Non solo Pompei ed Ercolano, e neppure solo l’Urbe: la pittura romana è solitamenta legata a queste aree per ragioni legate alla storia della conservazione e alla densità delle testimonianze. Ma si faceva pittura anche in provincia, e di una qualità che ha lasciato stupiti gli stessi studiosi. È il caso della decorazione murale delle domus della città di Cremona, riaffiorata in migliaia di frammenti una ventina di anni fa in occasione di saggi di scavo in piazza Marconi una zona del centro storico che un tempo si affacciava sul Po. Oggetto di una importante campagna di studi e di restauri, ancora in corso, sono ora oggetto di una mostra di grande interesse, dal titolo “Pictura Tacitum poema. Miti e paesaggi dipinti nelle domus di Cremona” al Museo del Violino (che proprio su piazza Marconi si affaccia), visitabile fino al 31 maggio prossimo.
Cremona è stata insieme a Piacenza nel III secolo a.C. la prima colonia romana della Gallia Cisalpina. Ricco e importante centro Regio X Venetia et Histria, nel 69, l’anno dei quattro imperatori, durante la guerra civile tra Vespasiano e Vitellio venne assediata e distrutta dalle truppe del primo. La presa della città è raccontata da Tacito come una serie di violenze inaudite e orrori. Plutarco ricorda una “catasta di corpi che sfiora in altezza i frontoni del tetto”. Per quanto ricostruita da Vespasiano, Cremona uscì dalla storia per lungo tempo.
Frammenti di intonaco dipinto dalla Domus del Ninfeo a Cremona (foto drm-lombardia)
Le ricche domus della città vennero incendiate e distrutte. È da queste che arrivano i frammenti, pazientemente riconosciuti e riassemblati, presenti nella mostra curata da Nicoletta Cecchini, Elena Mariani e Marina Volonté. Materiale raro per quantità, la cui qualità – che nel percorso è messa direttamente a confronto con riproduzioni di affreschi romani e originali di area vesuviana – testimonia lo sfarzo e anche la piena adesione ai modelli culturali e pittorici che dalla capitale si espandevano insieme alle leggi, alla lingua e ai costumi.
Gli affreschi provengono da domus differenti. La prima è denominata “Domus dei candelabri dorati”, proprio in virtù della decorazione dell’atrio (ricostruito in un video) che presentava campiture di prezioso rosso cinabro ritmate da alti candelieri. Ritrovati in campagne di scavo condotte tra 2014 e 2016, presentano inoltre elementi provenienti dalla zona del peristilio e da un larario. Alcuni frammenti testimoniano la presenza di “quadri” (ossia scene di vario tipo, circoscritte da una finta cornice) di grande raffinatezza. Tra questi una scena con nani e pigmei messa a confronto con un frammento proveniente da Ostia. Il gusto nilotico, riscontrabile in tutte le decorazioni cremonesi, raccontano quanto la romanità fosse affascinata dalla civiltà egizia (si pensi alla grande diffusione del culto di Iside), anche se non di rado gli elementi erano ripresi ed elaborati in modo autonomo e del tutto svincolato dai significati originari, come è possibile osservare anche dal raffronto con reperti egizi concessi dal Museo Archeologico di Firenze.
Gli affreschi più importanti arrivano però dalla Domus del Ninfeo, così chiamata per la presenza di una fontana monumentale mosaicata. Tra le varie testimonianze spiccano qui le decorazioni di quello che era probabilmente di un grande cubicolo, secondo le curatrici di ambito femminile, di 25 metri quadrati. Sito al secondo piano e coperto con una volta a botte ribassata e decorato a stucco, presentava alle pareti fregi e le storie di Arianna. La stanza precipitò al piano sottostante in seguito all’incendio del 69 e venne devastata dal saccheggio, a cui poi si aggiunsero le nuove costruzioni medievali. Resistono però gli affreschi di almeno metà delle pareti. Le decorazioni sono direttamente accostabili a quelle dello studiolo di Augusto, con rimandi così precisi che non possono essere considerati casuali, al punto che si ipotizza tanto l’esecuzione da parte di maestranze romane quanto il legame dei proprietari con la famiglia imperiale. Vere curiosità sono la presenza nel fregio decorativo dell’ananas, frutto conosciuto dai romani (era infatti coltivato sulle isole Canarie) ma estremamente raro e costoso, e il tema tipico del grifo, simbolo di Apollo, declinato però con uno strano becco piatto, in cui gli ornitologi hanno riconosciuto quello della spatola bianca, uccello oggi molto raro ma che un tempo nidificava sul Po.
I frammenti superstiti rivelano poi la presenza di tre grandi quadri, con figure pressoché a grandezza naturale, di qualità davvero straordinaria a partire dal volto di Arianna abbandonata sulla spiaggia di Nasso. Notevoli anche i frammenti dell’apparizione di Dioniso, che si innamora della principessa cretese e ne fa la sua sposa. Si tratta, spiegano le curatrici, dell’esemplare dell’episodio non solo più grande ma anche più antico tra quelli conosciuti e quindi quello più prossimo temporalmente al modello perduto. L’episodio era molto diffusa nell’antichità e presentava due varianti, con Arianna dormiente mostrata di schiena, come nel caso di Cremona, o frontalmente. La fortuna (testimoniata anche a livello poetico, da Catullo a Ovidio) del soggetto è spunto per un approfondimento ed è documentata da affreschi di area vesuviana, da un coperchio di sarcofago proveniente dalla Villa d’Este di Tivoli e da una testa rinascimentale di Arianna dormiente, da Firenze.
La mostra racconta inoltre il lavoro di studio e ricostruzione, oltre ai restauri realizzati Centro per la Conservazione e Restauro de “La Venaria Reale” e dal Laboratorio Arvedi dell’Università di Pavia. Complementare è la visita al Museo archeologico (accessibile gratuitamente ai possessori del biglietto della mostra) allestito nella chiesa di San Lorenzo, dove si trovano i pavimenti musivi delle domus e una ricostruzione con gli elementi decorativi della fontana della Domus del Ninfeo. Articolo originale di Alessandro Bertrami comparso su “Avvenire “.
frammenti di affreschi della stanza di Arianna in ricomposizione in uno dei laboratori del museo archeologico Frammenti provenienti dall’atrium della Domus dei Candelabri -scene nilotiche I sec d.C.
Dai confini della Regio Transpadana, la via delle Gallie ci ha condotto fino a LUGDUNUM , l’odierna Lione, la capitale delle tre Gallie.
La via delle Gallie è una antica strada romana consolare fatta costruire da Augusto , probabilmente seguendo il tracciato di più antichi sentieri che collegavano la Gallia Cisalpina con quella Transalpina. Fu anche la prima opera pubblica realizzata dai Romani in Valle d’Aosta. La via attraversava in parte le moderne Italia, Francia e la Svizzera.
Vie Romane nelle Gallie
Era stata progettata con lo scopo di facilitare l’espansione militare e politica romana verso le Alpi che si concretizzò poi nelle guerre alle popolazioni alpine sotto Augusto. La via delle Gallie iniziava da Mediolanum (la moderna Milano) e passava per Augusta Eporedia (Ivrea) biforcandosi in due rami all’altezza di Augusta Praetoria (Aosta).
Il teatro romano di Aosta /Augusta Pretoria Aosta – resti del teatro romano illuminato di notteRicostruzione del foro di Aosta Augusta Pretoria. Spettacolare la visita del criptoportico
Da Augusta Praetoria un ramo della strada si dirigeva verso il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis) fino a Lugdunum (Lione), mentre l’altra diramazione giungeva al passo del colle del Gran San Bernardo (lat. Mons Iovis) per poi condurre verso Octodurus (Martigny), nel moderno Canton Vallese, in Svizzera.
Domnas nei pressi di Bard, via delle Gallie- Valle D ‘ Aosta
Per raggiungere Lugdunum dal territorio dei Salassi si poteva valicare il Piccolo San Bernardo, nelle Alpi Graie, e attraversare le terre dei Ceutrones, oppure affrontare il Poeninus, il Gran San Bernardo. Secondo Strabone il primo tragitto era più agevole ed era percorribile quasi interamente con i carri, mentre l’altro era stretto e ripido, ma più breve. Più a ovest, nel territorio dei Cozii, si aprivano il valico del Monginevro e quello del Moncenisio. « Le grandi vie romane, le quali collegavano l’Italia con la valle del Rodano, erano quelle delle due Dore : il Mons Matrona ( Monginevro ), la Alpis Graia (Piccolo San Bernardo ) e l’Alpis Poenina ( Gran San Bernardo ). »
noi abbiamo seguito la strada fino a LUGDUNUM teoricamente attraversando le seguenti tappe:
Da Augusta Praetoria (Aosta), attraversiamo Fundus Gratianus (Gressan), Fundus Joventianus (Jovençan), Sarra (Sarre), Aimivilla (Aymavilles), Arvarium (Arvier), Avisio (Avise), Sala Duria (La Salle), Moriacium (Morgex), Araebrigium (Pré-Saint-Didier) e Tuillia Salassorum (La Thuile), dopo di cui valichiamo il passo del colle del Piccolo San Bernardo (lat. Columna Iovis), per poi dirigersi verso Sextum Segetium (Séez), Capellae Centronum (Les Chapelles), Bellantrum (Bellentre), Axima (Aime), Munsterium (Moûtiers), Aquae Albae (Aigueblanche), Liscaria (La Léchère), Fessona Brigantiorum (Feissons-sur-Isère), Cevis (Cevins), Bastita (La Bâthie), Turres (Tours-en-Savoie), Oblimum (Albertville), Hillium (Gilly-sur-Isère), Camusellum (Chamousset), Castrum Novum Allobrogum (Châteauneuf), Capanna ad Melianum Montem (La Chavanne), Riparia (La Ravoire), Camberiacum (Chambéry), Nanciae (Nances), Dulinum (Dullin), Verale Bellomontium (Verel-de-Montbel), Bellus Mons ad Tramonaecum (Belmont-Tramonet), Romagnieu (Romagnieu) terminando a Lugdunum (Lione).
VIENNE
Vienne è stata prima di essere romana , la capitale degli Allobrogi , una potente tribù gallica . Il termine Allobrogi significava probabilmente che essi erano una popolazione celtica proveniente da altre aree( Allobrogi in celtico “allo brox ” ovvero quelli di un altro territorio). Nel 123 a.C. dopo aver ospitato il re dei Salluvi Tutomotulo, in fuga dai Romani, gli Allobrogi furono attaccati dai Romani che riuscirono a battere nell’agosto del 123 questo popolo . Inizia poi un periodo di intensa romanizzazione.
MUSEO GALLO-ROMANO DI SAINT ROMAIN EN GAUL
La prima tappa che abbiamo raggiunto è stata quella di visitare il sito di Saint Romain EN Gaul-VIENNE a circa 30 km a sud di Lione, sulla riva destra del Rodano. Il museo gallo-romano di recente inaugurazione è bellissimo! La parte musealizzata contiene tantissimi tesori( eccezionali mosaici , pitture ceramiche, etc) tutti esposti con moderni criteri di fruizione per il pubblico. L’ ambiente è luminoso ed accogliente .Al momento sono stati scavati tre ettari di una parte di un quartiere della città romana di Vienne, una delle città più ricche della Gallia romana già importante centro dei Galli Allobrogi. Vi consigliano di farvi dare una audioguida in italiano. Al di fuori del museo si estende l’area archeologica con i resti delle domus , delle abitazioni, dei centri termali etc. Molto suggestive sono le anastilosi con la ricostruzione delle fontane dove sgorga acqua fresca.
Mosaico dei due oceani. Il mosaico è diventato il simbolo del museo stesso. Realizzato verso il 180 d.C. .Le macchie più scure sono dovute ad incendio che ha distrutto la villa nel III sec.d.C.Mosaico degli atleti vincitori III sec d.C VienneAffresco dalle pareti delle terme dei littori. L’ affresco era posizionato sulle pareti delle latrine pubbliche delle terme. Scoperto nel 1991-VienneMosaico degli atleti vincitori.inizio III Sec.d.C.Mosaico dei due fiumi.scoperto a Vienne nel 1981. Museo di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Mosaico dello scudo II sec d.CMosaico dello scudo II SEC d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE Affreschi Museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Affreschi .museo archeologico di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli Saint Romain EN VIENNE II sec.d.C.Mosaico dalla villa del cratere e degli uccelli II sec.d.c VienneMosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN VIENNE museo archeologico. Orfeo nel mosaico originale si trovava al centro attorniato da vari animaliMosaico di Orfeo fine II sec d.C. Saint Romain EN Gaul-VIENNE museo archeologico Mosaico di Orfeo fine II sec d.C. VIENNE museo archeologico Saint Romain EN Gaul-VIENNE Afrodite sulla destra e sul fondo gli affreschi del ninfeo dei trampolieri Saint Romain EN Gaul-VIENNE.Affreschi del ninfeo dei Trampolieri. Saint Romain EN Gaul-VIENNE Statua di Afrodite scoperta nel 1845 non lontano dal museo che ora la ospita. II – inizio III sec.d.C. sullo sfondo l affresco del ninfeo dei Trampolieri I sec d.C.Statua di Afrodite inquadrata da dietro II- inizio III sec d.C.Frammento di affresco della villa dei Due Oceani .Saint Romain EN Gaul Vienne II sec d.C.Frammento di affresco da Saint Romain EN Gaul-VIENNE Altorilievo del dio gallico Sucellus , dio delle selve. I suoi attributi sono un martello ed una coppa. Spesso , come in questo caso è accompagnato da un cane vedi link: http://bifrost.it/CELTI/Museo/Archeologia-Sucellos.html
Intorno a questi oggetti rinvenuti a Vienna o nei dintorni si trovano collezioni da siti lontani: oggetti in provenienti da necropoli di Champagne dell’età del bronzo donati dal curatore Vassy, o necropoli predinastiche di Khozan (Egitto) e antiche necropoli di Koban (Ossezia) donate da l’archeologo lionese Ernest Chantre.
Ceramiche votive falliformi e lucerne erotiche – Museo delle belle arti di VienneAltorilievo del dio gallico Sucellus. La divinità veste alla gallica e porta un martello sulla spalla sinistra ed un olla nella mano destra.un cane sta ai suoi piedi. II sec d.C.Vienne.Passeggiando per le strade di Saint Romain EN Gaul-VIENNE
Intorno a questi pezzi eccezionali sono serie notevoli: antefisse, tubi di piombo, lucerne, sigillata, cristalleria, ceramica comune…
Passeggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Area archeologica di Saint Romain en Gaul ViennePasseggiando per le vie di Saint Romain EN Gaul-VIENNE Il teatro di Vienne.
IL MUSEO DELLE BELLE ARTI DI VIENNE: Questo museo benché sia progettato ed esposto con un taglio un po’ ottocentesco ha al suo interno dei pezzi pregevoli sulla storia della citta’.
la ricchezza dell’antica città di Vienna si riflette nelle collezioni di questo periodo. Diversi bronzi monumentali (statua a grandezza naturale a tondo di Pacaziano, II secolo dC, rilievo in bronzo dorato di delfini, frammenti di una statua equestre) costituiscono un insieme notevole.
Il deposito di Place Camille-Jouffray è stato scoperto nel 1984, durante il salvataggio di Place Camille Jouffray. Fu trovato in una casa, situata a est della strada principale e vicino a un fanum, un tempietto di tradizione gallica. Il ritrovamento comprende una serie di oggetti metallici risalenti all’inizio del IV secolo[9].
Comprende elementi in ferro (utensili), bronzo (stoviglie) e soprattutto argento: sepolto all’inizio del IV secolo, si compone di stoviglie (piatto con decorazione pastorale, tridente in miniatura in particolare), due portaspezie, oggetti relativi a ornamento (specchio) e un oggetto di culto (patera).
Armi dei Galli Allobrogi-Vienne museo delle belle artiTesoro romano in argento -. Vienne museo delle belle artiScrigno di avorio di testa di giovane e sullo sfondo statua in bronzo di Pacaziano-Vienne museo delle belle artiDelfini di bronzo- Vienne museo belle arti lucerne con scene gladiatorie
LUGDUNUM (LIONE)
Lugdunum (o Lugudunum ), oggi Lione , è il nome del sito gallico dove venne poi fondata una colonia romana dal Governatore della Gallia Lucio Munatius Plancus nel 43 a.C. ovvero un anno dopo l’uccisione di Cesare. In tale sito furono ospitati i coloni scacciati dagli Allobrogi dalla vicina Vienne . Dal 27 a.C divenne la capitale delle tre Gallie. La città Romana dalla collina di Fourviere si estese successivamente fino alla penisola tra i due fiumi. Recenti ritrovamenti hanno evidenziato che l’area era già occupata da popolazioni celtiche.
Origine del nome della città
Dibattuta è l’origine del nome Lugdunum o nella versione Lugudunum . Deriverebbe da parole celtiche :
1 ipotesi da Lug Dunum ovvero la fortezza del Dio Lug ( una delle principali divinità galliche)
2 ipotesi dal Leucos Dunum ovvero la fortezza luminosa
(…)Colonia Copia Felix Munatia Lugdunum LUGDUNUM viene fondata nel 43 a.C. da L. Munazio Planco, come egli stesso ricorda nell’iscrizione del suo mausoleo a Gaeta84, con il tradizionale rito del solco tracciato con l’aratro trainato da una giovenca e un bue bianchi, preceduto e seguito da tutte le usanze e le cerimonie connesse alla sacralità dell’atto. Le tracce del primo impianto della colonia sono emerse solo di recente e sono molto labili, poiché si trattava di una città di terra e di legno, edificata sullo schema dei campi legionari, per la quale non si riconoscono edifici pubblici tranne uno pseudo santuario di Cibele85. In età augustea, con la riorganizzazione della provincia voluta da Agrippa, Lugdunumdiventa non solo la capitale della Gallia Lugdunense, ma anche la sede del potere imperiale e di quello religioso per le tre Gallie, e si avvia a essere la « métropole économique des Gaules »86 ; nel 15 a.C. nasce la zecca di Lugdunum.
La vera trasformazione urbanistica avviene però solo in età claudia, probabilmente anche grazie ai favori che il principe elargisce alla sua città natale, ma non sono molte le opere che gli si possono attribuire con sicurezza87.
Sappiamo dalle fonti di un incendio devastante scoppiato nel 64, che avrebbe provocato danni tanto ingenti da spingere Nerone a restituire alla città quattro milioni di sesterzi inviati a Roma prima del disastro. Di questo evento, però, non è mai emersa alcuna traccia archeologica sicura88.
Elemento cardine della città, sulle pendici della Croix-Rousse, è il santuario federale delle Tre Gallie ( https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_federale_delle_Tre_Gallie), il cui aspetto ci è noto dalle raffigurazioni sulle monete di età giulio-claudia, ma della cui organizzazione sappiamo molto poco.
anfiteatro di Lugdunum e sotto moneta con raffigurazione della Altare delle tre Gallie
Lugdunum, grazie alla sua felice posizione geografica, alla confluenza tra la Saône e il Rodano, diventa ben presto uno snodo commerciale, un porto e un centro di produzione di primo piano, come testimonia anche una eccezionale concentrazione di iscrizioni (almeno una trentina) che ricordano artigiani diversi tra i quali produttori di sapone e di tessuti, tintori, mercanti di vino e di ceramica89, oltre a un negotiator argentarius et vascularius90. Ben attestati sono soprattutto i nautaedelle corporazioni legate alla navigazione fluviale sul Rodano e sulla Saône e, più in generale, i negotiatoresattivi nei commerci tra i due versanti alpini, come Sennius Metilius, originario di Treviri, noto da un cippo rinvenuto a Lione nel 188491.
A Lugdunum impiantano grandi filiali anche alcuni produttori italici, come il ceramista pisano Cn. Ateius92, che si rendono conto di poter così gestire meglio l’approvvigionamento degli eserciti stanziati sul limes renano, e in breve la città attira artigiani e mercanti da centri vicini e lontani, come un anziano
produttore di vetri di origine cartaginese93 o i negotiatores vinarii di Alba94 e di Treviri95. Sono noti intermediari attivi in diversi rami, come C. Sentius Regulianus che commercializzava vino, ma importava anche olio della Betica, ed è probabile che almeno parte dei battellieri gestisse delle vere e proprie imprese di trasporti sia fluviali che terrestri96.
Sulla Saône sono stati individuati a più riprese diversi porti probabilmente destinati alla gestione di merci differenti e, in anni recenti, sulla riva destra, nello scavo per la realizzazione del parcheggio Saint-Georges, sono stati rinvenuti ben sedici relitti databili tra il I e il XVIII secolo ; di questi, sei sono di epoca romana (I-III secolo). Si tratta di chiatte a fondo piatto, prive di chiglia, che arrivano a superare i 30 metri di lunghezza e i 5 di larghezza ; profonde fino a 120 cm, potevano caricare circa 150 tonnellate, una portata di tutto rispetto, che fa pensare a traffici regolari e probabilmente destinati anche a centri lontani. Le chiatte erano in grado di navigare nei due sensi, scendendo lungo il fiume e risalendo poi la corrente al traino di bardotti o animali da tiro97.
Ricostruzione Lugdunum
Dozzine di piombi da dogana scoperti nell’Ottocento sono una ulteriore testimonianza dell’intensa attività commerciale di Lugdunumtra il I secolo e gli inizi del V e l’identificazione recente di una produzione di anfore in città avvalora l’ipotesi di un grande centro di ridistribuzione di merci, poiché si ritiene che i contenitori servissero a confezionare prodotti importati sfusi in botti o dolia per smerciarli poi per via fluviale o terrestre98. A questo si aggiunge ancora almeno una considerazione : se davvero gli enormi magazzini venuti alla luce a Vienne, poco a valle di Lione, servivano, come è stato proposto, allo stoccaggio delle derrate usate per il pagamento in natura delle imposte che le province galliche inviavano a Roma (tessuti, cereali, pelli, minerali, vino ecc.), bisogna allora pensare che tutta questa gigantesca massa di merci transitasse in qualche modo da Lugdunum99. ( …)
IL MUSEO GALLO-ROMANO DI FOURVIERE
Il museo è stato progettato dall’architetto Bernard Zehrfuss e inaugurato nel 1975. L’edificio si trova al limite dell’area archeologica, semi nascosto sul versante della collina. All’interno, il museo è costituito da una rampa in cemento che scende a spirale, ramificandosi verso dei pianerottoli destinati alle collezioni del museo. Dall’interno del museo è possibile ammirare i resti del teatro e dell’odeon accanto.
Ricchissime le collezione, strepitosi i mosaici di notevoli dimensioni, bellissimi i tanti oggetti della vita comune e della architettura monumentale della città. Tra i pezzi famosissimi troviamo la tabula Claudiana ricomposta in frammenti che riporta in bronzo il discorso dell’imperatore Claudio sull’accesso dei Galli al Senato di Roma. Un altro reperto famosissimo è la tavola di Coligny che permette di allineare calendario lunare antico a calendario solare.
Sarcofago di Bacco
ARMI E ARMATI
Umbone gallicoUmbone e resti di cotta di maglia di epoca imperiale
MOSAICI
Mosaico dei giochi del circo II sec d.C. Lione museo Gallo-romanoMosaico di BaccoMosaici museo GALLO-ROMANO di Fourviere Lione LugdunumMosaico corsa lungo il circo – Lione museo gallo romano.
DIVINITÀ
Divinità galliche: le Matrone museo Gallo-Romano di LioneLe Matrone divinità di origine celtica .museo gallo romano di LioneVenere . Museo gallo romano di LioneVenere statuetta in bronzo – museo Gallo-Romano di Lione
NECROPOLI.
Sepolcreto della giovane Primilia non ancora diciottenne.Il padre Terenzio ha fatto costruire il sepolcreto con l’immagine scolpita della figlia mntre mostra i suoi gioielli. Sul fianco un amorino con la fiaccola dell’amore al contrario. Amate finché vi è possibile voi che leggeteCalco del viso di una bimba romana morta prematuramente Claudia Victoria. La tomba è stata scoperta sulla collina di Fourviere ala fine del 1800
TESORO DI VAISE
VIDEO LUGDUNUM E VIENNE
APP/ APPLICAZIONI PER IPHONE ED ANDROID: EO LUGDUNUM e VIENNE
Ostilio Saserna, denario in argento, Roma, 48 a.C., RRC 448/3. D/ Personificazione della Gallia con carnyx dietro la testa R/ Artemide-Diana di Efeso con lancia nella sinistra e la destra che trattiene una cerva per le corna
LE TRE GALLIE ,VERCINGETORIGE E LA MONETAZIONE ROMANA:
Nel 2012 la Stanford University (California, Stati Uniti) ha realizzato un sito che permette di simulare un viaggio all’interno dell’Impero Romano nel 200 d.C., quindi all’apice della sua espansione. Il sito, chiamato Orbis (globo, in latino), è stato sviluppato da una collaborazione tra il dipartimento di studi storici ed umanistici e quello d’informatica.
Funziona grossomodo come una sorta di Google Maps: andando sul sito appare una mappa dell’Impero Romano, che include gran parte dell’attuale Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente; si sceglie un punto di partenza e uno di arrivo, la stagione in cui si vuole viaggiare e il mezzo (a piedi, a cavallo, o con un carro, per esempio). Il mezzo e la velocità con cui si sceglie di viaggiare hanno implicazioni sui costi: se si volesse andare da Roma a Costantinopoli a giugno utilizzando una staffetta di cavalli, senza utilizzare navi, si impiegherebbero circa 9 giorni. Sempre con una staffetta di cavalli, ma passando anche per un tratto di mare, si impiegherebbero due giorni in meno, e il viaggio risulterebbe anche meno costoso.
Frammenti di affresco della villa di Alba Docilia -Albisola
Gli studi sulle antichità di Albisola, iniziati nella seconda metà dell’800, portarono a localizzare nella zona di Albisola Superiore l’Alba Docilia che compare come stazione o luogo di sosta sulla Tabula Peutingeriana, mappa stradale dell’Impero romano redatta forse tra III e IV sec. d.C. per scopi militari, pervenutaci grazie a una copia medievale, e in altri itinerari antichi in cui il toponimo assume forme diverse, come Alba Decilia o Delicia.
La presenza dell’antico insediamento albisolese sugli itinerari stradali si spiega con la prossimità all’arteria costiera che da Genova conduceva a Vado, che tuttavia divenne secondaria dopo l’apertura della via Julia Augusta voluta dall’imperatore Augusto tra il 13 e il 12 a.C. Il complesso antico in piazza Giulio II, portato in luce con gli scavi condotti alla fine dell’800 da don Schiappapietra, parroco della chiesa di S. Nicolò di Albisola, è riferibile ad una grande villa (circa 8000 mq) di età romana imperiale che univa caratteristiche della dimora residenziale con strutture e servizi produttivi tipici della fattoria. Sono riconoscibili il quartiere padronale (pars urbana), il settore rustico – produttivo (pars rustica o fructuaria) e il settore termale.
Ricostruzione della Villa di Alba Docilia( disegno di Como)
Parte del nucleo abitativo e della zona termale è attualmente visibile nell’area archeologica compresa nel vasto piazzale antistante la stazione ferroviaria; un tratto del settore rustico è conservato sotto il porticato a fianco della stazione stessa, mentre i resti murari esistenti sotto la piazza sono resi leggibili grazie al tracciato planimetrico, riportato mediante lastre di travertino sulla pavimentazione.
Ipotesi ricostruttiva di porzione della villa
Nel quartiere residenziale della villa, esposto a Sud, piccoli vani (cubicula) si affacciavano su un peristilio porticato dotato di un bacino rettangolare per la raccolta dell’acqua.
I reperti rinvenuti nello scavo rivelano l’elegante decorazione del porticato con intonaci dipinti, lesene scanalate in marmo bianco e capitellini figurati con foglie d’acanto e delfini affrontati. Alcuni vani posti a Nord del peristilio erano forniti di sistema di riscaldamento mediante circolazione di aria calda sotto il piano pavimentale; gli ambienti destinati al soggiorno del proprietario, della famiglia e degli ospiti erano dotati di pavimenti a mosaico e tarsie marmoree e di pareti e soffitti dipinti, che testimoniano una certa raffinatezza almeno nel periodo di maggior sviluppo della villa, corrispondente al I e al II secolo d.C.
Suspensoree di ambienti riscaldati della villa di Albisola
Nel settore rustico una ventina di vani di differenti dimensioni adibiti probabilmente a magazzini, alloggi servili e ricoveri per animali, si disponevano, secondo una tipologia diffusa in area gallo-romana, intorno ad una grande corte centrale; gli ambienti ubicati nell’angolo Nord ospitavano impianti di lavorazione con vasche e canalette, oggi occultate sotto il terrapieno ferroviario, attribuibili alla produzione o alla trasformazione delle derrate alimentari e dei prodotti provenienti dalle proprietà agrarie dell’azienda agricola.
Planimetria dei resti della villa di Alba Docilia
Il settore termale collegato alla parte abitativa comprende un grande edificio circolare, già indagato alla fine dell’800, da identificare probabilmente con un laconicum o assa sudatio, una sauna in cui era possibile prendere bagni di vapore o di aria calda, e forse anche di sole, e una vasca o cisterna rivestita con malta idraulica. In una serie di ambienti collegati si riconoscono vani di servizio connessi alle attivita termali.
La monumentalità dell’impianto termale, il numero di cubicula presenti nell’area residenziale nonché l’estensione planimetrica del settore di servizio con la vasta area cortilizia hanno indotto a interpretare il complesso più che con una villa di tipo rustico-residenziale, con la mansio di Alba Docilia, stazione di posta appartenente all’organizzazione del cursus publicus.
Le mansiones romanae sorgevano in prossimità di strade di grande comunicazione e garantivano possibilità di sosta, accoglienza e riposo per viaggiatori e animali: corrispondono a tali necessità sia lo sviluppo del quartiere residenziale sia l’estensione planimetrica della corte circondata da spaziosi ambienti adibiti forse a magazzini o stalle, sia un capillare sistema idraulico e non ultima la presenza di un attrezzato settore termale, adeguato a un esercizio pubblico piuttosto che ad una struttura privata, per quanto grandiosa. In realtà la distinzione tra villa rustica e mansio non è sempre chiara, in quanto le tipologie edilizia e planimetrica possono presentare elementi comuni, e nulla esclude che alcune villae possano essere state successivamente trasformate in mansiones.
Frammenti di affreschi della Villa di Alba Docilia
L’occupazione stabile della villa tra I e V forse VI secolo d.C. è documentata dai numerosi reperti ceramici e monetali, attestanti una rete di vivaci rapporti commerciali. Le indagini archeologiche recentemente condotte sotto la Via degli Scavi hanno rivelato una stratigrafia intatta, altrove mancante, che ha permesso di delineare la frequentazione del sito dall’epoca preromana al tardo antico e all’alto medioevo, quando alcuni ambienti della villa ormai in abbandono vengono occupati da sepolture a inumazione, per le quali è ancora da individuare la relazione con la chiesa di S. Pietro, o con un primitivo edificio di culto, che si imposta sui resti del complesso di età imperiale. ( Da comune di Albisola).
Frammenti intonaci della villaFrammenti di affreschi della Villa
Presentazione e Introduzione, p. 6 [scarica il PDF] Dede Restagno, La figura e l’opera di Givanni Schiappapietra, p. 13 [scarica il PDF] Dede Restagno, La collezione Schiappapietra, p. 17 [scarica il PDF] Anna Maria Pastorino, Santo Varni ad Alba Docilia 1880-1881, p. 21 [scarica il PDF] Storia degli scavi di Alba Docilia Dede Restagno, Le più antiche notizie e i primi scavi, p. 25 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, Scavi e ricerche 1969-1996, p. 29 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, La villa romana di Alba Docilia, p. 35 [scarica il PDF] Francesca Bulgarelli, La decorazione parietale, p. 43 [scarica il PDF] Lorenza Panizzoli, Il restauro, p. 59 [scarica il PDF] Giancarlo Lanterna, Pietro Moioli, Claudio Seccaroni, Strati superficiali dei dipinti murali. Studio della composizione, p. 65 [scarica il PDF] Glossario, p. 73 [scarica il PDF] Bibliografia, p. 77 [scarica il PDF] Errata Corrige [scarica il PDF]
Archeologia Viva n. 83 – settembre/ottobre 2000 pp. 90-91
di Fabio Eugenio Betti
Le ricerche che da anni si susseguono nel sito di questo antico centro del territorio cremonese lungo la via Postumia fanno luce sulla realtà d’insediamenti minori che caratterizzava il sistema romano dell’economia e del controllo territoriale
Nella parte sudorientale della provincia di Cremona, lungo l’antico corso dell’Oglio, località Sant’Andrea (Comune di Calvatone), sono stati localizzati notevoli resti di un piccolo centro (vicus) che la maggior parte degli studiosi identifica con l’antico Bedriacum. Il vicus di Bedriacum è ricordato dalle fonti quasi sempre in relazione alle due drammatiche battaglie combattute nelle sue vicinanze nel 69 d.C. Svetonio, scrittore romano del I sec. d.C., autore delle Vite dei Cesari, lo nomina nei libri dedicati a Otone, Vitellio e Vespasiano, i tre imperatori che si affrontarono in battaglia proprio a Bedriacum (prima Otone contro Vitellio, poi Vitellio contro Vespasiano). Plutarco (47-127 d.C.), autore di una biografia dell’imperatore Otone suicidatosi dopo la grave sconfitta di Bedriacum, ricorda che «Bedriacum è una città piccola (polichne) nei pressi di Cremona». Ma è soprattutto Tacito, il grande storico romano vissuto tra I e II sec. d.C., a ricordare nelle sue famosissime Historiae gli scontri sanguinosi verificatisi in questo antico centro nel 69 d.C. Anche Plinio, l’autore della Naturalis Historia, ricorda le guerre di quell’anno come le guerre di Bedriacum. Inoltre Beloriaco (cioè Bedriacum) è segnato sulla Tabula Peutingeriana, la copia medievale di una delle più antiche carte geografiche di cui siamo a conoscenza, databile al IV secolo. Sappiamo che il tratto della via Postumia fra Cremona e Bedriacum era denominato Bedriacensis.
«Il vicus – ricorda Gemma Sena Chiesa, docente di Archeologia all’Università statale di Milano – dovette impiantarsi ai margini di un terrazzo fluviale sull’Oglio in una località già occupata in età preistorica, come testimoniano una sepoltura a inumazione riferibile all’età del Rame e un piccolo villaggio palafitticolo della media età del Bronzo». Il fiorente sviluppo dell’abitato romano fu dovuto alla favorevole posizione lungo la Postumia, antica strada consolare costruita da Spurio Postumio Albino nel 148 a.C. che congiungeva l’antica Genua (Genova) con Aquileia, e alla vicinanza del fiume Oglio collegato all’asse fluviale del Po. Bedriacum svolse così un’importante funzione di nodo di traffici tra la Venetia, l’Adriatico e l’area padana più interna, dalla fine del II sec. a.C. al V sec. d.C.
I rinvenimenti nell’area dell’abitato romano si susseguono dalla metà del secolo scorso. Le ricerche degli eruditi locali e i lavori agricoli nell’area di Sant’ Andrea di Calvatone portarono alla luce strutture abitative e una gran quantità di reperti di età romana, monete, bronzetti, ceramica, vetri, frammenti di statue in marmo e in bronzo, molti dei quali dispersi in collezioni private. In particolare ricordiamo la scoperta, nel 1836, dei frammenti di una statua in bronzo raffigurante una Vittoria che si posa sul globo; quest’ultimo, ornato da un’iscrizione, permette di datare il pezzo agli anni degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169 d.C.).
Nel 1841, i Musei di Berlino acquistarono questi frammenti provvedendo al restauro e all’integrazione delle parti mancanti della statua, poi divenuta celebre come Vittoria di Calvatone. Le vicende di Berlino alla fine della seconda guerra mondiale portarono alla scomparsa dell’opera( fino alla sua recente riscoperta presso la Hermitage )
Ne esistono inoltre tre copie, eseguite da artigiani berlinesi su commissione di Adolf Hitler: una è conservata al Museo civico di Cremona, una a Roma nel Museo della civiltà romana e una al Museo Puskin di Mosca.
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PARETI DIPINTE DALLO SCAVO ALLA VALORIZZAZIONE.
Da “Pareti dipinte dallo scavo alla valorizzazione” XIV colloquio AIPMA “S
Stefano Nava e Daniele Bursich -universitá di Milano
La residenza privata romana di Valdonega, venne costruita nel I sec. d.C. al di fuori dell’impianto urbano. I dati oggi disponibili consentono di interpretarne parte del piano terra, ma si ipotizza che l’edificio fosse articolato su più piani e a livelli diversi, secondo il pendio del terreno. Della villa sono oggi visibili tre ambienti, affacciati su un portico a L (di cui si vedono le basi delle colonne) probabilmente aperto su un cortile o su un giardino e in stretta connessione con essi.
L’ambiente principale (in pianta: A) è costituito da una sala rettangolare con colonne su tre lati e porta affiancata da due finestre sul quarto lato. La copertura della stanza era a volta nella parte centrale, mentre lo spazio tra le colonne e i muri perimetrali era a copertura piana. L’ambiente presentava pavimento a mosaico e pareti affrescate, ed è stato interpretato come oecus corinzio, cioè una elegante sala da pranzo.
Una ricostruzione della villa romana di Valdonega a Verona
Al secondo ambiente (in pianta: C) si accedeva tramite un piccolo vano (in pianta: B) con pavimentazione parte in cocciopesto e parte in mosaico nero con cornice bianca. Il secondo ambiente presentava un’ampia finestra sul portico esterno, ed era caratterizzato da pavimento a mosaico e pareti affrescate. Un vano (in pianta: D) lungo, stretto e privo di aperture e di rivestimento affiancava i tre ambienti sul lato occidentale e fungeva forse da intercapedine di isolamento dall’umidità.
Nella colonizzazione della regione Transpadana, i fieri salassi di stirpe Taurisca (celto-liguri) secondo Catone, dapprima vittoriosi furono vinti nel 140 a.C. da Appio Claudio Pulcro, in seguito furono necessarie altre spedizioni di contrasto da parte dei Romani, ma essi rimasero padrone dei monti, controllando i passi alpini e conducendo continue azioni di disturbo.
La spinta a colonizzare la regione Transpadana, forse, non era voluta così unanimemente dal senato romano se ci vuole un “ordine” dei “Libri Sibillini”, come ci racconta Plinio, affinché la colonia romana di Eporedia fosse fondata nel 100 a.C.
Solo con la vittoria di Aulo Terenzio Varrone Murena e la fondazione di Aosta (Augusta Praetoria nel 25 a.C.) e con i Salassi sopravvissuti allo sterminio venduti all’asta a Eporedia, si giunse alla loro possibile assimilazione, alla cosiddetta pax augustea.
Fu la prima colonia romana del Piemonte nord-occidentale ed anche l’unica di diritto romano: i coloni Romani inviati ad abitarvi erano iscritti alla Tribù Pollia. Il nome Eporedia deriverebbe dalla voce Gallica “epo” (cavallo) e “reda” (veicolo gallico a quattro ruote): la voce può assumere il significato di “insieme di carri equestri” e Plinio riferisce che i Galli chiamano Eporedias i bravi domatori di cavalli. L’evoluzione del toponimo in Euria / Evria è già attestata nel VI secolo d.C.
Eporedia sorse in un punto della valle della Dora Baltea dove le due rive potevano agevolmente essere collegate da un ponte. Era un posto ideale sia per azioni offensive sia per la difesa dell’insediamento, posto a capo di una fertile pianura e a controllo dell’itinerario obbligato per i valichi del Piccolo e Gran San Bernardo. La fondazione era anche finalizzata al controllo delle numerose attività minerarie coltivate dalle popolazioni locali fino all’assoggettamento da parte dei Romani ed in particolare della immensa miniera d’oro a cielo aperto, conquistata già nel 143 a.C. (attualmente visibile nel versante biellese dell’anfiteatro morenico: le Aurifodine della Bessa).
A partire dall’età Augustea Eporedia si afferma progressivamente come stazione di cambio cavalli e nodo commerciale privilegiato per il convogliamento e la ridistribuzione di materie prime e prodotti finiti tra pianura padana e arco alpino. Ne consegue un periodo di benessere per tutta la comunità, che è in grado di investire in infrastrutture e opere pubbliche.
La città romana, posta su un complesso di alture di rocce dioritiche prospicienti il punto più stretto della valle della Dora Baltea, non poter rispettare la classica struttura regolare mutuata dagli accampamenti militari. Osservandola dal lato destro della Dora, possiamo immaginare un impianto urbanistico su terrazze digradanti verso il fiume e dominato dalla acropoli su cui si trovavano il tempio e i principali edifici pubblici (area dove poi sarà collocata la Cattedrale).
Tratti di basolato stradale consentono di identificare nel tracciato di Via Palestro il decumano massimo della città e la posizione di alcuni cardini, che erano a tratti sfalsati per evitare un’eccessiva portata delle acque piovane che scorrevano in pendio verso il fiume.
Il teatro, databile al I secolo d.C., venne addossato al pendio roccioso sottostante l’acropoli, secondo un impianto scenografico ellenistico, con i gradini in gran parte tagliati nella roccia e in parte sostenuti da sostruzioni in muratura. I suoi resti, venuti alla luce tra il 1833 e il 1836 durante i lavori di ristrutturazione del Palazzo della Congregazione di Carità in Piazza di Città, furono demoliti – anche con l’uso di esplosivi – per far posto a nuovi locali cantinati. Sopravvivono oggi solo tratti di murature nelle cantine oltre a quelli visibili dal vicolo che segue la curva dell’antica cavea, destinata ad accogliere gli spettatori.
Eporedia era una città d’acque, delimitata a nord da un bacino lacustre (il “lago di città”, bonificato in età contemporanea, dove oggi sorge il piazzale del mercato) e a sud dal corso della Dora, la cui portata viene potenziata proprio in epoca romana ampliando il taglio della roccia in corrispondenza del Ponte Vecchio. Questo si imposta sui resti del più antico ponte romano, sorto nel punto più stretto. In seguito venne costruito il monumentale Pons Maior a 10 arcate i cui resti sono emersi nelle alluvioni a partire dal 1977 in corrispondenza del palazzo della Polizia di Stato (ex convento di San Francesco). A questo erano collegati una banchina fluviale su palificate lignee e le strutture degli argini che dovevano servire a contrastare i cambi di livello del fiume e a consentire un più agevole movimento per l’attracco delle imbarcazioni.
Il Carme 31 di Catullo (84-54 a.C.) ricorda il felice ritorno del poeta alla sua casa in Sirmione. Il passo, che attesta la presenza di una proprietà della ricca famiglia veronese dei Valerii nella penisola, è stato messo in relazione con gli imponenti resti della villa fin dal XV secolo, tanto che la denominazione “Grotte di Catullo” è divenuta di uso comune per indicarla nonostante sia stata sicuramente costruita dopo la morte del poeta.
Nel frammento di affresco raffigurante una figura maschile togata, che un rotolo stretto fra le mani qualifica come un letterato, è stato riconosciuto un possibile ritratto di Catullo. Questa ipotesi si basa sul confronto con una analoga raffigurazione presente nella Casa con Biblioteca di Pompei (VI, 17). Qui, all’interno di una nicchia è rappresentato un poeta che indossa abiti romani e una corona di lauro e che tiene fra le mani un rotolo. Un piccolo Erote, che decora la lampada sospesa sopra il capo del poeta, fa riferimento alla poesia amorosa, genere in cui eccelleva Catullo, e suggerisce la sua identità. Le analogie fra le due raffigurazioni lasciano supporre che si tratti di due ritratti dello stesso poeta. Se a Pompei la raffigurazione di Catullo appare un omaggio a un autore celebre e probabilmente caro al padrone di casa, ancora più carica di significati risulta la sua immagine nel luogo dove amava risiedere.
Ricostruzione della villa “Grotte di Catullo “a SirmioneAFFRESCO DI SIRMIONE CON PRESUNTO RITRATTO DI CATULLO Nella villa si è trovato però un frammento di affresco che raffigura un giovane con veste togata, che regge in mano un rotolo (che lo farebbe identificare con un letterato). In questa raffigurazione si è voluto identificare Catullo, mettendola in confronto con una analoga ritrovata nella Casa con Biblioteca di Pompei.Il ritratto di Catullo di Pompei
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GLI AFFRESCHI DELLA VILLA DELLE GROTTE DI CATULLO:
Indagini recenti, condotte sui frammenti di intonaco dipinto pertinenti alla decorazione della villa 1, hanno apportato novità significative sulle pitture che ornavano l’edificio; è il caso di alcuni frammenti – quale il paesaggio con scena di pesca 2
– noti da tempo e celebrati per la qualità della pittura, ritenuti sinora “relitti” di una decorazione non più comprensibile, che una fruttuosa ricerca di attacchi ha rivelato parte di una composizione pittorica parietale, di più ampio respiro, articolata in due differenti serie di pannelli, in cui vedute paesistiche erano alternate a quadri con una decorazione figurata su fondo rosso cinabro (fig. 1) 3. il frammento più significativo della prima serie di pannelli raffigura un paesaggio animato da una vivace scena di pesca che era originariamente parte di un quadro dipinto su una parete a fondo bianco, bordato da una sottile fascia policroma a filetti tracciati in bianco, viola e verde, a imitazione di una cornice modanata in aggetto 4. Al centro della rappresentazione una barca con una vela quadra gonfiata dal vento, verosimilmente una galea mercantile vista di tre quarti da prua, si avvicina alla riva: l’equipaggio, che non ha ancora ammainato la vela, ha infatti ormai sollevato i remi dall’acqua. più in alto tre figure su una piccola barca, le teste chine sui remi, si stanno allontanando lentamente da una piccola insenatura naturale rocciosa. Sulla riva, tre pescatori sono intenti nella loro attività: uno, seduto sulla sponda regge la lunga canna in attesa che il pesce abbocchi; l’altro, in piedi, è colto nello sforzo di trattenere la canna e recuperare la preda; l’ultimo a torso nudo e in perizoma, immerso nell’acqua sino alle ginocchia, è raffigurato nell’atto di sollevare una piccola rete a sacco, una sorta di vangaiola 5 (fig. 2). la qualità della pittura documenta l’attività di “una mano” abile che, con una tavolozza cromatica volutamente ridotta e quasi limitata alle varie tonalità dell’azzurro, da quella più chiara sino ai toni cupi del blu e del nero, dipinge uno spazio e un tempo “remoti”, in cui i confini tra la terraferma e l’acqua sono appena percepibili: un luogo in cui si svolge tuttavia una scena realistica. il pittore illumina l’atmosfera, e con sensibilità “impressionistica”, rende gli effetti della luce, le ombre e le trasparenze: ecco la
Frammento di affresco da Sirmione
superficie dell’acqua, appena increspata da piccole onde restituite con sottili pennellate di bianco, in cui si specchia la prua della barca. il sistema prospettico, come peraltro spesso attestato nella pittura di paesaggio 6, non è tuttavia pienamente coerente, e la scena è articolata su diversi piani paralleli: la barca sullo sfondo è dipinta di profilo, come se fosse posta sul livello dell’orizzonte, che si colloca invece più in alto rispetto agli occhi di chi osserva, e il mare, dipinto come se fosse visto dalla costa, sembra ricadere sullo spettatore; l’illusione prospettica della distanza, che è stata sottolineata con un progressivo appiattimento della tavolozza cromatica, non trova riscontro in una corretta proporzione tra le figure poste sul piano di fondo e quelle dipinte in primo piano 7. pochi frammenti, riconoscibili per la presenza della cornice policroma a delimitare il quadro, sono riconducibili con buona probabilità alla medesima composizione pittorica 8; tra questi si distinguono tre frammenti combacianti che restituiscono, ai margini della composizione, la raffigurazione di un cratere bronzeo su plinto o basamento (?), lumeggiato con rapide pennellate in bianco: un esempio di quegli ornamenti di tipo sacrale, dipinti con cura miniaturistica, che caratterizzano la pittura sullo scorcio del i secolo a.C. 9. tra l’altro la gamma dei colori impiegati per lo sfondo e l’andamento della stesura della pittura suggeriscono che il lacerto originariamente fosse parte proprio del quadro con scena di pesca, e che fosse opera dello stesso pittore (fig. 2). invece a quadri diversi di questo stesso partito decorativo apparteneva presumibilmente un nutrito gruppo di frammenti di difficile lettura a causa della parziale caduta della pellicola pittorica; alcuni con la rappresentazione – su fondo azzurro – di elementi vegetali: alberi e cespugli; pochi altri in cui figurine tracciate con rapide pennellate di colore, impiegando la tecnica del sopraritocco a macchia, forse viandanti e pastori, come sembrerebbe suggerire la presenza di animali, vestiti con tunica corta e mantello, animavano cosiddetti paesaggi “idillico sacrali”: un personaggio, rappresentato in un ambiente montuoso, sembra essere stato proprio colto, con le braccia rivolte verso l’alto, nell’atto di recare offerte davanti a un edificio sacro (fig. 3)
la seconda serie di quadri, che erano di dimensioni maggiori come documenta un’isola di frammenti combacianti (fig. 1), era decorata da un soggetto che è di difficile interpretazione, data la quantità esigua di materiale pervenutoci per lo più caratterizzato da una parziale caduta della pellicola pittorica. la pittura, che è interpretabile come una scena di genere – sebbene sarebbe rilevante potervi leggere episodi del mito o di un’opera letteraria epica, quali quelli narrati nelle tabulae Iliacae 11
– rappresenta aurighi, carri e cavalli affrontati 12 . i personaggi, di uno dei quali rimangono solo gli avambracci – il destro ornato da un braccialetto d’oro – e parte della lunga veste, paiono in procinto di muoversi: il piede sollevato da terra forse nell’atto di salire sul carro, spronando, redini alla mano, i cavalli ancora immobili (fig. 4). la scena, su un fondo rosso omogeneo all’interno di una cornice, è priva di prospettiva e si svolge su di un unico piano indicato da una sottile linea marrone non continua, come colta nell’atto imminente ma ferma nello spazio e nel tempo. la vivida accuratezza quasi calligrafica del disegno, l’ombreggiatura sapiente con rapide e sottili pennellate, pur nell’esiguità della gamma cromatica impiegata, rivelano la maestria tecnica del pittore, per una resa raffinata e “classica” in linea con gli stilemi del linguaggio figurativo neoattico di età augustea. nella realizzazione della decorazione è possibile pertanto riconoscere – per la scelta e la modalità di stesura dei colori e quindi per lo stile del “figurato” – almeno due mani differenti: una decisamente“impressionistica”, l’altra che applica una tecnica più disegnativa. tali diverse tendenze stilistiche sono presenti, pur non in egual misura, nella pittura di entrambe le serie di quadri; nondimeno l’accuratezza e la precisione nell’esecuzione sono percepibili altresì nei frammenti in cui la pittura è caratterizzata precipuamente dalla ricerca luministica perseguita tramite la stesura dei colori con rapidi tocchi di pennello 13 . gli affreschi, che non si può escludere trovassero posto sulle pareti di una delle ambulationes della villa, parrebbero rientrare proprio in quei generi di pittura che Vitruvio (De Architectura, 7, 5, 1-4) riteneva idonei a ornare le passeggiate coperte: decorazioni ispirate alla varietà dei paesaggi (varietas topiorum), ma anche – al posto delle statue – megalographiae (signorum megalographiae ) immagini di divinità o narrazioni mitiche in serie (Troianas pugnas e Ulixis errationes per topia) 15 ; episodi dunque di un racconto in un’ampia composizione paesistica, in cui i “paesaggi” non sono riprodotti dal vero, ma inventati imitando la realtà e cogliendo da essa gli elementi tipici: i topia 16 . un elemento a favore di questa ipotesi è la notizia del ritrovamento negli anni Cinquanta del secolo scorso – all’interno del vano 126 che costituisce la sostruzione settentrionale del lungo loggiato posto sul lato orientale della villa (101) – di uno scarico di “frammenti di affreschi… arricchiti da pannelli con scene mitologiche o agresti o vedute marine…”, probabilmente identificabili in parte con il materiale oggetto di questo studio 17 . ecco, sarebbe suggestivo, ma forse un po’ ambizioso, pensare, per queste pitture dalle “grotte di Catullo”, a una sorta di ciclo figurato come quello – ancora di ii stile – dell’atrio della villa dei misteri a pompei 18 o a quello con scene tratte dall’Odissea da una domus in via graziosa sull’esquilino 19 o infine a certe rappresentazioni, a carattere insieme mitologico e paesistico, che – racchiuse in raffinati riquadri -presero posto nei partiti decorativi già dalla fase iniziale del iii stile.