione di ogni elemento del contesto. L’aver avuto la possibilità di intervenire attraverso uno scavo archeologico stratigrafico condotto manualmente da un team di qualificati archeologi, quelli di Tesi Archeologia srl, ha consentito di raccogliere quindi una serie di informazioni funzionali a ricostruire la storia del monumento.
Questo intervento si aggiunge ad una serie di scoperte e scavi, che hanno permesso di confermare l’importanza anche durante l’età romana della val Fontanabuona, con una gestione del vocata al agro-silvo-pastorale lungo le vie di transumanza tra la costa e la montagna ligure.

APPROFONDIMENTI E VIDEO:

https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2024/04/dal-ramaceto-spunta-un-altro-cippo-romano-salvataggio-in-elicottero-a9ae0b9a-7976-428b-bc71-e9d78cd171d8.html

Il precedente ritrovamento del primo cippo:

PAROLE DI CELTICO E  ROMANO DAI COCCI DI BERGAMO .

Piccoli cocci di colore rosso , abbandonati per tanto tempo insieme ai sassi , parole e storie dimenticate sussurrate e poi portate via dal vento del tempo.. ecco questi piccoli cocci rivivono e parlano un po’ in Celtico un po’ in Romano forse con la loro tipica cadenza bergamasca..eh pota cosa volete ancora.. ecco il link

https://www.academia.edu/resource/work/5255535

Parlando poi di altre scoperte della antica Bergamo non possiamo non riportare la notizia  che proprio oggi sabato 20 aprile 2024 si apre al pubblico  l’area archeologica di Sant’Agata, rivelatasi durante i lavori di restauro di un ex complesso monastico,

Un’imponente struttura muraria, lunga una decina di metri e larga fino a un metro e sessanta centimetri, è stata scoperta al centro degli scavi, suggerendo la presenza di un grande edificio pubblico lungo il decumano massimo, l’attuale via Colleoni. La struttura, che differisce da una semplice “domus”, indicava chiaramente un luogo di significative attività pubbliche. Gli archeologi, guidati da Stefania De Francesco e Cinzia Robbiati per conto della Soprintendenza, hanno inoltre trovato frammenti di intonaci affrescati, pavimenti in marmo policromo, stucchi a rilievo e decorazioni in terracotta che adornavano il tetto dell’edificio.

Scavi nel giardino del circolino, Sant’Agata Bergamo

Link:

https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/bergamo-citta/santagata-svela-bergamo-romana-o_2164927_11/

LE FIBULE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO ” AL TEATRO ” DI VERONA .

Se siete appassionati di fibule protostoriche e romane il Museo Archeologico di verona ha pubblicato un catalogo gratuito disponibile on line ( in basso trovbverete il link )

Il catalogo è suddiviso in due parti, relative all’epoca protostorica e a quella
romana/altomedievale; la suddivisione fra le due parti non va intesa come
netta (in particolare, alcune fibule di tradizione preromana sono databili
all’epoca imperiale).
All’interno delle due parti, si è cercato di seguire un ordine grossomodo cronologico, creando gruppi su base tipologica oppure associando esemplari
isolati e frammenti talvolta di difficile attribuzione

M. Bolla, N. Martinelli,
Fibule del Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona,
Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona 2. Serie – Scienze dell’Uomo 15-2023

MARMORA ROMANA : GLI ANTICHI MARMI DI LUNI A CARRARA.

dal 25 maggio 2024 al 12 gennaio 2025 al CARMI museo CARRARA e Michelangelo.

Da artego.it

S’intitola “Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori” la grande mostra dedicata alla cava romana di marmo bardiglio di Fossacava e al suo ruolo all’interno del più ampio e noto fenomeno dell’estrazione del marmo lunense.

«I vecchi ritrovamenti e i dati dello scavo recente hanno reso Fossacava una delle cave di età romana oggi meglio conosciute», spiegano i curatori Giulia Picchi e Stefano Genovesi. «L’apertura al pubblico, avvenuta nel 2021, ha fatto registrare una presenza annuale di 10.000 visitatori, che ha confermato lo straordinario interesse per questo sito. Con la mostra Romana marmora si è voluto consolidare e ulteriormente rilanciare questo trend positivo creando, attorno alla cava, un evento che raccontasse ad un pubblico più ampio possibile la storia del sito e dei personaggi che vi ruotavano attorno. Gli imperatori di Roma, i loro schiavi e i loro liberti, gli appaltatori, i commercianti, e, ovviamente, i cavatori sono gli attori di un copione di grande fascino, nel quale la fatica e il sacrificio di molti uomini sono indissolubilmente legati alla propaganda politica e al lusso che il marmo era in grado di esprimere».

Il sito di Fossacava è tra le pochissime cave di età romana ad essere stato oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico; le indagini, condotte nel 2015 dal Comune di Carrara e dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana all’interno del bacino estrattivo, hanno permesso di ricostruire la storia della cava in tutti i suoi aspetti, in particolare in merito alla tipologia dei prodotti semilavorati che qui venivano estratti, del personale che vi lavorava e delle modalità con le quali la cava era gestita dall’amministrazione imperiale romana.

Nel 2021 il sito di Fossacava è stato aperto al pubblico con un percorso ampliato e rinnovato, incentrato su una graphic novel che illustra ai visitatori di ogni età la storia della cava in modo avvincente ed efficace. L’esposizione Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori intende, quindi, presentare ad un pubblico ancora più vasto la vicenda storica del sito, conferendogli un rilievo di respiro regionale e nazionale.

Partendo dalla storia della colonia di Luni, nel cui territorio si trovavano le cave di Carrara, si approfondiranno i temi delle antiche tecniche estrattive, dei prodotti semilavorati e della gestione delle cave, si mostreranno i diversi utilizzi del marmo bardiglio e la loro diffusione nell’ambito dell’Impero Romano, oltre a gettare uno sguardo sulla religiosità di quanti frequentavano i bacini estrattivi.

Statua della Dea Luna dall’area di Fossacava. Età romana. Marmo bianco. Museo Civico del Marmo di Carrara. Foto Giuseppe D’Aleo. Immagine concessa dal Ministero della Cultura – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

Il percorso espositivo si articolerà in quattro sezioni: Luni e le sue cave di marmo (sala 1), Fossacava. Storia di una cava, dall’età romana allo scavo archeologico (Sala 2), Gli dèi dei cavatori. La religione a Fossacava (Sala 3), La fortuna del bardiglio nell’Impero (Sala 4).

La Sala 1 è dedicata alla storia della colonia romana di Luni e a quella dell’estrazione del marmo lunense, tra la seconda metà del I secolo a.C. e il III-IV secolo d.C. Sarà inoltre posto in rilievo il ruolo determinante dell’imperatore, primo tra tutti Augusto, nello sviluppo dello sfruttamento delle cave di marmo di Carrara. Opera centrale della sala sarà la statua loricata di imperatore rinvenuta negli scavi Fabbricotti a Luni del 1889, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara.

La Sala 2 è incentrata sul sito di Fossacava, del quale sarà raccontata la storia, dall’escavazione del marmo bardiglio in età romana fino allo scavo archeologico qui condotto nel 2015. Saranno messe a fuoco in particolare le tecniche di scavo, con l’esposizione di strumenti antichi, e le problematiche relative alla gestione delle cave da parte dello stato romano.

La Sala 3 è dedicata alla religiosità dei cavatori e degli altri personaggi che popolavano le cave di marmo di Carrara in età romana: grande risalto sarà dato alla statua della dea Luna rinvenuta a Fossacava, verosimilmente una replica della statua di culto del cosiddetto “Grande Tempio” di Luni. Nella sala saranno esposti inoltre l’altare dedicato alla Mens Bona, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, e un rilievo raffigurante il dio Silvano, il cui culto è molto attestato negli ambienti delle cave, proveniente da una domus di Luni e in prestito dal Museo archeologico nazionale di Luni.

Statua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di CarraraStatua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di Carrara

La Sala 4 narra infine al visitatore la diffusione del marmo bardiglio a Roma, nelle città dell’Italia e delle province e in quali tipi di edifici e strutture esso sia stato utilizzato: sarà approfondito, in particolare, il suo impiego per i colonnati dei palcoscenici dei teatri e per la realizzazione di fontane (labra). L’allestimento di alcuni semilavorati e di altri reperti in marmo bardiglio illustrerà i diversi usi di questa varietà di marmo. Uno spazio sarà inoltre dedicato ad un progetto di archeologia sperimentale condotto con l’Accademia di Belle Arti di Carrara, nell’ambito del quale saranno scolpite, dagli studenti e dal personale docente, delle repliche in marmo di un semilavorato in marmo bardiglio e di un labrum finito.

L’evento espositivo sarà accompagnato da un apparato didattico dispiegato lungo il percorso di visita (pannelli, didascalie, grandi disegni di ricostruzione, video tematici). All’interno di quest’ultimo, sarà inoltre inserito uno storytelling dedicato ai bambini, nel quale uno dei personaggi attestati dalle epigrafi apposte sui blocchi semilavorati di Fossacava racconterà la propria storia, coinvolgendo i piccoli visitatori in una caccia al tesoro. La mostra potrà essere inoltre fruita per mezzo di laboratori e visite guidate rivolte alle scuole e per mezzo di iniziative, quali visite guidate in orario di apertura e in notturna e conferenze a tema, rivolte al pubblico degli adulti.

Piccozze e cuneo in ferro rinvenuti nell’area delle cave. Età romana. Museo Civico del Marmo di Carrara.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava. – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Area archeologica di Fossacava. Particolare dei semilavorati di epoca romana.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

INFO:

Il CARMI museo Carrara e Michelangelo è aperto al pubblico fino al 31 maggio da martedì a domenica ore 9.00-12.00 e 14.00-17.00, dal 1 giugno da martedì a domenica ore 9.30-12.30 e 17.00-20.00, chiuso il lunedì, chiuso 1° novembre, 25-26 dicembre, 1° gennaio, 6 gennaio, nei pomeriggi del 24 e del 31 dicembre, nel pomeriggio del 14 agosto. Ingresso al CARMI (comprensivo della visita alla mostra): intero € 5, ridotto € 3, disponibili gratuità.

Per informazioni: museo.carmi@comune.carrara.ms.it, https://carmi.museocarraraemichelangelo.it

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/78617761

UN APOXYOMENOS AL LARGO DELL’ISTRIA

Da glicineassociazione.com

Il Museo dell’Apoxyómenos dell’isola di Lussino è stato istituito per ospitare un’unica statua, quella di un gioiello emerso dalle acque del Quarnero dopo circa duemila anni.

Nelle acque del Mare Adriatico, l’anno 1999 segnò la fine di un sonno durato quasi due millenni. Dagli abissi al largo di Lussino, isola del versante occidentale dell’arcipelago del Quarnero, in ISTRIA, a circa settanta miglia nautiche da Trieste, riemergeva l’Apoxyómenos, una statua greca in bronzo risalente al II secolo a.C. che oggi rappresenta una delle più straordinarie scoperte mai avvenute nelle acque dell’Adriatico e del Mediterraneo tutto.

Alto 192 centimetri, l’Apoxyómenos – come suggerisce il nome che in greco significa “colui che si deterge” – vede immortalato nel bronzo un giovane atleta in nudità ideale mentre si deterge il corpo con uno strigile, attrezzo usato nel mondo antico per pulirsi dall’olio col quale si soleva ungersi prima di affrontare una gara e dal sudore e dalla polvere che si accumulava dopo la lotta.

Particolarità che rende la statua recuperata nelle acque di Lussino ancora più preziosa è il piedistallo originale – ornato da decorazioni geometriche –, una rarità per un manufatto così antico.

L’Apoxyómenos sarebbe stato gettato a causa di una tempesta

Chiamata anche Atleta di Lussino, la scultura ha riposato sott’acqua per circa duemila anni, come detto, dal I secolo d.C., quando probabilmente fu abbandonata da una nave romana da navigazione di cabotaggio che, diretta a Pola o a Aquileia, sarebbe stata sorpresa da una tempesta marina e perciò costretta a disfarsi di parte del carico. Una ricostruzione presunta dei fatti abbastanza comune, attribuita anche ad altre statue dell’antichità riemerse dopo secoli o millenni dagli abissi del Mare Nostrum, come ad esempio i Bronzi di Riace.

Nel braccio di mare in cui è riaffiorata la scultura del giovane Atleta, di fatti, le ricerche subacquee non hanno rilevato alcun resto di imbarcazioni antiche che possano avvalorare, invece, l’ipotesi di un naufragio.

Il restauro “italiano” e le mostre in giro per il mondo

Ritrovato nei fondali difronte alla costa di Lussino nel 1996 da un sommozzatore belga nel corso di una immersione a 45 metri di profondità – altra conferma di quanto siano ricchi di tesori e da esplorare i fondi marini del Mediterraneo –, l’Apoxyómenos è stato estratto dalle acque solo tre anni dopo e da lì ha cominciato la complessa opera di restauro condotta con la collaborazione, fra gli altri, dell’Opificio delle pietre dure di Firenze e dei Musei civici di Como.

Completati gli interventi conservativi, nel 2006 è partita la peregrinazione della statua in giro per i musei: prima al Museo archeologico di Zagabria, e successivamente in altri istituti croati – Osijek, Fiume, Spalato, Zara –; poi, in giro per il mondo: Palazzo Medici Riccardi di Firenze, City Museum di Lubiana, Louvre di Parigi, British Museum di Londra e J.P Getty Museum di Los Angeles.

A Lussinpiccolo la nuova casa dell’Apoxyómenos

Dalla primavera del 2016 il bronzo di Lussino ha una casa dedicata. A Lussinpiccolo, principale centro dell’isola quarnerina, infatti è stato inaugurato un museo appositamente ideato per la esposizione della statua: il Museo dell’Apoxyómenos.

Gli altri Apoxyómenos

Oltre a quello di Lussino, nel mondo ci sono altri quattro Apoxyómenos, dando la cifra di un tema discretamente percorso nell’arte greca: di questi, uno, in marmo, si trova alle Gallerie degli Uffizi e un altro ai Musei Vaticani, nello specifico una copia romana in marmo pentelico di un originale perduto attribuito a Lisippo.Foto Bosnic/Dorotic

Fonte:

Antonio Pagliuso

Museo dell’Apoxyómenos Lussinpiccolo

SEPOLTURE  CON CANI E CAVALLI PRESSO I CELTI CENONANI

Da https://lastatalenews.unimi.it/eta-ferro-studio-indaga-sepolture-celtiche-cani-cavalli

La ricerca, condotta sul sito di Seminario Vescovile di Verona e realizzata con il contributo dell’Università Statale di Milano per le analisi archeozoologiche, ha indagato le particolari sepolture di persone con animali con il ricorso a innovativi metodi di indagine.

Approfondire e tentare di comprendere le ragioni della presenza di animali allevati a scopo non alimentare, nello specifico cani e cavalli, nelle sepolture celtiche della tarda età del Ferro. Del tema si è occupato uno studio, innovativo per i metodi di indagine utilizzati, pubblicato sulla rivista PLOS ONE a cui ha preso parte anche l’Università Statale di Milano, con il coinvolgimento di Umberto Tecchiati, docente di Preistoria e Ecologia preistorica e Alfonsina Amato, archeozoologa. Lo studio si inserisce nel progetto CELTUDALPS, finanziato dalla Provincia autonoma di Bolzano, e dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica.

Titolo del lavoro è “Until death do us part“. A multidisciplinary study on Human- Animal co-burials from the Late Iron Age necropolis of Seminario Vescovile in Verona, ovvero “Finché morte non ci separi”. Lo studio è stato infatti condotto sul sito di Seminario Vescovile a Verona dove è stata rinvenuta una necropoli preromana, attribuibile ai celti Cenomani, databile alla tarda età del Ferro, ovvero tra III e I secolo a.CDelle 161 sepolture individuate, 16 contenevano resti animali. In particolare, in 4 di esse – una donna tra 36 e 50 anni, un feto formato di 38 settimane, un uomo tra 20 e 35 anni, un uomo tra uomo 36 e50 anni – sono stati rinvenuti scheletri di cani (Canis familiaris), o cavalli (Equus caballus).

Ricercatori e ricercatrici hanno utilizzato, per l’indagine, un nuovo metodo che combina analisi archeologiche e archeozoologiche, antropologiche, paleogenetiche e isotopiche. Confrontando età della morte, sesso, status sociale, eventuali legami di parentela, tipo di dieta si è cercato di stabilire un pattern, uno schema che potesse spiegare la scelta culturale di deporre insieme ai defunti proprio questi animali.

Monete celtiche con cavalli

Tra i punti fermi a cui è giunto lo studio c’è la vicinanza alle tradizioni culturali transalpine, in primis La Tène, forse mescolate con elementi locali Venetici e Romani. L’analisi del DNA antico – il primo di Seminario Vescovile – ha rivelato che non ci sono legami di parentela, almeno fino al terzo grado. Anche il tipo di dieta era diverso, come dimostrato dalle analisi degli isotopi stabili di Carbonio e Azoto sulle ossa animali. La sepoltura con cani o cavalli non si può ricondurre nemmeno a classe sociale, età o genere. Anche le strategie di gestione degli animali erano diverse. Il cane deposto con il neonato, per esempio, veniva nutrito con soli cereali, non si sa se per motivi rituali. La cosa certa è che presentava una frattura, poi sanata: forse perché si trattava di un animale d’affezione, oggetto di particolari cure?

Sepoltura di una donna adulta associata a resti di un cavallo intero prono, resti scheletrici di altri tre cavalli e un cranio di cane. © Foto di S.R.Thompson, per gentile concessione di SABAP-VR Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. In "Until death do us part". A multidisciplinary study on Human- Animal co-burials from the Late Iron Age necropolis of Seminario Vescovile in Verona

Sepoltura di una donna adulta associata a resti di un cavallo intero prono, resti scheletrici di altri tre cavalli e un cranio di cane. © Foto di S.R.Thompson, per gentile concessione di SABAP-VR Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza

Nella sepoltura della donna matura si contano un cavallo intero, un cranio di cane, altre parti di cavalli e un feto a termine. Il ritrovamento, unico nel suo genere, fa pensare che cani e cavalli potessero essere legati alla sfera della fertilità, facendo ipotizzare per la donna un ruolo di guaritrice o ostetrica. Ma questa resta appunto un’ipotesi da verificare.

L’uso di seppellire cani e cavalli con alcuni individui non è ancora del tutto chiaro, anzi, questo studio ha contribuito a moltiplicare le domande. Il nostro lavoro – commenta il professor Umberto Tecchiati – è stato in grado di fornire un nuovo approccio e un nuovo metodo di lavoro, in grado di integrare discipline differenti per colmare i vuoti della ricerca archeologica e fare luce sul reale rapporto tra i nostri antenati e due delle specie che ancora oggi amiamo di più”. In particolare, gli archeozoologi Tecchiati e Amato hanno condotto un’analisi sulla morfometria dei reperti faunistici, resa possibile grazie alla collezione di confronto presente in laboratorio. “Questo studio è complementare alle analisi del DNA e biochimiche – spiegano i due ricercatori –. Il nostro ruolo, inoltre, è stato quello di fornire confronti con altri siti simili contribuendo all’interpretazione storico culturale complessiva. Tutte le analisi sono finalizzate alla raccolta di dati biochimici interni ai reperti, ma valgono di base per la ricostruzione di processi storici e culturali“. “Le ricerche paleogenomiche – concludono i ricercatori – sono state utilizzate per individuare una eventuale parentela tra gli individui sepolti con cani e cavalli; e le analisi sugli isotopi stabili umani e animali sono state utili per esplorare le differenze alimentari (e forse socioeconomiche) tra gli individui sepolti con questi animali e il resto della popolazione”.

La ricerca multidisciplinare ha coinvolto diverse realtà accademiche. Oltre al PrEcLab, Laboratorio di Preistoria, Protostoria ed Ecologia preistorica, che fa parte del dipartimento di Beni culturali e Ambientali della Statale diretto da Giorgio Zanchetti, e a cui afferiscono Umberto Tecchiati e Alfonsina Amato, figurano infatti anche: l’Istituto di medicina forense del dipartimento di Antropologia fisica di Berna; l’Istituto per lo studio delle mummie Eurac research di Bolzano; l’Ex-Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, settore territorio, Sede di Padova-nucleo di Verona; la Thompson Simon scavi e rilevamenti archeologici di Verona; la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza; il dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Firenze; e infine il Dipartimento di Chimica, Biochimica e Scienze Farmaceutiche e Centro Oeschger per la ricerca sui cambiamenti climatici, Università di Berna.

Il link allo studio pubblicato su PLOS ONE.

COLOMBINE DI VETRO DALLA GALLIA CISALPINA

Da Stilearte.it

Fragili e splendide. Cosa sono queste scultoree colombine romane? A quale secolo risalgono? In quale area dell’italica provincia venivano prodotte? Cosa contenevano?

Ai Musei Reali di Torino è conservato l’unico volatile di vetro soffiato che contiene ancora il suo liquido originario. Altri ne sono stati trovati, ma aperti. Il reperto integro fu portato alla luce a Rovesenda, un Comune in provincia di Vercelli. Lo splendido manufatto risale al metà del I secolo d. C.

“L’unguentario in vetro sottile a forma di colomba è un contenitore per profumi, unguenti e balsami. – spiegano gli studiosi dei Musei reali di Torino – Per poter consumare il contenuto era necessario spezzare la coda: questo esemplare è l’unico ancora sigillato che si conosca, ed è colmo per metà da un liquido limpido, con un lieve sedimento rosato depositato sul fondo. Questi raffinati recipienti, spesso dai colori vivaci, erano realizzati con la tecnica della soffiatura libera, che ne consentiva la modellazione a forma di colomba; dopo l’inserimento dell’unguento venivano sigillati”.

Gli oggetti furono prodotti nella zona, secondo una tecnica che poneva i propri presupposti nell’evoluzione della lavorazione del vetro, avvenuta in Medio Oriente.

“L’origine della tecnica della soffiatura libera del vetro è stata identificata in area siriana attorno alla metà del I secolo a.C.: da qui si diffonde rapidamente in tutto il mondo romano, dove permette l’affermazione dei contenitori in vetro per i vari utilizzi nella vita quotidiana già a partire dalla primissima età imperiale. – proseguono gli studiosi dei Musei Reali di Torino – Attestato soprattutto in Italia settentrionale e frequentissimo nei contesti sepolcrali piemontesi, l’unguentario a colombina è presente con pochi esemplari nelle altre regioni dell’Impero, tanto che si è identificata proprio nella Cisalpina occidentale la sua area di produzione, nel corso del I secolo d.C., in particolare nelle fornaci attive lungo il bacino del fiume Ticino e del lago Verbano. Unguentari simili vengono spesso ritrovati, anche in più esemplari, nei corredi delle tombe femminili, assieme ad altri di forma sferica, anch’essi tipici del Piemonte”.

Si ritiene che il liquido contenuto possa essere una sorta di acqua di rose, come farebbe pensare il deposito rosato del fondo. Per poter aprire la colombina bisognava stringere tra pollice e indice la parte finale della coda e ed esercitare una minima forza, verso un lato, come avviene, ancor oggi, per certi contenitori vitrei di medicinali.

Uno degli altri splendidi unguentari vitrei a forma di colomba è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Adria. Il contenitore fu aperto, a quei tempi, e il suo contenuto fu utilizzato. Ma la colombina venne conservata.

“La piccola colomba in vetro blu, di età romana, è uno dei reperti più ammirati dai visitatori del museo di Adria. – affermano gli studiosi del museo veneto –  Proviene da una sepoltura rinvenuta a Cavarzere, in provincia di Venezia,  e si può datare all’inizio del I secolo dopo Cristo.
Originariamente, la piccola colomba era colma di un’essenza profumata, forse un’acqua di fiori Per usarla e profumarsi senza rompere completamente il contenitore, si doveva spezzarne la sottile coda. Osservate bene l’estremità a destra in questa foto: si vede la rottura avvenuta. Ma, come facevano gli antichi maestri vetrai a riempire la colombina con l’essenza profumata? Con la soffiatura si foggiavano il corpo e la testa; poi la colombina veniva riempita di profumo, servendosi di un imbuto; infine, rimettendo la colombina sul fuoco, si ammorbidiva di nuovo il vetro che poteva essere tirato con una pinza in legno e richiuso ermeticamente”.

RIVIVE IL CARRO CELTICO DI SESTO CALENDE.

È partito il progetto ‘BACK ON TRACK ‘ per ricreare in 3D il antico carro a due ruote trovato nella Seconda Tomba di Guerriero di Sesto Calende (Varese), un importante sito della cultura dell’età del Ferro di Golasecca, scoperto nel 1928. Questo progetto multidisciplinare coinvolge l’Università dell’Insubria e il Comune di Varese, insieme al Museo Civico Archeologico di Villa Mirabello, con il sostegno del Ministero della Cultura.



Il carro, parte del corredo funebre che identifica il defunto come un capo guerriero, era composto principalmente da bronzo e ferro, con ruote di circa 50-60 centimetri (probabilmente rivestite in legno) e poteva essere manovrato da due persone. Tra centinaia di frammenti del carro, ne sono stati selezionati 50 per essere studiati e restaurati: i pezzi saranno esposti singolarmente una volta completato il lavoro. La ricostruzione virtuale del carro avverrà tramite un modello 3D, consentendo ai visitatori di immergersi nel passato e osservare il veicolo in movimento, utilizzato durante l’età del Ferro. Grazie al corredo della tomba, è possibile datarla tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C..

Il progetto ‘BACK ON THE TRACK’ è ora in fase operativa, con il restauro e l’analisi delle leghe metalliche attualmente in corso. La nuova ricostruzione tridimensionale del carro sarà presentata in una mostra prevista per il 2024 al Castello di Masnago, per poi essere esposta permanentemente nella sala del museo dedicata alla Seconda Tomba di Guerriero. Inoltre, verrà realizzato un video per documentare il progetto e tutte le fasi del restauro.

LA SECONDA TOMBA DI SESTO CALENDE:

https://www.academia.edu/resource/work/7076484