MILANO ANTICA SEGUENDO LE SUE VIE D’ ACQUA.

MOSTRA “LE VIE D’ACQUA A MEDIOLANUM”. MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO -MILANO

Vetri romani e cesoie

Questa mostra nasce dalla collaborazione tra il Museo Archeologico Civico , la Soprintendenza Archeologia Belle Arti di Milano e il supporto scientifico Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’ antica Mediolanum, ancora più della moderna Milano, ha avuto un rapporto strettissimo con le acque di tanti fiumi, canali, marcite che attraversano il suo territorio . Questo stretto rapporto che ha modellato la città e ne ha influenzato il destino, viene ripercorso come filo conduttore della mostra e diventa anche l’ occasione per mostrare i più recenti reperti archeologici emersi dagli scavi urbani.

Patera del tesoro di Lovere ( BG)
Patera del tesoro di Lovere (BG)

L’esposizione, che comprende oltre 300 reperti in gran parte inediti, rappresentati da oggetti d’uso quotidiano e di pregio, quali sculture, gioielli, affreschi, è accompagnata da un ricco apparato grafico e fotografico, che illustra le progressive trasformazioni della città condotte parallelamente a continue opere volte all’amministrazione delle risorse idriche.
Il percorso intende quindi collegare la città antica e la metropoli moderna, evidenziando come l’accorta gestione delle risorse idriche e il loro sfruttamento per le attività produttive e i commerci abbiano accompagnato e determinato lo sviluppo di Milano dalle sue origini (V secolo a.C.) sino ad oggi.

La mostra, arricchita anche dal contributo di MM Spa riguardo la gestione dell’acqua oggi, è accompagnata da un catalogo edito da Nomos edizioni, grazie al finanziamento di UNIC-Lineapelle.

La mostra segue un itinerario temporale che va dalle prime tracce dell’utilizzo dell’acqua fino alla fine dell’era imperiale, quando Milano venne scelta come capitale dell’Impero Romano e la città subì una profonda trasformazione con la costruzione di grandiosi edifici pubblici, quali il Circo, il Palazzo imperiale , gli Horrea , le Terme Erculee, e con una espansione delle mura cittadine e del fossato ad esse adiacente.

SEZIONE I – ACQUA E PRIME FASI URBANISTICHE DELLA CITTÀ

Ceramica celtica- VASI DI TRADIZIONE CELTICA
Ceramica
IV-Ill sec ac
Milano, area dell’anfiteatro romano (via De Amicis/via Arena) SABAP Milano, St. 20.883 20.927 +20.941 St 203149, St. 20.586, St. 20.033 20.940
Durante le indagini effettuato nell’area dell’anfiteatro nel 2019-2020 è stata individuata una buca ricolma di frammenti ceramici, che consentono di ricostruire quasi interamente numerose forme. Si tratta soprattutto di vasi per la preparazione e il consumo di pietanze e bevande databili tra la fine del V e il II secolo a.C. Tali materiali sono forse da riferire ad offerte di tipo alimentare e a banchetti praticati presso un luogo di culto di epoca pre-romana situato nell’area e deposti nella buco nel momento in cul la zona fu adibita od altre funzioni.
Ceramica celtica

Partendo dalle prime fasi di vita della città di Milano viene illustrato il ruolo dell’acqua nella configurazione del primo abitato e la successiva costruzione del primo circuito murario, difeso da un fossato alimentato da corsi d’acqua appositamente deviati.

Il rinvenimento nella zona compresa tra via Santa Croce e via Calatafimi – a breve distanza dalla “cerchia interna” – di un corso d’acqua trasformato dall’intervento umano, oltre a rivestire notevole importanza per la ricostruzione delle vie d’acqua in epoca romana, ha consentito il recupero di un’imponente quantità di reperti di diversa natura presentati per la prima volta al pubblico nel percorso espositivo. Essi attestano non soltanto la presenza di attività legate all’acqua, ma restituiscono anche innumerevoli testimonianze della vita quotidiana, talvolta agiata, degli abitanti di Mediolanum, che avevano facile accesso a merci di importazione e svolgevano attività redditizie, come ostentano alcuni monumenti funerari appartenute a commercianti della città nei primi secoli.

Ricostruzione area portuale via Santa Croce
Cavigliere insubri ed armilla
OLLETTA CON DECORAZIONE A EXCISIONE VASE WITH EXCISED DECORATION

Terra sigillata gallica

Primi decenni del il secolo d.c.

Pioltello, Cascina Gabbadera

SABAP Minc, St. 160307

olletta decorata con un motivo vegetale realizzato incavando la superficie del vaso quando forgia è ancora tresca (tecnica definita excisione). te “terre sigillate” provenienti dal comprensorio nord-orientale della Gallia potevano giungere in Cisalpina sfruttando perconsi viari che facevano capo a Mediolanum, da cui si diramavano le strada dirette alle principali città della Padania.
Ceramica aretina con scene di Vendemmia.CALICE DELL’ATELIER DI PERENNIUS BARGATHES TERRA SIGILLATA

Primi decenni del secolo d.c

Miana via Moneta

Calice decorato a matrice con una scena di vendemmia di satir, in terra sigillata, ceramica fine da mensa rivestita da uno strato di argilla finissima che otteneva un colore rosso brillante in cottur Si tratta di un prodotto importato come si deduce dal bollo (marchio di fabbrica) M. PERE BAR in due cartigli separati riferibili all’atelier di M. Perennius Bargathes localizzato ad Arezzo, tra i principali luoghi di produzione di terra sigillata in Italia
Materiali ceramici, anfore e lucerne da via Calatafimi -S.Croce
Applique a forma di serpente marino, animale acquatico e sigillata
Lucerna con pescatore ed amida pesca
Catena e fiocina da pesca
Ricostruzione di area fluviale commerciale

SEZIONE II – L’ ACQUA UNA RISORSA DA GESTIRE : LA REGIMAZIONE.

Collo di anfora con titulus pictus indicante Ga His il Garum (salsa di pesce) Hispanicus
Tappo di anfora con figura di” bonus eventus” I-II sec d.C Milano foro Bonaparte
Gruppo di pentole in bronzo e tappi di ancora

L’accurata gestione dell’acqua da parte dell’amministrazione romana si traduceva sia in opere monumentali, come gli acquedotti (di cui Milano, proprio per la sua ricchezza idrica, non ebbe mai bisogno, ma ricordate da numerose emissioni monetali appartenenti alla collezione del Civico Medagliere), sia in un virtuoso sistema di canalizzazioni – dal fossato intorno alle mura a più contenuti canali di scolo ai lati delle strade – di cui sono state registrate molte evidenze. 
Ampiamente diffusi a Mediolanum erano i pozzi per attingere l’acqua di falda, presenti all’interno di ogni abitazione privata.

Anfore utilizzate nelle opere di bonifica
Anfore utilizzate per drenare l’acqua


Un documento straordinario esposto in mostra è una porzione di pompa idraulica in legno e piombo, eccezionalmente recuperata dal fondo di un pozzo romano, il cui sistema di funzionamento rappresenta una testimonianza dell’alto livello raggiunto nella tecnologia idraulica dai Romani. Le loro avanzate competenze tecniche sono altresì attestate dai diversi sistemi adottati per consolidare i terreni umidi e fortemente imbibiti, caratteristici di molte aree del centro di Milano, rendendoli adatti anche a sostenere edifici monumentali.

Resti di pompa idraulica romana
Ricostruzione ideale della pompa idraulica:

SEZIONE III- ACQUA ED ATTIVITÀ PRODUTTIVA A MEDIOLANUM

mosaico pavimentale di triclino. 16 riquadri floreali con al centro il dio Dioniso. via Illica Milano età imperiale
Frammento di affresco – motivo a candelabro I sec a.C- Inizio I sec d.C piazza Fontana Milano
Affresco motivo a gemme colorate I sec a..C inizio I sec d.C. Milano Piazza Fontana
Affresco con Bucranio – I sec d.C Via del Lauro

L’abbondanza di acqua giocò inoltre un ruolo fondamentale per lo sviluppo in città di attività artigianali per tutta l’età romana. Accanto alla produzione ceramica è la lavorazione dei metalli, dei tessuti e delle pelli a dare lustro ai Milanesi: eccezionale è il rinvenimento di un vero e proprio distretto conciario emerso in piazza Meda durante le attività di scavo archeologico preliminare alla realizzazione di un parcheggio (una ricostruzione virtuale inserita nel percorso ricostruisce la fisionomia di questo impianto). Un dato che conferma il ruolo di Milano come centro manifatturiero di rilievo, ruolo mantenuto lungo tutta la sua storia. 

Matrici a placca per appliques in terra sigillata – via Calatafimi I sec.d. C.
Matrici di appliques di sigillata
Frammenti di terra sigillata
Matrici per la parte superiore delle lucerne . Età imperiale
GEMMA MAGICA CON ANGUIPEDE Milano Piazza Meda. Anguipede è raffigurato con testa di gallo e piedi di serpente. Con un braccio tiene lo scudo ( con lettere IAW indicante il Dio di Israele)e con un altra mano una frusta. Sul retro le lettere AB/PA/CA con significato numerico astrologico di 365 come le stelle che circondano l ‘ anguipede

SEZIONE IV -L ‘ ACQUA NELLA MEDIOLANUM TARDO IMPERIALE.

Foto degli scavi di Piazza Meda a Milano. Sono testimoniate le modifiche in epoca imperiale di una area conciaria
Piazza Meda conceria in età imperiale
Ricostruzione di un affresco esterno lungo i portici. Piazza Meda Milano
Ricostruzione dove era posizionato l ‘ affresco sopra- piazza Meda Milano età tardo antica

Tra gli edifici monumentali antichi connessi all’uso e alla celebrazione delle virtù benefiche dell’acqua spiccava il grandioso complesso delle Terme Erculee, riccamente ornate con marmi policromi di varia provenienza e costruite per volere dell’imperatore Massimiano nel momento in cui Milano, alla fine del III secolo d.C., viene scelta come residenza imperiale. La presentazione di questo imponente complesso, al quale in origine appartenevano il colossale Torso di Ercole e un mosaico pavimentale già parte del percorso permanente di visita del museo, è integrata con l’esposizione di ulteriori materiali ed è accompagnata da un breve video che propone una ricostruzione virtuale dell’ambiente del tepidarium, appositamente realizzata per questa mostra.

SEZIONE V – L’ACQUA NEI CONTESTI ABITATIVI.

Frammento di affresco
Erote – frammento di affresco
Elemento di fontana a forma di pigna ( I-III sec d.C) e Rubinetto a forma di gallo

Oltre che in ambito pubblico, nel mondo romano l’acqua ricopriva ovviamente un ruolo centrale anche all’interno delle abitazioni private, sia per scopi strettamente funzionali e di servizio che, nel caso delle residenze di maggior prestigio, per finalità di carattere ludico-ricreativo e ornamentale.
I giardini delle domus appartenenti a famiglie facoltose erano spesso arricchiti da fontane, vasche, sculture e altri arredi marmorei utili a godere dei piaceri dell’acqua, a impreziosire gli ambienti e a esibire il lusso privato.

SEZIONE VI LA SACRALITÀ DELL’ACQUA

La funzione dell’acqua come strumento di purificazione diffusa nel mondo pagano e successivamente ereditata dalla Cristianità determinò il suo largo impiego nei rituali, compresi quelli funerari. La presenza di corsi d’acqua in prossimità di molte necropoli milanesi risponde probabilmente a necessità di diverso tipo, dalla volontà di delimitare le aree funerarie a quella di disporre di acqua corrente per i rituali della morte. In questa sezione sono esposti alcuni corredi funerari recuperati dalle necropoli che circondavano la città

Corredi funerari
Parte superiore di monumento funerario

SEZIONE VII – L ‘ACQUA DOPO MEDIOLANUM

Il percorso si conclude con una linea del tempo che evidenzia, attraverso la riproduzione di importanti fonti documentarie (planimetrie, disegni, quadri, fotografie), la progressiva trasformazione della rete idrografica cittadina, dallo sviluppo dei canali navigabili – che per secoli sono stati parte integrante del paesaggio di Milano – fino alla loro scomparsa.
Oggi l’acqua continua a scorrere abbondante nel sottosuolo della città e, oltre a soddisfare le esigenze di suoi abitanti, grazie agli impianti di depurazione continua ad alimentare le campagne a sud del centro urbano.



Il catalogo della mostra è edito da Nomos editore.

Nota personale:

La mostra è molto interessante e propone tanti piccoli reperti inediti . Tuttavia , a mio parere , la parte relativa alla sacralità dell’acqua è deficitaria per quanto riguarda la centralità del battesimo nel Cristianesimo che sarà motore centrale della tarda romanità . Inutile ricordare qui l’importanza della figura di Sant’Ambrogio. Aggiungo qui un link personale alla relativo proprio alle fonti battesimali di Milano:

LA LOMBARDIA DEL PRIMO MILLENNIO: UN PONTE TRA MEDITERRANEO E NORD EUROPA

Da riviste.unimi.it

Il volume raccoglie gli Atti di un Convegno internazionale tenutosi presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano il 28-29 novembre 2019. L’incontro aveva lo scopo di sollecitare nuove prospettive di ricerca attraverso lo scambio e il confronto tra specialisti di diversa formazione, nel superamento di rigidità periodizzanti e barriere disciplinari. I contributi si concentrano sull’area oggi definibile come lombarda, vista nei suoi rapporti con altre realtà geografiche in una prospettiva di lungo periodo (dall’età imperiale romana sino a tutto l’alto medioevo), e affrontano tematiche di storia politica, militare, economica, religiosa e culturale.

SAGGI

INTERO NUMERO

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LOMELLINA ANTICA IN MOSTRA FINO A DICEMBRE 2023 A VIGEVANO.

Presso le  Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano  dal 10 febbraio al 4 dicembre 2023, sarà possibile ammirare  l’esposizione completa della collezione Strada, recentemente acquisita dal Ministero della Cultura , affidata ora al Museo archeologico nazionale della Lomellina a Vigevano.

L’acquisizione al patrimonio dello Stato è avvenuta con un esproprio per pubblica utilità, reso possibile dalla Soprintendenza per le province di Como, Lecco, Monza Brianza, Pavia, Varese. Questo permetterà la conservazione unitaria, lo studio e l’esposizione al pubblico della collezione raccolta da Antonio Strada (1904 – 1968), e custodita fino al 2021 nella dimora della famiglia nel Castello di Scaldasole.

Emanuela Daffra, direttore regionale Musei della Lombardia si esprime in merito in questo modo «Questa esposizione completa è, insieme, il passaggio intermedio di un percorso e l’apice ‘pubblico’ della collezione. Dopo l’anteprima, che ha immediatamente offerto ai nostri visitatori i reperti più importanti ed integri, questa mostra è voluta per permettere a studiosi e appassionati di conoscere la totalità dei pezzi, tutti restaurati per l’occasione. Sarà un affondo importante sulla storia del collezionismo privato in Lomellina, che ora giunge ad arricchire il patrimonio collettivo e la storia del territorio. Anche per questo abbiamo voluto una ampia durata ed una ricca serie di attività per pubblici diversi. Al termine della mostra, con cognizione di causa, i nuclei più significativi confluiranno nell’esposizione permanente del museo imponendone una rilettura, a testimonianza di come il patrimonio archeologico non sia immobile».

La raccolta comprende 260 oggetti di epoche diverse , dalla preistoria all’età rinascimentale, ma è particolarmente centrata sul periodo compreso tra la romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e la prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.).

La gran parte dei rinvenimenti proviene da reperti scoperti a seguito di lavori agricoli. Si tratta di  corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Troveremo esposti ceramiche di uso comune, a terrecotte figurate, oggetti d’ornamento, utensili di metallo e vetri . Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Un capolavoro di fattura mediorientale destinata ad una famiglia ricca e di rango.

Sempre tra i materiali in vetro , vanno citate come piccoli capolavori anche una pisside in vetro blu e una anforetta porpora con decorazione piumata in bianco.

«Tutti i reperti della Collezione saranno esposti in un’unica sala che verrà caratterizzata, anche dal punto di vista grafico e visivo, rispetto agli altri spazi museali. L’allestimento sarà concepito in modo da enfatizzare i pezzi più importanti, gli altri reperti saranno raggruppati per tipologie. I pannelli guideranno il visitatore evidenziando non solo la sequenza di lettura dei reperti, ma anche le reciproche connessioni con il resto della collezione museale.»

Strada non si limitò a raccogliere i reperti rinvenuti nei suoi possedimenti.

«L’esposizione completa degli oggetti ci permettere di cogliere anche i modi della formazione della raccolta, che si configura come “collezione di collezioni”», ci spiega Rosanina Invernizzi, co-curatore scientifico della mostra. «Ai reperti già posseduti dai suoi antenati, Antonio Strada aggiunse altri nuclei acquistati da collezionisti del territorio della Lomellina: tra essi, in particolare, la raccolta Steffanini di Mortara (che comprendeva la coppa di Aristeas) e la raccolta Volpi-Nigra di Lomello, che includeva anche reperti di provenienza magno greca. Altri piccoli nuclei furano aggiunti nel tempo frutto di acquisti, doni o scambi. Non mancano, come spesso accade nelle collezioni, pezzi falsi o di dubbia antichità, ma nell’insieme la raccolta Strada ci mostra un quadro di attivi scambi tra i proprietari e soprattutto quell’interesse per le” antichità patrie” caratteristico degli anni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.»

Dopo il lungo periodo di esposizione, i reperti della Collezione Strada, selezionati, diverranno parte integrate del percorso museale del Museo Archeologico nazionale della Lomellina.

LINKS:

https://www.informatorevigevanese.it/eventi/2023/02/09/event/la-collezione-strada-260-reperti-in-mostra-al-museo-archeologico-nazionale-della-lomellina-di-vigevano-555558/

https://archeologiavocidalpassato.com/tag/collezione-strada-a-vigevano/

SULLO STESSO ARGOMENTO:

https://wp.me/paEVnZ-1di

Altri links:

https://museilombardia.cultura.gov.it/musei/museo-archeologico-nazionale-della-lomellina/

VETRI ROMANI DELLA COLLEZIONE STRADA IN MOSTRA A VIGEVANO

Da Orobie.com

Raccoglie una selezione di 45 oggetti archeologici appartenenti alla collezione Strada. Formata da Antonio Strada (1904-1968) a partire da un nucleo di reperti rinvenuti nei terreni di famiglia già nel XIX secolo e arricchita anche con successivi acquisti da altre collezioni, raccoglie 269 pezzi appartenenti a un arco cronologico che si estende per oltre 18 secoli, dalla preistoria all’età longobarda, con particolare concentrazione di oggetti databili tra l’età della romanizzazione (II-I secolo avanti Cristo) e la prima epoca imperiale romana (I-II secolo dopo Cristo).

Oggetti in vetro di età romana

Il nucleo più prezioso è costituito dagli oggetti in vetro di età romana tra i quali spicca la splendida coppa firmata da Aristeas, databile al secondo quarto del I secolo dopo Cristo, un vero e proprio unicum per la qualità e l’eccezionale stato di conservazione.

Balsamario biansato in vetro soffiato blu, con anse bianche applicate, da Garlasco. Prima metà I secolo d.C.

Si tratta di un’anteprima, preludio all’esposizione dell’intera collezione che avverrà entro l’anno. Anteprima doverosa perché conclude, garantendo la fruizione pubblica, una azione di tutela da parte del ministero della Cultura che ha inizio nel 1999, quando la collezione fu dichiarata di eccezionale interesse.

Ricchezza eccezionale

Conservata nel castello di famiglia a Scaldasole, la collezione Strada era nota agli studiosi già a partire dagli anni Sessanta del Novecento, soprattutto per la ricchezza e la qualità del vasellame in vetro.

Brocca piriforme monoansata, in vetro soffiato color ambra con decorazione applicata a macchie bianche, da Scaldasole. Metà I secolo d.C.

Tuttavia l’importanza dell’insieme, la ricchezza in relazione al contesto lomellino, la qualità e l’eccezionalità di alcuni oggetti consigliavano l’acquisizione a favore di un museo pubblico, per garantirne una più ampia fruibilità, favorirne lo studio e diffonderne la conoscenza. Il ministero ha perciò deciso di avviare la procedura di esproprio per pubblica utilità con assegnazione al Museo archeologico nazionale della Lomellina.

La mostra è progettata dalla Direzione regionale Musei Lombardia, con a capo Emanuela Daffra, e dal Museo archeologico nazionale della Lomellina diretto da Stefania Bossi.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA DI VIGEVANO

La Collezione

Da Lombardia.cultura.gov.it

Il percorso si snoda nelle diverse sale in ordine cronologico. La sala I ospita la documentazione relativa all’età preistorica e protostorica. La seconda sala espone i corredi funerari di età romana (fine I secolo a.C. – II secolo d.C.). La terza sala espone oggetti relativi agli abitati e alla vita quotidiana, mentre la quarta raccoglie manufatti di epoca tardo antica e altomedioevale (III – VII secolo d.C.). L’ultima sala infine è adibita a mostre ed esposizioni temporanee.

Corredo maschile da Gambolò
Corredo di Gambalò
Vetri
Vetri romani
Tomba del guerriero
Tomba del guerriero di Valeggio
  • Corredo maschile da GambolòAll’interno dell’urna decorata coperta da una ciotola è stato rinvenuto un ricco corredo appartenente sicuramente a un personaggio d’alto rango, data la grande concentrazione di bronzi. Si tratta di oggetti decorativi tra cui spilloni fermavesti, anelli, frammenti di cintura (anelli e pendagli), armille e collari.
  • VetriNei corredi tombali (soprattutto femminili) di età romana sono stati rinvenuti diversi recipienti in vetro soffiato, prevalentemente databili al I secolo d.C. Di forma elegante e piacevoli nei colori, erano utilizzati per diversi scopi, sia come contenitori di cibi e liquidi che come boccette per profumi, unguenti e balsami.
  • Tomba del guerriero Il corredo di questa tomba, proveniente dalla necropoli di Valeggio, presenta elementi che caratterizzano il defunto come guerriero, tra cui una spada ancora racchiusa nel fodero, la punta di una lancia, i resti di uno scudo e un coltello. A questi si aggiungono: utensili da toeletta (rasoio e pinzette in bronzo), recipienti in ceramica grezza e una moneta in argento.
  • Statuetta del vignaiuolo .Queste statuette, realizzate a stampo e talvolta dipinte, compaiono nei corredi funerari della Lomellina, tra l’età lo augustea e la metà del I secolo d.C. Qui
Tesoretto di Antoniani dell’epoca di Gallieno

NUOVA ACQUISIZIONE.

Una nuova, prestigiosa, acquisizione per il Museo archeologico della Lomellina: si tratta dell’ara votiva di Manilius Iustus, concessa in deposito al museo e recentemente restaurata. L ‘ara in marmo di Candoglia rappresenta il sacrificio del celebrante Manilius Iustus di un toro agli antenati ( rappresentati nei tre busti). La datazione è del secondo venticinquennio del I sec d.C.

LE ABITAZIONI ROMANE DI MEDIOLANUM

Dottorato di ricerca dal titolo

L’EDILIZIA ABITATIVA DI MILANO IN ETÀ ROMANA Autori: 

MASSARA, DANIELA

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://air.unimi.it/retrieve/handle/2434/616907/1147445/phd_unimi_R11330.pdf&ved=2ahUKEwj8geuUwtj3AhXJPOwKHSPKDl8QFnoECAQQAQ&usg=AOvVaw2bFMk5NS8jVWQVAAjb3EZB

Fai clic per accedere a phd_unimi_R11330.pdf

UNA NECROPOLI GALLO ROMANA VICINO A MAGENTA

Nel 2005, durante la costruzione della linea ferroviaria Alta Velocità, nella
tratta Novara-Milano2   grazie ad un meticoloso lavoro di sorveglianza  archeologica sui cantieri  dei sovrintendenti  , veniva messa in luce una necropoli tardoromana .

Ritrovamenti dalle tombe tardoromane

Allargando l’area degli scavi venivano man mano scoperte  anche tombe a cremazione romane del del I secolo d.C..  Il progressivo allargamento degli scavi evidenziava la presenza anche di tombe celtiche .

Resti di corredi romani del I sec.d.C.


Nonostante il carattere molto verosimilmente parziale del ritrovamento, considerando che le tombe celtiche  sono vicine al limite nordoccidentale dell’area che è stato possibile indagare e che l’ampio canale di età ancora successiva a quella romana passa proprio in questo punto intaccando alcune strutture, questa scoperta  permetteva comunque di
riportare indietro di alcuni secoli la prima frequentazione dell’area. Nulla sappiamo purtroppo – come accade spesso per le antiche comunità celtiche stanziate sul nostro territorio – della collocazione né delle dimensioni dell’abitato, probabilmente un pagus (villaggio) secondo le testimonianze degli autori antichi relative all’insediamento per
piccoli nuclei sparsi. Particolarmente suggestivo è il ritrovamento dei resti di una struttura lignea circolare interpretata come possibile luogo di culto.

Ritrovamenti della necropoli celtica
Resti di struttura circolare (luogo di culto?)

Il volume della sovraintendenza è un diario di viaggio di queste scoperte.

TRATTO DALLA COLLANA DELLA SOVRAINTENDENZA ARCHEOLOGICA DELLA LOMBARDIA:

http://www.archeologica.lombardia.beniculturali.it/index.php?it/196/collana-di-archeologia-preventiva.

MEDIOLANUM : DOVE VENNERO BATTEZZATI SANT’AGOSTINO E SANT ‘AMBROGIO.

BATTISTERO DI SAN GIOVANNI ALLE FONTI

Ispirato ai mausolei imperiali, riprende la simbologia del numero “otto” per ricordare la rinascita dell’uomo nuovo.Qui fu battezzato Agostino, nella Pasqua del 386.

 Luca FRIGERIO

Fu nel battistero di San Giovanni alle Fonti a Milano che, secondo la tradizione, Agostino ricevette il battesimo da Ambrogio, nella veglia pasquale del 386. Battistero che lo stesso vescovo, come hanno dimostrato anche le più recenti indagini archeologiche , avrebbe fatto erigere nei primi anni del suo episcopato, e i cui resti sono ancora oggi visibili sotto il sagrato del Duomo.

Ricostruzione del battistero di San Giovanni alle fonti ai tempi di Sant’Ambrogio
Il battistero di San Giovanni alle fonti nell’alto medioevo

L’edificio, significativamente, è a pianta ottagonale, con una diagonale di circa venti metri. Uno schema architettonico ispirato a modelli laici e imperiali del IV secolo, come il mausoleo milanese di Massimiano, ma qui reinterpretato in chiave cristiana sulla base del significato simbolico del numero otto: «Il settimo giorno indica il mistero della legge, l’ottavo quello della risurrezione», scriveva infatti lo stesso Ambrogio. “ Tomba”, cioè, dell’uomo vecchio e al medesimo tempo luogo di rinascita dell’uomo nuovo, secondo le note parole dell’apostolo Paolo.

San Giovanni alle fonti battistero

Otto lati aveva anche l’ampia vasca posta al centro del battistero, cui si accedeva per tre gradini: immerso fino alle gambe, procedendo verso oriente (e quindi verso la luce), il catecumeno si presentava al vescovo per essere asperso con un’acqua sempre fluente , emblema di vita.

Il battistero di San Giovanni tra le due basiliche Maior S.Tecla e vetus S. Maria

Se le strutture murarie presentano caratteristiche tipiche dell’età ambrosiana, la decorazione interna di San Giovanni alle Fonti fu realizzata e rinnovata in fasi diverse, come rivelano i materiali recuperati: il pavimento era lastricato a losanghe, mentre le pareti apparivano rivestite da pannelli di marmi policromi, in parte sostituiti in epoca medievale con affreschi; sulla volta, invece, si stendeva un mosaico a fondo d’oro.

Demolito attorno al 1394, quando si decise di protrarre la fronte della nuova cattedrale, il battistero fu individuato già agli inizi del Novecento , ma venne scavato interamente solo nel 1961, per volontà del cardinal Montini e in occasione dei lavori per la linea metropolitana, e quindi reso accessibile al pubblico.

SANTO STEFANO ALLE FONTI

Da wikipedia

Il battistero di Santo Stefano alle Fonti è stato un battistero della città di Milano. Era il più antico edificio cristiano della città lombarda[1]. La sua costruzione iniziò nel 313 in epoca tardoimperiale , nell’anno dell’editto di milano , che concesse a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani , la libertà di onorare le proprie divinità[3].

Nel battistero di Santo Stefano alle Fonti fu battezzato, nel 374 Sant’Ambrogio probabilmente dal vescovo Limenio di Vercelli . Il battistero di Santo Stefano alle Fonti si trovava in corrispondenza della sacrestia settentrionale del moderno Duomo di Milano, per la cui costruzione venne demolito – in concomitanza con la parte orientale della vicina Santa Maria maggiore – nel 1386.[4]

La sua costruzione, che iniziò nel 313  e che fu precedente a quella della vicina basilica vetus (poi ridenominata  cattedrale di Santa Maria maggiore ), fu effettuata durante il periodo in cui la città romana di Mediolanum era la capitale dellimpero romano d’occidente dal 286 al 402 d.C., rendendo il battistero di Santo Stefano alle Fonti il più antico edificio religioso cristiano della città lombarda[1].

Il battistero di Santo Stefano alle Fonti fu innalzato nell’anno dell’ editto di Milano [2], che concesse a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani , la libertà di onorare le proprie divinità, in epoca trardoimperiale romana .

Il complesso episcopale di Milano sovrapposto alla moderna piazza del Duomo . Il complesso episcopale, che fu demolito per poter permettere la costruzione del Duomo, era costituito dalla basilica di Santa Tecla ( originariamente chiamata basilica maior o basilica nova), il  battistero di San Giovanni alle fonti , la cattedrale di Santa Maria Maggiore ( originariamente chiamata basilica vetus o basilica minor) e il battistero di Santo Stefano alle Fonti

Il battistero di Santo Stefano alle Fonti, insieme alle vicine basilica vetusbasilica maior (poi ridenominata  basilica di santa tecla ) e battistero di san Giovanni alle fonti  formava il “complesso episcopale”[1]. La presenza di due basiliche  molto ravvicinate era infatti comune nel nord Italia  durante l età costantiniana e si poteva trovare, in particolare, in città sedi vescovili[3]. Nel battistero di Santo Stefano alle Fonti fu battezzato, nel 374 ,sant’Ambrogio.

Il battistero di Santo Stefano alle Fonti era situato in corrispondenza della sacrestia settentrionale del moderno duomo di Milano e venne demolito, insieme alla parte orientale della basilica vetus , nel 1386, per poter permettere proprio la costruzione del moderno  duomo di Milano e più nello specifico la sua sacrestia.[5]

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RICOSTRUITO IL VOLTO DI SANT’AMBROGIO:

Vi rimando ai seguenti Link:

https://storiearcheostorie.com/2021/12/04/ricostruzioni-ecco-il-volto-di-santambrogio-arcivescovo-e-patrono-di-milano/

https://milano.repubblica.it/cronaca/2021/12/03/news/ecco_com_era_il_volto_di_sant_ambrogio_la_maschera_3d_a_grandezza_naturale_da_meta_dicembre_esposta_nella_basilica-328758493/

Ricostruzione del viso di Sant’Ambrogio
La ricostruzione del viso di S.Ambrogio
La ricostruzione del Viso di SantAmbrogio. Noi abbiamo voluto un po’ artigianalmente aggiungere barba e capelli così come appare nel mosaico nel sacello di San Vittore in ciel d ‘oro

LE PIETRE DI MEDIOLANUM RIVIVONO

Una recentissima fatica del prof Antonio Sartori coadiuvato da Serena Zoia sulle epigrafi , le pietre della antica Mediolanum ci aiuta a conoscere tante storie antiche di una città così multiedrica e particolare come quella di Milano antica. Le epigrafi rinvenute e raccolte al museo archeologico di Milano sono tra le più cospicue di tutta la Cisalpina se escludiamo Aquileia Verona e Brescia.

Dal sito : https://laricerca.loescher.it/mediolanum-e-le-sue-pietre-una-recente-pubblicazione/

Nell’opera sono schedati, in modo parimenti chiaro e rigoroso, 473 documenti epigrafici, la maggior parte dei quali trovati a Milano e dintorni, in epoche diverse. Non mancano però iscrizioni qui confluite da collezioni private (ad es. quella delle famiglie Archinto o Picenardi), o addirittura esito di bottino di guerra (ad es. quello del condottiero di età rinascimentale Gian Giacomo Trivulzio, di faticoso trasporto dalla lontana Osimo, presso Ancona), e dunque provenienti da altre località (tra le altre: Como, Cremona, Brescia, Varese, Roma): ma su tutto ciò è bene leggere quanto scrive Antonio Sartori alle pp.9-14. L’opera è inoltre corredata da indici minuziosi e da una sterminata bibliografia: una vera miniera per gli addetti ai lavori.

Stele di due coniugi che si tengono per mano

Aspetti di vita sociale

Come sempre capita, l’epigrafia ci mostra onori a magistrati o imperatori, altari dedicati a divinità, menzioni di opere pubbliche, ma – soprattutto – è fatta di monumenti funerari, di gran lunga la tipologia maggiormente prodotta dalle “officine epigrafiche” milanesi (delle quali parla Serena Zoia alle pp. 15-18). L’atto dello scrivere di sé, del lasciare memoria del proprio operato e di quello della propria famiglia, assume infatti nel mondo romano una dimensione rilevante, che ha dato origine – come hanno scritto in passato autorevoli studiosi – a una sorta di “letteratura da strada”; una Spoon River Anthology d’altri tempi, insomma.

Stele dei due soci Magi

Se pure non manca nella raccolta milanese la menzione di qualche “pezzo grosso” della storia con la S maiuscola (ad es. Germanico, Marco Aurelio o Caracalla), o di qualche notabile di pregio, mi soffermerò soprattutto su qualche iscrizione che allude alla vita della “gente comune”, con una definizione

con una definizione volutamente generica tanto da comprendere un range che va dai piccoli imprenditori agli schiavi.

Arti e mestieri

Troviamo così, nella già laboriosa Milano di allora, Caius Atilius Iustus il sutor caligarius (“calzolaio”) che con l’imponenza della sua costosa stele funebre decorata ci fa capire di essere titolare di un’azienda artigiana (nr. 60 = CIL V, 5919 = EDR12241). Non mancano – e come potevano mancare nella capitale della moda! – produttori o commercianti di stoffe, come i linarii, che lavoravano il lino (nr. 106 = CIL V, 5923 = ERD 124245) o il negotiator sagarius, che vendeva mantelli pesanti (nr. 83 = CIL V, 5929 = EDR 124251). Meritevole di menzione anche la stele funeraria di due esponenti della gens Magia, che si stringono la mano e che decorano il piccolo timpano con martello e tenaglie; erano soci d’affari, pensiamo, magari in qualche piccola officina (nr. 65 = CIL V, 6036 = EDR 124360). E che dire del veterano Publius Tutilius, soldato di professione, che ricorda sul suo monumento funebre di essere stato decorato da Augusto in persona (nr. 107 = CIL V, 5832 = EDR 124149)? O del gladiatore Urbicus, schiavo eppure star indiscussa dell’anfiteatro, morto a ventisei anni lasciando moglie e figlie, le quali – sul monumento funebre – invitano i fan del defunto a coltivarne la memoria (nr. 59 = CIL V, 5933 = EDR 124255)? Dalle loro figure emerge una Milano romana che lavora, produce, combatte, ma che non vuole neppure rinunciare allo svago, e cioè al panem et circenses di cui parlava Giovenale.

I legami tra le persone

Accennavo prima alle commoventi parole della moglie del gladiatore, il che ci fa riflettere su come l’epigrafia sia stata anche un modo per lasciare traccia non solo del proprio successo, ma anche della “qualità” dei legami sociali e familiari: abbiamo dunque mogli e mariti che ricordano una vita in comune, ma anche persone che documentano più o meno solidi legami di patronato o amicitia.

Marcus Cassius Cacurius e la moglie Atilia Manduilla (i cui cognomina denunciano un’origine celtica) si tengono per mano nel bel ritratto quasi “espressionistico” della loro stele (nr. 63 = CIL V, 5985 = EDR124306), lasciandoci immaginare una serena vita familiare, insieme con i due figli menzionati. Non posso poi certo tacere i sentimenti di Claudius Severus, marito che afferma di avere passato diciassette anni di matrimonio con Oppia Vera, moglie sanctissima, casta, incomparabilis (nr. 235 = CIL V, 6060 = EDR 124384). Ma ancor meno possiamo omettere la menzione di un anonimo patrono che ricorda con commozione il suo liberto Petronius Primitivusqui in arte sua quod fecit quis melius quod bene non alius e cioè – più o meno (il latinorum è un po’ sgrammaticato…) – “ciò che ha fatto male, nel suo lavoro, l’ha comunque fatto meglio di ogni altro” (nr. 195 = CIL V, 5930 = EDR 124252). D’altronde del legame fortissimo tra ex schiavi ed ex padroni abbiamo a Milano numerose testimonianze: non ultima la celeberrima “stele dei Vettii”, nella quale patroni e liberti, uniti nella sepoltura, sono parimenti gratificati da eleganti ritratti (nr. 68 = CIL V, 6123 = EDR 124448).

con una definizione volutamente generica tanto da comprendere un range che va dai piccoli imprenditori agli schiavi.

Arti e mestieri

Troviamo così, nella già laboriosa Milano di allora, Caius Atilius Iustus il sutor caligarius (“calzolaio”) che con l’imponenza della sua costosa stele funebre decorata ci fa capire di essere titolare di un’azienda artigiana (nr. 60 = CIL V, 5919 = EDR12241). Non mancano – e come potevano mancare nella capitale della moda! – produttori o commercianti di stoffe, come i linarii, che lavoravano il lino (nr. 106 = CIL V, 5923 = ERD 124245) o il negotiator sagarius, che vendeva mantelli pesanti (nr. 83 = CIL V, 5929 = EDR 124251). Meritevole di menzione anche la stele funeraria di due esponenti della gens Magia, che si stringono la mano e che decorano il piccolo timpano con martello e tenaglie; erano soci d’affari, pensiamo, magari in qualche piccola officina (nr. 65 = CIL V, 6036 = EDR 124360). E che dire del veterano Publius Tutilius, soldato di professione, che ricorda sul suo monumento funebre di essere stato decorato da Augusto in persona (nr. 107 = CIL V, 5832 = EDR 124149)? O del gladiatore Urbicus, schiavo eppure star indiscussa dell’anfiteatro, morto a ventisei anni lasciando moglie e figlie, le quali – sul monumento funebre – invitano i fan del defunto a coltivarne la memoria (nr. 59 = CIL V, 5933 = EDR 124255)? Dalle loro figure emerge una Milano romana che lavora, produce, combatte, ma che non vuole neppure rinunciare allo svago, e cioè al panem et circenses di cui parlava Giovenale.

Stele di Urbicus

I legami tra le persone

Accennavo prima alle commoventi parole della moglie del gladiatore, il che ci fa riflettere su come l’epigrafia sia stata anche un modo per lasciare traccia non solo del proprio successo, ma anche della “qualità” dei legami sociali e familiari: abbiamo dunque mogli e mariti che ricordano una vita in comune, ma anche persone che documentano più o meno solidi legami di patronato o amicitia.

Museo archeologico di Milano

Marcus Cassius Cacurius e la moglie Atilia Manduilla (i cui cognomina denunciano un’origine celtica) si tengono per mano nel bel ritratto quasi “espressionistico” della loro stele (nr. 63 = CIL V, 5985 = EDR124306), lasciandoci immaginare una serena vita familiare, insieme con i due figli menzionati. Non posso poi certo tacere i sentimenti di Claudius Severus, marito che afferma di avere passato diciassette anni di matrimonio con Oppia Vera, moglie sanctissima, casta, incomparabilis (nr. 235 = CIL V, 6060 = EDR 124384). Ma ancor meno possiamo omettere la menzione di un anonimo patrono che ricorda con commozione il suo liberto Petronius Primitivusqui in arte sua quod fecit quis melius quod bene non alius e cioè – più o meno (il latinorum è un po’ sgrammaticato…) – “ciò che ha fatto male, nel suo lavoro, l’ha comunque fatto meglio di ogni altro” (nr. 195 = CIL V, 5930 = EDR 124252). D’altronde del legame fortissimo tra ex schiavi ed ex padroni abbiamo a Milano numerose testimonianze: non ultima la celeberrima “stele dei Vettii”, nella quale patroni e liberti, uniti nella sepoltura, sono parimenti gratificati da eleganti ritratti (nr. 68 = CIL V, 6123 = EDR 124448).

Scena da sacrificio mediolanum

Già ho accennato al monumento che ricorda un gruppo di linarii, cioè commercianti di lino: sulla loro stele collettiva compare traccia della parola amicus abrasa, cancellata, forse perché un’amicizia tanto stretta da ipotizzare una sepoltura comune si è poi rotta a causa di chissà quali casi della vita. Si sa, certi legami vanno e vengono, ieri come oggi; quelli che rimangono (anche solo in controluce…) sulla pietra, però, lasciano memoria assai più duratura di quelli sbandierati sugli odierni social.

Qualche curiosità religiosa

Certo, però, non posso cavarmela così. Come ho già detto, infatti, la “foresta di segni” epigrafici (spero che Baudelaire mi perdoni…) che il mondo romano ci ha lasciato è andata ben al di là della sfera funeraria. Due parole ancora, dunque, sul mondo religioso dei Milanesi di allora, il cui pantheon era piuttosto variegato, e andava da divinità più tradizionali come Giove, Giunone, Minerva, Mercurio etc. ad altre celtiche, come le Matrone, od orientali, come Iside e Mitra. Sono però solo due i documenti che voglio ora citare, in quanto per me hanno sempre avuto un fascino particolare: si tratta di modestissimi altari di pietra, che denotano contesti cronologici e storico-politici molto diversi. Sono entrambi in ruvido granito locale: nulla a che fare con l’elegante dedica a Giove, in marmo di Candoglia (lo stesso del “nostro” Duomo!), che proviene da Angera, sul Lago Maggiore, e che rappresenta la scena di un sacrificio (nr. 99 = CIL V, 5472 = EDR 010349).

Museo archeologico di Milano

Il primo monumento è un’ara trovata in Brianza e dedicata a Giove Ottimo Massimo da Pilades, un saltuarius (“guardiaboschi”), per propiziare la salvezza e la vittoria (pro salute et victoria) del suo padrone Lucius Verginius Rufus (nr. 254 = CIL V, 5702 = EDR 163792). Amo questo monumento perché è perfetta sintesi di “microstoria” (la vita di uno schiavo) e “macrostoria” (il ruolo di Rufo). Infatti Rufo non era uno qualunque, ma un potentissimo generale originario di Mediolanum o di Comum a lungo di stanza in Germania, che – durante il cosiddetto “anno dei quattro imperatori”, il 69 d.C. – fu secondo Tacito acclamato anch’egli imperatore dalle proprie truppe, rifiutando però la carica. Mi piace pensare che l’abbia fatto, tra l’altro, per potere tornare a godersi in pace i suoi possedimenti boschivi dove Pilades lavorava, ubicati tra le verdi colline brianzole, allora non ancora minate come oggi da traffico e urbanizzazione selvaggia.

Ricostruzione monumento funerario Museo Archeologico Milano

Il secondo oggetto, se mai è possibile, è ancora più “grezzo”, ed è una dedica di un tale Cassius Vitalio a una divinità molto particolare, il Deus Magnus Pantheus, e cioè il “Dio grande che li comprende tutti” (nr. 169 = CIL V, 5798 = EDR 124118). Non siamo più, come nel caso precedente, nel I sec. d.C., ma nel III avanzato, quando la diffusione del cristianesimo è già significativa. È come se il Nostro, davanti all’affermazione del nuovo credo, rivendicasse anche al “suo” mondo pagano la possibilità di sviluppare un monoteismo, per così dire, “concorrenziale” rispetto a quello incarnato dalla divinità cristiana, rivale temibile e di lì a poco trionfatrice. Cassius sembra capire, insomma, che il paganesimo ha le 

 le ore contate, ma lo vorrebbe vedere resistere e combattere fino all’ultimo, a Mediolanum (allora caput imperii) come altrove, provando con la fantasia a creare, se necessario, nuovi dei. Il suo atteggiamento assume pertanto una sfumatura per certi versi eroica, per certi altri nostalgica o malinconica, proprio come l’epoca nella quale viveva.

Questo, e molto altro, offre il catalogo appena pubblicato; certo, è opera di consultazione e non di lettura divulgativa, dalla mole impegnativa e dalla reperibilità non troppo immediata. Ma tutto questo è normale, perché siamo davanti a un lavoro pensato per “durare”, che passerà di sicuro tra le mani di generazioni di studenti universitari e di studiosi e – perché no? – anche di qualche docente di Liceo in cerca di spunti innovativi per le sue lezioni. Ma pur nel tecnicismo e nell’apparente aridità di informazioni profuse sugli oggetti studiati, è impossibile non vedere nel testo un sentimento vibrante, una tensione emotiva, uno slancio morale, che chi scrive ben conosce, perché sono tipici di Antonio Sartori, custode da decenni dell’epigrafia milanese. Si tratta di qualità che Sartori ha, senza dubbio, profuso pure nei propri allievi: Serena Zoia, in questo caso e – spero – un po’ anche nel vostro recensore, che chiude il suo pezzo denunciando ancora una volta la sua evidente parzialità. Che è solo di questa volta, però, lo prometto.

MONTE BARRO UN BALUARDO ALPINO A DIFESA DI MILANO

Il sistema di fortezze del Monte Barro è un esempio di castelli fortificati (castra) sorti lungo l’arco alpino e prealpino nella fase tardo antica dell’occupazione romana ,Lo scopo di tali fortezze fu quindi quella di difendere, contro le incursioni barbariche , le città allora capitali dell’impero romano occidentale: Milano (286-402 d.C.) e Ravenna (402-476 d.C.).

Milano certamente ancora conservava una grande rilevanza, in virtù alla sua posizione centrale rispetto ai collegamenti della pianura padana con il centro Europa.

Lungo il confine dell’insediamento romano a ridosso della regione alpina (il limes subalpino, ovvero l’ampio tracciato fortificato posto all’imbocco delle vallate alpine e sui laghi) sorge uno scacchiere difensivo costituito da città fortificate in retroguardia e altre più avanzate verso i valichi, attorniate da castra minori, in siti naturalmente difesi, successivamente usati dai goti e da bizantini.

Postazioni fortificate si registrano infatti anche nella parte centrale del limes, nell’area dei laghi (3). Tra queste, diverse postazioni fungevano principalmente da posti di vedetta e controllo del territorio e delle principali vie di transito dirette ai valichi alpini: è questo il caso, per esempio, del vasto complesso fortificato utilizzato tra il V e VI secolo all’epoca della dominazione gota in Italia, portato alla luce sulla parte sommitale del Monte Barro, da una ben nota e significativa campagna di scavo archeologico condotta in anni relativamente recenti .