C’ è un po’ di poesia nello scegliere il titolo di questa interessante mostra che è appena stata inaugurata al MUPRE – Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica a Capo di Ponte, nell’alto bresciano, e che durerà dal 29 aprile al 30 settembre. La mostra indaga sull’importanza che il sole, la luna e le stelle hanno avuto nei culti e nell’iconografia dell’Età del Bronzo, il lungo periodo preistorico (2500-1800 a.C.) .
Lunula d’oro di Blessington Irlanda
Le rappresentazioni del sole, della luna e delle stelle sembrano rifarsi a un modello preciso e unico, da entrambi i lati delle Alpi ,dal Mediterraneo fino al profondo nord ed est del continente europeo. Ciò conferma l’intensità delle relazioni tra popolazioni anche molto distanti, probabilmente dovute al nomadismo commerciale e allo scambio di idee e stili, di cui oggi è difficile avere una percezione precisa.
Il pettorale semilunato in argento- Villafranca di Verona, conservato al museo Archeologico nazionale di Verona (foto drm-veneto)
È la prima volta che reperti così particolari e preziosi soni stati raccolti in una mostra. Ciò è stato disponibile grazie alla partecipazione di importanti musei italiani e stranieri. Il prestito più prestigioso arriva dal British Museum di Londra ed è la “lunula” d’oro, un eccezionale reperto trovato a Blessington (Irlanda) e risalente al 2400-2000 a.C. (tardo Neolitico/inizio dell’Età del Bronzo), un periodo che in Italia corrisponde alla fine dell’Età del Rame e alla diffusione della “Cultura del Vaso Campaniforme”. Elementi di questa cultura sono emersi dagli scavi archeologici in Valle Camonica, il primo sito italiano riconosciuti dall’ UNESCO , e in altri insediamenti della regione alpina.
Lunule in bronzo da Lazise conservate al museo civico di Storia naturale di Verona (foto musei civici di Verona)
L’Età del Bronzo è considerata uno dei periodi formativi della storia europea. Il bronzo, una lega di rame e stagno, ha portato a importanti ripercussioni tecniche, sociali ed economiche, aumentando la circolazione di persone e oggetti e dando origine a un linguaggio iconografico veramente continentale.
La mostra evidenzia l’importanza del periodo di transizione tra la metallurgia del rame e quella del bronzo, come confermato dai suoi contenuti. A cominciare dalla “lunula” del British Museum, il prezioso reperto illustra il tema della rappresentazione del sole e del ciclo solare, che appaiono anche nelle incisioni rupestri qui riunite. Il MUPRE dispone di una delle più ricche collezioni di stele e menhir incisi nella regione alpina, tra cui i pugnali di tipo Ciempozuelos e le alabarde del tipo Villafranca.
In prestito dal Museo dell’Area Megalitica di Saint Martin de Corléans (Aosta) c’è un pendaglio in rame a forma di semiluna decorato con punti a sbalzo e terminazioni a spirale, che collega il gruppo di stele e menhir della Valle Camonica al sito di Aosta. Dal nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona arrivano un pettorale d’argento a forma semilunata e un’ alabarda di rame da Villafranca Veronese, oltre a due lunule in bronzo dall’area di Pacengo nel comune di Lazise. Questi reperti dialogano con altri simili esposti in mostra. Sempre da Verona, ma questa volta dal Museo di Storia Naturale di Verona, arriva la Lunula in bronzo da Torbiera di Guardiola (Mantova).
Lunula d’oro di Blessington Irlanda
La Soprintendenza ABAP per le province di Cremona, Lodi e Mantova ha concesso la “lunula” dalla Tomba 4 di Via Europa a San Giorgio (Mantova) e il contesto di scavo.
Come sottolinea Emanuela Daffra, direttrice della Direzione Regionale Musei della Lombardia, “Va sottolineato che, grazie alla collaborazione tra musei statali e civici, la mostra si estende anche al di fuori del MUPRE, lungo gli itinerari che coinvolgono il Museo Archeologico Nazionale delle Grotte di Catullo a Sirmione, il Museo Archeologico della Valle Sabbia a Gavardo, il Museo Civico Archeologico “G. Rambotti” di Desenzano e il Museo Civico Archeologico della Valtenesi di Manerba, alla scoperta delle genti di montagna e delle genti dei laghi tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C. Itinerari che, indagando un importante passato, contribuiscono a una migliore comprensione della storia del territorio bresciano, nell’anno in cui Brescia, insieme a Bergamo, è Capitale della Cultura”.
MUPRE – Museo Nazionale della Preistoria della Valle Camonica Via S. Martino, 7 – 25044 Capo di Ponte (BS) Tel. +39 0364 42403 email: drm-lom.mupre@cultura.gov.it http://www.mupre.capodiponte.beniculturali.it/
Orari Martedì – venerdì 10.00-16.00 Sabato e domenica 10.00-13.00 e 14.00-18.00 Lunedì chiuso Ingresso gratuito
Che Castione della Presolana potesse nascondere nel sottosuolo le tracce di un antichissimo villaggio non era certo una novità. Infatti già nel 1941 proprio nella zona del Castello, l’11enne Natale Migliorati, (padre dell’attuale primo cittadino Angelo), ritrovò casualmente tracce di antiche sepolture e poi furono scoperti in quegli anni nella zona resti di vasellame e reperti in metallo risalenti all’età del Ferro e del Bronzo.
Si discoprirono fibule, monete romane , un frammento di epigrafe sacra dedicata a Mercurio, una lancia, corredi funerari, una lama di pugnale, due spade, di cui una in bronzo e l’altra della seconda metà dell’età del Ferro). Il piccolo Natale riferì al curato don Rocco Zambelli del ritrovamento di alcuni cocci e di una spilla di bronzo in una caverna. Tale scoperta diede l’impulso alle ricerche e a nuovi ritrovamenti nella zona proseguiti poi da don Giulio Gabanelli e in seguito da numerosi studiosi archeologi e paleontologi da tutta Europa.
ma veniamo alle scoperte più recenti che riportiamo da un articolo di Nicola Andreoletti comparso su myvalley.it –
” Hanno dato i frutti sperati, gli scavi archeologici effettuati negli ultimi giorni a Castione della Presolana. L’obiettivo era valutare la reale consistenza del sito in località Castello. E dalle indagini sono emersi i resti di un abitato risalente a circa 2500 anni fa.
Gli scavi sono stati effettuati dall’Università degli studi di Pavia sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia. «Questo intervento è la parte iniziale di un progetto di ricerca che stiamo portando avanti su Castione della Presolana – spiega Paolo Rondini, ricercatore dell’Università di Pavia -. Gli scavi erano mirati a verificare alcuni dati che avevamo già acquisito con rilevamenti geoelettrici e geomagnetici in collaborazione con l’Università di Padova e la professoressa Rita Deiana».
Il terreno in località Castello ha dunque restituito parti di un insediamento antico, risalente circa al quinto secolo prima di Cristo. «Tutte e tre le trincee aperte hanno dato riscontri molto interessanti – prosegue Paolo Rondini -. Abbiamo documentato dei livelli di un abitato protostorico di età pre romana, che si può datare alla media età del ferro. Resti parziali di abitazioni, acciottolati, focolari: tutto quello che riguarda la vita quotidiana delle genti di allora. Sono indizi che secondo noi ci condurranno alla scoperta di un villaggio che di fatto è il primo nucleo di Castione della Presolana».
A Castione, di fatto, è stata aperta una finestra significativa sul passato. Ma il lavoro non è finito. «Proseguiremo sempre sotto la guida della Soprintendenza con la dottoressa Cristina Longhi, direttrice di questo progetto di ricerca – aggiunge Paolo Rondini -. Credo che nei prossimi anni amplieremo la ricerca estendendo le nostre indagini ad altre zone del sito».
I risultati degli scavi sono stati accolti con soddisfazione dal sindaco di Castione, Angelo Migliorati. «L’interesse verso questo sito risale al 1945 con don Rocco Zambelli che fu il primo scopritore di questi resti – sottolinea Migliorati -. Ci aspettavamo dei risultati, ma non di questa consistenza. Trovare le radici di Castione ci fa molto piacere. Il Comune intende valorizzare quest’area che riteniamo sia rilevante non solo dal punto di vista culturale, ma anche turistico».
Area CAPITOLIUM Brescia Cenomane – da Brixia e le genti del Po’ GiuntiArea CAPITOLIUM Brixia fino all’ etá augustea da Brixia e le genti del Po’ Giunti
Il territorio attorno a Brescia e al Lago di Garda si presenta come un osservatorio privilegiato per lo studio di interazioni tra popoli già dal primo apparire della documentazione epigrafica, in età preromana. Tale vocazione, quella dello scenario di etnie multiple, si configura anche nell’età della romanizzazione, con modalità ben indagate e in gran parte già defi nite dagli studiosi. L’individuazione di ethne a partire dalla documentazione esistente non è però sempre di immediata evidenza, e porta spesso ad una sospensione del giudizio piuttosto che ad una soluzione univoca. In questa sede cercherò di inquadrare fenomeni nel loro complesso già noti, come quelli che emergono dall’epigrafia e dall’onomastica, avvalendomi di strumenti «in dotazione» alla linguistica, come la sociografia, la neurolinguistica, la linguistica del contatto e l’etnolinguistica, per proporre al confronto critico nuove categorie di analisi. Dalla focalizzazione di alcuni documenti, in parte anche nuovi, vedremo anche emergere e delinearsi meglio una delle compagini che solitamente, negli studi sulla regio X, rimane di difficile identificazione: la componente camuna.
II. Lo scenario storico regio X, in particolare nella zona attorno a Brescia e al lago di Garda (1).
Il processo di assimilazione e acculturazione, come sappiamo, non fu per questa parte dell’Italia cruento e repentino, ma progressivo e lento. La strategia politica adottata da Roma verso queste popolazioni fu di rispetto delle autonomie e delle strutture socio-politiche esistenti, di cui «venivano conservate la compattezza, l’autonomia, e fi n dove possibile l’indipendenza e la stabilità demografica» (2).
Riassumo brevemente i termini cronologici:
− fine V-inizi IV sec. a.C.: inizia l’occupazione cenomana di Brixia, che conosce anche la sua prima fase urbana;
− 225 a.C. durante la guerra Gallica i Cenomàni (che ormai occupano il territorio di Brescia) e i Veneti si alleano con i Romani inviando 20.000 soldati contro le altre popolazioni celtiche;
− durante la guerra annibalica i Cenomani sono alleati di Roma insieme ai Veneti, Taurini e Anamari;
− 200 a.C. i Cenomani appoggiano gli Insubri e i Boii devastando Placentia e puntando in seguito su Cremona;
− 197 a.C. grazie all’intervento diplomatico del console C. Cornelio Cetego presso i vici Cenomanorum e presso la stessa Brixia, la rivolta rientra e i Cenomàni abbandonano gli Insubri che vengono vinti; si stipula un foedus tra Roma e i Cenomàni;
− 89 a.C. Lex Pompeia Strabonis de Transpadanis concede lo ius Latii a tutte le popolazioni della Gallia Cisalpina, compresi i Cenomani;
− 51-49 a.C. con la Lex Roscia viene ratifi cata la cittadinanza romana alle popolazioni celtiche e italiche della Cisalpina (Transpadani); Brixia diventa municipium;
− età augustea (16/15 a.C.): adtributio delle popolazioni nella Val Sabbia e della sponda occidentale del Lago di Garda (Sabini e Benacenses); adtributio a Brixia anche dei Trumplini e dei Camunni (campagna militare di P. Silio Nerva);
27 a.C. (oppure 14 a.C. e comunque non dopo l’8 a.C.) Brixia si fregia del titolo di colonia civica Augusta.
− tra 79 e 89 d.C. Benacenses e Trumplini sono in stato di inferiorità giuridica rispetto ai Bresciani (3).
Particolare della statua di Minerva dal santuario di Breno(BS)
In questo quadro di progressivo adeguamento della componente etnica locale al mondo romano, spicca la tendenza all’autonomia dei Camunni, che pur dopo l’adtributio e la concessione della civitas, si costituiscono come res publica separata da Brescia e vengono ascritti per la maggior parte alla tribù Quirina.
Questa situazione, che ha come sfondo un intenso spostamento di persone dal centro Italia e dal Sud verso Nord, nella Gallia padana e Cisalpina (4), porta alla creazione di popolazioni miste, che uniscono componenti più tipicamente italiche o centro italiche a quelle celtiche, venetiche, retiche o camune.
Puoi continuare a leggere l ‘articolo originale al link:
Quando parliamo dei popoli antichi che hanno abitato la regione Padana ed Alpina ,quella che sarà chiamata poi dai Romani Gallia Cisalpina , dobbiamo ovviamente pensare ad un vero e proprio mosaico di tante diverse popolazioni . Ad esempio, parlando dei Galli essi erano diversamente cugini tra loro . Insubri e Cenomani avevano avuto una diversa etnogenesi solo per fare un esempio.. Altri popoli Celti, i Boi e soprattutto i Senoni erano fortemente fuse con le popolazioni etrusche ed umbre tanto da creare una koinè celto- italica.
Nel Piemonte e sugli Appennini la commistione con Liguri fu ancora più forte. Altre popolazioni come i Camuni e i Triumphilini erano definiti come Euganei e seppur molto affini ai Reti avevamo assorbito anche molti elementi etruschi, celtici e venetici. I Reti sulle Alpi, affini ai Tirreni per lingua, avevano anche loro assorbito molti elementi celtici e venetici così come i Veneti ,affini a loro volta linguisticamente ai Latini. Nel video che qui segue il vicedirettore del Gruppo Archeologico Comasco ci descrive appunto questo complesso mosaico di popoli e nazioni. Buona visione .
L’edizione 2022 del progetto prende avvio dalle giornate Europee dell’Archeologia (17-18 giugno) e si conclude ad ottobre. Sono previste numerose iniziative, visite guidate, laboratori, conferenze a Castione Andevenno, Sondrio, Teglio, Grosotto, Grosio e Sondalo.
Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00
GRUPPO ARCHEOLOGICO CADORINO in collaborazione con MAGNIFICA COMUNITÀ DI CADORE presenta
Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano
Relatore Gioal Canestrelli Laureato in lettere antiche presso l’Università degli studi di Verona, dove vive e lavora, ha partecipato a numerosi scavi archeologici e dal 2004 si occupa attivamente di Archeologia Sperimentale ed è curatore di varie pubblicazioni. E’ conosciuto anche per i suoi contributi diffusi nelle piattaforme social e nei vari eventi culturali di ricostruzione storica.
La presentazione spazierà dalle leggende alla storia raccontata, con particolare attenzione ai rapporti di interscambio tra culture e con riferimenti all’area alpina, a quella dolomitica e al Cadore.
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Primo di un ciclo di tre incontri che coprono 1500 anni della nostra storia:
“Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano”, relatore Gioal Canestrelli Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00 – Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità di Cadore
“L’avvento di Roma nelle Alpi Orientali – Riscontri militari – Aspetti di vita civile quotidiana: il vetro” Relatori Fabio Spagiari e Elisabetta Malaman Sabato 30 aprile 2022 ore 17.00 – Calalzo di Cadore, Sala consiliare
“L’arco alpino Orientale: cultura materiale e società: Epoca longobarda 568-774 – Epoca carolingia 774-884” Relatori Gabriele Zorzi e Dario Ceppatelli Sabato 7 maggio 2022 ore 17.00 – Lozzo di Cadore, Sala Pellegrini
Ingresso libero, nel rispetto delle vigenti disposizioni sanitarie
Presentazione di un ciclo di tre conferenze a carattere storico-archeologico organizzato dal GAC con la collaborazione di Magnifica Comunità di Cadore, MARC, Comune di Calalzo e Comune di Lozzo di Cadore per i mesi di aprile e maggio 2022.
Ausilio Priuli é uno dei piu importanti studiosi e scopritori di pietroglifi nella valle Camonica . Tantissime sono le sue scoperte e le pubblicazioni.
In questo video viene spiegata la storia e l evoluzione delle rappresentazioni dei guerrieri alla luce non solo della evoluzione delle armi ma soprattutto tenendo ben conto del significato religioso , magico ed evocativo delle incisioni stesse nella civiltá della antica valle.
Una serie di nuove e importanti scoperte è stata portata alla luce in territorio di Flaccanico, frazione di Costa Volpino, dall’archeologo camuno Ausilio Priuli. Decine di rocce graffite che potrebbero presto dare il via ad una stagione di ricerche in una zona dove storicamente pochi studiosi si erano spinti a cercare. Situate principalmente su due diversi speroni di roccia distanti alcune decine di metri l’uno dall’altro, le incisioni individuate si trovano sullo strato della cosiddetta «Formazione di Wengen», una delle unità del Triassico medio-superiore più conosciute delle Alpi Meridionali.
«Sono convinto che questo sia solo l’inizio, qui nessuno ha mai fatto ricerca» racconta Priuli. Dalle rocce, coperte in parte dalle incrostazioni di licheni e in parte da accumuli di materiale, emergono straordinari frammenti storici e preistorici: dai segni dovuti all’affilatura delle armi alle coppelle (piccole conche rotondeggianti), fino ad arrivare a incisioni più strutturate come il «filetto», o «triplice cinta», un simbolo composto da tre quadrati concentrici uniti da tratti di intersezione perpendicolari.
«Secondo le interpretazioni di oggi raffigurerebbe la scacchiera di un gioco da tavolo, ma originariamente doveva avere qualche altro significato e infatti si parla di “triplice cinta” in riferimento alla “triplice cinta druidica”, in pratica il percorso per raggiungere il centro e quindi la conoscenza» spiega ancora l’archeologo.
Incisioni con segni geometrici
Tra i segni che percorrono lo strato roccioso emerge anche una croce. «Dall’incrostazione che la copre non è tanto recente. Le croci venivano incise per cristianizzare quei luoghi ritenuti legati ai culti pagani». Carico di valore simbolico e sacrale era certamente lo «scivolo della fertilità», una pietra di origine naturale utilizzata in un rito di fertilità preistorico, qui rinvenuto proprio a pochi metri dalla croce. Secondo una credenza precristiana, scivolare sopra queste pietre lisce permetteva di guarire o prevenire la sterilità.
«Questo è antichissimo – spiega Priuli –, per essere così liscio e lucente lo è senza dubbio. Si dovrebbe scavare nel terreno perché probabilmente continua sotto l’accumulo di materiale di almeno un altro metro». Lo scivolo è a sua volta coperto da graffiti, alcuni relativamente recenti di persone che venivano a scivolare e hanno lasciato le proprie iniziali, il che lascia pensare che la ritualità sia perdurata a lungo anche in epoca storica. Altre tracce del passato aspettano di essere scoperte e documentate. Adesso la volontà è quella di continuare le esplorazioni e di intraprendere un progetto di valorizzazione. «Una segnalazione ufficiale alla Soprintendenza dei Beni Archeologici è stata fatta. Ci sono centinaia di graffiti ancora da scoprire e la prima cosa da fare sarebbe quella di intervenire e pulire le rocce per studiare quanto rinvenuto».
Camminando lungo sentieri anche conosciuti, non sempre si ha la consapevolezza che in altri tempi, molto lontani da noi, questi luoghi possano essere stati testimoni della storia dei primi uomini. Lo sono state certamente le strade di Flaccanico, come dimostrano i segni incisi da millenni sulle sue rocce che ogni giorno, per poche ore del mattino, tornano a risplendere sotto la luce radente del sole.
Il sito di Bard all’incirca all’Età del Rame (metà IV – fine III millennio a.C.). Per quanto riguarda gli scivoli, questi appartengono ad un’epoca successiva, dal momento che hanno parzialmente cancellato le figure a cui sono sovrapposti.
Scivolo della fertilità
Un rito di fertilità è un rituale religioso che rimette in scena un atto sessuale o un processo riproduttivo. Già nelle pitture rupestri erano rappresentati animali in procinto di accoppiarsi. Tale raffigurazione la possiamo considerare come un rito di fertilità magica. Queste ritualità avevano lo scopo di assicurare la fecondità della terra o di un gruppo di donne. Inizialmente il culto della fertilità era legato alla Grande Madre, generatrice e portatrice di fecondità. L’uomo primitivo rappresentava la Madre come una donna formosa con il ventre marcato per simboleggiare la fertilità.
A partire dal VIII millennio prima della nascita di Cristo si assiste alla proliferazione di raffigurazioni femminili legate al culto della fertilità. Il passo successivo è legato all’acquisizione del valore miracoloso della roccia. In questo contesto si inserisce lo studio legato agli scivoli della fertilità, massi utilizzati dalle donne che desideravano procreare.
Perché le pietre? Per la coscienza religiosa dell’uomo primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una rivelazione del divino. La pietra è, rimane sempre se stessa, perdura nel tempo e colpisce. Ancora prima di afferrarla per colpire, l’uomo urta contro la pietra, non necessariamente con il corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La pietra gli rivela qualcosa che trascende la precarietà dell’esistenza umana.
L’uomo primitivo non adorava la pietra in quanto tale ma per quello che incorpora ed esprime. Molto spesso il rito di fertilità era un rituale sessuale basato sull’adorazione della pietra come organo sessuale maschile in stato di erezione. L’usanza detta scivolata è nota: per avere figli le donne scivolavano lungo una pietra consacrata. Nel caso in cui non scivolassero, giravano attorno ad essa o sfregavano le parti intime sulla dura roccia.
Abbiamo smarrito questi concetti? In Storia delle Religioni si utilizza un termine che permette di comprendere i passaggi successivi, il sincretismo. Tale terminologia indica un complesso di fenomeni e concezioni costituite dall’incontro di forme religiosi differenti. Il cristianesimo si è accaparrato alcune rappresentazioni della fertilità.
Come può essere avvenuto? Inizialmente la Chiesa ha combattuto queste usanze. Si citano numerosi divieti del clero e del Re, nel Medioevo, contro il culto delle pietre e specialmente contro l’emissione di sperma davanti alle rocce. La loro sopravvivenza malgrado le pressioni del clero è prova del vigore di tali pratiche. Quasi tutte le altre cerimonie relative a pietre consacrate sono scomparse. Rimane soltanto quel che avevano di essenziale: la fede nella loro virtù fecondatrice. Con il trascorrere del tempo la credenza non si basò sulla considerazione teorica della pietra, ma fu giustificata da leggende recenti o interpretazioni sacerdotali. Esempi possono essere rappresentati dal santo che si fermò a riposare su una determinata roccia o dalla visione di un santo o della Madonna su una pietra.
Alcune di queste pietre furono inglobate nelle chiese nascenti per eliminare il culto antico. Un caso eclatante è quello di Londra: ancora nel 1923 le contadine che andavano nella capitale abbracciavano alcune colonne della cattedrale di San Paolo per avere figli.
Altre leggende sono nate di recente, come quella inerente la sedia della fertilità che si trova nella chiesa di Santa Maria Francesca delle Cinque piaghe a Napoli. La sedia è quella dove solitamente si appoggiava Maria Francesca per riposare e trovare sollievo mentre alleviava i dolori della passione. Il rituale di sedersi e rivolgere una richiesta di grazia alla santa è seguito dalle donne sterili che desiderano il concepimento di un figlio. Il caso nacque nel Settecento riuscendo a resistere sino ai giorni nostri.
Un altro caso rilevante è quello relativo al Santuario di Oropa in Piemonte. Nelle cronache relative alla fondazione del santuario si narra che la statua della Madonna Nera fosse stata nascosta da Sant’Eusebio sotto un masso erratico per impedire che cadesse nelle mani degli eretici. Sopra tale masso, nel Settecento, fu eretta la prima cappella. La chiesa vecchia di Oropa fu costruita inglobando un secondo masso erratico detto Roc ‘dla vita, masso della vita. La pietra era nota per essere oggetto di culti pagani legati alla fecondità.
Il ricorso agli scivoli delle donne o delle fertilità è attestato ancora alla fine del XIX secolo. Nel 1884 Giovanni Roggia di Varzo, comune della provincia di Verbania, in occasione dell’inaugurazione del rifugio alpino dell’Alpe Veglia invitava all’uso delle acque minerali con la seguente affermazione: “alle donne che non hanno la buona sorte d’avere eredi, invece di andare in pellegrinaggio da una madonna all’altra e sfregarsi il sedere sulle pietre miracolose cercando grazie, sappiano che con l’acqua minerale che abbiamo qui vicino potranno avere figli in abbondanza”.
Anche a Sebillot, nei pressi di Carnac in Francia, avveniva qualcosa di similare: “Verso il 1880 due coniugi sposati da parecchi anni e che non avevano figli, si recarono, alla luna piena, presso un menhir; si spogliarono e la moglie cominciò a girare intorno alla pietra, cercando di sfuggire all’inseguimento del marito. I genitori si erano messi di guardia nelle vicinanze per tenere lontano i profani”. Questo caso è più complesso: innanzitutto è da ricordare il periodo dell’accoppiamento, plenilunio, che indica tracce di culto lunare; poi l’accoppiamento dei coniugi e l’emissione di sperma davanti alla pietra si spiegano con il concetto delle nascite dovute alle pietre corrispondenti a certi riti di fecondazione della pietra.
La teoria tradizionale del rito di fertilità legato ai massi delle donne fu sostituito, o almeno contaminato, da una nuova teoria. Esempio è l’usanza, viva ancora oggi, di far passare il neonato per il foro di una roccia. Indubbiamente questo si riferisce a una rinascita, a un rito di passaggio.
Un caso emblematico di culto delle pietre forate è quello relativo alla sacra roccia di San Vito, megalite inglobato nel centro del pavimento di un luogo cristiano dedicato a San Vito nel paese di Calimera in provincia di Lecce. La sacra pietra è meta di visite tutto l’anno. Il lunedì dell’angelo le persone attraversano la roccia per ottenere vantaggi spirituali, tra cui la propiziazione della fertilità. Il buco della pietra rievoca l’organo sessuale femminile e l’attraversamento è una chiara e lampante metafora sessuale.
L’idea implicita in tutti questi riti è che certe pietre possano fecondare le donne sterili, ma la teoria che diede origine a queste pratiche e la giustificò, non sempre si è conservata nella coscienza di chi ancora continua a osservarle.
Bibliografia ( da Wikipedia):
(FR) B. Reber, Les Gravures pédiformes sur les monuments préhistoriques et les Pierres à glissades, Bulletin de la Société préhistorique française, numero 7, volume 9, 1912, pp. 470-478.
F. Copiatti e A. De Giuli, Sfregarsi sulle pietre miracolose cercando grazie. Gli scivoli della fecondità: usanza femminile di origine preistorica, in Domina e madonna. La figura femminile tra Ossola e Lago Maggiore dall’Antichità all’Ottocento, Mergozzo, 1997.
(DE) Hans Haid, Mythos und Kult in den Alpen: Ältestes, Altes und Aktuelles über Kultstätten und Bergheiligtümer im Alpenraum, ed. Tau, Bad Sauerbrunn, 1990, ISBN 3-900977-08-9
Brescia – Statue, ritratti, amuleti carichi di valenze simboliche. L’incontro tra i Romani e gli antichi Camuni si racconta nel nuovo museo Archeologico nazionale della Val Camonica, pronto a inaugurare il prossimo 11 giugno a Cividate Camuno, a una sessantina di chilometri da Brescia.
Siamo nell’antica Civitas Camunnorum, nella Valle Camonica romana, una delle realtà archeologiche più sorprendenti di tutto l’arco alpino. In questo straordinario scrigno che esemplifica la romanizzazione di un territorio attraverso siti e testimonianze archeologiche, il visitatore avrà la possibilità di seguire la presenza romana declinandola nei suoi aspetti più diversi, dalla trasformazione del territorio ai culti, dalla vita quotidiana agli spazi pubblici, alla sfera funeraria.
“Il nuovo museo – spiega Emanuela Daffra, direttore regionale Musei Lombardia del Ministero della Cultura – si estende su spazi quadruplicati rispetto alla vecchia sede e potrà accogliere in modo finalmente adeguato i reperti già esposti a partire dal 1981 in un primo Museo Archeologico, oggi troppo angusto, oltre che dare spazio a un patrimonio in continua crescita, confermando la ricchezza vitale della ricerca archeologica e il dinamismo dei musei che la raccontano”.
Pavimento a mosaico dalle terme dell’antica Civitas Camunnorum, con motivi geometrici a tessere colorate, I-II d.C., Cividate Camuno, Museo Archeologico nazionale della Valle Camonica
Un viaggio tra gli antichi romani delle Alpi Un museo della romanizzazione delle Alpi. Ecco come si presenterà ai visitatori il nuovo scrigno d’arte della Valle Camonica, che guarderà anche ai luoghi limitrofi, aiutando il pubblico a contestualizzare i ritrovamenti della Valle nel quadro più ampio dell’arco alpino. Attraverso un viaggio in otto tappe, tante sono le sezioni del nuovo allestimento, il visitatore è invitato a immergersi tra i materiali di età romana rinvenuti a Cividate Camuno e nel territorio. Una ricca collezione epigrafica – accanto a corredi funerari dalle necropoli, pendenti e amuleti anche in oro e argento – incontra oggetti d’eccezione, come la porta carbonizzata in legno risalente al II-I secolo a.C., ritrovata a Pescarzo di Capo di Ponte, una delle meglio conservate per il periodo di tutto l’arco alpino. Tra i “fiori all’occhiello” del museo, la statua della dea Minerva, in marmo greco, dal santuario di Breno, e la statua in marmo locale di Vezza d’Oglio (alta Val Camonica) raffigurante un personaggio maschile ritratto in posa eroica.
Statua di Minerva in marmo pentelico rinvenuta nell’aula centrale del santuario di Breno (BS), loc. Spinera, Cividate Camuno, Museo Archeologico nazionale della Valle Camonica
Un punto di partenza per scoprire la Valle dei Segni Una piccola area archeologica, di recente valorizzata nel cortile interno del museo, offre uno sguardo sulla città antica. Il nuovo edificio si appresta così a diventare per visitatori e appassionati il punto di partenza e di arrivo del percorso della Valle Camonica romana che a Cividate Camuno trova altre significative tappe nell’area del foro, nel Parco Archeologico del teatro e dell’anfiteatro e, non lontano, nel Parco Archeologico del Santuario di Minerva in località Spinera di Breno.
La visita al Museo diventa così una tappa importante per la scoperta di quella Valle dei Segni – che trova il suo fulcro nella Valle Camonica – dove la millenaria tradizione delle incisioni rupestri offre lo spunto per un viaggio attraverso uno degli itinerari archeologici più affascinanti dell’arco alpino.
Alla scoperta degli antichi Camunni Conosciuta in tutto il mondo per la sua arte rupestre – primo Sito Unesco italiano nel 1979 – la Valle Camonica incanta con il suo patrimonio archeologico di epoca romana. Alla vigilia della romanizzazione il territorio era abitato dalla popolazione alpina dei Camunni, nota per l’impiego di un’originale forma di scrittura, ma soprattutto per l’abitudine millenaria di incidere sulle rocce. La straordinaria storia di questo popolo trova voce tra numerosi ritrovamenti, oggi in parte visibili in aree e parchi archeologici, che coniugano archeologia e arte rupestre.
Alla fine del I sec. a.C., la Valle entra a fare parte dell’Impero romano. La Civitas Camunnorum, destinata a diventare il centro politico di riferimento, nasce proprio dove oggi sorge l’abitato di Cividate Camuno. Dopo un’iniziale dipendenza da Brescia, alla fine del I sec. d.C., il territorio diventa Res Publica Camunnorum, guadagnandosi piena autonomia politica, giuridica e amministrativa. Della città sono stati riportati alla luce le terme, resti consistenti del foro, diverse domus, le necropoli e il quartiere degli edifici da spettacolo, con un teatro e un anfiteatro. Il nuovo museo segna così un significativo punto di partenza per la scoperta della Valle dove è possibile ammirare numerosi altri contesti archeologici, dai luoghi di culto alle necropoli. Un’occasione per ricostruire il quadro del territorio tra l’età del Ferro e quella romana, attraverso quelle trasformazioni scaturite dall’incontro tra la cultura camuna e quella romana.
Statua in marmo locale di Vezza d’Oglio (alta Valle Camonica) raffigurante un personaggio maschile ritratto in posa eroica, forse un giovane principe della famiglia imperiale. Datata ad età giulio-claudia, proviene dall’area del foro dell’antica Civitas Camunnorum. I-II d.C, Cividate Camuno, Museo Archeologico nazionale della Valle Camonica.