CESOIE CELTICHE DALLA BAVIERA ..COME NUOVE

Alcuni ritrovamenti celtici presso Sendling Monaco di Baviera

Uno dei ritrovamenti più tipici delle sepolture celtiche maschili in Gallia Cisalpina , così come in altre aree celtofone è la cesoia uno strumento tipicamente associato alle attività manuali ed a quelle agropastorali. Se ne trovano diversi resti nei tanti piccoli musei in Padania. Qui sotto ad esempio un esemplare in ferro con molla arrotondata a curva continua e lame triangolari con margine incurvato,
IV-I sec. a.C. (tarda età del ferro) del museo Bellini di Asola .

Cesoia del museo archeologico di Asola “Bellini”

Qui nasce lo spunto per segnalare un eccezionale ritrovamento in Baviera ovvero delle cesoie straordinariamente conservate. Ricordiamo come l’ area bavarese sia strettamente legata in antichità con la Cisalpina. ( Nel III sec a.C. . I Boi abitavano principalmente la zona dell’odierna città di Monaco di Baviera, mentre i Cotini si insediarono nella zona a sud-ovest della Baviera, nella regione del lago di Costanza. I Vindelici vivevano nella parte nord-occidentale della Baviera, mentre i Norici si trovavano nella zona orientale della regione, sulle rive dell’odierno Danubio)

Riportiamo di seguito il report :

L’altissima qualità del metallo della forbici trovate nella tomba, che mostrano ancora la nitidezza del “filo” e ampie parti non ossidate e specchianti.Tra Austria e Germania, in antico, veniva realizzato un ferro simile all’acciaio. Foto: Maximilian Bauer, Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti

Quasi come nuove: forbici di 2.300 anni sorprendono i ricercatori per il loro fenomenale stato eccezionale di conservazione.

Nel distretto di Sendling,- una porzione del territorio comunale di Monaco di Baviera, in Germania – una squadra di archeologi dell’Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti ha scavato, studiato e recuperato eccezionali reperti dell’epoca celtica. “La qualità della conservazione di questi corredi funerari è impressionante: le forbici trovate hanno stupito i ricercatori: sembrano quasi nuove, senza ruggine e leggermente lucide. – affermano gli archeologi della soprintendenza bavarese – Oltre alle forbici, in questa tomba, gli specialisti dell’Ufficio di Stato per la Conservazione dei Monumenti hanno trovato anche una spada ripiegata, resti di uno scudo e una punta di lancia, un rasoio e una fibula. La scoperta del materiale antico è avvenuta durante un intervento di messa in sicurezza dell’area per la presenza di ordigni bellici della Seconda guerra mondiale.

Gli artificieri  – che, evidentemente procedono con l’ausilio di rilevatori di metalli – hanno scoperto la tomba e hanno immediatamente informato l’ente archeologico di stato bavarese.

È stato così possibile scoprire un altro piccolo importante tassello del passato celtico in Baviera ma soprattutto apprezzare l’eccezionale stato di conservazione fino ad allora completamente sconosciuto in altri reperti.

Foto: Maximilian Bauer, Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti

L’eccezionale qualità metallurgica del manufatto testimonia forse uno status sociale speciale del defunto. Il Prof. Mathias Pfeil, capo dell’Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti, spiega: “Un paio di forbici che hanno più di 2.300 anni ,in una condizione tale da essere usate ancora oggi: è un oggetto certamente speciale. La qualità tecnica della realizzazione artigianale è impressionante, tanto quanto il particolare stato di conservazione del manufatto…”

Dal III secolo a.C. al II secolo a.C., i Celti di questa area utilizzavano l ‘incenerazione e quindi  bruciavano i loro morti e seppellivano i resti degli scheletri in fosse insieme ai corredi funerari. Il ritrovamento contestuale di altre sepolture a Sendling mostra che si tratta di un cimitero sconosciuto e intatto.

“La tomba con spadaforbici e rasoio era collocata al centro di un quadrato formato da quattro pali distinti, che ne enfatizzavano lo spazio. I corredi sono riferibili ad un individuo di sesso maschile . La spada è stata ritualmente piegata , come avveniva tradizionalemte nei popoli celtici. Le forbici erano forbici per il taglio dei capelli o destinate al taglio di tessuti. Tuttavia, avrebbero potuto essere utilizzate anche per la tosatura delle pecore. Un dispositivo multifunzionale già allora”.

Fai clic per accedere a pm_2300_jahre_alte_schere_grab_sendling_blfd.pdf

UN VILLAGGIO DI IRRIDUCIBILI LEPONTI COME IN ASTERIX.

Nel 50 avanti Cristo tutta la Gallia è occupata dai Romani… Tutta? No! Un villaggio , abitato da irriducibili Galli resiste ancora e sempre all’invasore. E la vita non è facile per le guarnigioni legionarie romane negli accampamenti ..”. Questo è l ‘incipit che precede tutte le avventure a fumetti di Asterix il Gallico, storie che neanche a dirlo hanno acceso la mia fantasia. René Goscinny e Albert Uderzo, crearono le strisce a fumetti dove un piccolo e orgoglioso guerriero gallo dall’elmo alato, con casacca nera e pantaloni rossi, un paio di baffi resiste agli invasori.
Ho parlato del mio fumetto preferito per inserire gli studi su un piccolo villaggio LEPONTICO che è riuscito a mantenere per lungo tempo almeno fino ai Gordiani nel II sec d.C le sue tradizioni seppur all’interno di un mare ormai Romano. Si tratta del villaggio di altura di Marano.

Qui di seguito troverete uno stralcio dell’ articolo originale che potete leggere nella sua forma originale dal titolo ” CONTINUARE A SENTIRSI LEPONTI NEL VASTO IMPERO ROMANO – FULVIA BUTTI”

su accademia.edu al seguente link :

https://www.academia.edu/resource/work/34763280


<< L’incontro tra il nascente impero romano ed i Leponti fu all’inizio superficiale e non presenta differenze così significative del costume funerario se non quelle che rispecchiano i mutamenti storico-sociali in corso alla fine del II secolo aC.
Possiamo desumere che i rapporti fra Leponti e “stranieri” Romani inon siano stati particolarmente profondi: risultano gestiti dalle elites, che si limitano ad usare i prodotti importati ed esibiscono nei loro corredi tombali raffinato vasellame di provenienza italica come segno di prestigio. Gli uomini, che si “presentano nelle tombe ancora come guerrieri, dotati di armi (spada e lancia), non appaiono intaccati nella loro identità.

Tale situazione ha un prima netta svolta attorno al 40-20 a.C. quando le testimonianze di cultura materiale sono chiaramente “romane”: probabilmente in questa fase la popolazione vive “alla romana, sia perché gli oggetti d’uso sono quelli comunemente diffusi, sia perché doveva avere adottato usanze “importate”, come quelle relative alla toilette nelle tombe compaiono infatti balsamari che testimoniano l’impiego di profumi ed oli, e vengono deposti specchi.

Ma il vero mutamento “interiore” è ancora successivo, solamente infatti in età augustea gli uomini non vengono più sepolti armati, rinunciando così all’antico modello del guerriero, e non adottano più il tradizionale mantello. fissuto con la vistosa fibula “Ornavasso”, tipica del loro territorio (MARTIN-KILCHER 1998, pp. 234-238). Penso che solamente in questo momento si possa dire sia effettivamente completato il processo di romanizzazione. quando cioè i notabili si identificano nei nuovi modelli romani



Questa fase cruciale della romanizzazione dovette essere comunque articolata e variamente sfumata, poiché ad esempio ad Ornavasso gli uomini continuano per più tempo rispetto a Locarno a vestirsi “all’antica”. Ancora più tradizionaliste appaiono le donne che, sulle sponde del Verbano settentrionale, sono molto più restie dei mariti ad aprirsi ai nuovi influssi e conservano fino oltre la meta del I secolo. d.C. I valori tradizionali della loro terra (MARTIN-KILCHER 1998, p. 138)

Il processo di romanizzazione si potrebbe perciò dire concluso con relativa velocità, e l’epigrafe di La Turbie, in cui i Leponti compaiono fra le popolazioni alpine conquistate, costituirebbe anche il loro epitaffio funebre: proprio quando vengono alla ribalta” della storia citati nell’imponente monumento che celebra l’impresa militare del 15 a.C., essi si annullano rapidamente nel grande impero romano. Infatti i materiali tombali non si distinguono sostanzialmente da quelli cisalpini, anche se si notano differenziazioni fra la parte orientale e quella occidentale (Xe XI Regio), e anche se all’interno di quest’ultima sono state evidenziate caratteristiche specifiche del “comprensorio del Verbano”


La piccola necropoli di Madrano, presso uno degli accessi al passo del San Gottardo e non distante dall’attuale traforo, è per vari aspetti interessante (BUTTI RONCHETTI 2000). Il primo aspetto è proprio questo, la sua posizione in ambito alpino, cioè in un territorio completamente diverso, ma complementare a quello delle numerose tombe del Locarnese che, con la loro alta concentrazione e con la bellezza e ricchezza degli oggetti deposti (anelli, vetri, bronzi, ecc.), avevano dominato “la scena dell’archeologia ticinese e rappresentato “ufficialmente” la romanità del Canton Ticino.
Le tombe di Madrano, anche se solo quindici, documentano una realtà in parte differente da quella lacuale. Le diversità erano ovviamente già intuibili a priori, ma proprio il confronto fra le due situazioni permette di conoscere meglio il mondo antico.

Un secondo aspetto è quello del rito funerario adottato, l’inumazione invece della cremazione, che viceversa diventa dominante o esclusiva in pianura. Oltre ad un valore intrinseco già di per sé significativo, questo rito offre il vantaggio di conservare la disposizione originale degli oggetti sul cadavere ed all’interno della tomba (fig. 1). rendendo così fruibile un interessante serie di dati, primo fra tutti la ricostruzione di come era vestito il defunto (MARTIN-KILCHER 1993).

La “novità” emersa dalla ricerca della professoressa Martin- Kilcher è proprio quella di superare il dato archeologico per fornire aspetti di vita antropologici; la studiosa ha appurato in primo luogo che i morti erano vestiti come i vivi ed è riuscita, tramite il confronto con alcuni rilievi pervenutici, a individuare l’abbigliamento in voga, nel quale sorprendentemente rimangono in uso abitudini ed oggetti di antica tradizione .



Un altro aspetto è quello dei materiali rinvenuti: anch’essi si discostano in parte da quelli della pianura e forniscono ulteriori elementi conoscitivi. Mentre le suppellettili ceramiche e vitree sono con ogni probabilità di produzione regionale, è attestato un consistente gruppo di materiali di importazione, vasi e fibule transalpini. Inoltre compare tra i reperti un particolare tipo di fibula quella di “Mesocco” (CRIVELLI 1958-1959, tipo C), su cui è necessario soffermarsi. E un ornamento massiccio di ragguardevoli dimensioni, che raggiunge anche i 16 centimetri di lunghezza , portato in coppia sulle spalle dalle donne per fissare la “sopratunica” (corrispondente al peplo), un rettangolo di stoffa che avvolge il corpo (fig. 5). Certamente di produzione locale. ne possiamo all’incirca delimitare la diffusione ai Grigioni, Canton Ticino, Valli Ossolane ed Alto Vallese. In quest’ultimo ne era presente un atelier produttore, poichè a Brig/Waldmatte, ne sono stati rinvenuti due pezzi non ultimati (PACCOLAT 1998a, p. 88) ed all’interno dell’ambito sopra definito questa spilla raggiunge picchi di alta concentrazione (ETTLINGER 1973, p. 46).

Siamo in grado anche di tratteggiarne la genesi, già la Ettlinger infatti (ETTLINGER 1973, p. 51) aveva individuato una forma intermedia fra la Misorerfibel e la Knotenfibel (rispettivamente forme Ettlinger 7 ed Ettlinger 8) di cui più esemplari provengono da Ornavasso e dal Locarnese (fig. 6). Essi sono ornamenti più raffinati rispetto ai successivi, poiché conservano ancora la staffa traforata ed i noduli sull’estremità dell’arco, sono in argento e normalmente di piccole dimensioni, anche se qualche esemplare supera i 10 centimetri (SIMONETT 1941, Liverpool u tomba 33, n. 13: ETTLINGER 1973, tav. 24, n. 1), ma presentano già l’arco piatto come sarà caratteristico nella “Mesocco”, Altri pezzi provengono da Coira (SIEGFRIED-WEISS 1991, pp. 141-142, tav. 51, n. 3) (fig. 7) e da Gamsen (Vallese). All’età angustea si data la maggior parte dei rinvenimenti sopra citati ed in quest’epoca dobbiamo collocare perciò la nascita della Misoxerfibel. 1 secoli di maggiore concentrazione sono il I-II, ma la sua durata è sorprendente, poiché è ancora presente, successivamente, nella necropoli di Arcegno (tomba 61) (fig. 8) associata a monete di Gordiano III, e nel Vallese (PACCOLAT 1997, p. 33, fig. 15, tomba 89/3)………>> .

Possiamo dire che ancora ai tempi dei Gordiani resistevano tradizioni specifiche identificative della cultura dell’ ‘antica area insubres -lepontica

LATENIUM : UN MUSEO DEDICATO ALL’ EPOPEA CELTICA DEL PERIODO LA TENE

Il Latenium, è un museo archeologico a Neuchatel in Svizzera che vanta una vasta collezione di reperti celtici. È dedicato a Paul Vouga il padre delle scoperte e degli studi sull’epoca poi identificata come quella appunto di Latene. la ricchezza degli esemplari qui ritrovati è sorprendente. Si trovano armi, gioielli e oggetti domestici risalenti al periodo tra il III e il I secolo a.C. La mostra permanente del museo offre uno sguardo approfondito sulla vita quotidiana dei popoli celtici che una volta abitavano la regione. I visitatori possono ammirare la maestria nella lavorazione dei metalli e della ceramica da parte dei Celti e scoprire come questi abbiano influenzato la cultura e l’arte europee. Che dire…il Latenium è un must per chiunque è interessato ed appassionato alla storia e alla cultura celtica.

RIGUARDO ALLE SCOPERTE DI PAUL VOUGA. È possibile leggere il volume intero dello studioso sul link sotto di accademia.edu

https://www.academia.edu/resource/work/66964016

LEPONTI : NUOVE SCOPERTE IN TICINO A GIUBIASCO

Palasio alcune tombe con corredi, mentre 30 sepolture riemergono tra il viale 1814 e via Ferriere: trovati qui anche 4 tumuli, una novità in Ticino.

TRANSPADANA , RAETIA AI TEMPI DI AUGUSTO

Doppia importante scoperta archeologica a Giubiasco: nelle scorse settimane in una grande parcella di terreno situata tra il viale 1814 e la via Ferriere, durante i lavori per una nuova edificazione, sono emerse una trentina di tombe da riferire all’Età del Ferro, risalenti perciò al Sesto-Quinto secolo avanti Cristo. Il terreno – spiega l’Ufficio cantonale dei beni culturali in un comunicato stampa – era occupato da una serie di edifici a carattere industriale, demoliti per lasciare spazio alla costruzione di un palazzo residenziale, nel frattempo quasi giunto a tetto. Ma non è tutto: alcune centinaia di metri verso montagna, in via Rompeda nella zona del Palasio, area conosciuta da decenni dal profilo archeologico, sempre nel corso di un cantiere edile di dimensioni più ridotte sono emerse alcune tombe, pure risalenti all’Età del Ferro. In questo caso una sepoltura conservava un vaso pre-trottola, una ciotola e un bicchiere a calice in ceramica, così come due fibule in ferro, indica a ‘laRegione’ Rossana Cardani Vergani, caposervizio archeologia dell’Ufficio beni culturali, responsabile delle operazioni di scavo, ricerca, catalogazione e conservazione dei reperti. Cardani Vergani ricorda che «grazie alla raccolta dati della Mappa archeologica del Cantone Ticino, lavoro iniziato a fine anni 90, oggi l’Ufficio dei beni culturali è in grado d’inserire nei Piani regolatori (Pr) i cosiddetti Perimetri d’interesse archeologico (Pia)». E come detto la zona del Palasio, con le sue 700 sepolture emerse dagli anni 60 fino a oggi, rientra notoriamente in una di queste aree d’interesse.

Materiali celtici dalla tomba 423 di Giubiasco

‘Potrebbero cambiare la storia di questa grande area sepolcrale’

Lo scavo tra il viale 1814 e via Ferriere è ancora in corso (si concluderà a fine dicembre) e sta riportando alla luce un numero considerevole di sepolture a inumazione e cremazioni singole. Se i corredi che accompagnano le oltre trenta tombe finora scavate sono ricchi e interessanti – indice quindi di una popolazione che le vie di transito hanno reso di ceto alto –, stando al Servizio archeologico la grande sorpresa sta nei quattro grandi tumuli presenti, “una prima assoluta per il Ticino”. Il tumulo rimanda infatti alle famose tombe etrusche, dove una struttura costruita ‘a collina’ racchiudeva sepolture di grande importanza. I tumuli giubiaschesi verranno aperti in sequenza nei prossimi giorni. La tomba principale lo sarà nel corso della presentazione alla stampa in agenda il 28 novembre: “Le aspettative al proposito sono grandi e, se confermate, cambieranno la storia di questa grande area sepolcrale”.

La brocca in bronzo a becco d’anatra trovata nove anni fa

Tornando in via Rompeda, in zona Palasio già nel 2013 era stata scoperta una necropoli, «dalla quale sono state riportate alla luce una trentina di sepolture a inumazione, caratterizzate da ricchi corredi perlopiù maschili da riferire all’Età del Ferro». Un’area nota fin dal 1906, «in quanto (seppur in modo sporadico) nelle vicinanze erano state rinvenute alcune sepolture», precisa Cardani Vergani. Le tombe di via Rompeda sono dunque legate alla Necropoli del Palasio, visto che sono state trovate a pochi metri di distanza da essa. Ricordiamo che uno degli oggetti di maggior pregio riportati alla luce nel 2013, è stata una brocca in bronzo a becco d’anatra: una rielaborazione dei Leponti – popolo stanziato nelle Alpi centrali che alcuni secoli a.C. era presente pure nella zona di Bellinzona, ad Arbedo e, appunto, Giubiasco – di un modello tipico etrusco per servire il vino nei simposi. La brocca è stata esposta una prima volta nella casa comunale di Giubiasco assieme ad altri oggetti ritrovati nella necropoli per alcuni mesi nel 2016; oggi è l’‘oggetto simbolo’ presso il Museo di Montebello.

Tomba 31 Castione Bergamo d’Arbedo

Zone archeologicamente sensibili

Se da un lato il ritrovamento di reperti antichi genera sempre stupore e curiosità, dall’altro può anche provocare alcuni malumori per le ditte che devono parzialmente rallentare il cantiere. Tuttavia, l’istituzione di zone archeologicamente sensibili genera trasparenza: in questo modo le società di costruzione sono a conoscenza che il cantiere potrebbe, molto probabilmente, subire alcuni ritardi, di cui quindi si tiene conto al momento della pianificazione dei lavori. «L’inserimento a Pr dei Pia fa sì che ogni intervento previsto nei terreni che vi fanno parte venga annunciato al Servizio archeologico cantonale, che ha il dovere di preavvisare la domanda di costruzione o la notifica», rileva Cardani Vergani. «Il preavviso (di regola favorevole con condizioni) indica un solo obbligo agli istanti, che in base alla Legge sui beni culturali, sono tenuti a preavvisare per tempo l’inizio dei lavori, in modo che dai primi movimenti di terreno il Servizio sia presente e controlli la possibile presenza di sostanza archeologica».

Dal ritrovamento allo studio, fino all’esposizione, passando dal restauro

Ma concretamente cosa succede quando viene accertata la presenza di reperti archeologici in un cantiere? «Lo scavo meccanico viene interrotto e gli archeologi iniziano il loro intervento manualmente; solo in questo modo infatti la sostanza antropica ancora presente nel terreno viene identificata, rilevata e documentata, così che se ne possa ricostruire l’evoluzione», sottolinea la caposervizio. «Lo scavo scientifico condotto da archeologici permette così di riportare alla luce strutture legate a insediamenti, fortificazioni, luoghi di culto, necropoli, per citare i ritrovamenti più comuni. Accanto ai reperti immobili, l’indagine riconsegna molto spesso grandi quantità di reperti mobili integri o in frammenti: corredi da sepolture, oggetti di uso quotidiano da insediamento, armi da luogo difensivo». Ovviamente il percorso di un reperto archeologico non si ferma dopo il ritrovamento a seguito di uno scavo: in un secondo tempo si procede infatti con «la conservazione, il restauro, lo studio, la valorizzazione e infine l’esposizione».

Tomba 108 Cerinasca d ‘Arbedo

Il Cantone possiede oltre quarantamila reperti mobili

Cardani Vergani precisa poi che «i reperti mobili diventano per legge di proprietà dello Stato, mentre quelli immobili (se non distrutti) rimangono ancorati al terreno e quindi sotto la responsabilità del suo proprietario». In generale in Ticino sono stati mappati «circa tremila siti archeologici» e il Cantone possiede «più di quarantamila reperti mobili». Di questi ne sono stati esposti «unicamente un migliaio. Una minima parte, se si considera la grande ricchezza della collezione archeologica: dai vetri romani (una delle maggiori collezioni a livello europeo), ai numerosi reperti in ceramica, ferro, bronzo, argento e oro, che dal Neolitico ci portano all’alto Medioevo, ai frammenti di dipinti murali del pieno Medioevo».

Collezione destinata a crescere ancora

Una collezione, quella di proprietà dello Stato del Cantone Ticino, che, visti i frequenti nuovi ritrovamenti archeologici, è «destinata a crescere negli anni. Una collezione che tutti auspichiamo sempre di più diventi appannaggio non solo degli specialisti», ma di tutta la popolazione. Articolo di Fabio Barenco tratto da “la regione.ch”

ALTRI LINKS SULLA SCOPERTA:

Dopo 2500 anni aperte le tombe di Giubiasco

Dopo 2500 anni aperte le tombe di Giubiasco

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/A-Giubiasco-i-tesori-dellet%C3%A0-del-Ferro-15822394.html

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LA NECROPOLI DI GIUBIASCO

VOLUME 1:

https://www.academia.edu/resource/work/1818129

VOLUME 2:

https://www.academia.edu/resource/work/1818119

VOLUME 3

https://www.academia.edu/resource/work/1818136

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IL NUOVO MUSEO AL CASTELLO DI BELLINZONA.

Da M4.ti.ch

Archeologia Montebello – Il nuovo percorso espositivo all’interno del Castello di Montebello, Bellinzona

Dopo alcuni anni di interventi, svoltisi a tappe e seguiti dalla Sezione della logistica (Dipartimento delle finanze e dell’economia), e con un allestimento museale rinnovato a cura del Servizio archeologia, il Castello di Montebello ha riaperto al pubblico con un nuovo concetto espositivo, più innovativo e dal taglio divulgativo.

La nuova entrata al percorso espositivo “Archeologia Montebello”

La visita al maniero, trasformato architettonicamente al suo interno nel 1974 su progetto degli architetti Mario Campi, Franco Pessina e Niki Piazzoli, è organizzata in due distinti spazi.

Al Palazzetto – attraverso vecchi documenti, disegni, fotografie d’epoca e progetti architettonici – è presentata la storia del castello, dalla sua edificazione avvenuta alla fine del XIII secolo, passando attraverso gli ampi lavori di restauro e di ricostruzione del periodo 1902-1910, per giungere all’ultimo importante intervento architettonico risalente agli anni ’70 del secolo scorso.

La torre del castello ospita invece un’esposizione archeologica dove è presentata una selezione di rinvenimenti del territorio ticinese, con particolare attenzione alla regione del Bellinzonese e delle valli superiori. I reperti, tra cui alcuni pezzi rari e di pregio come ad esempio la brocca a becco d’anatra da Giubiasco-Palasio esposta all’entrata, invitano il visitatore alla scoperta di questo territorio attraverso elementi, legati alle risorse naturali e alla presenza umana, che lo caratterizzano fin dai tempi più remoti.

Brocca a becco d ‘anatra

La visita al mastio si sviluppa in verticale seguendo il filo del tempo in ordine cronologico, dal basso (il periodo più antico, il Mesolitico) verso l’alto (il periodo più recente, la Romanità). La sequenza – suddivisa in quattro piani espositivi, intercalati da tre piani evocativi – richiama le modalità della ricerca sul terreno, che riporta alla luce le testimonianze in base a una lettura stratigrafica: gli strati più profondi racchiudono gli elementi più antichi, quelli più superficiali i più recenti. In ogni piano la “Carta del tempo” ideata dall’Associazione Archeologica Ticinese e i relativi riferimenti cromatici ricordano al visitatore a quale epoca appartengono gli oggetti esposti e in quale contesto essi si inseriscono.

Estratto della “Carta del tempo” elaborata dall’Associazione Archeologica Ticinese

Una volta giunti al cosiddetto Belvedere, alcune vedute mostrano la morfologia attuale del territorio, mettendo l’accento sugli aspetti geografici.

Un altro percorso scende invece ai piani inferiori, dove si possono approfondire alcune tematiche: l’introduzione nelle nostre terre della prima forma di scrittura, avvenuta durante l’età del Ferro, e la sua diffusione, in epoca romana; l’abbigliamento, ossia come vestivano e si adornavano le nostre antenate e i nostri antenati; i riti funerari in uso nell’antichità.

Un approfondimento tematico dedicato all’introduzione della scrittura nelle nostre terre

Una guida in quattro lingue scaricabile su smartphone accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo.

Link:

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Scoperta-una-necropoli-a-Moghegno-15221758.html

AVENTICUM SULLE TRACCE DEGLI ANTICHI ELVEZI.

Da swissinfo.ch

Aventicum rispetto ad ELVEZI, TIGURINI, LEPONZI E CISALPINI

Importanti scavi archeologici ad Avenches hanno rivelato qualcosa di più sugli Elvezi che popolavano l’Altipiano svizzero prima della conquista romana. Una collezione di manufatti presentati per la prima volta mette in discussione l’immagine che il pubblico ha generalmente dei popoli celtici dell’Età del Ferro.

Moneta celtica dei Sequani

Il passato romano di Avenches, nel Cantone di Vaud, ex capitale dell’Elvezia romana, era già noto. Tuttavia, dal 2014, dopo l’inizio dei lavori per ampliare un quartiere, gli archeologi e le archeologhe hanno effettuato scavi in diversi settori che hanno rivelato numerosi resti del I e II secolo a.C., cioè prima della colonizzazione romana della regione.

Tipici ornamenti in vetro di fattura celtica

Dalla fine di settembre, questi reperti sono presentati in una mostra temporanea presso il Museo romano di Avenches. Intitolata “Avenches la Gauloise”, l’esposizione rimarrà aperta fino al 1° ottobre 2023.

Oggetti di uso quotidiano

L’antica civiltà celtica ha lasciato poche tracce. Falegnami di talento, i celti hanno costruito edifici in legno, che sono però scomparsi. Nemmeno i reperti scritti sono numerosi: la loro civiltà era essenzialmente orale e la scrittura ha iniziato ad essere impiegata solo in epoca tardiva e principalmente per questioni amministrative.

“I Celti sono i cugini poveri della storia svizzera”, afferma Denis Genequand, direttore del sito e del Museo romano di Avenches. Storicamente, sappiamo molto poco di loro. Ci basiamo principalmente sui dati archeologici, molti dei quali sono relativamente recenti. Per molto tempo, per questo periodo celtico, ci siamo basati su fonti greche o romane che ci hanno dato una visione piuttosto parziale e distorta della realtà”.

In questo contesto, le scoperte archeologiche effettuate ad Avenches sono importanti per avere una migliore comprensione di questo periodo. Ma non bisogna aspettarsi oggetti spettacolari. “Abbiamo scavato una parte abitata della città, non un luogo di culto o una tomba, spiega l’archeologo Hugo Amoroso. Di conseguenza, non abbiamo trovato oggetti di prestigio, ma oggetti di uso quotidiano, resti, rifiuti. Ma ci dicono molto sullo stile di vita dell’epoca”.

Questi rinvenimenti dimostrano innanzitutto che l’antica capitale romana esisteva già prima della civiltà romana. “I grandi scavi effettuati a partire dal 2014 ci hanno permesso di scoprire strutture e oggetti che indicano l’esistenza di un vero e proprio agglomerato con un preciso ruolo politico ed economico. Si tratta di un completo cambiamento di paradigma, poiché si pensava che Avenches fosse una creazione romana ex nihilo risalente al 15 a.C.”, afferma con entusiasmo Denis Genequand.

Molto lontano da Asterix e Obelix

Le narrazioni nazionali del XIX secolo hanno fatto dei Galli e degli Elvezi i rispettivi antenati della Francia e della Svizzera, sebbene questi Paesi siano stati costruiti essenzialmente sull’eredità romana e poi germanica. Dell’eredità celtica rimane poco: circa 150 parole francesi, spesso legate all’agricoltura e all’artigianato (chêne – quercia, cheval – cavallo, alouette – allodola, javelot – giavellotto, ruche – alveare, caillou – sasso, boue – fango…), nomi di luoghi (Yverdon, Moudon, Chandon) e qualche invenzione (la cervogia, antenata della birra, la botte, la falce…).

Sperone celtico

Per molto tempo, la visione dei Galli che veniva trasmessa era quella di irsuti guerrieri che vivevano in capanne nella foresta e passavano il tempo a combattere e a cacciare cinghiali per nutrirsi. Questa immagine è stata ampiamente diffusa al grande pubblico attraverso i fumetti e poi attraverso i film delle avventure di Asterix il Gallo.

Anello in ferro di provenienza mediterranea

Le scoperte fatte ad Avenches non corrispondono affatto a questa immagine. “Gli scavi testimoniano un artigianato avanzato e un’agricoltura altamente efficiente, spiega Hugo Amoroso. Possiamo notare che la maggior parte della carne consumata proveniva dall’allevamento e non dalla caccia. Gli oggetti rinvenuti dimostrano anche l’esistenza di un commercio internazionale con l’importazione di materie prime per l’artigianato locale, ad esempio il vetro dal Vicino Oriente per la produzione di gioielli, e di prodotti alimentari come vino e datteri per il consumo di un’élite locale”.

Statua di epoca Gallo-romana. Donna con torques

Tra le ossa trovate, nemmeno un cinghiale! Alla faccia di Obelix. Per contro, altri resti animali mostrano che gli Elvezi mangiavano cavalli e cani, pratiche odiate dai Romani.

Tuttavia, i resti archeologici non fanno molta luce sulle pratiche funerarie e di culto dell’epoca. Sono stati rinvenuti urne funerarie e lo scheletro di un cane in posizione sacrificale, ma non è chiaro come gli abitanti celtici di Avenches immaginassero l’aldilà.

Città di pianura

L’archeologia sta mettendo in discussione anche la visione che si aveva finora degli insediamenti celtici sull’Altopiano svizzero. “Siamo nel mezzo di un progressivo cambiamento di paradigma”, sottolinea Denis Genequand. Il modello affermatosi negli anni Settanta era quello di un insediamento in piccoli agglomerati fortificati su alture (oppida). Ma il caso di Avenches e altri scavi a Vufflens-la-Ville, sempre nel Canton Vaud, dimostrano che in pianura esistevano grandi agglomerati che possono essere considerati città”.

Quando ritengono di essere ormai pronti per la partenza, incendiano tutte le loro città, una dozzina, i loro villaggi, circa quattrocento, e le singole case private che ancora restavano”.

Giulio CesareEnd of insertion

Nel suo De bello Gallico, Giulio Cesare racconta che gli Elvezi bruciarono i loro oppida e i loro villaggi prima di migrare in Gallia, dove furono battuti dall’esercito romano a Bibracte e poi costretti a tornare a casa. “Ma non ci sono prove a sostegno di questa storia, afferma Hugo Amoroso. Non abbiamo trovato alcuna traccia di grandi incendi in quel periodo. È più probabile che solo una parte della popolazione sia andata in esilio, ma che il resto sia rimasta sul posto”.

Ulteriori scavi ad Avenches miglioreranno certamente la nostra conoscenza degli Elvezi. Ma quale sarebbe il ritrovamento da sogno degli archeologi e delle archeologhe? “Un carnyx [strumento musicale gallico] completo, risponde Hugo Amoroso, ridendo. Ma questa è solo una battuta tra archeologi. Più seriamente, sarebbe davvero interessante scoprire i resti di un bastione in pianura. Ciò consentirebbe di smontare un po’ di più le teorie sugli insediamenti fortificati in altura”.Contenuto esterno

Traduzione di Daniele Mariani

DAGLI ELVEZI AI ROMANI.

Da aventicum.org

La città romana di Aventicum è nata all’inizio della nostra era. La sua popolazione è stimata in 20.000 persone nel I secolo d.C. J.-C.

Dalla fine dell’antichità, la città servì da cava, ma numerosi monumenti testimoniano ancora la sua passata grandezza.

La fondazione della città di Aventicum è probabilmente legata al tentativo fallito di migrare da parte degli Elvezi nel 58 aC e al loro forzato ritorno al punto di partenza. Il nome della città deriva da quello della dea protettrice celtica Aventia. Aventicum era la capitale degli Elvezi.

Non si sa nulla di preciso sulla data di fondazione della città. Negli ultimi anni nel sito sono stati più volte portati alla luce resti del tardo periodo celtico ( I secolo aC), in particolare sepolture e fosse a sud-ovest dei futuri quartieri della città.

Più a sud, esiste nella seconda metà del I secolo a.C. un oppidum (habitat alto). dC sulla vicina collina di Bois-de-Châtel.

Al più tardi intorno al 5/6 apr. J.-C., è attestato un insediamento portuale sul lago di Murten, mentre in città, è allestita una rete di strade ortogonali, caratteristica delle città romane. Più di 60 rioni così delimitati (lat. insulae ) sono disposti fino al II sec . La città ha un foro (piazza pubblica), diversi stabilimenti balneari (terme) e almeno otto templi. I cimiteri sono allestiti alle varie uscite dalla città.

La pietra da costruzione proviene principalmente dalla sponda giurassiana del lago di Neuchâtel. Grandi aree della città sono caratterizzate da un sottosuolo molto umido. Di conseguenza, i costruttori sono regolarmente obbligati a garantire la stabilità delle fondamenta impiantando prima pali di quercia nel terreno.

Questi legni sono stati spesso conservati e oggi possono essere datati con precisione grazie alla dendrocronologia (metodo di datazione basato sulla misurazione degli anelli di accrescimento del legno)

Aventicum, all’epoca probabilmente chiamato Forum Tiberii, conobbe il suo primo “periodo d’oro” negli anni 30-50 d.C. J.-C., sotto il regno degli imperatori Tiberio e Claudio. Testimone in particolare un gruppo scultoreo più grande del vero che rappresenta i membri della famiglia imperiale, che adorna il foro della città.

Nel 71/72 d.C. dC, l’imperatore Vespasiano, il cui padre e figli trascorsero parte della loro vita ad Aventicum, elevò la città al rango di colonia con il nome di Colonia Pia Flavia Constans Emerita Helvetiorum Foederata.

In questo momento iniziò la costruzione di un muro perimetrale lungo 5,5 km, che circondava un’area di 228 ettari. Poco dopo vennero costruiti anche il teatro, l’anfiteatro e il santuario del Cigognier, tre edifici caratteristici dell’architettura pubblica romana.

Ritratto di Vespasiano

L’imperatore Vespasiano

Lontana dai confini dell’Impero, lontana dalle crisi politiche regionali, Avenches conobbe un lungo periodo di prosperità fino all’inizio del III secolo . Se le incursioni degli Alemanni del 275 d.C. J.-C. sembra aver causato ingenti danni, le attività comunali sono ancora segnalate nel IV secolo , in particolare i lavori di fortificazione intorno al teatro.

La popolazione di Aventicum è probabilmente in gran parte composta da Helvetii. Le élite di questo popolo hanno indubbiamente mantenuto il loro status e sono loro che per prime ottengono la cittadinanza romana. Questi notabili sono quindi congiuntamente garanti della penetrazione della cultura romana e di una certa stabilità politica.

L’anfiteatro romano di Aventicum

L’interesse per i resti archeologici della città romana di Avenches nasce nel XVI secolo . Alcuni scavi archeologici furono effettuati a partire dal XVIII secolo , ma una vera e propria esplorazione sistematica iniziò solo con la costituzione dell’Associazione Pro Aventico nel 1885. Nel 1824 fu creato il Museo Romano.

Dal 1838 occupa la torre medievale costruita nell’XI secolo sui resti dell’anfiteatro romano.

Fino al VI secolo Avenches fu sede vescovile. Nel VII secolo apparve un nuovo toponimo, Wibili , che in seguito divenne Wiflisburg.

Dal piccolo stabilimento fondato nel 753 aC. J.-C., Roma costituisce nello spazio di otto secoli un Impero “mondiale”. Intorno al 300 a.C. J. – C., il dominio dell’Italia è completato. Intorno al 50 a.C. aC, vengono assorbite gran parte dell’Europa, del Vicino Oriente e del Nord Africa. La data del 117 d.C. dC segna la massima estensione dell’Impero. Settori significativi dei territori conquistati erano ora protetti dai popoli vicini da una cortina di fortificazioni posta ai loro confini ( limes ).

La presa di Roma sui territori conquistati poggia su cinque pilastri: un esercito potente, una legislazione omogenea, un’amministrazione comune, una moneta unica e una lingua ufficiale, anzi due, il latino in Occidente e il greco in Oriente.

Nel corso del III secolo, un deterioramento del clima, nonché una serie di crisi economiche e politiche segnano l’inizio di un declino, che porterà nell’anno 476 allo scoppio dell’Impero Romano.

La civiltà romana rimarrà comunque molto viva in Europa per quasi un millennio. Il latino rimase la lingua comune degli studiosi fino al XVI secolo. Il diritto romano funge anche da base per molte legislazioni attuali. Inoltre, il calendario romano, con qualche lieve accorgimento, è ancora in uso oggi.

La Svizzera in epoca romana

Questo non è più tardi del 15 a.C. J.-C. che il territorio dell’attuale Svizzera è annesso all’Impero Romano. Cinque diverse province si dividono queste terre: i Grigioni e gran parte della Svizzera orientale sono annessi alla Rezia, il Ticino e le valli grigionesi a sud delle Alpi appartengono all’Italia, il Vallese alle province alpine e Ginevra alla Gallia. L’altopiano, tra il Giura e le Alpi (territorio degli Elvezi) e la regione di Basilea (paese dei Raurachi) furono prima annessi alla Gallia belga, poi all’Alta Germania.

acquerello agosto

Augusta Raurica (Augst)Disegno Markus Schaub, Augst

Importanti assi di traffico sud-nord (la strada del Gran San Bernardo e quelle dei passi grigionesi) nonché un asse principale ovest-est attraverso l’altopiano) attraversano l’attuale territorio svizzero. Ci sono anche corsi d’acqua, in questo caso la rotta del Reno verso il Mare del Nord dai laghi di Neuchâtel e Morat, e quella del Mediterraneo, attraverso il Lago di Ginevra e il Rodano. Questi diversi assi sono utilizzati per il movimento delle truppe, il trasporto di persone nonché per gli scambi commerciali a breve e lunga distanza.

Nel I secolo una legione – 6.000 soldati più truppe ausiliarie – era di stanza nel campo di Vindonissa (Windisch, canton Argovia).

L’habitat sotto forma di città è quindi una novità. Si trovano a Nyon (Colonia Iulia Equestris), Augst (Augusta Raurica), Martigny (Octodurus / Forum Claudii Vallensium) e Avenches (Aventicum). Da queste città dipendono altri agglomerati più modesti, mentre una moltitudine di insediamenti rurali completano il paesaggio.

Pavimento musivo di Domus romana di Aventicum

Un’altra innovazione legata alla conquista romana, l’uso della muratura. Dapprima riservato ai monumenti pubblici, questo metodo di costruzione andrà via via ad imporsi nell’architettura privata, nelle aree urbane come in quella di campagna.

Il fondamento dell’economia regionale rimane soprattutto l’agricoltura. Tuttavia, diversi settori dell’attività artigianale si sono sviluppati parallelamente, raggiungendo talvolta una scala industriale. L’integrazione in una vasta rete commerciale permette anche l’importazione di molti prodotti fino ad ora sconosciuti, come, ad esempio, nel registro delle derrate alimentari, olio d’oliva, salse di pesce, datteri o ostriche

Altre INFO:

https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/012281/

https://www.romanoimpero.com/2018/04/aventicum-svizzera.html

UNO SGUARDO OLTRE LE ALPI AL MUPRE

Da artemagazine.it

BERGAMO – Il MUPRE, Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica, ospita dal 12 febbraio al 29 maggio 2022, la mostra Uno sguardo oltre le Alpi, a cura di  Maria Giuseppina Ruggiero, direttrice del Museo e Emanuela Daffra, Direttore regionale Musei Lombardia, che propone un corposo nucleo di reperti archeologici concessi in prestito dal Museo Nazionale di Zurigo. 

Si tratta di armi, utensili, vasellame e oggetti di ornamento, collocati lungo un arco temporale che dal Neolitico giunge sino all’età del Ferro

Da villaggi palafitticoli neolitici giungono al MUPRE utensili, che hanno rispondenze con quanto raffigurato nelle incisioni rupestri della Valle Camonica, famosa in tutto il mondo per il suo straordinario complesso di raffigurazioni incise sulle rocce, in gran parte risalenti alla Preistoria.

In esposizione, di grande suggestione, ci sono le placche di cintura in lamina di bronzo provenienti da sepolture femminili di VI e V sec. a.C., decorate con raffigurazioni simboliche che alludono al viaggio. Rimane ancora indecifrata invece l’iscrizione che compare su uno straordinario elmo dell’età del Ferro.

Le placche da cintura di forma fogliata erano un tipico ornamento dell’abbigliamento delle donne dei Leponti. Arbedo-Cerinasca, Tomba 93, V sec. a.C.

“Leggere questi reperti provenienti da scavi in Svizzera accanto alle coeve testimonianze della nostra Valle Camonica custodite al MUPRE dimostra, una volta di più – afferma Emanuela Daffra – come la cerchia alpina, con le sue alte vette, non fosse di impedimento alla circolazione di modelli, e di popolazioni, tra i due versanti. Ma suggerisce anche confronti stimolanti, che aiutano a completare le nostre conoscenze di quei periodi tanto lontani”.

“La concessione di questi preziosissimi reperti da parte del Museo Nazionale di Zurigo – sottolinea Maria Giuseppina Ruggiero – è il frutto delle collaborazioni che il nostro museo sta instaurando con diverse istituzioni museali europee. All’interno di questa rete di rapporti, tre nostre stele sono state protagoniste a Zurigo della recente mostra “Uomini scolpiti nella pietra” dedicata alla diffusione in Europa, a partire da sei mila anni fa, di statue, statue-stele e massi-menhir attraverso i quali sono raccontati i profondi cambiamenti economici e sociali avvenuti tra il IV e il III millennio a.C. Immagini di uomini e donne della nuova élite che, dopo la morte, sono venerati come antenati e considerati eroi o anche divinità.