QUATTRO BLOCCHI DI MARMO DI COMO: UNA STORIA AFFASCINANTE.

  Fortuna volle che qualcuno riutilizzasse degli antichi blocchi di pietra  nel Medioevo e così   quattro blocchi in marmo di Musso del II sec. D.C.  riutilizzati come materiale da costruzione in una torre tardo-antica all’angolo tra viale Varese e via Cinque Giornate sono giunte fino a noi. Sono basi di colonne, decorate sulle quattro facce con motivi a bassorilievo inquadrati da lesene angolari con capitelli corinzi. I sedici rilievi raffigurano coppie di divinità, episodi mitologici, atleti e poeti. Ogni soggetto rappresentato si lega concettualmente a quello posto di fianco o di fronte.

Tra i miti riprodotti, compare ad esempio quello di Perseo e Andromeda, dove Perseo impugna con una mano la spada uncinata e con l’altra la testa di Medusa.

Di altro genere sono le facce contrapposte che raffigurano due pugili vincitori rispettivamente delle Olimpiadi (simboleggiate da un’anfora con il ramo di palma sacro a Zeus) e delle Pitiche (giochi che si svolgevano a Delfi, sacri ad Apollo come dimostrano gli oggetti simbolo del dio, ossia il tripode e l’alloro).

Affascinante, ma non condivido dai più recenti studi è che questi rilievi facessero parte della biblioteca donata a Como da Plinio il vecchio. Infatti  sulle  basi di queste  colonne vi sono  due scene affiancate sulle facce esterne: è raffigurato da un lato un giovane poeta imberbe che si accinge a scrivere il suo testo, aiutato dalla Musa che gli suggerisce alle spalle; sul blocco accanto lo stesso poeta, ormai adulto, con la barba che ne nasconde il mento, fa omaggio della sua opera alla Musa.

Le scene figurate dei pannelli sono  però tutti tipici  di molti schemi compositivi di fine II-III secolo d.C e diverrà frequentissimo alla fine del III secolo per scandire lo spazio (in particolare nei lati brevi) nei cosiddetti sarcofagi architettonici norditalici.
. Particolarmente interessante è
la presenza nei pannelli comensi del “capitello corinzieggiante” a foglie sovrapposte, che sarà poi anch’esso utilizzato dagli scultori dei sarcofagi architettonici a tabernacolo di scuola ravennate prodotti nella seconda metà del IV secolo. L’uso precoce di un sistema architettonico con funzione di cornice, che avrà poi così grande fortuna in ambito norditalico.
graie tardoclassiche ed ellenistiche, tutte presenti nei repertori di scultori, decoratori, incisori di età imperiale romana. Questo patrimonio di immagini spessissimo riprodotte non solo in opere artistiche ma anche su modesti monumenti funerari e su oggetti d’uso, diviene popolare specialmente in ambienti di cultura media ed in ambito provinciale. Il fenomeno ha la sua massima diffusione dall’età traianea in avanti. Esso si affermerà poi in età tardoantica caricandosi spesso di nuovi significati filosofici o sociali del tutto distaccati dal primitivo contenuto mitologico. Questa nuova lettura del patrimonio è uno degli aspetti più interessanti delle basi di Como.

I temi mitologici.

Interpretare i rilievi comensi con figurazioni mitologiche non presenta particolari problemi : le scene non sono mai narrate  ma riassunte in due personaggi riconoscibili dai loro attributi sufficienti all’osservatore per ricordare il mito . Le rappresentazioni comensi ricalcano indubbiamente le iconograie più note del periodo pur con aggiunte elementi originali  anche restringendo al massimo la scena. L’atelier degli scultori comensi (certamente più di uno) partiva da cartoni o modelli di buona qualità, li semplicava e vi aggiungeva anche  alcuni elementi inediti. Questi sono per lo più riferibili a quel particolare gusto norditalico  e provinciale caratterizzato dall’uso di un rilievo secco e poco rilevato e, d’altra parte, da una straordinaria attenzione realistica ai particolari.

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/36207592

https://www.academia.edu/resource/work/9621190

https://www.researchgate.net/publication/294582042_Le_Basi_figurate_di_Via_Cinque_Giornate_a_Como_Analisi_di_un_monumento_romano

PER LA RESTITUZIONE A FANO DELL’ATLETA DI LISIPPO.

Pochi sono gli originali greci in bronzo a noi pervenuti e ancor meno quelli riconducibili ai maestri dell’antichità. L’Atleta di Fano rappresenta probabilmente uno dei millecinquecento bronzi fusi da Lisippo, tale da renderci diretta testimonianza della grande arte dello scultore.

La Corte europea dei Diritti umani ha respinto il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

L’Italia ha tutto il diritto di confiscare e chiedere la restituzione della statua greca in bronzo dell’Atleta di Fano, attribuita a Lisippo, che si trova attualmente nel museo della Villa Getty a Malibu, in California.

Lo ha stabilito all’unanimità la Corte europea dei Diritti umani, respingendo il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

La decisione della Corte Ue di Strasburgo

 I giudici, in particolare, hanno sottolineato che la protezione del patrimonio culturale e artistico di un Paese rappresenta una priorità anche dal punto di vista giuridico. Diverse norme internazionali sanciscono inoltre il diritto di contrastare l’acquisto, l’importazione e l’esportazione illecita di beni appartenenti al patrimonio culturale di una nazione. La fondazione Getty, ha sottolineato ancora la Corte, si è comportata “in maniera negligente o non in buona fede nel comprare la statua nonostante fosse a conoscenza delle richieste avanzate dallo Stato italiano e degli sforzi intrapresi per il suo recupero”. Da qui la constatazione che la decisione dei giudici italiani di procedere alla confisca del bene conteso “è stata proporzionata all’obiettivo di garantirne la restituzione”.

Sangiuliano: “Su Atleta Fano lavoro serrato”

 Sul caso è intervenuto anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano: “La restituzione dell’Atleta di Fano è una questione su cui abbiamo lavorato in maniera serrata. Da quando sono ministro oltre 100 opere sono state restituite dagli Usa e altrettante dalla Gran Bretagna: inoltre ho fatto una circolare con la quale abbiamo stabilito che non si faranno più prestiti ai musei che hanno contenziosi con l’Italia”.


La storia della statua greca dell’Atleta di Fano

 Nella sua sentenza, la Corte di Strasburgo ha dunque riconosciuto la legittimità dell’azione intrapresa dalle autorità italiane per recuperare l’opera d’arte. 

Dal suo nome generico di “Lisippo” tratto dall’artista greco che l’ha scolpito, a quello di “Getty bronze”, poi meglio conosciuto come “l’atleta di Fano”, la statua del giovinetto che si incorona pescata in mare dai pescatori fanesi nel 1961 poi trafugata negli Stati Uniti, sta per ricevere una identità più precisa.

Chi è il giovinetto ritratto dallo scultore? E’ l’immagine simbolo di un atleta vittorioso? Oppure il vero e proprio ritratto di un ragazzo risultante vincitore nella corsa? Che si tratti di un atleta non vi sono dubbi: la mano destra che si avvicina al capo cinto da una corona d’ulivo è segno di vittoria, convalidato dalla posizione della mano sinistra che doveva tenere il ramo di una palma, ormai perduto.

Ma gli archeologi, impegnandosi nell’identificare nel volto del giovinetto un personaggio ben preciso, sono andati oltre. Alcuni lo hanno identificato come Demetrio Poliorcete, re di Macedonia, ma l’attribuzione che acquista maggior credito è quella fatta da Antonietta Viacava che ha riconosciuto nelle fattezze del quindicenne Seleuco Nikatore, diadoco di Alessandro Magno e sovrano di un regno che si estendeva dalla Siria all’Indo.  L’attribuzione ha ricevuto una convalida proprio da Rodolfo Battistini, noto critico d’arte fanese che l’altra sera, nel corso di un incontro organizzato dalla Fondazione Carifano alla Corte Malatestiana ha mostrato al pubblico una moneta da lui rintracciata con il profilo del re macedone che rivela una impressionante somiglianza con quello dell’atleta di Fano. 

I passaggi


Secondo Battistini la statua passò per Fano per ben due volte: la prima quando in epoca Severiana o meglio in epoca Costantiniana, molte opere d’arte furono trasferite da Roma a Costantinopoli che divenne la nuova capitale dell’impero; trasportato lungo la Flaminia il bronzo fu imbarcato a Fano o in Ancona. 

La seconda volta quando fu riportato in terra nel 1961, dopo che era stato ritrovato in mare dai pescatori fanesi, probabilmente naufragato durante il viaggio di ritorno dei Veneziani che avevano assediato Costantinopoli. Tra l’altro la data di esecuzione della statua colliderebbe con quella definita dalla analisi stilistica: Seleuco compiva 15 anni proprio nel 340 a.C e non era raro che un principe gareggiasse nello stadio per dimostrare la sua prestanza fisica. In più il particolare della bocca, leggermente arricciata che suggerisce una certa presunzione dovuta alla consapevolezza della sua regalità, lo si riscontra tanto nella statua quanto nella moneta: un tetradramma d’argento ritrovato in ottime condizioni, appartenente a una collezione privata. Tanti sono i particolari coincidenti che Battistini non esclude che chi ha inciso la moneta abbia visto la statua. In precedenza il professor Paolo Moreno che fu il primo ad attribuire la statua dell’atleta di Fano a Lisippo, aveva identificato nella stessa Agone, la personificazione dei giochi, tuttavia la tesi non è in contrasto con quella di Viacava, in quanto nell’antica Grecia, come poi a Roma, i principi e gli imperatori si facevano ritrarre con immagini allegoriche che sublimavano la loro corporeità e la assimilavano a un ideale.

Fonte( Tgcom e Corriere Adriatico)

CEMENELUM : QUANDO NIZZA ERA LA CAPITALE DELLE ALPI MARITTIME

Le colline di Cimiez presso Nizza nascondono importanti vestigia ancora poco conosciute e solo parzialmente indagate. Prima che questo luogo divenisse la Colonia Romana di CEMENELUM poi capitale della provincia Alpes Marittimae  , qui sorgeva un Oppidum dei Liguri Vediantii le cui tracce si trovano sulla sommità della collina di Cimiez. I resti più  antichi di questo insediamento  risalgono  alla prima età del ferro ovvero al VI sec. a.C . Il luogo fu più fittamente abitato durante la seconda età del ferro tra il IV e il III sec. a. C. Rimane visibile ancora oggi  presso il ” Bois sacrè” una parte del muro dell ‘oppidum.

Alpes Maritimae e regiones Cisalpine

Con la conquista romana , sorse qui CEMENELUM , la “Nizza d’altura” che si contrapponeva con la Nizza ” greca” poco vicino con il suo porto sul mare.

Ricostruzione di CEMENELUM e sullo sfondo il porto di Nizza- disegno Jean Claude Golvin

L’antica città romana di Cemenelum sorse quindi ai piedi dell’oppidum  dei   Vediantii (oggi colle Bellanda). Fondata alla fine del I  secolo a.C. , dopo le campagne di pacificazione delle Alpi guidate dall’imperatore Augusto  Cemenelum divenne capoluogo della provincia delle Alpes Marittimae  vedi

 https://www.romanoimpero.com/2021/09/alpes-maritimae-province-romane.html.

Cemenelum, Alpes Maritimae

La sua posizione strategica, al passaggio della Via Julia Augusta e all’imbocco delle strade verso le Alpi, gli permetteva di controllare le valli. Centro militare, la città divenne per più di un secolo la stazione permanente di almeno tre coorti (corpo di fanteria). La sua crescita è dovuta ad una politica imperiale applicata dai governatori della provincia. 

L ‘anfiteatro di Cimiez/CEMENELUM(Nizza)

La città di Cemenelum si estendeva per almeno 20 ettari. Il  sito archeologico attuale, con una superficie di 2,5 ettari, corrisponde solo a poco più  del  comprensorio termale. È composto da tre spazi ben distinti, denominati in base alla loro posizione geografica: terme settentrionali, orientali e occidentali oltre ai resti di una arena. Un’area residenziale, posta a sud, non fa parte direttamente del complesso termale.

Veduta generale del sito archeologico.
Credito: Museo Archeologico di Nizza / Cimiez.

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Il Museo Archeologico di Nizza/Cimiez propone   cliccando nelle foto qui sopra la visita virtuale online del sito archeologico di Cemenelum  permettendo una visita guidata a 360

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IL MUSEO ARCHEOLOGICO :

Una prima sezione spiega innanzitutto la storia dei due antichi insediamenti di Nikaïa e Cemenelum, La prima era una colonia greca annessa a Massalia (Marsiglia) la seconda una colonia romana. Esse sono coesistite in questa terra fino al VI secolo d.C. Nikaïa, affacciata sul mare, avrà la meglio su Cemenelum che sarà progressivamente abbandonata.

Il sito neolitico di Giribaldi 

Alcuni scavi realizzati tra il 1985 e il 1986, hanno rivelato sul sito della villa Giribaldi a 300 m a sud del sito archeologico alcuni resti del neolitico comprendenti un villaggio e fosse di estrazione d’argilla, utilizzate per la produzione di ceramiche o la costruzione dei muri delle case. I numerosi oggetti rinvenuti forniscono preziose informazioni sull’evoluzione degli stili di vita delle prime comunità contadine del V secolo avanti Cristo.

La vita quotidiana in epoca preromana e romana 

Un’altra area è dedicata alla presentazione di arredi dell’epoca protostorica. Vi troviamo oggetti risalenti all’età del bronzo e del ferro dei Celti-Liguri.

Tesoro di Clans

Bronzo tardo (1350-750 a.C. circa)
Bronzo, L: 6 cm, L: 4,9 cm, sp. : 2 cm

La regione di Nizza ha restituito diversi insiemi di oggetti in bronzo attribuibili alla tarda età del bronzo (1350-750 aC circa). Il giacimento del Clans è stato scoperto da un calzolaio, nel Vallon de Mounar, durante i lavori di sterro per aprire una strada forestale. È composto principalmente da massicci ornamenti aerodinamici con decorazioni incise. Si tratta di una produzione regionale che attesta l’altissimo grado di maestria raggiunto dai bronzisti della regione. La presenza in questo deposito di oggetti la cui forma rimanda ad aree geografiche lontane testimonia la vitalità delle reti commerciali a lunga distanza che collegavano allora l’Europa continentale al Mediterraneo.

Una parte del tesoro di Clans dell ‘eta’ del bronzo
Braccialetto del tesoro di Clans

INSEGNA DI CINGHIALE IN METALLO

Seconda Età del Ferro
Lastra di ferro cotto, L: 43, altezza: 21 cm

Questo cinghiale in lamiera è stato scoperto nel 1995, in una fossa dal fondo sassoso profonda circa 40 cm, in località chiamata Loïrins, nel comune di Ilonse, nelle Alpi Marittime. Nessun altro oggetto associato può essere evidenziato. È formato da tre frammenti di lamiera di ferro cotto: due conchiglie che formano metà del corpo, dal muso alle zampe posteriori, e una foglia ventrale, che costituisce la giunzione tra gli altri due pezzi. Il confronto con altri oggetti della stessa tipologia permette di suggerire la funzione di un’insegna militare che doveva essere fissata su un palo di legno per consentirne il trasporto a distanza di un braccio.

La pacificazione del territorio ligure ad opera dei romani è invece rievocata attraverso una ricostruzione del Trofeo di Augusto situato a La Turbie.

Ricostruzione modello del Trofeo delle Alpi


Qui vengono approfonditi gli aspetti della vita quotidiana degli abitanti di Cemenelum a partire dagli utensili in uso nella casa romana. Vi sono presentati diversi oggetti in ceramica e stoviglie: piatti, pentole, imbuti, mortai, lampade a olio, ma anche oggetti decorativi e utensili in bronzo. Una vetrina è dedicata alla toilette e ai gioielli. Questi oggetti sono stati rinvenuti nelle terme, nelle strade e spesso durante gli scavi della rete fognaria. Strumenti musicali, chiavi, pezzi di giochi, oggetti d’artigianato e dell’agricoltura permettono di rievocare la vita quotidiana degli abitanti della città. 

Frammenti decorati di letto
Un raro esemplare di”  Pungio” il pugnale dei Legionari.
Decorazioni in bronzo particolare

Museo archeologico di Nizza

Gli edifici: tecniche e decorazione 

Un belvedere offre un bel panorama sul sito archeologico. Un plastico disposto al centro presenta un’ipotesi di ricostruzione dei tre complessi termali. Un altro plastico mostra il sistema di riscaldamento che permetteva la circolazione dell’aria calda nelle terme: l’ipocausto. Accanto ai plastici sono esposti materiali da costruzione come la tegola romana e alcuni elementi decorativi: marmo, frammenti di vetro, intonaco dipinto e mosaico, ma anche statue, capitelli in stile corinzio e tubi di piombo.

La statua di Antonia Minore 

Statua in marmo di Antonia minore

La statua in marmo di Antonia fu scoperta nel frigidarium delle terme nord nel 1957. Antonia Minore era la consorte di Druso e madre dell’imperatore Claudio che concesse il diritto latino agli abitanti di Cemenelum. La presenza di questa statua, di una dedica e della testa dell’imperatore Claudio testimoniano l’attaccamento degli abitanti della città nei confronti dell’imperatore e della sua famiglia. 

La vita amministrativa e i culti 

La vita amministrativa e politica dell’antica città è suggerita da iscrizioni latine scoperte a Cimiez. Cemenelum, che fu elevata al rango di capoluogo di prefettura, poi di provincia, usufruì della presenza di un prefetto e di un procuratore.  Alcune iscrizioni ci informano anche sulle truppe ausiliarie d’istanza a Cemenelum. Anche il rapporto che gli abitanti della città avevano con la religione ci è giusto attraverso le iscrizioni. Su altari e targhe sono citate divinità del pantheon romano (Giove, Mercurio), ma troviamo anche omaggi a divinità locali. 
Il fauno di Cemenelum è ispirato al celebre fauno di Pompei. Questa statuetta in bronzo a cera persa, di stile ellenistico, risale all’epoca di Augusto. Il fauno fu scoperto nel 1904, a circa 50 m dall’avenue du Monastère.

Il commercio marittimo 

I relitti antichi scoperti nella regione forniscono poi preziose informazioni sui carichi trasportati e le imbarcazioni utilizzate nelle diverse epoche. Lo spazio dedicato al commercio marittimo è principalmente incentrato sulla presentazione degli arredi del relitto della Fourmigue, scoperto nel 1980, al largo di Golfe-Juan. Vi sono proposti anche elementi delle navi, ceppi d’ancora e anelli d’ormeggio ma anche la ricostituzione di una nave romana.

GALLERIA IMMAGINI :

NOTIZIE :

https://www.montecarlonews.it/2022/11/22/notizie/argomenti/altre-notizie-1/articolo/nizza-un-grande-progetto-ridisegnera-il-sito-archeologico-di-cimiez.html

CURIOSITÀ

UN CIPPO CONFINARIO TRA GENOVA E L’IMPERIUM ROMANO

Da Levante news.

Sulla vetta del Monte Ramaceto nell’alta Val Fontanabuona in provincia di Genova, in prossimità del confine tra i comuni di Orero e San Colombano Certenoli è stato individuato, sottoposto a scavo archeologico e prelevato con l’impiego di un elicottero un cippo in pietra arenaria di età imperiale romana, datato al II secolo d. C., con iscrizioni su entrambe le facce; esso è identificabile come una rarissima tipologia di documento epigrafico, che ha segnato, quasi 2000 anni fa, il confine tra un latifondo di proprietà diretta dell’Imperatore romano e i terreni di proprietà invece del municipio della città di Genua (attuale Genova). Si tratta di una scoperta del tutto eccezionale e di importanza a livello nazionale in quanto rappresenta la seconda attestazione nota in tutto il territorio italiano di tale tipologia di cippi, entrambi rinvenuti peraltro a distanza di pochi anni e spazio tra loro.
A quasi dieci anni dal recupero nell’ottobre del 2015 di un primo cippo confinario con iscrizione su entrambe le facce, oggi conservato al Museo Archeologico e della città di di Sestri Levante, grazie ad una recente segnalazione da parte di esperti escursionisti, l’archeologia ligure si arricchisce oggi di un nuovo eccezionale documento epigrafico.

Soprintendenza di Genova e La Spezia dopo aver provveduto a verificare, tramite un sopralluogo da parte di un team di funzionari archeologi e collaboratori, il luogo del ritrovamento, che è poco sotto la vetta del Monte Ramaceto a 1345 metri d’altitudine, ha condotto nel corso di questa settimana lo scavo archeologico dell’area circostante il ritrovamento ed oggi ha provveduto a recuperare il macigno inscritto.
Data l’assenza di strade carrabili il trasferimento del cippo è potuto avvenire del tutto eccezionalmente grazie all’impiego di un elicottero, che lo ha prelevato direttamente dalla cima del monte e, una volta imbragato con ogni possibile cura ed attenzione, lo ha trasferirlo su un furgone che lo attendeva più a valle; da qui scortato dal personale tecnico-scientifico dell’Ufficio, grazie alla disponibilità e alla collaborazione del Museo Archeologico e della città di Sestri Levante, il pesante monolite è stato depositato in condizioni di sicurezza in un locale del Museo, dove sarà sottoposto ad un esame per verificarne lo stato di conservazione al fine di un eventuale intervento di pulizia, restauro, consolidamento e quindi, infine, esposizione al pubblico.

Ma in che cosa consiste l’importanza del ritrovamento? A questa domanda risponde il dott. Luigi Gambaro, funzionario archeologo della Soprintendenza:
Va sottolineata l’eccezionalità assoluta del ritrovamento, che si può considerare con tutte le ragioni di importanza epocale anche a livello nazionale. In primo luogo va detto che si tratta di un secondo cippo “gemello” di quello scoperto del tutto casualmente da una guardia forestale nel 1988, ma recuperato solo nel 2015.
Se già aveva fatto scalpore tale rinvenimento in quanto si trattava, come scriveva il prof. Giovanni Mennella l’epigrafista, già docente presso l’Università di Genova, che lo ha reso noto nel 2017 del “primo cippo confinario inscritto pertinente a latifondi romani fin qui attestato nell’Italia romana”, sembrava quasi impossibile, vista la assoluta rarità di epigrafi di tale tipologia, che a pochi anni di distanza e poche centinaia di metri dal primo cippo si verificasse la circostanza di imbattersi e riconoscerne un secondo identico; riporta anch’esso su un lato l’iscrizione: Caesaris n(ostri) = “di proprietà del nostro Cesare”, mentre di più difficile interpretazione è l’iscrizione incisa sull’altra faccia: P.M.G., che potrebbe sciogliersi come P(ublici) M(unicipii) G(enuensium) = “di proprietà del municipio di Genova”. Mentre il primo cippo è stato recuperato in modo piuttosto fortunoso e già verosimilmente spostato dalla sua sede originaria, il secondo ritrovamento è connesso alla sua collocazione originaria; da qui il secondo elemento di eccezionalità”.

La dott.ssa Nadia Campana, anche lei funzionaria della Soprintendenza, sottolinea “Inoltre essendo stato possibile pianificare il recupero in modo scientifico, con l’intervento diretto della Soprintendenza, che è l’Istituzione preposta alla tutela del patrimonio archeologico nazionale, la sua asportazione è stata preceduta dallo scavo archeologico del sedime circostante per una superficie di circa 25 metri quadrati, col recupero e la documentazione di ogni elemento del contesto. L’aver avuto la possibilità di intervenire attraverso uno scavo archeologico stratigrafico condotto manualmente da un team di qualificati archeologi, quelli di Tesi Archeologia srl, ha consentito di raccogliere quindi una serie di informazioni funzionali a ricostruire la storia del monumento.
Questo intervento si aggiunge ad una serie di scoperte e scavi, che hanno permesso di confermare l’importanza anche durante l’età romana della val Fontanabuona, con una gestione del vocata al agro-silvo-pastorale lungo le vie di transumanza tra la costa e la montagna ligure.

APPROFONDIMENTI E VIDEO:

https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2024/04/dal-ramaceto-spunta-un-altro-cippo-romano-salvataggio-in-elicottero-a9ae0b9a-7976-428b-bc71-e9d78cd171d8.html

Il precedente ritrovamento del primo cippo:

MARMORA ROMANA : GLI ANTICHI MARMI DI LUNI A CARRARA.

dal 25 maggio 2024 al 12 gennaio 2025 al CARMI museo CARRARA e Michelangelo.

Da artego.it

S’intitola “Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori” la grande mostra dedicata alla cava romana di marmo bardiglio di Fossacava e al suo ruolo all’interno del più ampio e noto fenomeno dell’estrazione del marmo lunense.

«I vecchi ritrovamenti e i dati dello scavo recente hanno reso Fossacava una delle cave di età romana oggi meglio conosciute», spiegano i curatori Giulia Picchi e Stefano Genovesi. «L’apertura al pubblico, avvenuta nel 2021, ha fatto registrare una presenza annuale di 10.000 visitatori, che ha confermato lo straordinario interesse per questo sito. Con la mostra Romana marmora si è voluto consolidare e ulteriormente rilanciare questo trend positivo creando, attorno alla cava, un evento che raccontasse ad un pubblico più ampio possibile la storia del sito e dei personaggi che vi ruotavano attorno. Gli imperatori di Roma, i loro schiavi e i loro liberti, gli appaltatori, i commercianti, e, ovviamente, i cavatori sono gli attori di un copione di grande fascino, nel quale la fatica e il sacrificio di molti uomini sono indissolubilmente legati alla propaganda politica e al lusso che il marmo era in grado di esprimere».

Il sito di Fossacava è tra le pochissime cave di età romana ad essere stato oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico; le indagini, condotte nel 2015 dal Comune di Carrara e dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana all’interno del bacino estrattivo, hanno permesso di ricostruire la storia della cava in tutti i suoi aspetti, in particolare in merito alla tipologia dei prodotti semilavorati che qui venivano estratti, del personale che vi lavorava e delle modalità con le quali la cava era gestita dall’amministrazione imperiale romana.

Nel 2021 il sito di Fossacava è stato aperto al pubblico con un percorso ampliato e rinnovato, incentrato su una graphic novel che illustra ai visitatori di ogni età la storia della cava in modo avvincente ed efficace. L’esposizione Romana marmora. Storie di imperatori, dei e cavatori intende, quindi, presentare ad un pubblico ancora più vasto la vicenda storica del sito, conferendogli un rilievo di respiro regionale e nazionale.

Partendo dalla storia della colonia di Luni, nel cui territorio si trovavano le cave di Carrara, si approfondiranno i temi delle antiche tecniche estrattive, dei prodotti semilavorati e della gestione delle cave, si mostreranno i diversi utilizzi del marmo bardiglio e la loro diffusione nell’ambito dell’Impero Romano, oltre a gettare uno sguardo sulla religiosità di quanti frequentavano i bacini estrattivi.

Statua della Dea Luna dall’area di Fossacava. Età romana. Marmo bianco. Museo Civico del Marmo di Carrara. Foto Giuseppe D’Aleo. Immagine concessa dal Ministero della Cultura – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

Il percorso espositivo si articolerà in quattro sezioni: Luni e le sue cave di marmo (sala 1), Fossacava. Storia di una cava, dall’età romana allo scavo archeologico (Sala 2), Gli dèi dei cavatori. La religione a Fossacava (Sala 3), La fortuna del bardiglio nell’Impero (Sala 4).

La Sala 1 è dedicata alla storia della colonia romana di Luni e a quella dell’estrazione del marmo lunense, tra la seconda metà del I secolo a.C. e il III-IV secolo d.C. Sarà inoltre posto in rilievo il ruolo determinante dell’imperatore, primo tra tutti Augusto, nello sviluppo dello sfruttamento delle cave di marmo di Carrara. Opera centrale della sala sarà la statua loricata di imperatore rinvenuta negli scavi Fabbricotti a Luni del 1889, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara.

La Sala 2 è incentrata sul sito di Fossacava, del quale sarà raccontata la storia, dall’escavazione del marmo bardiglio in età romana fino allo scavo archeologico qui condotto nel 2015. Saranno messe a fuoco in particolare le tecniche di scavo, con l’esposizione di strumenti antichi, e le problematiche relative alla gestione delle cave da parte dello stato romano.

La Sala 3 è dedicata alla religiosità dei cavatori e degli altri personaggi che popolavano le cave di marmo di Carrara in età romana: grande risalto sarà dato alla statua della dea Luna rinvenuta a Fossacava, verosimilmente una replica della statua di culto del cosiddetto “Grande Tempio” di Luni. Nella sala saranno esposti inoltre l’altare dedicato alla Mens Bona, in prestito dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, e un rilievo raffigurante il dio Silvano, il cui culto è molto attestato negli ambienti delle cave, proveniente da una domus di Luni e in prestito dal Museo archeologico nazionale di Luni.

Statua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di CarraraStatua di imperatore loricato. I secolo d.C. Marmo bianco. Accademia di Belle Arti di Carrara. Foto Accademia di Belle Arti di Carrara

La Sala 4 narra infine al visitatore la diffusione del marmo bardiglio a Roma, nelle città dell’Italia e delle province e in quali tipi di edifici e strutture esso sia stato utilizzato: sarà approfondito, in particolare, il suo impiego per i colonnati dei palcoscenici dei teatri e per la realizzazione di fontane (labra). L’allestimento di alcuni semilavorati e di altri reperti in marmo bardiglio illustrerà i diversi usi di questa varietà di marmo. Uno spazio sarà inoltre dedicato ad un progetto di archeologia sperimentale condotto con l’Accademia di Belle Arti di Carrara, nell’ambito del quale saranno scolpite, dagli studenti e dal personale docente, delle repliche in marmo di un semilavorato in marmo bardiglio e di un labrum finito.

L’evento espositivo sarà accompagnato da un apparato didattico dispiegato lungo il percorso di visita (pannelli, didascalie, grandi disegni di ricostruzione, video tematici). All’interno di quest’ultimo, sarà inoltre inserito uno storytelling dedicato ai bambini, nel quale uno dei personaggi attestati dalle epigrafi apposte sui blocchi semilavorati di Fossacava racconterà la propria storia, coinvolgendo i piccoli visitatori in una caccia al tesoro. La mostra potrà essere inoltre fruita per mezzo di laboratori e visite guidate rivolte alle scuole e per mezzo di iniziative, quali visite guidate in orario di apertura e in notturna e conferenze a tema, rivolte al pubblico degli adulti.

Piccozze e cuneo in ferro rinvenuti nell’area delle cave. Età romana. Museo Civico del Marmo di Carrara.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Veduta dell’area archeologica di Fossacava. – Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.
Area archeologica di Fossacava. Particolare dei semilavorati di epoca romana.  Soprintendenza ABAP per le province di Lucca e Massa Carrara.

INFO:

Il CARMI museo Carrara e Michelangelo è aperto al pubblico fino al 31 maggio da martedì a domenica ore 9.00-12.00 e 14.00-17.00, dal 1 giugno da martedì a domenica ore 9.30-12.30 e 17.00-20.00, chiuso il lunedì, chiuso 1° novembre, 25-26 dicembre, 1° gennaio, 6 gennaio, nei pomeriggi del 24 e del 31 dicembre, nel pomeriggio del 14 agosto. Ingresso al CARMI (comprensivo della visita alla mostra): intero € 5, ridotto € 3, disponibili gratuità.

Per informazioni: museo.carmi@comune.carrara.ms.it, https://carmi.museocarraraemichelangelo.it

Approfondimenti:

https://www.academia.edu/resource/work/78617761

COLOMBINE DI VETRO DALLA GALLIA CISALPINA

Da Stilearte.it

Fragili e splendide. Cosa sono queste scultoree colombine romane? A quale secolo risalgono? In quale area dell’italica provincia venivano prodotte? Cosa contenevano?

Ai Musei Reali di Torino è conservato l’unico volatile di vetro soffiato che contiene ancora il suo liquido originario. Altri ne sono stati trovati, ma aperti. Il reperto integro fu portato alla luce a Rovesenda, un Comune in provincia di Vercelli. Lo splendido manufatto risale al metà del I secolo d. C.

“L’unguentario in vetro sottile a forma di colomba è un contenitore per profumi, unguenti e balsami. – spiegano gli studiosi dei Musei reali di Torino – Per poter consumare il contenuto era necessario spezzare la coda: questo esemplare è l’unico ancora sigillato che si conosca, ed è colmo per metà da un liquido limpido, con un lieve sedimento rosato depositato sul fondo. Questi raffinati recipienti, spesso dai colori vivaci, erano realizzati con la tecnica della soffiatura libera, che ne consentiva la modellazione a forma di colomba; dopo l’inserimento dell’unguento venivano sigillati”.

Gli oggetti furono prodotti nella zona, secondo una tecnica che poneva i propri presupposti nell’evoluzione della lavorazione del vetro, avvenuta in Medio Oriente.

“L’origine della tecnica della soffiatura libera del vetro è stata identificata in area siriana attorno alla metà del I secolo a.C.: da qui si diffonde rapidamente in tutto il mondo romano, dove permette l’affermazione dei contenitori in vetro per i vari utilizzi nella vita quotidiana già a partire dalla primissima età imperiale. – proseguono gli studiosi dei Musei Reali di Torino – Attestato soprattutto in Italia settentrionale e frequentissimo nei contesti sepolcrali piemontesi, l’unguentario a colombina è presente con pochi esemplari nelle altre regioni dell’Impero, tanto che si è identificata proprio nella Cisalpina occidentale la sua area di produzione, nel corso del I secolo d.C., in particolare nelle fornaci attive lungo il bacino del fiume Ticino e del lago Verbano. Unguentari simili vengono spesso ritrovati, anche in più esemplari, nei corredi delle tombe femminili, assieme ad altri di forma sferica, anch’essi tipici del Piemonte”.

Si ritiene che il liquido contenuto possa essere una sorta di acqua di rose, come farebbe pensare il deposito rosato del fondo. Per poter aprire la colombina bisognava stringere tra pollice e indice la parte finale della coda e ed esercitare una minima forza, verso un lato, come avviene, ancor oggi, per certi contenitori vitrei di medicinali.

Uno degli altri splendidi unguentari vitrei a forma di colomba è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Adria. Il contenitore fu aperto, a quei tempi, e il suo contenuto fu utilizzato. Ma la colombina venne conservata.

“La piccola colomba in vetro blu, di età romana, è uno dei reperti più ammirati dai visitatori del museo di Adria. – affermano gli studiosi del museo veneto –  Proviene da una sepoltura rinvenuta a Cavarzere, in provincia di Venezia,  e si può datare all’inizio del I secolo dopo Cristo.
Originariamente, la piccola colomba era colma di un’essenza profumata, forse un’acqua di fiori Per usarla e profumarsi senza rompere completamente il contenitore, si doveva spezzarne la sottile coda. Osservate bene l’estremità a destra in questa foto: si vede la rottura avvenuta. Ma, come facevano gli antichi maestri vetrai a riempire la colombina con l’essenza profumata? Con la soffiatura si foggiavano il corpo e la testa; poi la colombina veniva riempita di profumo, servendosi di un imbuto; infine, rimettendo la colombina sul fuoco, si ammorbidiva di nuovo il vetro che poteva essere tirato con una pinza in legno e richiuso ermeticamente”.

LE LAMINETTE MAGICHE DEL LONGONE.

Il Museo Civico di Erba ospiterà sabato 23 marzo 2024 alle ore 17.00 una conferenza di Isabella Nobile De Agostini dal titolo “Trovare e ritrovare. Un’eccezionale scoperta archeologica a Longone nel 1866“.

I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI DI LONGONE AL SEGRINO

Nel 1866 a Longone al Segrino (CO) vennero alla luce cinque tombe ad inumazione, i cui corredi furono parzialmente consegnati al Museo Archeologico Paolo Giovio di Como, dove sono tuttora conservati. Le tombe erano di varia tipologia, ma alcune presentano particolarità interessanti che suscitarono già allora l’interesse di eminenti studiosi: una, infatti, era internamente dipinta con un motivo decorativo e un’iscrizione, un’altra conteneva due laminette-amuleti che pure recavano incisi lettere o segni. La datazione delle tombe è compresa tra la fine del IV e la fine del V secolo d C., se non i primi decenni del secolo successivo. Il ritrovamento è stato recentemente studiato in modo approfondito da Isabella Nobile De Agostini, già conservatrice del Museo Archeologico di Como, che ha pubblicato un articolo sull’ultimo numero della Rivista Archeologica Comense (n. 205 del 2023).

LAMINETTE MAGICHE

Nei corredi di Longone furono ritrovate due laminette “magiche”, una d’argento e una di bronzo, che furono srotolate, lette e pubblicate pochi anni dopo. L’uso di laminette magiche ad uso personale è molto antico ed è diffuso presso culture diverse, dalla greca alla punica, dalla ebraica alla romana. Fu però con l’epoca imperiale romana che si diffuse a livello popolare il loro impiego.

Questi oggetti, su cui venivano iscritti testi e simboli magici o divini, venivano portati addosso per cacciare i demoni, le malattie, il malocchio, o per ottenere successo. Essi erano spesso arrotolati e introdotti in una piccola teca cilindrica dotata di due anellini per la sospensione al collo. La frequenza con cui si ricorreva a loro ci spiega perché i Padri della Chiesa, come ad esempio S. Agostino, sovente li menzionano per condannarne l’uso, anche se gli esemplari giunti fino ad oggi sono piuttosto rari ed è per questo motivo che i ritrovamenti di Longone appaiono così significativi.

INFORMAZIONI

Sabato 23/03/2024, ore 17.00.

Ingresso libero e gratuito.

Dove: Museo Civico di Erba, presso Villa Ceriani, via Ugo Foscolo 23 – Erba (CO)

Per informazioni: 031.3355341; museoerba@comune.erba.co.it

UNA LEGIONE DI CISALPINI NELLE GUERRE DI CESARE.

Da https://www.legioxii.it/

Come è nata la Legio XII

Cesare si trovava nelle Gallie, chiamato dai Galli stessi per fronteggiare l’invasione prima degli Helvetii e poi dei Germani comandati da Re Ariovisto. Fu inviato in tutta fretta nella Gallia Cisalpina (oggi Italia settentrionale) l’ordine di arruolare due nuove legioni, a una delle quali fu dato il numero XII, il signum del Fulmine e il nome (significativo) di Fulminata.

Le truppe, composte in gran parte da Celti della Gallia Cisalpina, ma anche da Umbri ed Etruschi, furono inviate subito in Gallia, male armate e peggio addestrate. Tanto che davanti ai Germani (temutissimi e fino ad allora mai sconfitti) si rifiutarono in un primo momento di combattere, insieme alle altre legioni presenti.

Allora Cesare dichiarò che avrebbe affrontato i Germani solo con la veterana X Legio, l’unica disposta a battersi, anche se con solo una legione sarebbe andato verso una sicura sconfitta. A quel punto la XII si ricompattò, e con lei tutte le altre legioni. Nel giorno della battaglia, il caso volle che la XII Legio si trovò di fronte proprio alle tribù di Ariovisto.

L’impeto e l’ardore furono così determinanti che i Germani furono annichiliti, e la Gallia sottratta all’invasione germanica…

Così inizia la gloriosa storia della XII Legio, distintasi su mille campi di battaglia dalla Gallia alla Spagna, dalle guerre contro la Regina Zenobia di Palmira alla difesa dell’Armenia contro i Parti, fino allo scioglimento della Legione ad opera di Giustiniano in epoca ormai bizantina. Ma è proprio l’inizio della storia della XII Legio che ci riguarda, dall’arruolamento ai primi scontri in Gallia.

Legione reclutata da Giulio Cesare nella primavera del 58 a.C., secondo l’ordine dato forse in marzo, nella provincia della Gallia Cisalpina, come rinforzo per le operazioni da lui progettate nella Gallia Comata.
Ricevette come “signum” il fulmine, simbolo di Juppiter, e l’appellativo di “Fulminata” da Cesare stesso, essendo già testimoniato in epoca di Augusto. Altri fanno risalire questo appellativo al “miracolo”, pagano o cristiano che fosse, che salvò un distaccamento della Legio in Germania sotto Marco Aurelio, ma il fatto che la legione fosse chiamata “Fulminata” ben prima di quel periodo esclude questa possibilità.
L’appellativo di “Paterna” deriva invece proprio dal fatto di aver servito sotto Cesare, “Pater Patriae”, come probabilmente deriva dalla sua formazione in tempi di Cesare anche quello di “Antiqua” attribuitole almeno da Azio in poi. Invece dalla vittoria di Perusa deriva il diritto di fregiarsi del nome di “Victrix”. “Certa” e “Constans” furono invece concessi da Marco Aurelio, per non aver appoggiato la sollevazione di C. Avidius Cassius Pudens, governatore di Siria e “rector totius Orientis”, contro l’Imperatore.

Legionario Romano di epoca tardo repubblicana

LA NASCITA E GLI ESORDI: CESARE E LA GUERRA GALLICA

La Legione fu formata essenzialmente con reclute della zona di reclutamento: Galli Cisalpini e altri popoli dell’Italia centro-settentrionale. Appena reclutata, ancora male armata e peggio addestrata, attraversò le Alpi in compagnia di altre 5 legioni attraverso il passo dell’Alpis Cottia e partecipò (anche se non all’avanguardia a causa della sua impreparazione) nelle campagne di Cesare del 58 a.C., contro gli Elvezi (aprile-giugno), nel cui inseguimento intervenne dopo la battaglia in cui furono sconfitti.
Risolto il problema elvetico, il Re Ariovisto con i suoi Germani invase la Gallia, per cui la Legio XII avanzò verso Nord-Est con il resto dell’esercito, occupò la città sequana di Vesontio e sconfisse Ariovisto non lontano dal fiume Reno, in una campagna sviluppata in agosto-settembre del 58 a.C., nell’attuale regione francese dell’Alsazia. Prima del confronto con Ariovisto, gli ufficiali e i soldati di questa e altre legioni, preoccupati per le voci che correvano sulla forza dei Germani e il ricordo di precedenti sconfitte delle armi romane di fronte a loro, vacillavano nel loro animo, però davanti alla fiducia di Cesare nella Legio X, la sua favorita, con la quale era disposto a marciare da solo contro i Germani, il resto dell’esercito non volle essere da meno e assicurò al suo generale il massimo sforzo, vincendo la battaglia.

Scontro tra Romani e Galli nelle guerre di Cesare- Peter Connolly

In seguito la Legio XII fu utilizzata da Cesare, sempre in Gallia, contro i Belgi e i Nervi, e poi nella seconda incursione contro i Britanni. Partecipò al salvataggio della Legio XI assediata dai Galli Eburoni nel 53 a.C., e probabilmente era fra le legioni che sostennero la battaglia di Alesia contro Vercingetorige, partecipando poi alla pacificazione degli ultimi focolai di resistenza in Gallia. Nel 52 a.C. fu rimandata “a casa” nella Gallia Cisalpina, per fronteggiare eventuali incursioni degli Illiri, ma già l’inverno 51-50 a.C. risulta averlo passato tra i Belgi, e quello seguente a Matisco nella Gallia Comata, da dove Cesare la richiamò per l’iniziare della Guerra Civile.

ANCORA CON CESARE: LA GUERRA CIVILE

Riunitasi a Cesare, la XII fu la seconda legione a passare il fiume Rubicone, dopodichè occupò la regione del Picenum e la città di Ausculum. Percorrendo la costa adriatica all’inseguimento di Pompeo la XII arrivò fino a Brindisi nel marzo del 49 a.C.. Poi si diresse al Nord dove probabilmente partecipò all’assedio di Massilia per passare infine a combattere i pompeiani in Spagna. Terminate vittoriosamente le operazioni in Spagna tornò in Italia, accompagnando le truppe pompeiane sconfitte in Spagna fino alla frontiera fra la Gallia Transalpina e Cisalpina, dove furono dissolte. Nel novembre del 49 pare che abbia appoggiato l’ammutinamento della Legio VIII a Plasentia. Nel gennaio del 48 a.C. insieme alla Legio XI attraversò lo stretto di Otranto da Brundisium all’Epiro, pur decimata da un’epidemia che aveva colpito la zona, e da lì raggiunse la Macedonia, dove difese le terre fedeli a Cesare. Posteriormente alla sconfitta di Cesare a Dyrrachium la XII si riunì a lui, partecipando alla vittoriosa battaglia di Farsalo.
Dopo Farsalo tornò in Italia, dove fu (provvisoriamente) dissolta, e ai veterani furono assegnate terre in Italia.
Così termina la prima fase di vita della Legio XII, quella di militanza sotto Cesare.

Fonte: https://www.legioxii.it/2019/10/25/storia-della-legio-xii/

CASTELVECCHIO : DALLA PREISTORIA ALLA TARDA ROMANITÀ DI TRENTO

Cinque sale in Castelvecchio ripercorrono la storia dell’archeologia del territorio regionale. I reperti ricostruiscono la vita degli insediamenti più antichi partendo da 13.000 mila anni fa per arrivare sino al VI sec. d.C.

Castelvecchio Trento

Nel corso dell’Ottocento e agli inizi del Novecento la ricerca archeologica in Trentino fu attraversata dall’aspirazione irredentista nazionale di affermare l’italianità del territorio attraverso lo studio delle più antiche presenze umane nelle valli dell’Adige e dei suoi affluenti. Tra i cultori di storia patria, il conte Benedetto Giovanelli (1775 – 1846), a lungo podestà di Trento, diede vita al primo nucleo del Museo fondato nel lontano 1853. A Giovanelli  si deve  anche il recupero della celebre situla di Cembra, contenitore in metallo di produzione locale  erroneamente attribuito alla civiltà etrusca.
Nel 1924 venne inaugurato nel Castello del Buonconsiglio il Museo Nazionale Trentino, dove per la prima volta, furono raccolti ed esposti in maniera organica molti reperti archeologici rinvenuti sul territorio. Di seguito, negli anni Ottanta, la Soprintendenza archeologica  presentò una selezione  della collezione mentre nel  2006 a conclusione di restauri, che hanno portato a norma gli impianti tecnologici  delle sale, ha riaperto al pubblico la sezione archeologica del Museo, rinnovata ed ampliata.

Il percorso espositivo e i pannelli sono stati  rivisti nel 2012, sia nei testi che nella grafica, e alle tre sale originarie se ne sono aggiunte due. Una delle sale, grazie alla collaborazione della Soprintendenza ai Beni architettonici, ha visto l’apertura  di un’antica finestra che dal cortile di Castelvecchio  offre un suggestivo scorcio all’interno della sala  dei “tesori” paleocristiani.
Le collezioni, dislocate in Castelvecchio, sono suddivise in tre sezioni: Preistoria e Protostoria, quindi l’epoca romana e infine l’Altomedioevo. Gli oggetti esposti, che  testimoniano compiutamente la ricchezza delle raccolte custodite nel Castello del Buonconsiglio, sono circa 600 e sono stati rinvenuti nel corso degli ultimi due secoli sul territorio trentino. Alcune vetrine, ideate dall’allestitore Gigi Giovanazzi, presentano delle installazioni scenografiche che rievocano le situazioni originarie di ritrovamenti, come nel caso degli scavi di Ledro, dei forni fusori del Redebus e  dei roghi votivi di Mechel. Il percorso prende avvio dai tempi dei cacciatori e raccoglitori del Mesolitico del VII-VI millennio a.C. Seguono vetrine dedicate agli sviluppi tecnologici e culturali dell’età del Rame e si susseguono oggetti d’oro, attrezzi da lavoro, oggetti d’ornamento e armi simboli di potere e prestigio. Tra questi  pugnali, spade, spilloni, collari e  una splendida collana in ambra del XVI-XV secolo a.C., proveniente da una torbiera tra Cles e Tuenno. Particolarmente ricca la documentazione  della stazione palafitticola di Ledro (XXII – XIV a.C.). Una vetrina è dedicata a pregevoli statuette in bronzo che  raffigurano, secondo i canoni etrusco-italici, Ercole in assalto, Guerrieri, Devoti e Marte. Nella sezione riservata all’epoca romana spiccano alcune sculture in marmo di importazione ed una base di candelabro decorato con figure di leggiadri satiri danzanti: naturalmente grande rilievo è rivestito dalla Tavola Clesiana, la più importante tra le iscrizioni romane scoperta in Val di Non. E’ una tavola di bronzo sulla quale è inciso l’editto dell’Imperatore Claudio del 15 marzo del 46 d.C. Si tratta di una sorta di “condono” con il quale veniva riconosciuta  alle popolazioni alpine degli Anauni, Sinduni e Tuliassi la cittadinanza romana   che da tempo, pur non avendone i diritti, si comportavano come romani a tutti gli effetti. L’Altomedioevo è ben rappresentato da splendidi orecchini in oro e ametista della “principessa” di  Civezzano, da un reliquiario, da un sacramentarium, da corredi funebri, da lucerne in ceramica con simboli cristiani. Il diffondersi del cristianesimo è testimoniato da preziose croci in lamina d’oro originariamente cucite sul velo dei defunti dell’aristocrazia  longobarda. La sezione archeologica culmina nella sala dove è stato ricollocato un mosaico pavimentale del sacello dei Santi Cosma e Damiano del VI sec. d.C. proveniente dal Doss Trento e alcuni reliquari in argento e pietra.

Testa di Busto femminile I-II sec d.C – Trento Castello del Buonconsiglio

LE COLLEZIONI ARCHEOLOGICHE
Fondato nel 1853, il Museo conserva numerose testimonianze archeologiche raccolte in Trentino e Alto Adige/Südtirol, grazie all’opera appassionata di collezionisti e della Soprintendenza dello Stato.
Le raccolte offrono una visione d’insieme sul succedersi di culture e influssi dalla Preistoria all’Altomedioevo. I ritrovamenti più antichi risalgono alla fine del processo di popolamento avviato da cacciatori nomadi, giunti da sud dopo il ritiro dei ghiacci, attorno a 11.000 anni a.C., nel Paleolitico Superiore.
L’affermarsi delle nuove identità nazionali nell’Ottocento e le laceranti contrapposizioni sfociate nelle due guerre mondiali, attribuirono all’archeologia un’importanza fondamentale, a sostegno di rivendicazioni nazionalistiche.
Molti dei “cultori di storia patria” coinvolti nella formazione delle collezioni, furono accesi sostenitori dell’italianità del territorio: è il caso del Conte Benedetto Giovanelli (1775-1846) podestà di Trento, cui si deve il primo nucleo collezionistico del Museo.

DALLA CACCIA E RACCOLTA
ALL’AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO

Con la progressiva diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento, a partire dal Neolitico (5.500-3.500 a.C.), l’uomo si trasforma da predatore in produttore.
La nuova economia comporta modelli di vita più stanziali, possibilità di accumulare risorse alimentari e forme di differenziazione sociale.
Queste trasformazioni coincidono con l’introduzione di innovazioni tecnologiche. Compaiono contenitori in ceramica, asce e scalpelli in pietra levigata che inizialmente coesistono con strumenti in pietra scheggiata secondo le tecniche tradizionali dei cacciatori e raccoglitori del precedente Mesolitico (9.500-5.500 a.C.).
L’ascia in pietra verde levigata, pregiata per la rarità della materia e per l’impegno richiesto dalla lavorazione, si connota come simbolo di status e di prestigio. Strumento maschile da lavoro, ma anche temibile arma, l’ascia accompagna con arco e frecce i defunti più importanti.

NEL SEGNO DEL RAME
Grandi trasformazioni sociali segnano l’innovativa produzione di oggetti in metallo fra il 3.500-2.200 a.C., nell’età del Rame.
Lo sfruttamento dei giacimenti di rame e la realizzazione di oggetti attraverso l’utilizzo del fuoco, presuppongono conoscenze tecniche sofisticate e figure professionali specializzate. L’articolazione sociale diviene più complessa, con un’intensificazione delle relazioni e degli scambi.
Queste novità socio-economiche coincidono con un aumento della conflittualità, con il conseguente consolidarsi del “potere” del maschio guerriero, documentato da corredi di armi in selce e rame e dalle statue stele.
Il possesso di armi e di ornamenti – tanto più preziosi se in metallo o di provenienza esotica – è un chiaro indice di distinzione sociale.
All’ascia in pietra levigata si sostituisce progressivamente l’ascia in rame, accompagnata da arco e frecce e da pugnali in selce accuratamente scheggiati o realizzati in rame.

NEL SEGNO DEL BRONZO
La produzione di oggetti in metallo, simboli di potere e prestigio, aumenta notevolmente e si perfeziona a partire dalla fine del III millennio a.C., con l’età del Bronzo. Per ottenere una lega destinata a conferire più resistenza agli oggetti in metallo, al rame – reperibile nelle Alpi – viene aggiunto lo stagno, proveniente da giacimenti molti distanti. Si afferma un ceto di artigiani specializzati fortemente mobile e dinamico, come mostrano le corrispondenze, a nord e a sud delle Alpi, fra manufatti e strumenti per la lavorazione del metallo, come ugelli e crogioli.
Le relazioni a largo raggio si intensificano grazie a reti di comunicazione come le “vie dell’ambra” che, attraverso i passi alpini, collegavano l’Europa settentrionale e il Mediterraneo.
Migliora la capacità produttiva dell’agricoltura: gli insediamenti divengono più numerosi, vasti e stabili. In Italia settentrionale accanto agli abitati “all’asciutto” fioriscono palafitte, come in Trentino a Ledro e Fiavé.

SIMBOLI DI PRESTIGIO E DI POTERE
Lo sfruttamento dei giacimenti di rame raggiunge anche le alte quote montane, sviluppandosi con eccezionale intensità alla conclusione dell’età del Bronzo, fra il 1350-1100 a.C.
La lavorazione del minerale è indicata da forni, da imponenti accumuli di scorie di fusione, da macine e pestelli utilizzate per frantumare la materia prima e le scorie. Il repertorio degli oggetti prodotti si amplia, comprendendo coltelli, contenitori in lamina, spille (fibule), pinzette per la cura del corpo e roncole, ideate dalle botteghe locali.
Accumuli di oggetti in bronzo integri o frammentari costituiscono forme di tesaurizzazione che riflettono la disponibilità del rame. Questa fonte di ricchezza è soggetta al controllo del ceto dominante che si distingue per il possesso della spada, emblema eroico della forza del guerriero.
La tradizione di caratteristici boccali segna l’esistenza, nel cuore delle Alpi, di un aspetto culturale unitario dalla fine dell’età del Bronzo fino alla Prima età del Ferro, fra il 1200-550 a.C.

OFFERTE PRESTIGIOSE
La singola spada gettata nelle acque o deposta su valichi e vette, rappresenta una preziosa offerta votiva. È un omaggio di segno eroico, indirizzato alla sfera divina da un personaggio eminente, come in uno scambio di doni fra capi.
Sotto l’influsso di modelli mediterranei, verso il 1200 a.C., alla fine dell’età del Bronzo, l’equipaggiamento del guerriero di rango si completa, comprendendo prestigiosi elementi di difesa: elmo, scudo e protezioni per le gambe. Le armi recano spesso decorazioni con motivi simbolici, come gli uccelli acquatici.

NEL SEGNO DEI RETIINFLUENZA CELTICA

Gioielli di Produzione Retica con influenze celtiche


Le antiche fonti scritte collocano le popolazioni preromane dei Reti nelle Alpi centro orientali, sopra Como e Verona. In gran parte di questo territorio fra il 550 e il 16/15 a.C. si sviluppa una nuova cultura che unifica le vallate a sud e a nord del Brennero.
Rispondono a caratteri comuni non solo il vasellame in ceramica, gli ornamenti e gli strumenti in ferro, ma anche i villaggi, le pratiche di culto e la scrittura. Questa particolare cultura alpina è convenzionalmente detta retica oppure di Fritzens-Sanzeno, dal nome di due località poste in Austria nella Valle dell’Inn e in Trentino nella Valle di Non.
I Reti recepiscono influssi provenienti sia dal mondo etrusco e italico, sia da quello celtico. Dopo la storica invasione dei Galli nel 386-388 a.C., gli apporti celtici si fanno più evidenti nell’armamento e nei gioielli di produzione locale.
Monete, ornamenti e contenitori di moda diffusi nella pianura padana romanizzata, indicano l’affermarsi fra il II e il I secolo a.C. di nuovi modelli culturali.
La guerra condotta da Tiberio e Druso fra il 16-15 a.C. sancisce il dominio di Roma anche sul territorio retico più settentrionale.

Torques e monili di tipo celtico
Elmo Monfortino Celtico e spade Lateniane
Elmo Celtico di tipo Monfortino

IL MEDITERRANEO NELLE ALPI
Lo stile di vita mediterraneo affascina i Reti che accolgono l’ideologia del simposio e del banchetto, accompagnata dall’introduzione di attrezzi in ferro per il focolare domestico. Si diffonde il consumo di vino, prodotto anche localmente, come testimoniano roncole per la cura delle vigne.
L’aristocrazia dei popoli alpini ostenta prestigio e potere attraverso raffinati beni di lusso di importazione, come vasellame in bronzo. Le fiorenti botteghe artigiane locali imitano prodotti esotici di derivazione peninsulare, fra cui elmi.
Dagli Etruschi stanziati nella pianura padana i Reti accolgono l’uso dell’alfabeto, adattato alle esigenze della lingua locale non indoeuropea che mostra alcune coincidenze con quella etrusca.
La scrittura è utilizzata soprattutto nella sfera magico religiosa, contraddistinta sia da tradizioni locali, come quella dei roghi votivi, sia da apporti mediterranei, evidenti nei bronzetti, nelle lamine votive e nelle rappresentazioni schematiche di divinità affiancata da teste di cavallo.

NEL SEGNO DI ROMA

Frammento di oggetto in bronzo di provenienza etrusca
Fibule Romane


La civiltà romana alla fine del I secolo a.C., sotto la guida di Augusto, espande il suo dominio sui popoli alpini, in parte già conquistati dal punto di vista culturale ed economico e in parte soggiogati con la forza delle armi.
L’autorità di Roma e i suoi nuovi modelli sociali, amministrativi, politici, economici, militari e religiosi, si diffondono rapidamente, attraverso una formidabile rete di strade, di città e nuove forme di organizzazione del territorio. Lungo l’asse del fiume Adige, in parte navigabile, costituisce una grande novità lo sviluppo monumentale della città romana di Trento: Tridentum. L’edilizia si avvantaggia di nuovi espedienti, come di tubature in piombo per l’acqua e dei laterizi, impiegati anche per il riscaldamento.
Il diffondersi della romanità si evidenzia nell’uso del latino, nella circolazione della moneta, con messaggi propagandistici, augurali e religiosi, e nei nuovi sistemi di pesatura.
La moda di Roma si riflette nella massiccia importazione di preziosi contenitori in bronzo e in vetro, in raffinate opere d’arte di marmo, in gioielli, ma anche in oggetti di uso quotidiano.

TRIDENTUM, SPLENDIDUM MUNICIPIUM
Il propagarsi della cultura romana è testimoniato dalla lastra in bronzo trovata a Cles in Valle di Non. Attraverso un editto emanato nel 46 d.C., l’imperatore Claudio stabilisce un “condono” per gli abitanti di vallate alpine – Anauni, Tuliassi e Sindoni –  che si comportavano da cittadini romani senza averne il diritto, arruolandosi addirittura nelle coorti pretorie ed esercitando a Roma la funzione di giudice. Con la concessione della cittadinanza romana queste popolazioni vengono annesse allo “splendido municipio di Trento”.
Fondata verso la metà del I secolo a.C., la romana Tridentum costituisce un importante presidio per il controllo del territorio e delle vie di comunicazione. L’aspetto urbano richiama una funzione difensiva: racchiusa da mura con torri e dal fiume Adige, la città si sviluppa con la caratteristica forma quadrangolare e un ordinato reticolo di vie e spazi pubblici monumentali.
Alla raffinata vita cittadina si contrappone nelle vallate più interne un sistema economico-sociale più tradizionale.

LA CITTÀ DEI VIVI E L’ALDILÀ
La vita di ogni giorno è evocata da attrezzi da lavoro e pesi da telaio, lucerne, chiavi, vasellame da mensa e da cucina, come il contenitore per la cottura dei cibi in pietra ollare, materia estratta nelle Alpi centro-occidentali.
I segni della vita quotidiana accompagnano i defunti nel loro viaggio nell’Aldilà. Il corredo rispecchia in genere le condizioni economiche e la posizione sociale del defunto, la cui attività viene talvolta dichiarata simbolicamente da attrezzi usati in vita. La moneta, l’obolo di Caronte, è destinata a pagare il viaggio ultraterreno, mentre le lucerne, sorgente di luce, indicano la rinascita nell’aldilà. Una preziosa bambolina in osso, deposta con raffinati gioielli in un sarcofago di piombo, è la toccante testimonianza della morte di una ricca fanciulla prima delle nozze.
Le sepolture, collocate all’esterno delle mura della città, documentano la coesistenza della pratica dell’inumazione e della cremazione. Le ceneri del defunto sono raccolte dalla pietà dei vivi in pregevoli urne di vetro o di ceramica. Le iscrizioni perpetuano il ricordo dei morti, celebrando talvolta il prestigio e il ruolo sociale dei personaggi più eminenti.
Personalità di spicco dei ceti dominanti sono onorate da iscrizioni anche in vita, come nel caso di Caio Valerio Mariano.

LA RELIGIONE
Le usanze di Roma si diffondono profondamente anche nella sfera religiosa. Perdurano tuttavia culti e credenze tradizionali, come la frequentazione di aree sacre interessate in epoca preromana da roghi votivi. Divinità indigene sono identificate con quelle introdotte dalla cultura romana.
Iscrizioni, sculture in pietra e statuette in bronzo rivelano aspetti della devozione ufficiale e privata. Ricorrenti sono le testimonianze di venerazione di Ercole, di Saturno, invocato in caso di difficoltà, di Mercurio, dio dei viaggiatori, dei commercianti e protettore dei confini, di Minerva, dea guerriera probabilmente assimilata ad una divinità locale, di Diana cacciatrice e di Giove, dio del cielo, della luce, dei fenomeni metereologici e garante di patti e giuramenti. Alla sfera privata rimandano i bronzetti dei Lari, raffigurazioni degli spiriti degli antenati e delle divinità protettrici del focolare, onorati all’interno della casa. Fra le divinità astratte, rappresentate anche su monete,  Concordia e Vittoria si riferiscono al culto imperiale.
A partire dal II secolo, si diffondono complessi rituali dei culti egizi e orientali, introdotti da mercanti, soldati e funzionari della pubblica amministrazione. I nuovi messaggi di salvezza rispondono alle esigenze di una società in crisi. Ricorrono attestazioni di Iside-Fortuna, in grado di orientare il destino e garantire prosperità, e di Mitra, divinità della luce di origine persiana, adorata presso grotte.
L’introduzione del cristianesimo trova resistenze nel radicamento dei culti orientali, come indica l’uccisione in Valle di Non, il 29 maggio del 397, dei missionari Sisinio, Martirio e Alessandro.

I “BARBARI”: SCONTRO E INTEGRAZIONE
A partire dal III secolo, i “barbari” minacciano i confini e la stabilità del vastissimo impero romano che per ragioni di natura economica, sociale e militare si disgrega. Dopo aver devastato l’Italia settentrionale, i Visigoti di Alarico nel 410 saccheggiano Roma. Nel 476 il generale barbaro Odoacre depone Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente e si avvia il periodo dei regni romano-barbarici. Il 493 segna il sopravvento dei Goti di Teoderico.
La Valle dell’Adige è terra di confine, di scontri e di scorrerie. Nel clima di insicurezza si consolida un sistema difensivo con fortezze e presidi –  castra e castella – collocati in posizione strategica. Seppure ridimensionata, Trento è sede di una stabile classe dirigente aristocratica: resta l’unica città del territorio dove si aggregano Goti, Eruli, Bizantini e Longobardi.
Dopo una lunga guerra (535-553) l’esercito bizantino di Giustiniano sconfigge i Goti. Nel 569 i Longobardi invadono l’Italia e istituiscono il ducato di Trento, assegnato a Evin che fronteggia le incursioni dei Franchi e si allea con i Baiuvari, sposando la sorella di Teodolinda.
Nel 774 Carlo Magno pone fine al regno longobardo e riunisce sotto un’unica corona territori posti a nord e a sud delle Alpi, avviando importanti riforme nella politica, nell’economia e nelle arti.

Marmo mitraico e sistro per il culto di Iside
Bronzetti di divinità di epoca romana

SEGNI DELLA FEDE
Dalla metà del IV secolo Trento è sede vescovile e assume un ruolo centrale nella diffusione del cristianesimo. La venerazione delle spoglie dei tre martiri uccisi nel 397 in Valle di Non e del loro vescovo Vigilio, determina lo sviluppo di una chiesa-memoriale (basilica), all’esterno delle mura cittadine, dove nel XIII secolo sorge il Duomo. La chiesa cattedrale (ecclesia) con la residenza del vescovo, si colloca invece all’interno della città fra le case, nella zona dell’attuale chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’elenco dei primi vescovi mostra il netto prevalere della componente etnica romano-latina, mentre nel IX secolo ricorrono nomi di origine franca e germanica.
Fra il V-VI secolo la fede cristiana si diffonde e si realizzano oratori ed edifici di culto nel territorio. Il ruolo del vescovo si potenzia anche nella sfera civile, come mostra la trattativa del vescovo Agnello per liberare i prigionieri catturati dai Franchi nel ducato di Trento nel 590.
Segni dell’adesione alla nuova religione si rintracciano in epigrafi, opere scultoree, oggetti di uso quotidiano che recano motivi simbolici paleocristiani. Preziose croci in oro sono cucite sui sudari di ricchi defunti nel periodo longobardo.

SEGNI DEL PRESTIGIO
Armi e preziosi gioielli distinguono i membri delle classi sociali elevate, rispecchiando tradizioni e innovazioni di una comunità ormai multietnica. L’integrazione dei “barbari” nella società romana genera una reciproca assimilazione di elementi del costume.
Diversi gioielli impreziosiscono l’abbigliamento delle donne: pregiati modelli in oro e argento ispirano una più modesta produzione locale in bronzo. Il corredo della tomba femminile di Civezzano che comprende orecchini in oro e ametista, broccato in oro e cinturine da calza in bronzo dorato, mostra lo sfarzoso lusso dell’aristocrazia longobarda.
Le armi, deposte nelle tombe maschili, sono cariche di valenze simboliche: richiamano lo status sociale dell’uomo libero, legato ai gruppi che detengono il potere militare. I personaggi di rango sono accompagnati nella tomba, a seconda dei periodi, dalla lunga spada a due tagli e da una sorta di pugnale, dalla lancia e dallo scudo. Anche la cintura rientra fra gli elementi simbolici, tanto da essere oggetto di trasmissione ereditaria. Questi segni del prestigio scompaiono dalle sepolture nel tardo VII-VIII secolo, con l’affermarsi dei nuovi modelli del cristianesimo.

IL DOSS TRENTO, RIFUGIO E LUOGO DI CULTO
Incursioni e invasioni dei “barbari” che si susseguono dal III secolo, inducono la popolazione delle valli alpine a cercare rifugio in insediamenti fortificati. Per la comunità di Trento il castellum Verrucas – Doss Trento, rappresenta un luogo protetto dalla natura, grazie alla particolare conformazione del rilievo roccioso, isolato nel fondovalle e lambito dal fiume Adige.
Le formidabili potenzialità difensive del dosso, spingono lo stesso re Teoderico, nel 505-511, a invitare Goti e Romani a costruire delle abitazioni sul castellum Verrucas, nel quadro di una strategia di protezione del territorio che vede anche la realizzazione o il consolidamento di altre roccaforti.
Il Doss Trento è pure luogo di culto: dal V secolo vi sorge una basilica paleocristiana e un antico oratorio dedicato, probabilmente per influssi bizantini, ai Santi Cosma e Damiano. Dall’oratorio provengono i pregevoli mosaici risalenti all’epoca del vescovo Eugippio (530-535 d.C.). Nella zona della basilica sono sepolti personaggi di rango.

SEGNI DEL CRISTIANESIMO
All’antica chiesa di Santa Apollinare, posta ai piedi del Doss Trento, appartiene un prezioso reliquario in argento, decorato al centro con la figura di un santo e ai lati con intrecci di animali. Diffusi a partire dal VI secolo, questi reliquari sono deposti all’interno di cofanetti sotto l’altare, all’atto della consacrazione. Sono un’importante testimonianza della diffusione del culto delle reliquie nel territorio trentino.
Alla liturgia cristiana era destinato pure il celebre Sacramentario Gregoriano, codice databile ai primi decenni del IX secolo. La pregevole placchetta in avorio utilizzata nella rilegatura risale all’VIII secolo, al periodo carolingio: vi è rappresentato un santo evangelista, nell’atto di scrivere il testo sacro, secondo un’iconografia che risale all’epoca tardo classica, quando all’inizio del volume si usava presentare il ritratto dell’autore. ( fonte crushside.it castello del Buonconsiglio)

S.Apollinare Trento