Non solo Pompei ed Ercolano, e neppure solo l’Urbe: la pittura romana è solitamenta legata a queste aree per ragioni legate alla storia della conservazione e alla densità delle testimonianze. Ma si faceva pittura anche in provincia, e di una qualità che ha lasciato stupiti gli stessi studiosi. È il caso della decorazione murale delle domus della città di Cremona, riaffiorata in migliaia di frammenti una ventina di anni fa in occasione di saggi di scavo in piazza Marconi una zona del centro storico che un tempo si affacciava sul Po. Oggetto di una importante campagna di studi e di restauri, ancora in corso, sono ora oggetto di una mostra di grande interesse, dal titolo “Pictura Tacitum poema. Miti e paesaggi dipinti nelle domus di Cremona” al Museo del Violino (che proprio su piazza Marconi si affaccia), visitabile fino al 31 maggio prossimo.
Cremona è stata insieme a Piacenza nel III secolo a.C. la prima colonia romana della Gallia Cisalpina. Ricco e importante centro Regio X Venetia et Histria, nel 69, l’anno dei quattro imperatori, durante la guerra civile tra Vespasiano e Vitellio venne assediata e distrutta dalle truppe del primo. La presa della città è raccontata da Tacito come una serie di violenze inaudite e orrori. Plutarco ricorda una “catasta di corpi che sfiora in altezza i frontoni del tetto”. Per quanto ricostruita da Vespasiano, Cremona uscì dalla storia per lungo tempo.
Frammenti di intonaco dipinto dalla Domus del Ninfeo a Cremona (foto drm-lombardia)
Le ricche domus della città vennero incendiate e distrutte. È da queste che arrivano i frammenti, pazientemente riconosciuti e riassemblati, presenti nella mostra curata da Nicoletta Cecchini, Elena Mariani e Marina Volonté. Materiale raro per quantità, la cui qualità – che nel percorso è messa direttamente a confronto con riproduzioni di affreschi romani e originali di area vesuviana – testimonia lo sfarzo e anche la piena adesione ai modelli culturali e pittorici che dalla capitale si espandevano insieme alle leggi, alla lingua e ai costumi.
Gli affreschi provengono da domus differenti. La prima è denominata “Domus dei candelabri dorati”, proprio in virtù della decorazione dell’atrio (ricostruito in un video) che presentava campiture di prezioso rosso cinabro ritmate da alti candelieri. Ritrovati in campagne di scavo condotte tra 2014 e 2016, presentano inoltre elementi provenienti dalla zona del peristilio e da un larario. Alcuni frammenti testimoniano la presenza di “quadri” (ossia scene di vario tipo, circoscritte da una finta cornice) di grande raffinatezza. Tra questi una scena con nani e pigmei messa a confronto con un frammento proveniente da Ostia. Il gusto nilotico, riscontrabile in tutte le decorazioni cremonesi, raccontano quanto la romanità fosse affascinata dalla civiltà egizia (si pensi alla grande diffusione del culto di Iside), anche se non di rado gli elementi erano ripresi ed elaborati in modo autonomo e del tutto svincolato dai significati originari, come è possibile osservare anche dal raffronto con reperti egizi concessi dal Museo Archeologico di Firenze.
Gli affreschi più importanti arrivano però dalla Domus del Ninfeo, così chiamata per la presenza di una fontana monumentale mosaicata. Tra le varie testimonianze spiccano qui le decorazioni di quello che era probabilmente di un grande cubicolo, secondo le curatrici di ambito femminile, di 25 metri quadrati. Sito al secondo piano e coperto con una volta a botte ribassata e decorato a stucco, presentava alle pareti fregi e le storie di Arianna. La stanza precipitò al piano sottostante in seguito all’incendio del 69 e venne devastata dal saccheggio, a cui poi si aggiunsero le nuove costruzioni medievali. Resistono però gli affreschi di almeno metà delle pareti. Le decorazioni sono direttamente accostabili a quelle dello studiolo di Augusto, con rimandi così precisi che non possono essere considerati casuali, al punto che si ipotizza tanto l’esecuzione da parte di maestranze romane quanto il legame dei proprietari con la famiglia imperiale. Vere curiosità sono la presenza nel fregio decorativo dell’ananas, frutto conosciuto dai romani (era infatti coltivato sulle isole Canarie) ma estremamente raro e costoso, e il tema tipico del grifo, simbolo di Apollo, declinato però con uno strano becco piatto, in cui gli ornitologi hanno riconosciuto quello della spatola bianca, uccello oggi molto raro ma che un tempo nidificava sul Po.
I frammenti superstiti rivelano poi la presenza di tre grandi quadri, con figure pressoché a grandezza naturale, di qualità davvero straordinaria a partire dal volto di Arianna abbandonata sulla spiaggia di Nasso. Notevoli anche i frammenti dell’apparizione di Dioniso, che si innamora della principessa cretese e ne fa la sua sposa. Si tratta, spiegano le curatrici, dell’esemplare dell’episodio non solo più grande ma anche più antico tra quelli conosciuti e quindi quello più prossimo temporalmente al modello perduto. L’episodio era molto diffusa nell’antichità e presentava due varianti, con Arianna dormiente mostrata di schiena, come nel caso di Cremona, o frontalmente. La fortuna (testimoniata anche a livello poetico, da Catullo a Ovidio) del soggetto è spunto per un approfondimento ed è documentata da affreschi di area vesuviana, da un coperchio di sarcofago proveniente dalla Villa d’Este di Tivoli e da una testa rinascimentale di Arianna dormiente, da Firenze.
La mostra racconta inoltre il lavoro di studio e ricostruzione, oltre ai restauri realizzati Centro per la Conservazione e Restauro de “La Venaria Reale” e dal Laboratorio Arvedi dell’Università di Pavia. Complementare è la visita al Museo archeologico (accessibile gratuitamente ai possessori del biglietto della mostra) allestito nella chiesa di San Lorenzo, dove si trovano i pavimenti musivi delle domus e una ricostruzione con gli elementi decorativi della fontana della Domus del Ninfeo. Articolo originale di Alessandro Bertrami comparso su “Avvenire “.
frammenti di affreschi della stanza di Arianna in ricomposizione in uno dei laboratori del museo archeologico Frammenti provenienti dall’atrium della Domus dei Candelabri -scene nilotiche I sec d.C.
Dal 1 febbraio la Domus di Tito Macro sarà aperta tutti i giorni, con ingresso scaglionato ogni 30 minuti,nei seguenti orari:
Da novembre a febbraio | dalle 10.00 alle 16.00 durante la settimana; sabato, domenica e festivi fino alle 17.00 (eccetto la chiusura del 25/12)
Marzo e ottobre | dalle 10.00 alle 18.00 tutti i giorni
Da aprile a settembre | dalle 10.00 alle 19.00 tutti i giorni
Intero: 5€ – visitatori individuali dai 18 anni in su Ridotto: 4€ – visitatori in gruppo (minimo 15 persone) dai 18 anni in su
L’ingresso è gratuito per: Minori di 18 anni Studenti fino alla scuola Secondaria di II Grado, inclusi gli insegnanti accompagnatori Visitatori disabili previa presentazione in Biglietteria del certificato d’invalidità. In caso di non autosufficienza, la gratuità è estesa anche a un accompagnatore Giornalisti Guide turistiche e Tour Leader 1 accompagnatore per gruppo Membri ICOMOS e ICOM Residenti ad Aquileia
Dai confini della Regio Transpadana, la via delle Gallie ci ha condotto fino a LUGDUNUM , l’odierna Lione, la capitale delle tre Gallie.
La via delle Gallie è una antica strada romana consolare fatta costruire da Augusto , probabilmente seguendo il tracciato di più antichi sentieri che collegavano la Gallia Cisalpina con quella Transalpina. Fu anche la prima opera pubblica realizzata dai Romani in Valle d’Aosta. La via attraversava in parte le moderne Italia, Francia e la Svizzera.
Vie Romane nelle Gallie
Era stata progettata con lo scopo di facilitare l’espansione militare e politica romana verso le Alpi che si concretizzò poi nelle guerre alle popolazioni alpine sotto Augusto. La via delle Gallie iniziava da Mediolanum (la moderna Milano) e passava per Augusta Eporedia (Ivrea) biforcandosi in due rami all’altezza di Augusta Praetoria (Aosta).
Il teatro romano di Aosta /Augusta Pretoria Aosta – resti del teatro romano illuminato di notteRicostruzione del foro di Aosta Augusta Pretoria. Spettacolare la visita del criptoportico
Da Augusta Praetoria un ramo della strada si dirigeva verso il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis) fino a Lugdunum (Lione), mentre l’altra diramazione giungeva al passo del colle del Gran San Bernardo (lat. Mons Iovis) per poi condurre verso Octodurus (Martigny), nel moderno Canton Vallese, in Svizzera.
Domnas nei pressi di Bard, via delle Gallie- Valle D ‘ Aosta
Per raggiungere Lugdunum dal territorio dei Salassi si poteva valicare il Piccolo San Bernardo, nelle Alpi Graie, e attraversare le terre dei Ceutrones, oppure affrontare il Poeninus, il Gran San Bernardo. Secondo Strabone il primo tragitto era più agevole ed era percorribile quasi interamente con i carri, mentre l’altro era stretto e ripido, ma più breve. Più a ovest, nel territorio dei Cozii, si aprivano il valico del Monginevro e quello del Moncenisio. « Le grandi vie romane, le quali collegavano l’Italia con la valle del Rodano, erano quelle delle due Dore : il Mons Matrona ( Monginevro ), la Alpis Graia (Piccolo San Bernardo ) e l’Alpis Poenina ( Gran San Bernardo ). »
noi abbiamo seguito la strada fino a LUGDUNUM teoricamente attraversando le seguenti tappe:
Da Augusta Praetoria (Aosta), attraversiamo Fundus Gratianus (Gressan), Fundus Joventianus (Jovençan), Sarra (Sarre), Aimivilla (Aymavilles), Arvarium (Arvier), Avisio (Avise), Sala Duria (La Salle), Moriacium (Morgex), Araebrigium (Pré-Saint-Didier) e Tuillia Salassorum (La Thuile), dopo di cui valichiamo il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis), per poi dirigersi verso Sextum Segetium (Séez), Capellae Centronum (Les Chapelles), Bellantrum (Bellentre), Axima (Aime), Munsterium (Moûtiers), Aquae Albae (Aigueblanche), Liscaria (La Léchère), Fessona Brigantiorum (Feissons-sur-Isère), Cevis (Cevins), Bastita (La Bâthie), Turres (Tours-en-Savoie), Oblimum (Albertville), Hillium (Gilly-sur-Isère), Camusellum (Chamousset), Castrum Novum Allobrogum (Châteauneuf), Capanna ad Melianum Montem (La Chavanne), Riparia (La Ravoire), Camberiacum (Chambéry), Nanciae (Nances), Dulinum (Dullin), Verale Bellomontium (Verel-de-Montbel), Bellus Mons ad Tramonaecum (Belmont-Tramonet), Romagnieu (Romagnieu) terminando a Lugdunum (Lione).
VIENNE
Vienne è stata prima di essere romana , la capitale degli Allobrogi , una potente tribù gallica . Il termine Allobrogi significava probabilmente che essi erano una popolazione celtica proveniente da altre aree( Allobrogi in celtico “allo brox ” ovvero quelli di un altro territorio). Nel 123 a.C. dopo aver ospitato il re dei Salluvi Tutomotulo, in fuga dai Romani, gli Allobrogi furono attaccati dai Romani che riuscirono a battere nell’agosto del 123 questo popolo . Inizia poi un periodo di intensa romanizzazione.
MUSEO GALLO-ROMANO DI SAINT ROMAIN EN GAUL
La prima tappa che abbiamo raggiunto è stata quella di visitare il sito di Saint Romain EN Gaul-VIENNE a circa 30 km a sud di Lione, sulla riva destra del Rodano. Il museo gallo-romano di recente inaugurazione è bellissimo! La parte musealizzata contiene tantissimi tesori( eccezionali mosaici , pitture ceramiche, etc) tutti esposti con moderni criteri di fruizione per il pubblico. L’ ambiente è luminoso ed accogliente .Al momento sono stati scavati tre ettari di una parte di un quartiere della città romana di Vienne, una delle città più ricche della Gallia romana già importante centro dei Galli Allobrogi. Vi consigliano di farvi dare una audioguida in italiano. Al di fuori del museo si estende l’area archeologica con i resti delle domus , delle abitazioni, dei centri termali etc. Molto suggestive sono le anastilosi con la ricostruzione delle fontane dove sgorga acqua fresca.
Mosaico dei due oceani. Il mosaico è diventato il simbolo del museo stesso. Realizzato verso il 180 d.C. .Le macchie più scure sono dovute ad incendio che ha distrutto la villa nel III sec.d.C.Mosaico degli atleti vincitori III sec d.C VienneAffresco dalle pareti delle terme dei littori. L’ affresco era posizionato sulle pareti delle latrine pubbliche delle terme. Scoperto nel 1991-VienneMosaico degli atleti vincitori.inizio III Sec.d.C.Mosaico dei due fiumi.scoperto a Vienne nel 1981. Museo di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Mosaico dello scudo II sec d.CMosaico dello scudo II SEC d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE Affreschi Museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Affreschi .museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli Saint Romain EN VIENNE II sec.d.C.Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli II sec.d.c VienneMosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN VIENNE museo archeologico. Orfeo nel mosaico originale si trovava al centro attorniato da vari animaliMosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE museo archeologico Mosaico di Orfeo fine II sec d.C. VIENNE museo archeologico Saint Romain EN Gaul-VIENNE Afrodite sulla destra e sul fondo gli affreschi del ninfeo dei trampolieri Saint Romain EN Gaul-VIENNE.Affreschi del ninfeo dei Trampolieri. Saint Romain EN Gaul-VIENNE Statua di Afrodite scoperta nel 1845 non lontano dal museo che ora la ospita. II – inizio III sec.d.C. sullo sfondo l affresco del ninfeo dei Trampolieri I sec d.C.Statua di Afrodite inquadrata da dietro II- inizio III sec d.C.Frammento di affresco della villa dei Due Oceani .Saint Romain EN Gaul Vienne II sec d.C.Frammento di affresco da Saint Romain EN Gaul-VIENNE Altorilievo del dio gallico Sucellus , dio delle selve. I suoi attributi sono un martello ed una coppa. Spesso , come in questo caso è accompagnato da un cane vedi link: http://bifrost.it/CELTI/Museo/Archeologia-Sucellos.html
Intorno a questi oggetti rinvenuti a Vienna o nei dintorni si trovano collezioni da siti lontani: oggetti in provenienti da necropoli di Champagne dell’età del bronzo donati dal curatore Vassy, o necropoli predinastiche di Khozan (Egitto) e antiche necropoli di Koban (Ossezia) donate da l’archeologo lionese Ernest Chantre.
Ceramiche votive falliformi e lucerne erotiche – Museo delle belle arti di VienneAltorilievo del dio gallico Sucellus. La divinità veste alla gallica e porta un martello sulla spalla sinistra ed un olla nella mano destra.un cane sta ai suoi piedi. II sec d.C.Vienne.Passeggiando per le strade di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Intorno a questi pezzi eccezionali sono serie notevoli: antefisse, tubi di piombo, lucerne, sigillata, cristalleria, ceramica comune…
Passeggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Area archeologica di Saint Romain en Gaul ViennePasseggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Il teatro di Vienne.
IL MUSEO DELLE BELLE ARTI DI VIENNE: Questo museo benché sia progettato ed esposto con un taglio un po’ ottocentesco ha al suo interno dei pezzi pregevoli sulla storia della citta’.
la ricchezza dell’antica città di Vienna si riflette nelle collezioni di questo periodo. Diversi bronzi monumentali (statua a grandezza naturale a tondo di Pacaziano, II secolo dC, rilievo in bronzo dorato di delfini, frammenti di una statua equestre) costituiscono un insieme notevole.
Il deposito di Place Camille-Jouffray è stato scoperto nel 1984, durante il salvataggio di Place Camille Jouffray. Fu trovato in una casa, situata a est della strada principale e vicino a un fanum, un tempietto di tradizione gallica. Il ritrovamento comprende una serie di oggetti metallici risalenti all’inizio del IV secolo[9].
Comprende elementi in ferro (utensili), bronzo (stoviglie) e soprattutto argento: sepolto all’inizio del IV secolo, si compone di stoviglie (piatto con decorazione pastorale, tridente in miniatura in particolare), due portaspezie, oggetti relativi a ornamento (specchio) e un oggetto di culto (patera).
Armi dei Galli Allobrogi-Vienne museo delle belle artiTesoro romano in argento -. Vienne museo delle belle artiScrigno di avorio di testa di giovane e sullo sfondo statua in bronzo di Pacaziano-Vienne museo delle belle artiDelfini di bronzo- Vienne museo belle arti lucerne con scene gladiatorie
LUGDUNUM (LIONE)
Lugdunum (o Lugudunum ), oggi Lione , è il nome del sito gallico dove venne poi fondata una colonia romana dal Governatore della Gallia Lucio Munatius Plancus nel 43 a.C. ovvero un anno dopo l’uccisione di Cesare. In tale sito furono ospitati i coloni scacciati dagli Allobrogi dalla vicina Vienne . Dal 27 a.C divenne la capitale delle tre Gallie. La città Romana dalla collina di Fourviere si estese successivamente fino alla penisola tra i due fiumi. Recenti ritrovamenti hanno evidenziato che l’area era già occupata da popolazioni celtiche.
Origine del nome della città
Dibattuta è l’origine del nome Lugdunum o nella versione Lugudunum . Deriverebbe da parole celtiche :
1 ipotesi da Lug Dunum ovvero la fortezza del Dio Lug ( una delle principali divinità galliche)
2 ipotesi dal Leucos Dunum ovvero la fortezza luminosa
(…)Colonia Copia Felix Munatia Lugdunum LUGDUNUM viene fondata nel 43 a.C. da L. Munazio Planco, come egli stesso ricorda nell’iscrizione del suo mausoleo a Gaeta84, con il tradizionale rito del solco tracciato con l’aratro trainato da una giovenca e un bue bianchi, preceduto e seguito da tutte le usanze e le cerimonie connesse alla sacralità dell’atto. Le tracce del primo impianto della colonia sono emerse solo di recente e sono molto labili, poiché si trattava di una città di terra e di legno, edificata sullo schema dei campi legionari, per la quale non si riconoscono edifici pubblici tranne uno pseudo santuario di Cibele85. In età augustea, con la riorganizzazione della provincia voluta da Agrippa, Lugdunumdiventa non solo la capitale della Gallia Lugdunense, ma anche la sede del potere imperiale e di quello religioso per le tre Gallie, e si avvia a essere la « métropole économique des Gaules »86 ; nel 15 a.C. nasce la zecca di Lugdunum.
La vera trasformazione urbanistica avviene però solo in età claudia, probabilmente anche grazie ai favori che il principe elargisce alla sua città natale, ma non sono molte le opere che gli si possono attribuire con sicurezza87.
Sappiamo dalle fonti di un incendio devastante scoppiato nel 64, che avrebbe provocato danni tanto ingenti da spingere Nerone a restituire alla città quattro milioni di sesterzi inviati a Roma prima del disastro. Di questo evento, però, non è mai emersa alcuna traccia archeologica sicura88.
Elemento cardine della città, sulle pendici della Croix-Rousse, è il santuario federale delle Tre Gallie ( https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_federale_delle_Tre_Gallie), il cui aspetto ci è noto dalle raffigurazioni sulle monete di età giulio-claudia, ma della cui organizzazione sappiamo molto poco.
anfiteatro di Lugdunum e sotto moneta con raffigurazione della Altare delle tre Gallie
Lugdunum, grazie alla sua felice posizione geografica, alla confluenza tra la Saône e il Rodano, diventa ben presto uno snodo commerciale, un porto e un centro di produzione di primo piano, come testimonia anche una eccezionale concentrazione di iscrizioni (almeno una trentina) che ricordano artigiani diversi tra i quali produttori di sapone e di tessuti, tintori, mercanti di vino e di ceramica89, oltre a un negotiator argentarius et vascularius90. Ben attestati sono soprattutto i nautaedelle corporazioni legate alla navigazione fluviale sul Rodano e sulla Saône e, più in generale, i negotiatoresattivi nei commerci tra i due versanti alpini, come Sennius Metilius, originario di Treviri, noto da un cippo rinvenuto a Lione nel 188491.
A Lugdunum impiantano grandi filiali anche alcuni produttori italici, come il ceramista pisano Cn. Ateius92, che si rendono conto di poter così gestire meglio l’approvvigionamento degli eserciti stanziati sul limes renano, e in breve la città attira artigiani e mercanti da centri vicini e lontani, come un anziano
produttore di vetri di origine cartaginese93 o i negotiatores vinarii di Alba94 e di Treviri95. Sono noti intermediari attivi in diversi rami, come C. Sentius Regulianus che commercializzava vino, ma importava anche olio della Betica, ed è probabile che almeno parte dei battellieri gestisse delle vere e proprie imprese di trasporti sia fluviali che terrestri96.
Sulla Saône sono stati individuati a più riprese diversi porti probabilmente destinati alla gestione di merci differenti e, in anni recenti, sulla riva destra, nello scavo per la realizzazione del parcheggio Saint-Georges, sono stati rinvenuti ben sedici relitti databili tra il I e il XVIII secolo ; di questi, sei sono di epoca romana (I-III secolo). Si tratta di chiatte a fondo piatto, prive di chiglia, che arrivano a superare i 30 metri di lunghezza e i 5 di larghezza ; profonde fino a 120 cm, potevano caricare circa 150 tonnellate, una portata di tutto rispetto, che fa pensare a traffici regolari e probabilmente destinati anche a centri lontani. Le chiatte erano in grado di navigare nei due sensi, scendendo lungo il fiume e risalendo poi la corrente al traino di bardotti o animali da tiro97.
Ricostruzione Lugdunum
Dozzine di piombi da dogana scoperti nell’Ottocento sono una ulteriore testimonianza dell’intensa attività commerciale di Lugdunumtra il I secolo e gli inizi del V e l’identificazione recente di una produzione di anfore in città avvalora l’ipotesi di un grande centro di ridistribuzione di merci, poiché si ritiene che i contenitori servissero a confezionare prodotti importati sfusi in botti o dolia per smerciarli poi per via fluviale o terrestre98. A questo si aggiunge ancora almeno una considerazione : se davvero gli enormi magazzini venuti alla luce a Vienne, poco a valle di Lione, servivano, come è stato proposto, allo stoccaggio delle derrate usate per il pagamento in natura delle imposte che le province galliche inviavano a Roma (tessuti, cereali, pelli, minerali, vino ecc.), bisogna allora pensare che tutta questa gigantesca massa di merci transitasse in qualche modo da Lugdunum99. ( …)
IL MUSEO GALLO-ROMANO DI FOURVIERE
Il museo è stato progettato dall’architetto Bernard Zehrfuss e inaugurato nel 1975. L’edificio si trova al limite dell’area archeologica, semi nascosto sul versante della collina. All’interno, il museo è costituito da una rampa in cemento che scende a spirale, ramificandosi verso dei pianerottoli destinati alle collezioni del museo. Dall’interno del museo è possibile ammirare i resti del teatro e dell’odeon accanto.
Ricchissime le collezione, strepitosi i mosaici di notevoli dimensioni, bellissimi i tanti oggetti della vita comune e della architettura monumentale della città. Tra i pezzi famosissimi troviamo la tabula Claudiana ricomposta in frammenti che riporta in bronzo il discorso dell’imperatore Claudio sull’accesso dei Galli al Senato di Roma. Un altro reperto famosissimo è la tavola di Coligny che permette di allineare calendario lunare antico a calendario solare.
Sarcofago di Bacco
ARMI E ARMATI
Umbone gallicoUmbone e resti di cotta di maglia di epoca imperiale
MOSAICI
Mosaico dei giochi del circo II sec d.C. Lione museo Gallo-romanoMosaico di BaccoMosaici museo GALLO-ROMANO di Fourviere Lione LugdunumMosaico corsa lungo il circo – Lione museo gallo romano.
DIVINITÀ
Divinità galliche: le Matrone museo Gallo-Romano di LioneLe Matrone divinità di origine celtica .museo gallo romano di LioneVenere . Museo gallo romano di LioneVenere statuetta in bronzo – museo Gallo-Romano di Lione
NECROPOLI.
Sepolcreto della giovane Primilia non ancora diciottenne.Il padre Terenzio ha fatto costruire il sepolcreto con l’immagine scolpita della figlia mntre mostra i suoi gioielli. Sul fianco un amorino con la fiaccola dell’amore al contrario. Amate finché vi è possibile voi che leggeteCalco del viso di una bimba romana morta prematuramente Claudia Victoria. La tomba è stata scoperta sulla collina di Fourviere ala fine del 1800
TESORO DI VAISE
VIDEO LUGDUNUM E VIENNE
APP/ APPLICAZIONI PER IPHONE ED ANDROID: EO LUGDUNUM e VIENNE
Ostilio Saserna, denario in argento, Roma, 48 a.C., RRC 448/3. D/ Personificazione della Gallia con carnyx dietro la testa R/ Artemide-Diana di Efeso con lancia nella sinistra e la destra che trattiene una cerva per le corna
LE TRE GALLIE ,VERCINGETORIGE E LA MONETAZIONE ROMANA:
Nel 2012 la Stanford University (California, Stati Uniti) ha realizzato un sito che permette di simulare un viaggio all’interno dell’Impero Romano nel 200 d.C., quindi all’apice della sua espansione. Il sito, chiamato Orbis (globo, in latino), è stato sviluppato da una collaborazione tra il dipartimento di studi storici ed umanistici e quello d’informatica.
Funziona grossomodo come una sorta di Google Maps: andando sul sito appare una mappa dell’Impero Romano, che include gran parte dell’attuale Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente; si sceglie un punto di partenza e uno di arrivo, la stagione in cui si vuole viaggiare e il mezzo (a piedi, a cavallo, o con un carro, per esempio). Il mezzo e la velocità con cui si sceglie di viaggiare hanno implicazioni sui costi: se si volesse andare da Roma a Costantinopoli a giugno utilizzando una staffetta di cavalli, senza utilizzare navi, si impiegherebbero circa 9 giorni. Sempre con una staffetta di cavalli, ma passando anche per un tratto di mare, si impiegherebbero due giorni in meno, e il viaggio risulterebbe anche meno costoso.
Una moneta con l’effige dell’ imperatore Triboniano Gallo; è il ritrovamento più importante fatto dalla squadra dell’Università di Padova durante la nuova campagna di scavi che si sta concludendo nella villa romana a San Basilio.
Una moneta di Treboniano Gallo
A darne notizia è la professoressa Caterina Previato, direttrice scientifica dello scavo, durante la seconda e ultima visita guidata nell’ambito di “Scavi aperti”, l’iniziativa promossa dal Consorzio Deltapoolservice in collaborazione con le guide di Co.Se.Del.Po.
Una ricognizione, quella che è iniziata il 23 maggio scorso, che rientrava in un progetto congiunto dell’Università, della Soprintendenza Abap (Archeologia belle arti e paesaggio) di Verona, Rovigo e Vicenza con il supporto della Fondazione Cariparo. «È una di quelle occasioni che permettono di riscoprire la storia di questo territorio – ha sottolineato Sandro Vidali, assessore di Ariano nel Polesine che ha accompagnato i visitatori – Per i prossimi tre anni sono in programma altre campagne: due sono legate sempre alla Villa romana mentre un’altra riguarda i legami con gli etruschi. Grazie ad un finanziamento Gal siamo inoltre riusciti a ripristinare le vetrine del centro turistico e con il dipartimento di Archeologia classica dell’Università di Padova si mira a creare una sorta di museo immersivo».
GLI SCAVI DEL 2022
Ad accompagnare i partecipanti sono state Stefania Paiola di Studio D e Mara Santarato di Co.Se.Del.Po mentre la professoressa Previato ha illustrato il lavoro svolto. Una visita avvincente, che ha permesso di entrare fisicamente nella zona degli scavi e vedere quel che resta della cosiddetta “Villa romana” che si trovava proprio lungo la Via Popilia, che collegava Rimini ad Altino.
NUMEROSI RITROVAMENTI
Sono stati numerosi i ritrovamenti che adesso saranno esaminati più a fondo. Gli archeologi hanno trovato elementi decorativi in marmo bianco di cui alcuni pregiati provenienti dall’Asia minore e resti di anfore che lasciano presagire come a San Basilio arrivassero prodotti dal Nordafrica, dal mar Egeo e dall’area padana. E poi tanti resti di ceramiche, vetri, frammenti di vita quotidiana come pesi da pesca, chiavi e spilloni e tante monetine in bronzo tra cui una più grande con – appunto – l’effige dell’imperatore Treboniano, che regnò tra il 251 e il 253 dopo Cristo. «Si tratta di una moneta molto rara, dato che questo imperatore ha regnato solo due anni. Quelle piccole ci hanno fatto gioire per la grande quantità in cui le abbiamo trovate, ma questa è importante per qualità» – ha spiegato ai visitatori la docente universitaria.( Da il gazzettino.it)
La terra su cui si ergeva la Grande Quercia di Dante, in territorio di San Basilio, nel Delta Veneto del Po, continua a far emergere altre testimonianze della sua millenaria storia”. Lo spiega il comunicato stampa di studio Esseci.
“Da San Basilio non transitò solo Dante, naturalmente. All’epoca del passaggio del Divin Poeta qui sorgeva un romitorio collegato all’Abbazia di Pomposa e poco più. Ben diverso era l’aspetto di questo lembo del Delta, oggi lontano chilometri dal mare. Le Dune fossili, sui cui sorge la chiesetta romanica di San Basilio, un tempo delimitavano il mare. Il porto che qui era attivo dialogava con quelli di Adria e di Spina nella gestione dei traffici nel mondo allora conosciuto”.
In epoca romana da qui transitava la Via Popillia che, attraverso Adria, congiungeva Rimini all’importante colonia romana del Nord Italia, Aquileia, protesa verso le ricchezze del Norico. Proprio a San Basilio è da identificare la stazione di posta e cambio cavalli, la /mansio Hadriani/, segnalata nella Tabula peutingeriana, la più antica carta stradale romana conosciuta. E magnifici sono i resti di una lussuosa villa romana e di un battistero paleocristiano ancora visitabili in un’area musealizzata nei pressi della chiesetta”.
“Ma l’attenzione degli archeologici ha, da qualche anno, puntato sulla San Basilio ancora precedente, quella presente in epoca etrusca. Gli scavi che in questi mesi sono in corso a cura delle Università di Venezia e di Padova, insieme alla Soprintendenza di territorio e al Museo archeologico nazionale di Adria, stanno delineando la presenza di un sito di una certa importanza già prima dei noti insediamenti romani”.
Alberta Facchi, Direttore del Museo di Adria, dove sono conservati diversi manufatti provenienti dal territorio di San Basilio, sottolinea come da queste ultime indagini sia emerso un dato affatto prima scontato. Ovvero la possibile continuità tra l’insediamento etrusco e quello romano, senza che, come si pensava in passato, ci sia stata una interruzione temporale tra la presenza etrusca, documentata dallo scorcio del VII secolo, e quella romana del II sec. a.C. Benché costruito con materiali locali che poco si conservano nel corso dei secoli (anche gli scavi recenti hanno restituito solo strutture in legno e argilla), l’insediamento etrusco di San Basilio riveste importanza particolare per il fatto che sembra essere il più antico punto di approdo dei naviganti greci della età del ferro in questa area, una ventina di anni prima di Adria”.
“E’ qui che si sperimenta per la prima volta quella presenza multiculturale di genti venete, etrusche e di naviganti greci, che qui convergevano al fine di commerciare. Come nella vicina Adria, anche a San Basilio i Greci scambiavano i prodotti di lusso provenienti dal Mediterraneo, tra cui il vino e pregiati unguenti profumati, con i prodotti della pianura, i metalli dell’Oltralpe e la preziosa ambra del Baltico”.
“Gli scavi recenti consentono quindi di ipotizzare che il sito non fu offuscato e cancellato dalla nascita della vicina Adria (che nel VI secolo divenne una vera e propria città ), ma mantenne un ruolo nel sistema di commercio tra Etruschi e Greci. Questo ruolo e le sue modalità di sviluppo che i prossimi scavi e le tesi di laurea ad essi connessi si prefiggono di indagare. Il progetto di scavo a San Basilio, realizzato con il sostegno congiunto della Fondazione Cariparo e del progetto Interreg Value, E’ stato sospeso per quest’anno a causa dell’emergenza Covid 19. Riprenderà nella primavera 2021 con il suo duplice volto di indagine scientifica e operazione di turismo partecipativo”.
Durante i lavori di scavo per la sostituzione delle condotte del gas a Montorio, frazione alle porte di Verona, è stato rinvenuto un mosaico pavimentale di una grande villa tardoantica (IV o V sec. d.C.). Non ci sono riscontri epigrafici, ma è lecito pensare, data l’estensione e la ricchezza dei reperti, che si tratti di una villa riferita all’imperatore Teodorico, o a un suo collaboratore, primo ministro di altissimo rango. “Da decenni, a Montorio, stanno emergendo in modo sparso brani di mosaici, di impianti termali e di complessi residenziali – ha spiegato il soprintendente ai Beni archeologici e belle arti di Verona, Vincenzo Tinè. -. Ora sarebbe importante mettere a sistema tutte queste informazioni raccolte. Ci sono mosaici di questa villa esposti al Teatro Romano, altri nei magazzini della soprintendenza”. “Si dovrebbe pensare a un’esposizione museale dedicata, supportata in parallelo da un raggruppamento di tutti i dati in un sistema virtuale, unico modo che possa valorizzare la grandiosità della villa che ora è frammentata e nascosta tra le case di Montorio” ha concluso.
“Siamo felici che il Gruppo Agsm Aim, con i suoi lavori sul territorio, scopra tesori di cui Verona è ricca – ha detto il presidente Stefano Casali -. Questo ne è un esempio straordinario. Con il sindaco e il soprintendente studieremo le scelte più opportune da fare per rendere questi importanti ritrovamenti fruibili e visibili ai nostri cittadini e ai turisti”. (ANSA).
Negrar di Valpolicella, provincia di Verona: non smette di stupire la villa romana risalente al IV sec d.C. Gli scavi, iniziati negli anni ’20 del secolo scorso e poi interrotti, sono ripresi nello scorso 2019 e sono fonte di numerose e importanti scoperte. Proprio di qualche giorno fa è la notizia del rinvenimento di un nuovo pavimento mosaicato con figure di volatili iscritte in medaglioni e ceste di melograni.
Gli archeologi della SAP al lavoro, ph. Soprintendenza ABAP Verona
Le tessere del mosaico sono composte di marmi locali, paste vitree colorate con rame o ferro e cotto e hanno perfettamente conservato i colori. La piccola porzione rinvenuta potrebbe in realtà estendersi per parecchi metri in quanto sarebbe parte del pavimento che rivestiva il porticato perimetrale del cortile di 400 metri quadrati attinente alla parte residenziale della villa. Inoltre, sono stati ritrovati numerosi di semi di uva e legno di vite, facendo ipotizzare che già a quei tempi la villa fosse legata alla produzione del vino.
La villa, infatti, sorge sotto la proprietà dell’Azienda Agricola Benedetti, produttrice di vino, che proprio lo scorso anno si è fatta carico delle spese per la copertura dei mosaici rinvenuti nella campagna di scavo 2021, rendendo possibile il restauro e la visione pubblica della pavimentazione in attesa della conclusione degli scavi archeologici e della musealizzazione dell’area – di cui si sta occupando il Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova.
Nel gennaio 2022 lo scavo si è esteso in una nuova area appartenente all’Azienda Agricola Franchini, che, sull’esempio della collega Benedetti, ha rinunciato a coltivare quella porzione di terreno per permettere agli archeologi di fare ricerca, oltre ad aver messo a disposizione i mezzi e sostenuto le spese per le operazioni preliminari di scavo. Il mosaico in questione è emerso proprio dalla proprietà Franchini e corre in parallelo ai mosaici geometrici scoperti lo scorso anno sul lato orientale del cortile.
Lo scavo è stato avviato dalla Sovrintendenza ABAP di Verona e l’intervento è stato eseguito dalla SAP Società Archeologica, sotto la direzione scientifica del dr. Gianni De Zuccato della Soprintendenza. Il finanziamento è stato concesso dal Bacino Imbrifero Montano dell’Adige, grazie all’intervento del Comune di Negrar di Valpolicella, che fin dall’inizio ha affiancato la Soprintendenza nelle nuove ricerche nel sito. L’Università degli Studi di Verona – Dipartimento Culture e Civiltà collabora agli scavi e agli studi, mentre l’Accademia di Belle Arti di Verona si sta occupando del restauro conservativo dei mosaici e dei materiali rinvenuti, con cui il Comune di Negrar di Valpolicella ha già attivato un protocollo d’intesa per la valorizzazione culturale del territorio.
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“Diretta” del mio compagno di scuola Angelo Cimarosti di archaereporter dagli scavi. Complimenti !:
Frammenti di affresco della villa di Alba Docilia -Albisola
Gli studi sulle antichità di Albisola, iniziati nella seconda metà dell’800, portarono a localizzare nella zona di Albisola Superiore l’Alba Docilia che compare come stazione o luogo di sosta sulla Tabula Peutingeriana, mappa stradale dell’Impero romano redatta forse tra III e IV sec. d.C. per scopi militari, pervenutaci grazie a una copia medievale, e in altri itinerari antichi in cui il toponimo assume forme diverse, come Alba Decilia o Delicia.
La presenza dell’antico insediamento albisolese sugli itinerari stradali si spiega con la prossimità all’arteria costiera che da Genova conduceva a Vado, che tuttavia divenne secondaria dopo l’apertura della via Julia Augusta voluta dall’imperatore Augusto tra il 13 e il 12 a.C. Il complesso antico in piazza Giulio II, portato in luce con gli scavi condotti alla fine dell’800 da don Schiappapietra, parroco della chiesa di S. Nicolò di Albisola, è riferibile ad una grande villa (circa 8000 mq) di età romana imperiale che univa caratteristiche della dimora residenziale con strutture e servizi produttivi tipici della fattoria. Sono riconoscibili il quartiere padronale (pars urbana), il settore rustico – produttivo (pars rustica o fructuaria) e il settore termale.
Ricostruzione della Villa di Alba Docilia( disegno di Como)
Parte del nucleo abitativo e della zona termale è attualmente visibile nell’area archeologica compresa nel vasto piazzale antistante la stazione ferroviaria; un tratto del settore rustico è conservato sotto il porticato a fianco della stazione stessa, mentre i resti murari esistenti sotto la piazza sono resi leggibili grazie al tracciato planimetrico, riportato mediante lastre di travertino sulla pavimentazione.
Ipotesi ricostruttiva di porzione della villa
Nel quartiere residenziale della villa, esposto a Sud, piccoli vani (cubicula) si affacciavano su un peristilio porticato dotato di un bacino rettangolare per la raccolta dell’acqua.
I reperti rinvenuti nello scavo rivelano l’elegante decorazione del porticato con intonaci dipinti, lesene scanalate in marmo bianco e capitellini figurati con foglie d’acanto e delfini affrontati. Alcuni vani posti a Nord del peristilio erano forniti di sistema di riscaldamento mediante circolazione di aria calda sotto il piano pavimentale; gli ambienti destinati al soggiorno del proprietario, della famiglia e degli ospiti erano dotati di pavimenti a mosaico e tarsie marmoree e di pareti e soffitti dipinti, che testimoniano una certa raffinatezza almeno nel periodo di maggior sviluppo della villa, corrispondente al I e al II secolo d.C.
Suspensoree di ambienti riscaldati della villa di Albisola
Nel settore rustico una ventina di vani di differenti dimensioni adibiti probabilmente a magazzini, alloggi servili e ricoveri per animali, si disponevano, secondo una tipologia diffusa in area gallo-romana, intorno ad una grande corte centrale; gli ambienti ubicati nell’angolo Nord ospitavano impianti di lavorazione con vasche e canalette, oggi occultate sotto il terrapieno ferroviario, attribuibili alla produzione o alla trasformazione delle derrate alimentari e dei prodotti provenienti dalle proprietà agrarie dell’azienda agricola.
Planimetria dei resti della villa di Alba Docilia
Il settore termale collegato alla parte abitativa comprende un grande edificio circolare, già indagato alla fine dell’800, da identificare probabilmente con un laconicum o assa sudatio, una sauna in cui era possibile prendere bagni di vapore o di aria calda, e forse anche di sole, e una vasca o cisterna rivestita con malta idraulica. In una serie di ambienti collegati si riconoscono vani di servizio connessi alle attivita termali.
La monumentalità dell’impianto termale, il numero di cubicula presenti nell’area residenziale nonché l’estensione planimetrica del settore di servizio con la vasta area cortilizia hanno indotto a interpretare il complesso più che con una villa di tipo rustico-residenziale, con la mansio di Alba Docilia, stazione di posta appartenente all’organizzazione del cursus publicus.
Le mansiones romanae sorgevano in prossimità di strade di grande comunicazione e garantivano possibilità di sosta, accoglienza e riposo per viaggiatori e animali: corrispondono a tali necessità sia lo sviluppo del quartiere residenziale sia l’estensione planimetrica della corte circondata da spaziosi ambienti adibiti forse a magazzini o stalle, sia un capillare sistema idraulico e non ultima la presenza di un attrezzato settore termale, adeguato a un esercizio pubblico piuttosto che ad una struttura privata, per quanto grandiosa. In realtà la distinzione tra villa rustica e mansio non è sempre chiara, in quanto le tipologie edilizia e planimetrica possono presentare elementi comuni, e nulla esclude che alcune villae possano essere state successivamente trasformate in mansiones.
Frammenti di affreschi della Villa di Alba Docilia
L’occupazione stabile della villa tra I e V forse VI secolo d.C. è documentata dai numerosi reperti ceramici e monetali, attestanti una rete di vivaci rapporti commerciali. Le indagini archeologiche recentemente condotte sotto la Via degli Scavi hanno rivelato una stratigrafia intatta, altrove mancante, che ha permesso di delineare la frequentazione del sito dall’epoca preromana al tardo antico e all’alto medioevo, quando alcuni ambienti della villa ormai in abbandono vengono occupati da sepolture a inumazione, per le quali è ancora da individuare la relazione con la chiesa di S. Pietro, o con un primitivo edificio di culto, che si imposta sui resti del complesso di età imperiale. ( Da comune di Albisola).
Frammenti intonaci della villaFrammenti di affreschi della Villa
Presentazione e Introduzione, p. 6 [scarica il PDF] Dede Restagno, La figura e l’opera di Givanni Schiappapietra, p. 13 [scarica il PDF] Dede Restagno, La collezione Schiappapietra, p. 17 [scarica il PDF] Anna Maria Pastorino, Santo Varni ad Alba Docilia 1880-1881, p. 21 [scarica il PDF] Storia degli scavi di Alba Docilia Dede Restagno, Le più antiche notizie e i primi scavi, p. 25 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, Scavi e ricerche 1969-1996, p. 29 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, La villa romana di Alba Docilia, p. 35 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, La decorazione parietale, p. 43 [scarica il PDF] Lorenza Panizzoli, Il restauro, p. 59 [scarica il PDF] Giancarlo Lanterna, Pietro Moioli, Claudio Seccaroni, Strati superficiali dei dipinti murali. Studio della composizione, p. 65 [scarica il PDF] Glossario, p. 73 [scarica il PDF] Bibliografia, p. 77 [scarica il PDF] Errata Corrige [scarica il PDF]
il mosaico con la raffigurazione del Leopardo è un frammento restaurato da RavennAntica ed appartiene al pavimento d’un triclinio / sala da pranzo di una ricca domus , scoperta a Faenza nel 1963.
LA DOMUS
La domus faentina si collocava al centro dell’isolato compreso fra il decumano massimo (via Emilia-via Mazzini) e l’ultimo cardo occidentale, corrispondente all’attuale via Cavour: i vani rinvenuti erano perfettamente in asse con le direttrici stradali.
Domus leopardo di Faenza
Una prestigiosa sala da pranzo era pavimentata con un tappeto musivo policromo e un emblema col leopardo a caccia , forse evocativo della venatioa cui poteva essere dedito il padrone di casa o semplicemente testimoniare il suo amore per gli animali esotici; il pannello si osservava da nord, cioè dal punto in cui erano sistemati i letti triclinii. La sala comunicava con spazi aperti di servizio e corridoi di disimpegno. L’abitazione, che risale alla tarda età repubblicana (1° a.C.), fu frequentata fino al 3-4° secolo d.C.
V. Righini, Faenza, in Enciclopedia dell’arte antica, 1994 – Treccani
P. Monti, Faenza: rinvenimenti di età romana, in Notizie Scavi, s.8, XVI, 1965, pp. 69-82
G. Montevecchi, L’edilizia residenziale privata, in Progettare il passato, a cura di C. Guarnieri, Firenze 2000, pp. 129-177, in part. pp. 136-139
IL MOSAICO
Al centro d’un ampio e complesso impianto decorativo, ritmato da cerchi e ottagoni, era collocato un emblema. Nel frammento recuperato dell’emblema campeggia un leopardo, mutilato del muso, che balza su un animale, una gazzella o un altro ungulato, di cui rimangono solamente le zampe posteriori. Il manto chiazzato del leopardo, tessuto con tessere in pietra locale, sfoggia toni di verde, ocra, rosso scuro, arancio, giallo (foto 3); una linea d’ombra sottolinea il suo agile profilo. Il paesaggio è riassunto in poche, strette strisce d’erba a sostenere le zampe degli animali.
Il tema del predatore che insegue la preda è antichissimo e molto diffuso, costella il bacino mediterraneo con tutte le possibili varianti: leone, leopardo, cane tra i predatori; gazzella, antilope, toro, coniglio tra le prede. In Italia motivi analoghi si trovano nella villa di Piazza Armerina, in Sicilia, ma nella regione Aemilia è una rarità.
LA RICOSTRUZIONE
restaurato nel 2013, occupava in una domus faentina la parte centrale d’un pavimento che è stato tagliato e immagazzinato. Per ricostruirlo abbiamo fotografato i lacerti residui, quindi li abbiamo disposti seguendo il rigoroso ordito di moduli circolari raccordati tra loro secondo uno schema che genera ottagoni con quattro lati concavi.
È apparso evidente che l’emblema non poteva essere contenuto in un solo modulo, poiché la cornice si sarebbe sovrapposta sulla figura del leopardo. Dunque l’emblema aveva un’altezza di due moduli, e ciò che ne resta è solo un angolo, purtroppo.
Nel resto dell’emblema sicuramente vi erano altre figure, oltre il leopardo e la gazzella di cui restano le zampe. Abbiamo provato a inserire nella bozza di ricostruzione altre due figure simili, per suggerire come potesse apparire il pavimento integro. Ma abbiamo rinunciato nella ricostruzione definitiva: le ipotesi possibili erano troppe.
Poiché i lacerti consentono di stabilire la larghezza del pavimento, si trattava dunque di ipotizzare quale potesse essere la sua lunghezza. Abbiamo scelto uno schema simmetrico, di 5 moduli per otto, suggerito anche dai triangoli che incorniciano gli ottagoni: sul lato retto se ne contano 5, sul curvo 8. Un ritmo ben noto al mondo antico, con proporzioni pari a 1: 1,6, prossimo alla sezione aurea e che ricorre nella serie di Fibonacci.
Archeologia Viva n. 83 – settembre/ottobre 2000 pp. 90-91
di Fabio Eugenio Betti
Le ricerche che da anni si susseguono nel sito di questo antico centro del territorio cremonese lungo la via Postumia fanno luce sulla realtà d’insediamenti minori che caratterizzava il sistema romano dell’economia e del controllo territoriale
Nella parte sudorientale della provincia di Cremona, lungo l’antico corso dell’Oglio, località Sant’Andrea (Comune di Calvatone), sono stati localizzati notevoli resti di un piccolo centro (vicus) che la maggior parte degli studiosi identifica con l’antico Bedriacum. Il vicus di Bedriacum è ricordato dalle fonti quasi sempre in relazione alle due drammatiche battaglie combattute nelle sue vicinanze nel 69 d.C. Svetonio, scrittore romano del I sec. d.C., autore delle Vite dei Cesari, lo nomina nei libri dedicati a Otone, Vitellio e Vespasiano, i tre imperatori che si affrontarono in battaglia proprio a Bedriacum (prima Otone contro Vitellio, poi Vitellio contro Vespasiano). Plutarco (47-127 d.C.), autore di una biografia dell’imperatore Otone suicidatosi dopo la grave sconfitta di Bedriacum, ricorda che «Bedriacum è una città piccola (polichne) nei pressi di Cremona». Ma è soprattutto Tacito, il grande storico romano vissuto tra I e II sec. d.C., a ricordare nelle sue famosissime Historiae gli scontri sanguinosi verificatisi in questo antico centro nel 69 d.C. Anche Plinio, l’autore della Naturalis Historia, ricorda le guerre di quell’anno come le guerre di Bedriacum. Inoltre Beloriaco (cioè Bedriacum) è segnato sulla Tabula Peutingeriana, la copia medievale di una delle più antiche carte geografiche di cui siamo a conoscenza, databile al IV secolo. Sappiamo che il tratto della via Postumia fra Cremona e Bedriacum era denominato Bedriacensis.
«Il vicus – ricorda Gemma Sena Chiesa, docente di Archeologia all’Università statale di Milano – dovette impiantarsi ai margini di un terrazzo fluviale sull’Oglio in una località già occupata in età preistorica, come testimoniano una sepoltura a inumazione riferibile all’età del Rame e un piccolo villaggio palafitticolo della media età del Bronzo». Il fiorente sviluppo dell’abitato romano fu dovuto alla favorevole posizione lungo la Postumia, antica strada consolare costruita da Spurio Postumio Albino nel 148 a.C. che congiungeva l’antica Genua (Genova) con Aquileia, e alla vicinanza del fiume Oglio collegato all’asse fluviale del Po. Bedriacum svolse così un’importante funzione di nodo di traffici tra la Venetia, l’Adriatico e l’area padana più interna, dalla fine del II sec. a.C. al V sec. d.C.
I rinvenimenti nell’area dell’abitato romano si susseguono dalla metà del secolo scorso. Le ricerche degli eruditi locali e i lavori agricoli nell’area di Sant’ Andrea di Calvatone portarono alla luce strutture abitative e una gran quantità di reperti di età romana, monete, bronzetti, ceramica, vetri, frammenti di statue in marmo e in bronzo, molti dei quali dispersi in collezioni private. In particolare ricordiamo la scoperta, nel 1836, dei frammenti di una statua in bronzo raffigurante una Vittoria che si posa sul globo; quest’ultimo, ornato da un’iscrizione, permette di datare il pezzo agli anni degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169 d.C.).
Nel 1841, i Musei di Berlino acquistarono questi frammenti provvedendo al restauro e all’integrazione delle parti mancanti della statua, poi divenuta celebre come Vittoria di Calvatone. Le vicende di Berlino alla fine della seconda guerra mondiale portarono alla scomparsa dell’opera( fino alla sua recente riscoperta presso la Hermitage )
Ne esistono inoltre tre copie, eseguite da artigiani berlinesi su commissione di Adolf Hitler: una è conservata al Museo civico di Cremona, una a Roma nel Museo della civiltà romana e una al Museo Puskin di Mosca.
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PARETI DIPINTE DALLO SCAVO ALLA VALORIZZAZIONE.
Da “Pareti dipinte dallo scavo alla valorizzazione” XIV colloquio AIPMA “S
Stefano Nava e Daniele Bursich -universitá di Milano