NUOVE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE DELL’ ETÀ DEL BRONZO A LAVIS

Lavis. In una piacevole mattina di fine gennaio abbiamo avuto il privilegio di fare un sopralluogo assieme al professor Franco Marzatico, il dirigente della Soprintendenza per i beni culturale della Provincia Autonoma di Trento. Siamo negli scavi fatti nella parte alta del Pristol a Lavis. Osservando l’area non ci stupisce che i nostri antenati avessero scelto questo luogo per dimorarvi: una posizione soleggiata, una splendida vista sulla valle e un’ampia zona pianeggiante.

Il Pristol rappresenta il primo nucleo storico dell’abitato di Lavis, una serie di abitazioni arroccate sulle pendici del Dos Paion, in posizione rialzata rispetto alla pianura paludosa che era dominata da un torrente Avisio non ancora regimato. I ritrovamenti recentemente fatti però fanno riferimento ad un periodo molto più antico.

Ma andiamo per ordine. Tutto nasce dalla volontà di un privato e di un’impresa locale di procedere alla lottizzazione di un terreno. Si tratta di una zona che per la sua posizione e per alcuni ritrovamenti fatti nelle vicinanze potrebbe avere una certa rilevanza archeologica. Si decide quindi di procedere ad alcuni sondaggi esplorativi. Gia dopo i primi scavi sono emersi elementi di un passato molto lontano.

Il passato che riemerge


“La maggior parte dei reperti trovarti – ci racconta il professor Marzatico – appartengono all’età del bronzo recente e finale, quindi dal 1.350 al 900 a.C.. Ce ne sono poi alcuni che si possono ricondurre al periodo retico, quindi alla seconda età del ferro (500 a.C)”. I responsabili degli scavi ci fanno vedere una quantità notevoli di cocci, recuperati, puliti e catalogati. Alcuni sono molto semplici nella loro fattura mentre altri sono più elaborati.

“Da questi scavi preliminari – continua a raccontarci il Soprintendente – sono emerse strutture che si possono ricondurre a un antico nucleo abitativo. Ci sono opere murarie e una porzione lastricata che sembra attraversare tutto il fondo. La posizione è simile a quella di altri ritrovamenti in Trentino: un luogo rialzato e protetto che facilita il controllo del territorio circostante e vicino all’acqua”.

Il valore archeologico dell’area è sicuramente notevole sia per l’estensione dell’area che per la quantità e la qualità dei resti ritrovati in questi pochi giorni di scavi. Questo potrebbe essere un nuovo tassello per ricostruire la storia del popolamento del Trentino che va ad unirsi ai ritrovamenti fatti in altre zone vicine come a Zambana, a Sopramonte o a Fai.

E quindi adesso? Molto probabilmente bisognerà trovare un modo per conciliare gli interessi archeologici e quelli dei privati che avrebbero voluto costruire su quest’area. Il primo passo dovrebbe essere quello di procedere a degli scavi più approfonditi per capire se quest’area ha veramente un’importanza archeologica notevole, come sembra, o se il sito non ha altro da rivelarci.( Da ilmulo.it)

LINK e VIDEO :

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2023/05/a-lavis-nuovi-reperti-archeologici-del-xiv-secolo-ac–4f151e7d-3dc5-4e98-afec-783bf7739998.html

ARCHEOLOGIA DELLE ALPI . RASSEGNA STAMPA.

È appena stato pubblicato il numero di Ada “archeologia delle Alpi” 2021/2022. Sul sito di trentino cultura ( https://www.cultura.trentino.it/Pubblicazioni) è possibile inoltre scaricare o richiedere in formato digitale il volume pubblicato ed i numeri precedenti oltre a diverse pubblicazioni di archeologia trentina.

ADA 2021/2022

Documenta lo stato dell’arte delle ricerche archeologiche in Trentino “AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022”, il volume recentemente dato alle stampe dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. La pubblicazione di 231 pagine, a cura di Franco Nicolis e Roberta Oberosler, offre un aggiornamento puntuale sulle attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, archeologico in particolare, condotte sul territorio provinciale. L’obiettivo è quello di rivolgersi a pubblici diversi e sempre più ampi, andando oltre la platea degli addetti ai lavori, al fine di condividere con tutti gli interessati i risultati delle indagini in questo ambito. Il volume, disponibile anche in formato digitale, può essere richiesto all’Ufficio beni archeologici scrivendo all’indirizzo di posta elettronica uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022” si compone di due parti: la prima e più corposa è composta da articoli di archeologi, studiosi, esperti di settore, ricercatori di istituzioni scientifiche e culturali con approfondimenti specifici mentre la seconda parte è costituita da un sintetico notiziario che riporta i principali interventi effettuati nell’ultimo biennio in Trentino. Filo conduttore dei contenuti è la metodologia di indagine che presuppone un approccio multidisciplinare e un costante confronto per l’analisi dei dati da parte di studiosi ed esperti di settori diversi.

Una buona parte dei contributi è dedicata alle ricerche condotte nell’area urbana di Trento. Il capoluogo continua a restituire interessanti informazioni sul suo complesso passato a cominciare dal sito de La Vela dove sono emerse evidenze di occupazione risalenti al Neolitico legate a pratiche di allevamento di ovicaprini con una propensione per lo sfruttamento delle risorse animali a discapito delle attività produttive agricole. Restando nell’ambito cittadino è di particolare interesse la scoperta avvenuta in via Esterle dove, in un’area in passato interessata da violenti eventi alluvionali, alla inconsueta quota di 8 metri sotto i piani attuali, sono emerse testimonianze di epoca romana tra cui un tratto di via glareata e una porzione di area cimiteriale risalente al IV secolo d.C. La vitalità commerciale ed economica della Tridentum romana è attestata anche dallo studio dei frammenti di anfore rinvenuti durante gli scavi di Piazza Bellesini e nell’area archeologica di Palazzo Lodron a Trento. L’origine di questi contenitori, provenienti da diverse aree dell’Impero, evidenzia come Tridentum facesse parte di una fitta rete commerciale che metteva in comunicazione la penisola italica con il bacino renano-danubiano e con le aree del Mediterraneo orientale e occidentale. Riguardo il loro contenuto, si può ipotizzare che le anfore servissero principalmente per l’approvvigionamento e il trasporto di olio, salse di pesce, vino miele, olive, frutta secca e spezie oltre a olii vegetali, balsami e unguenti. Di epoca romana è anche il sarcofago, rinvenuto nel 1860 e attualmente visibile in piazza della Mostra, del quale vengono illustrati i materiali di corredo in esso ritrovati e il contesto.

Nuovi dati sull’età romana in Trentino giungono inoltre dalla ripresa dei lavori presso la villa romana di Isera, in Vallagarina, che hanno reso possibile la raccolta di nuovi e importanti dati relativi alla tecnica edilizia e all’articolazione del grande edificio terrazzato con sale panoramiche e giardino risalente alla prima età imperiale. Spostandoci in Val di Non, la recente riconsegna di una coppa vitrea e di due bracciali in bronzo è stata l’occasione per lo studio e la ricontestualizzazione di questi reperti che ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una possibile necropoli tardoantica tra Revò e Romallo, ai margini dell’importante via che attraverso la Val di Non collegava i due versanti delle Alpi e veicolava prodotti di pregio importati e apprezzati anche in Anaunia.

Si sta rivelando di grande importanza lo scavo di ricerca presso l’insediamento retico-romano del Doss Penede a Nago-Torbole, oggetto di un progetto di studio multidisciplinare che vede la collaborazione tra l’Universita di Trento, la Soprintendenza e il Comune di Nago-Torbole. Lo scavo archeologico ha restituito significative testimonianze architettoniche di età romana delle quali sono state analizzate le tecniche edificatorie e le soluzioni costruttive. Contribuisce alla ricerca e alla conoscenza degli insediamenti rurali in area trentina lo studio dei materiali provenienti dal complesso rurale di epoca romana e tardoromana messo in luce a Mezzolombardo in località Calcara.



L’indagine con metodo archeologico, condotta in occasione di recenti lavori nei pressi di Passo San Valentino a Brentonico, ha portato al recupero di un insieme di reperti databili al XVIII secolo che hanno permesso di riconoscere la presenza di una serie di fortificazioni realizzate nel 1796 dall’Impero Asburgico per contrastare l’avanzata napoleonica in Trentino.

Ampio spazio è riservato al Parco Archeo Natura di Fiavé, inaugurato nell’estate 2021, al quale sono dedicati tre articoli. Il soprintendente Franco Marzatico evidenzia come la realizzazione del Parco, in dialogo tra l’archeologia e l’ambiente naturale, abbia lo scopo di proporre un percorso partecipato di conoscenza, consapevolezza e valorizzazione, offrendo un’opportunità di fruizione integrata del patrimonio culturale e ambientale che coinvolga nel progetto le diverse realtà locali per accrescere la conoscenza e la consapevolezza culturali, sia l’attrattiva del territorio dal punto di vista turistico. Le referenti dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici tracciano un quadro della ricca proposta di attività rivolte a pubblici di ogni età, con particolare attenzione al mondo della scuola e alle famiglie, realizzati con enti e associazioni locali e con il coinvolgimento attivo della comunità.

Il notiziario riporta gli interventi di indagine archeologica effettuati Civezzano in località Sorabaselga, ad Arco in via Degasperi, a Tesero in località Sottopedonda, a Sanzeno in Val di Non, sull’Altopiano della Vigolana, ad Arco presso il Monastero delle Serve di Maria, a Trento in via Grazioli e in via S.Pietro e a Vetriolo dove è stata portata alla luce una vasta area mineraria protostorica.

Informazioni

Provincia autonoma di Trento

Soprintendenza per i beni culturali

Ufficio beni archeologici

Via Mantova, 67 – 38122 Trento

tel. 0461 492161

e-mail: uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

http://www.cultura.trentino.it/Temi/Archeologia

(md)

Sullo stesso argomento:

https://wp.me/p7tSpZ-5Qm

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ALCUNE DELLE PUBBLICAZIONI DISPONIBILI:

https://www.academia.edu/resource/work/45126791.

https://www.academia.edu/resource/work/47922483.

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  • ISBN: 978-88-7702-457-2
  • 2018
    Provincia autonoma di Trento
  • Autore / Curatore: Franco Nicolis e Roberta Oberosler
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

“Archeologia delle Alpi. Studi in onore di Gianni Ciurletti” raccoglie indagini e approfondimenti su varie tematiche in ambito archeologico che coprono un arco temporale dalla preistoria all’età contemporanea. Hanno contribuito al volume studiosi e ricercatori oltre agli archeologi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che hanno così reso omaggio a Gianni Ciurletti già Soprintendente per i beni archeologici del Trentino.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

 scarica il sommario: ArcheologiaDelleAlpi_sommario.pdf (59,62 kB).

https://www.academia.edu/resource/work/38296180

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  • ISBN: 978-88-7702-363-6
  • 2014
    Provincia autonoma di Trento
  • Soprintendenza per i Beni architettonici e archeologici
  • Autore / Curatore: Rosa Roncador e Franco Nicolis
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

Sviluppi culturali durante l’età del ferro nei territori alpini centro-orientali.

Atti della giornata di studi internazionale: 1 maggio 2010 – Sanzeno – Trento.

Il territorio trentino è stato sin da epoche remotissime luogo d’incontro e di confronto tra i popoli. Costituisce, infatti, fin dall’antichità un passaggio naturale che collega il mondo mediterraneo all’Europa transalpina.
Questo volume costituisce un importante risultato dell’azione di tutela, conoscenza, valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico non solo provinciale ma più in generale alpino.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

La pubblicazione è consultabile presso la biblioteca specialistica “Pia Laviosa Zambotti” dell’Ufficio beni archeologici, via Mantova 67, Trento, tel.0461 492161.

 scarica il libro: ATTI_Antichi Popoli delle Alpi_web.pdf (12,07 MB)

 scarica il sommario: ATTI_Antichi Popoli_sommario.pdf (475,07 kB)

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  • ISBN: 978-88-7702-385-8
  • 2014 – Archeologia delle Alpi
    Provincia autonoma di Trento
  • Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni Archeologici
  • Autore / Curatore: Franco Nicolis e Roberta Oberosler
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

Primo numero del rinnovato periodico che ospita articoli relativi singoli aspetti, scavi, ricerche, scoperte effettuati nel territorio provinciale e più in generale nell’area alpina centro-orientale.

In questo primo numero della nuova rivista sono raccolti articoli, saggi, riflessioni, interventi informativi di carattere archeologico che provengono dall’Ufficio beni archeologici e da altre istituzioni trentine che hanno tra le proprie competenze anche la ricerca archeologica.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

Le pubblicazioni sono disponibili presso le strutture della Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici:

S.A.S.S. Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas 
Trento, piazza Cesare Battisti 

Museo Retico – Centro per l’archeologia e la storia antica della Val di Non 

Sanzeno, via Rezia 87

Museo delle Palafitte di Fiavé 
Fiavé, via 3 Novembre, 53 

 scarica il libro: Archeologia delle Alpi 2014.pdf (8,61 MB)

 scarica il sommario: sommario.pdf (894,04 kB

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Fare Rame



2021
Provincia autonoma di Trento
Autore / Curatore: Paolo Bellintani, Elena Silvestri
Ufficio beni archeologici
Fare Rame. La metallurgia primaria della tarda età del Bronzo in Trentino: nuovi scavi e stato dell’arte della ricerca sul campo aggiorna, con le ricerche condotte dopo il 2000 dall’Ufficio beni archeologici, le conoscenze sullo sfruttamento dei giacimenti di rame trentini nella tarda età del Bronzo (3400-3000 anni fa circa). Si tratta di alcuni studi dedicati a siti di lavorazione del minerale di rame (Segonzano, Lavarone, Luserna, Transacqua, S.Orsola, Fierozzo) messi a confronto con analoghi contesti archeologici nord-alpini e alcuni lavori di sintesi sulla cronologia relativa e assoluta dei contesti esaminati, sulla tipologia delle strutture piro-tecnologiche e sull’inquadramento storico della tematica.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici
via Mantova, 67
38122 Trento
tel. 0461 492161
uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

scarica il libro: Fare Rame_volume_web.pdf (21,01 MB)

scarica il sommario: Fare Rame_sommario_web.pdf (305,06 kB)

VASI DI BRONZO IN GALLIA CISALPINA TRA IL IV -I SEC.a.C

Articolo originale : M.Bolla I recipienti di bronzo in Italia settentrionale dal VI al I sec. a.C.

http://www.core.ac.uk

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://core.ac.uk/download/pdf/288222558.pdf&ved=2ahUKEwiQx6iyitz8AhUluaQKHXcYA4gQFnoECDYQAQ&usg=AOvVaw3Gyr0qOxn-wXrfMHcgpGKu

I vasi di bronzo costituiscono una particolare tipo di vasi ad uso domestico. Realizzati per durare a lungo , rappresentavano un patrimonio familiare che passava da madre in figlia per generazioni .
Questa particolare preziosità antica, rende più difficile una fine identificazione cronologica . Tuttavia è possibile in ogni caso identificare in Gallia Cisalpina almeno tre fasi principali di utilizzo del vaso di bronzo. Questi tre periodi vanno dal 388 aC al periodo augusteo e ricalcano la divisione cronologica del periodo La Tène. Lo studio cerca di definire le forme e le tipologie dei vasi di bronzo, il loro legame con il rango sociale in Cisalpina utilizzando come area privilegiata l’area veronese ( Povegliano soprattutto). Tale zona ha permesso di osservare infatti almeno 150 esemplari, databili dal IV/III secolo a.C. all’età augustea in gran parte recuperati da contesti funerari.

PRIMO PERIODO: (388-130a.C)

Nonostante l ‘invadione gallica del 388 a.C. prosegue la produzione locale, rappresentata da recipienti destinati al consumo del vino o di altri tipi di vevande fermentate. Nelle aree occupate dai Leponti e dagli Insubri sono attestate le situle (tipi Pianezzo, Cerinasca e Castaneda), le capeduncole,le brocche a becco (Tessiner Kannen). Sono recipienti prodotti nel Sopraceneri – per le brocche
a becco anche nel Comasco – e attestati nell’area occidentale della Cisalpina, tra il Canton Ticino e la Bergamasca, sui quali non mi soffermo in questa sede perché esaurientemente analizzati da
De Marinis in occasione della mostra sui Leponti , e ancora più recentemente, da Nagy e Tori per la necropoli di Giubiasco.
Produzioni locali sono ben attestate anche in area Cenomane – mi riferisco alle fiasche da pellegrino, con gli esemplari della tomba di Castiglione delle Stiviere e

Brocca a becco di area Lepontica

in area veneta e retica, dove permane
la produzione di situle a sbalzo e di simpula. Sono attribuite a officine locali, che continuano una tradizione lunga e feconda, Le situle di Este, da
quelle a corpo troncoconico e sinuoso della tomba Ricovero 23, la famosa tomba di Nerka Trostiaia, a quelle istoriate delle tombe Boldù-Dolfin 52–535.
Per le situle è stata identificata anche un’area di produzione tra le valli dell’Adige e del Piave, con uno o più ateliers che operano nel IV secolo unendo
elementi di tradizione halstattiana a motivi di influsso celtico ed etrusco. Anche i simpula prodotti a partire dal IV secolo riprendono e rielaborano il tipo etrusco a vasca emisferica e manico verticale,
ma con il manico a nastro applicato con ribattini alla vasca.Nel santuario di Lagole di Calalzo(Belluno) questi attingitoi sono utilizzati anche nei rituali delle acque.


Vasellame d’importazione

Per quanto riguarda invece le importazioni
di vasellame di bronzo dall’Etruria, che avevano caratterizzato tra VI e V secolo a.C. lo sviluppo dell’Etruria padana e della civiltà di Golasecca, si ha effettivamente una contrazione in seguito all’in￾vasione gallica del 388 a.C., che non sembra però
toccare l’area di Spina, dove recipienti e candelabri di bronzo caratterizzano sia le tombe dell’ultimo quarto del V secolo, sia quelle del primo quarto del secolo successivo.

SECONDO PERIODO ETÀ LT D

Con l’età tardorepubblicana, corrispondente in ambito padano al LT D (130–15 a.C.), la presenza di vasellame di bronzo d’importazione si fa numericamente più rilevante e più varia quanto a tipi rappresentati. Per la Gallia Cisalpina si possono considerare ancora validi i saggi sulle varie forme e le liste di distribuzione elaborati in occasione dellatavola rotonda di Lattes, La vaisselle tardo-républicaine en bronze (Feugère, Rolley (eds.) 1991), con aggiornamenti relativi all’asse Ticino-Verbano e, sul versante opposto, al Caput Adriae al territorio dell’attuale Lombardia, con specifiche dedicate al Comasco e al territorio di Bergamo; molto si attende, inoltre, dalle necropoli del Veronese che sono state scavate recentemente e sono attualmente in corso di studio. Più numerosi, a tutt’oggi, gli aggiornamenti e le pubblicazioni di recipienti di età tardorepubblicana in ambito europeo
In linea generale, si può osservare che alle padelle tipo Montefortino e Povegliano si sostituiscono le padelle tipo Aylesford, con vasca fortemente convessa e il caratteristico motivo a spina di pesce sul
labbro (cfr. Tav. 5: XXVI/7), che formano una coppia funzionale con le brocche carenate tipo Gallarate e, talora, anche con le brocche a corpo piriforme tipo Ornavasso-Ruvo,Ornavasso-Montefiascone,Kelheim e Kjaerumgaard.

Le brocche tipo Gallarate, bitroncoconiche a carena bassa con ansa terminante a foglia cuoriforme e puntale, sono a tutt’oggi, insieme alle padelle
Aylesford, le forme più rappresentate nei contesti funerari di questo periodo; che in Gallia Cisalpina le padelle rivestissero un ruolo fortemente simbolico all’interno dei servizi da banchetto, è indiziato dalla
frantumazione rituale del recipiente durante i riti di sepoltura e dalla deposizione sul rogo funebre.
Del successo delle brocche bitroncoconiche possono essere indicative le imitazioni “povere” in terracotta attestate già dal terzo quarto del II secolo a.C.
in Grecia, e la presenza, nel santuario di Delo,frequentato da mercanti e visitatori italici, di una matrice in calcare riferibile ad una forma a carena bassa di piccole dimensioni.

Padella tipo Aylesford. Museo di Mergozzo

TERZO PERIODO-ETA’ AUGUSTEA

Con l’età augustea, il nuovo dinamismo economico della Cisalpina, legato all’espandersi delle strutture produttive transpadane e all’apertura della zona centropadana a più veloci circuiti commerciali, vede la rapida diffusione di un repertorio di forme in parte legato alla serie tardorepubblicana, della quale vengono riproposti elementi strutturali e ornamentali, in parte del tutto innovativi.

Nella tomba 16 della necropoli del Colabiolo di Verdello (Bergamo), ad esempio, datata in base a una moneta
e un boccale del tipo Aco intorno al 20 a.C.88, è già presente una brocchetta “moderna”, di produzione verosimilmente campana89. Si tratta infatti di un recipiente riconducibile alle serie Tassinari C1224, che trova un confronto puntuale con una brocchetta di Levate (Bergamo), da una tomba di
età augustea .
Alcune forme tardorepubblicane, del resto,
risultano ancora in produzione, come le padelle tipo Aylesford, che continuano con una produzione bollata da Cornelius, alla quale sembrerebbe appartenere anche l’esemplare rinvenuto a Domodossola
in una tomba di età prototiberiana, e le brocche carenate tipo Gallarate con labbro arricchito da un kyma ionico91.
Anche i simpula-colini continuano ad essere prodotti con il tipo Radnόti 40, con vasca larga a fondo piatto (Fig. 17), datato tra il 20/15 a.C. e il 10/15 d.C.92
Appare legata alla serie tardorepubblicana
anche la brocca tipo Tassinari C1210, attestata in Italia centrale (a Pompei, nel Viterbese e in Val di Cornia) e in Italia settentrionale a Genova, Fino
Mornasco (Como), Castrezzato (Brescia).



CELTI RETI E CAMUNI: COME È AVVENUTA LA ROMANIZZAZIONE NEL BRESCIANO E NEL GARDA

Da ACADEMIA.EDU

Articolo originale di

 Simona MarchesiniProfile picture for Simona  MarchesiniSimona MarchesiniIDENTITÀ MULTIPLE O ETHNIC CHANGE DURANTE LA ROMANIZZAZIONEView PDF ▸Download PDF 

Area CAPITOLIUM Brescia Cenomane – da Brixia e le genti del Po’ Giunti
Area CAPITOLIUM Brixia fino all’ etá augustea da Brixia e le genti del Po’ Giunti

Il territorio attorno a Brescia e al Lago di Garda si presenta come un osservatorio privilegiato per lo studio di interazioni tra popoli già dal primo apparire della documentazione epigrafica, in età preromana. Tale vocazione, quella dello scenario di etnie multiple, si configura anche nell’età della romanizzazione, con modalità ben indagate e in gran parte già defi nite dagli studiosi. L’individuazione di ethne a partire dalla documentazione esistente non è però sempre di immediata evidenza, e porta spesso ad una sospensione del giudizio piuttosto che ad una soluzione univoca.
In questa sede cercherò di inquadrare fenomeni nel loro complesso già noti, come quelli che emergono dall’epigrafia e dall’onomastica, avvalendomi di strumenti «in dotazione» alla linguistica, come la sociografia, la neurolinguistica, la linguistica del contatto e l’etnolinguistica, per proporre al confronto critico nuove categorie di analisi. Dalla focalizzazione di alcuni documenti, in parte anche nuovi, vedremo anche emergere e delinearsi meglio una delle compagini che solitamente, negli studi sulla regio X, rimane di difficile identificazione: la componente camuna.


II. Lo scenario storico regio X, in particolare nella zona attorno a Brescia e al lago di Garda (1).


Il processo di assimilazione e acculturazione, come sappiamo, non fu per questa parte dell’Italia cruento e repentino, ma progressivo e lento. La strategia politica adottata da Roma verso queste popolazioni fu di rispetto delle autonomie e delle strutture socio-politiche esistenti, di cui «venivano conservate la compattezza, l’autonomia, e fi n dove possibile l’indipendenza e la stabilità demografica» (2).


Riassumo brevemente i termini cronologici:

− fine V-inizi IV sec. a.C.: inizia l’occupazione cenomana di
Brixia, che conosce anche la sua prima fase urbana;

− 225 a.C. durante la guerra Gallica i Cenomàni (che ormai occupano il territorio di Brescia) e i Veneti si alleano con i Romani
inviando 20.000 soldati contro le altre popolazioni celtiche;

− durante la guerra annibalica i Cenomani sono alleati di Roma insieme ai Veneti, Taurini e Anamari;

− 200 a.C. i Cenomani appoggiano gli Insubri e i Boii devastando Placentia e puntando in seguito su Cremona;

− 197 a.C. grazie all’intervento diplomatico del console C.
Cornelio Cetego presso i vici Cenomanorum e presso la stessa Brixia, la rivolta rientra e i Cenomàni abbandonano gli Insubri
che vengono vinti; si stipula un foedus tra Roma e i Cenomàni;

− 89 a.C. Lex Pompeia Strabonis de Transpadanis concede lo
ius Latii a tutte le popolazioni della Gallia Cisalpina, compresi i Cenomani;

− 51-49 a.C. con la Lex Roscia viene ratifi cata la cittadinanza
romana alle popolazioni celtiche e italiche della Cisalpina (Transpadani); Brixia diventa municipium;

− età augustea (16/15 a.C.): adtributio delle popolazioni nella
Val Sabbia e della sponda occidentale del Lago di Garda (Sabini e Benacenses); adtributio a Brixia anche dei Trumplini e dei Camunni (campagna militare di P. Silio Nerva);

27 a.C. (oppure 14 a.C. e comunque non dopo l’8 a.C.)
Brixia si fregia del titolo di colonia civica Augusta.

− tra 79 e 89 d.C. Benacenses e Trumplini sono in stato di inferiorità giuridica rispetto ai Bresciani (3).

Particolare della statua di Minerva dal santuario di Breno(BS)


In questo quadro di progressivo adeguamento della componente etnica locale al mondo romano, spicca la tendenza all’autonomia dei Camunni, che pur dopo l’adtributio e la concessione della civitas, si costituiscono come res publica separata da Brescia e vengono ascritti per la maggior parte alla tribù Quirina.

Questa situazione, che ha come sfondo un intenso spostamento di persone dal centro Italia e dal Sud verso Nord, nella Gallia padana e Cisalpina (4), porta alla creazione di popolazioni miste, che uniscono componenti più tipicamente italiche o centro italiche a quelle celtiche, venetiche, retiche o camune.

Puoi continuare a leggere l ‘articolo originale al link:

https://www.academia.edu/resource/work/1074727

TRA CELTI VENETI ETRUSCHI E RETI: L’ETÀ DEL FERRO AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI VERONA

Attraverso l’archeologia il passato si fa presente, le tombe acquistano vita. Stupiscono e affascinano i reperti in mostra nel nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona, presso l’ex caserma asburgica di San Tomaso, inaugurato lo scorso 17 febbraio e appena arricchitosi di una nuova, ampia sezione interamente riservata all’Età del Ferro – dall’inizio del primo millennio a.C. fino all’arrivo dei Romani – che va ad aggiungersi a quella dedicata a preistoria e protostoria.

Una vera e propria finestra sul passato che aiuta a capire la realtà di un territorio come quello veronese, da tempi antichissimi punto di incontro e crocevia di genti diverse tra loro per lingua e cultura come Veneti, Etruschi, Reti e Celti. La nuova sezione appena inaugurata, curata sotto il profilo scientifico dalla direttrice Giovanna Falezza e da Luciano Salzani in collaborazione con la soprintendenza veronese, è stata allestita da Chiara Matteazzi, in continuità con il precedente allestimento museale. Focus delle nuove sale espositive sono numerosi abitati sia in pianura che in collina, anche di rilevanti dimensioni come ad esempio il centro veneto in località Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari con ampie aree di insediamenti abitativi accanto ad aree artigianali. A fornire i reperti più interessanti sono però le numerosi necropoli, spesso ricche di oggetti particolari venuti da lontano e con lavorazioni raffinatissime, a testimoniare la ricchezza dei contatti con il resto della penisola e, a volte, con gli altri popoli del mediterraneo.

Emoziona ad esempio il corredo funerario, unico per completezza e ricchezza, del cosiddetto “Principe bambino”, proveniente da una delle 187 tombe della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio. Si tratta della sepoltura di un soggetto di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme a un sontuoso carro da parata ,( https://wp.me/paEVnZ-Qt) , di cui restano gli elementi metallici come i mozzi delle ruote e i morsi dei cavalli, e a un armamentario tipico dei guerrieri adulti: spada, lancia, giavellotto e scudo. Un ricco vasellame ceramico e bronzeo assieme a monete, attrezzi agricoli, strumenti per il banchetto e i residui del pasto funebre completano il quadro di un’ultima dimora presumibilmente riservata a un appartenente alle classi dominanti. L’attento studio del contesto ha permesso agli archeologi di ricostruire il rituale di sepoltura, che viene oggi riproposto ai visitatori con l’ausilio di un suggestivo contributo multimediale: dopo che questi fu cremato insieme ad alcune offerte, le ceneri del bimbo furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo. Al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto.

Non meno suggestivo il corredo di una tomba del VII secolo a.C. appartenente a una bambina di pochi anni, rinvenuto in una delle tre necropoli di Oppeano. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo furono deposti alcuni elementi molto particolari: conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco, una pianta di astragalo, probabilmente un amuleto e infine un uovo di cigno, uccello acquatico ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione. Sepolture di uomini e donne ma anche di animali: come i famosi cavalli veneti, citati da fonti latine e greche per la loro agile bellezza; nel percorso museale è infatti presente uno dei due “cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano. Si tratta di un piccolo maschio di 17-18 anni – 135 cm al garrese – sepolto in una piccola fossa coricato sul fianco destro e con le gambe ripiegate.

 

Si tratta solo di alcuni tra i molti tesori del nuovo museo, il più famoso dei quali è l’iconica pietra calcarea dipinta in ocra rossa nota come “lo Sciamano”. L’opera, rinvenuta a Grotta di Fumane, va posta alle origini delle prime espressioni artistiche (paleolitico superiore, circa 40.000 anni prima di Cristo) e raffigura un personaggio che indossa un copricapo: una delle più antiche immagini teriomorfe (figure di uomo-animale) conosciute. Un luogo da conoscere e visitare più volte, in attesa che il progetto espositivo venga completato nel 2024 con l’aggiunta dell’ultima, fondamentale parte dedicata all’età romana.

Articolo originale di Daniele Mont D’Arpizio – http://ilbolive.unipd.it/it/news/melting-pot-veneto-preistorico)

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I ROMANI SULLE ALPI IN EPOCA PREROMANA

MICHEL TARPIN “LA PENETRAZIONE DEI ROMANI SULLE ALPI PRIMA DI AUGUSTO”

Fin dal libro di Oberziner, più di un secolo fa,1 la conquista delle Alpi da parte di Roma
è stata oggetto di discussioni attorno alla natura dell’imperialismo romano. Nella storiografia, la conquista delle Alpi rimane maggiormente, quando non esclusivamente, opera di Augusto,2 che avrebbe avuto un piano d’insieme nel quadro di una sorta di ‘grand strategy’ di controllo dell’Europa e, per necessaria conseguenza, delle sue vie di comunicazione. La conquista delle Alpi avrebbe avuto come unico – o almeno principale – scopo l’apertura di strade tra l’Italia romanizzata e la Gallia / Germania, così come l’organizzazione dello spazio conquistato nel quadro di un sistema provinciale irrigidito dal Principe.3 Ciononostante, le sue possibili motivazioni non sono al centro di questa comunicazione. Vorrei, al contrario, sottolineare l’importanza delle Alpi prima di Augusto ed approfittare dell’evoluzione recente dell’archeologia per capire il rapporto dei Romani della Repubblica con la catena alpina e i suoi abitanti. Come ben rilevato da S. Martin Kilcher, la nostra visione della ‘romanizzazione’ delle Alpi dipende in modo eccessivo dalla letteratura e dalla propaganda augustea.4 Si sa da tempo che il commercio transalpino era già molto attivo nella prima età del ferro, come dimostrano diverse e a volte spettacolari scoperte, come i grandi vasi di bronzo di Vix o Grächwill, ma anche i graffiti di Montmorot.5 Lo sviluppo delle ricerche sulle «agglomérations ouvertes» della seconda età del ferro ha confermato il vigore del traffico commerciale tra l’Europa del Nord e l’Italia.6 Il ritiro dei ghiacciai e l’archeologia recente hanno messo in luce il ruolo di passi finora giudicati minori.7 Inoltre, i Romani sapevano perfettamente che diversi popoli avevano attraversato le Alpi in massa. Rimane inoltre possibile che diverse città latine abbiano fatto riscorso a mercenari Galli durante il IV sec. a.C.8 Attraverso scambi e migrazioni i Romani avevano probabilmente appreso almeno qualche elemento di geografia e di economia alpina. L’evoluzione rapida dell’archeologia alpina ci permette di riconsiderare

le fonti scritte utilizzate da Oberziner in un senso differente da quello che avevo seguito anch’io anni fa.9 Insomma, se rimane chiara l’esistenza di un discorso letterario convenzionale e ostile alle Alpi,10
è ora possibile esaminare le fonti scritte con un approccio più storico che
letterario, integrando la recente interpretazione politica delle banalità sull’insuperabilità della catena alpina.11 Le fonti geografiche, a guardarle bene, ci trasmettono una visione particolare delle Alpi, piuttosto differente dalla vulgata augustea, anche quando gli autori ripetono questa propaganda. È particolarmente il caso di Strabone, che sembra accettare i discorsi del casus belli augusteo, ma ricorre a fonti repubblicane di buona qualità. Logicamente le Alpi sono descritte alla fine del libro IV (Gallia), prima del libro V (Italia). A seconda delle fonti utilizzate, il geografo riesce a unire l’osservazione critica, abbastanza precisa di Posidonio, e l’ideologia augustea.12
Le
Alpi hanno uno spessore soprattuto etnologico, arricchito a volte di dettagli economici, ma un’ampiezza fisica precisa soltanto a proposito della strada attraverso il territorio dei Voconzii e il regno di Cozio, ossia esattamente 200 stadi.13
Però il geografo ricorda anche, seguendo Polibio, che ci volevano almeno cinque giorni per arrivare in cima (= ai passi).14 Non tralascia
di indicare le città di fondazione indigena, tutte πόλεις, o le strade più importanti. Ma l’elemento più significativo rimane il fatto che, dopo aver detto che la catena alpina era il limite tra Gallia e Italia, Strabone dà una vera consistenza alle Alpi, perché descrivendo la catena da ovest a est, va dal versante gallico al versante italico, per concludere sui popoli stanziati sulle cime, dando corpo al discorso di Polibio sull’identità etnico-linguistica dei due versanti.15 Passa poi ai popoli che si trovano ‘sopra’ Como. Però, questa volta, non ci sono due versanti, ma uno solo, quello dell’Italia. Inoltre parla delle strade alpine soprattuto a proposito di Como e dei popoli che inquadrano la città.16
Como, per lui, è un punto di rottura nella descrizione
della catena. Strabone, scrivendo al tempo di Tiberio e conoscendo l’importanza delle guerre augustee, ignora pure l’elenco dei popoli e sotto-popoli del trofeo della Turbie, o perché non lo conoscesse o perché ne diffidasse. Da Mela non ci si deve aspettare nulla. Non dice niente se non che le Alpi sono il limite di
diverse regioni.17 Plinio, come al solito, descrive prima il litorale e poi l’interno delle singole
regioni augustee, ripetendo a volte gli stessi nomi (fig. 1). Non c’è un capitolo alpino specifico.18
Per la Liguria, alla quale manca Veleia, troviamo due volte i Bagienni e Statielli: sotto il
nome delle loro città e in un capitolo a parte dedicato ai popoli della Liguria meridionale (tra Marsiglia e Veleia).19 A nord, le città della regio XI, Transpadana, sono tutte associate a un nome di popolo secondo un raggruppamento etnico, come si vede bene dal fatto che Bergamo, ad est dell’Adda, è associata a Comum e Forum Licinii, le altre città degli Oromobii. La fonte di questo discorso etnico potrebbe essere Catone, citato appunto a proposito degli Oromobii (III, 17, 124). Plinio

ricorre a formule anomale per i Galli come «Boii condidere, Insubres condidere» che ricordano l’interesse del censore per le origini delle città. Logicamente, anche se è assurdo, Eporedia, che non è registrata come colonia, è «a populo Romano condita», mentre la colonia di Augusta Praetoria è una città dei Salassi… L’associazione tra popoli indigeni e città – sempre con un riferimento a Catone – si presenta in modo differente per la Venezia. L’elenco delle città costiere segue l’uso normale, senza indicazioni di tipo etnico. Per l’interno, invece, Plinio ritorna alla procedura della Transpadana, raggruppando le città per popoli, ma senza mai ricorrere a condere.20
Fa la distinzione tra colonie di fondazione romana (Cremona, Aquileia, Iulia Concordia,21 Tergeste e Pola), senza
indicazione, e città come Brixia e Ateste, legate a popoli indigeni. Questa differenza è interessante perché potrebbe testimoniare l’esistenza di un elenco urbano-etnico, redatto prima della formazione delle colonie di Brixia e Ateste, e che Plinio avrebbe incrociato con la lista augustea. Il panorama delle Alpi è ancora più sconcertante e Plinio non riesce a raggruppare la catena in un capitolo unico. Sembra ignorare l’esistenza delle province alpine. Le Alpi si dividono in due parti. Ad est, nel Noricum, dopo la conclusione sull’Italia, «diis sacra»,22
s’incontrano delle città vere, elencate in ordine quasi circolare, da Celeia a Flavia Solva.23 Sono tutte delle fondazioni imperiali, soprattutto di Claudio. Il resto delle Alpi è maggiormente integrato all’Italia (III, 20, 133-138) e ci ritroviamo i Salassi, ma senza Aosta questa volta.24
Gli Octodurenses e i
Ceutroni sono stranamente di statuto latino, perché Plinio sembra ignorare i due fora creati da Claudio nelle loro valli. In un altro capitolo, dedicato alla Narbonensis, Plinio, dopo la lista delle regiones, elenca diversi nomi di popoli alpini al nominativo, come se fosse passato da una lista ufficiale dell’amministrazione romana ad una fonte di tipo etnologico, il che potrebbe corrispondere a un momento in cui questi popoli non erano ancora sottomessi.25 Claudio Tolomeo è ovviamente più sistematico (fig. 2). La maggior parte delle città è situata sulle grandi strade, in accordo con la Tabula Peutingeriana. Le città sono ordinate in province e poi in comunità etniche. Il confine dell’Italia è a volte indicato, ad esempio a Iulium Carnicum, limite tra Italia e Noricum.26
Ma, nel libro III, 1, 26-43, per l’Italia settentrionale e
l’Istria, la lista è ordinata per popoli. Come Plinio, Tolomeo ha conservato il nome Octodurus (Ἐκτόδουρον) per Forum Claudii Vallensium (II, 12, 5). La scelta etnologica può essere spiegata dal fatto che Tolomeo, come Plinio e Strabone, si serve anche di fonti invecchiate. Però hanno tutti e tre anche delle fonti ufficiali recenti. Secondo l’ipotesi del Van Berchem, il facchinaggio a pagamento riduceva le strade ai nomi dei popoli che ci vivevano.27 Questi tre autori danno poche indicazioni sul limite delle Alpi e sui confini. Plinio, in
particolare, integrava i Salassi, gli Oromobii, una parte dei Reti e i Tarvisani nella descrizione dell’Italia. Tolomeo integra nel capitolo III, 1, corrispondente all’Italia, la parte ligure delle Alpi meridionali, da Nizza a Genova, e poi le città delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie (sola Ocelum) e delle Alpes Graiae….

Cisalpina ed Alpi secondo Plinio

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https://www.academia.edu/resource/work/41551057

ALTO GARDA/DOSS PENEDE : DAL BRONZO ATTRAVERSO RETI E ROMANI

La campagna di scavo condotta dall’Università di Trento con la Soprintendenza per i beni culturali e il Comune di Nago Torbole

È l’archeologia delle Alpi, quella che racconta come dalla seconda età del Ferro, che ha inizio alla fine del VI secolo a.C, si passò, nel I secolo a.C. al dominio di Roma. Lo scavo archeologico di Doss Penede (Nago-Torbole, Tn), dell’università di Trento, è un sorprendente incontro di un vasto insediamento retico in un punto dominante tra Alto Garda, valle del Sarca e assi di penetrazione verso nord, nel cuore delle alpi e poi nell’Europa settentrionale. Ora ci sono i ruderi del castello medievale (XII secolo), ma sicuramente già nell’età del Ferro la sommità era occupata. Quel che è certo è che, nella collina sottostante, in un punto panoramico mozzafiato, ora occupato dalla boscaglia, una serie di terrazzamenti formavano un insediamento piuttosto imponente, sia sotto Roma, sia in precedenza, quando questi erano i territori dei Reti.

Il mondo retico, nella sua parte meridionale, è caratterizzato, dal punto di di vista archeologico, dalla cosiddetta Cultura di Fritzens-Sanzeno, ben riconoscibile per alcune tipologie materiali, ceramiche a strisce, fibule, ma soprattutto la tipologia abitativa, la casa retica, che a Doss Penede non manca. Poi arrivano i Romani. In questa parte del mondo retico sembra che il loro insediamento avvenga lentamente, con un assorbimento della cultura della potenza mediterranea da parte delle popolazioni locali. Con la campagna di Druso, del 15 a.C. in altre aree retiche andò diversamente. (Da Archaeoreporter Angelo Cimarosti)

Doss Penede

L’ultima campagna di scavo condotta dall’università di Trento con la soprintendenza per i beni culturali della provincia di Trento e il comune di Nago Torbole nel sito archeologico di Doss Penede ha permesso di portare alla luce nuovi rinvenimenti che vanno dall’Età del bronzo alla seconda Età del ferro, fino al periodo romano. L’area – informa una nota – era conosciuta già a partire dagli anni Novanta, ma è divenuta oggetto di indagine solo a fine 2018

Quello che abbiamo scoperto finora ci permette di ipotizzare che l’insediamento non sia nato come iniziativa spontanea di una comunità locale, ma piuttosto come progetto organico, frutto di un’iniziativa pubblica, probabilmente legata alla città di Brixia (Brescia)”, spiega Emanuele Vaccaro, ordinario di Archeologia classica all’Università di Trento e responsabile scientifico dello scavo. “Doss Penede – prosegue il docente – conosce tre grandi periodi di occupazione: la prima, più antica, risale all’Età del bronzo, tra la metà del 14/o secolo a.C. e il secolo successivo. Il sito si caratterizza poi per un’espansione significativa nella seconda Età del ferro, quando il territorio altogardesano era abitato dalle popolazioni retiche. L’ultima grande occupazione si colloca tra la romanizzazione e la tarda età imperiale, all’incirca tra la metà del 1/o secolo a.C. e gli inizi del 4/o secolo d.C”.


    I risultati della campagna 2022 hanno permesso di circoscrivere il sito a più di tre ettari, occupati capillarmente. “È un luogo estremamente importante nell’ambito della ricerca archeologica del Trentino, in primo luogo per l’estensione, ma anche per lo stato di conservazione stupefacente e per il ruolo particolare di questo luogo rispetto alle testimonianze emerse finora nell’Alto Garda. Le prospettive di ricerca sono davvero importanti, soprattutto considerando che fino ad ora è stata indagata una minima parte dell’area”, aggiunge Cristina Bassi, archeologa della Soprintendenza per i beni culturali.


    La campagna di scavo 2022, che coinvolge anche studenti dell’università di Trento, Ferrara, Modena, Reggio Emilia e Verona, si fermerà nei prossimi giorni per la consueta pausa invernale. (ANSA).

LINK:

https://www.researchgate.net/publication/344953664_Il_sito_preromano_e_romano_del_Doss_Penede_Nago-Torbole_TN_la_campagna_di_scavo_2019

ANTICHI POPOLI DELLA CISALPINA CELTI E NON CELTI

Quando parliamo dei popoli antichi che hanno abitato la regione Padana ed Alpina ,quella che sarà chiamata poi dai Romani Gallia Cisalpina , dobbiamo ovviamente pensare ad un vero e proprio mosaico di tante diverse popolazioni . Ad esempio, parlando dei Galli essi erano diversamente cugini tra loro . Insubri e Cenomani avevano avuto una diversa etnogenesi solo per fare un esempio.. Altri popoli Celti, i Boi e soprattutto i Senoni erano fortemente fuse con le popolazioni etrusche ed umbre tanto da creare una koinè celto- italica.

Nel Piemonte e sugli Appennini la commistione con Liguri fu ancora più forte. Altre popolazioni come i Camuni e i Triumphilini erano definiti come Euganei e seppur molto affini ai Reti avevamo assorbito anche molti elementi etruschi, celtici e venetici. I Reti sulle Alpi, affini ai Tirreni per lingua, avevano anche loro assorbito molti elementi celtici e venetici così come i Veneti ,affini a loro volta linguisticamente ai Latini. Nel video che qui segue il vicedirettore del Gruppo Archeologico Comasco ci descrive appunto questo complesso mosaico di popoli e nazioni. Buona visione .

Elmo Celto-Ligure da Berceto

PASSEGGIATE NELLA PREISTORIA DELLA VALTELLINA

L’edizione 2022 del progetto prende avvio dalle giornate Europee dell’Archeologia (17-18 giugno) e si conclude ad ottobre. Sono previste numerose iniziative, visite guidate, laboratori, conferenze a Castione Andevenno, Sondrio, Teglio, Grosotto, Grosio e Sondalo.



Scarica la locandina con il calendario completo

Scarica locandine e materiali sulle singole iniziative:

17-18 giugno | Passeggiate rupestri a Castione, Sondrio e Teglio.

Locandina | Programma e itinerari Teglio

24 settembre | Il paesaggio rituale nelle preistoria Valtellinese.

Programma e itinerari Teglio
2 agosto, 25 settembre, 15 ottobre | Parco delle incisioni rupestri di Grosio e Grosotto.

Programma Grosio

RETI VENETI E CELTI NEL CADORE PREROMANO

Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità
Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00

GRUPPO ARCHEOLOGICO CADORINO in collaborazione con MAGNIFICA COMUNITÀ DI CADORE
presenta

Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano

Relatore Gioal Canestrelli
Laureato in lettere antiche presso l’Università degli studi di Verona, dove vive e lavora, ha partecipato a numerosi scavi archeologici e dal 2004 si occupa attivamente di Archeologia Sperimentale ed è curatore di varie pubblicazioni. E’ conosciuto anche per i suoi contributi diffusi nelle piattaforme social e nei vari eventi culturali di ricostruzione storica.

La presentazione spazierà dalle leggende alla storia raccontata, con particolare attenzione ai rapporti di interscambio tra culture e con riferimenti all’area alpina, a quella dolomitica e al Cadore.

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Primo di un ciclo di tre incontri che coprono 1500 anni della nostra storia:

“Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano”, relatore Gioal Canestrelli
Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00 – Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità di Cadore

“L’avvento di Roma nelle Alpi Orientali – Riscontri militari – Aspetti di vita civile quotidiana: il vetro” Relatori Fabio Spagiari e Elisabetta Malaman
Sabato 30 aprile 2022 ore 17.00 – Calalzo di Cadore, Sala consiliare

“L’arco alpino Orientale: cultura materiale e società:
Epoca longobarda 568-774 – Epoca carolingia 774-884”
Relatori Gabriele Zorzi e Dario Ceppatelli
Sabato 7 maggio 2022 ore 17.00 – Lozzo di Cadore, Sala Pellegrini

Ingresso libero, nel rispetto delle vigenti disposizioni sanitarie

Presentazione di un ciclo di tre conferenze a carattere storico-archeologico organizzato dal GAC con la collaborazione di Magnifica Comunità di Cadore, MARC, Comune di Calalzo e Comune di Lozzo di Cadore per i mesi di aprile e maggio 2022.

Da Evropantica