ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE: LA RIPRODUZIONE DELL’ARMAMENTO DEI GALLI CISALPINI.

Un contributo importante per capire meglio le modalità di produzione e di uso dei manufatti antichi è costituito dalla archeologia sperimentale . Diversi specialisti e appassionati si sono dedicati a riprodurre fedelmente manufatti antichi per carpirne tutti i segreti . Qui di seguito vi proponiamo il contributo e le ricerche sulle armi dei Galli CISALPINI :

FODERO DI SALICETA S.GIULIANO

Qui lo studio e ricerca delle decorazioni del fodero riferito alla sepolcreto di Saliceta San Giuliano. Lo staff composto dagli archeologi Thierry Lejars, Anna Bondini dal restauratore Renaud Bernadet e da Vincenzo Pastorelli per la realizzazione dei punzoni e della replica completa. La particolarità delle decorazioni collocano questo fodero tra i 10 esemplari esistenti. Questa operazione a evidenziatol’esatta sagoma degli sbalzi e delle particolari decorazioni impresse

MUSEO ARCHEOLOGICO BOLOGNA

Dalla collaborazione tra Museo Civico Archeologico e  Vincenzo Pastorelli, artigiano del ferro e ricostruttore sperimentale di antichi modelli di armi, è nato il progetto che ha portato alla realizzazione di un cinturone, di una spada, di un fodero e di una lancia celtici in ferro. Sono fedeli riproduzioni dei materiali della tomba di Ceretolo, rinvenuta nello scavo del 1877 a Casalecchio di Reno (Bologna), un cardine per lo studio della presenza Celtica in Italia.

Si tratta di un’operazione di archeologia ricostruttiva, che prevede di ottenere manufatti in tutto simili a quelli antichi, senza però passare per la sperimentazione per quanto riguarda le tecniche di realizzazione.

Si sono ottenuti manufatti che riproducono fedelmente i reperti archeologici nella loro funzionalità originaria: le nuove armi possono essere toccate, indossate, sperimentate.

Indossando la catena di sospensione della spada sarà possibile saggiare come il fodero rimanesse fermo senza ostacolare il cammino e la corsa del guerriero, toccando letteralmente con mano l’abilità degli artigiani gallici.

ARMAMENTO DEI GALLI BOI ( da res bellica)

ARMAMENTO GALLI SENONI ( da res bellica)

ELMO DI GOTTOLENGO

IL SISTEMA DI SOSPENSIONE A CATENA

MODALITÀ D ‘USO DELLA SPADA CELTICA ( DA EVROPAANTIQVA)

LA SPADA CELTICA (DA EVROPAANTIQVA)

CELTI GOLASECCHIANI A SESTO CALENDE

Se ci affascina comprendere la civiltà dei Celti sorta sulle rive del lago Maggiore ed lungo il Ticino non possiamo perderci il museo di Sesto Calende e la storia dei ritrovamenti di questo territorio.

Tanti reperti archeologici , piccoli pezzetti di una vita passata , fatti da oggetti  semplici  riposti con cura ed amore dagli antichi Celti nelle tombe dei loro cari , sono ancora oggi la voce  di queste persone e ci aprono uno specchio sulle tante vite di allora . Sono anche la principale fonte  per la conoscenza della Cultura di Golasecca che,  tra i principali insediamenti protostorici con  maggiori concentrazioni demografiche dell’Italia settentrionale, si insediò a partire daI I millenio a. C. nella zona di confine tra la Lombardia occidentale e il Piemonte orientale, creando una cultura  celtica originale,  particolarmente  influenzata dagli etruschi e dai celti transalpini .

Essa attraversò diverse fasi che la condussero a partire dal IX ad una costante fioritura fin verso il V sec. A. C. per poi confluire nella cultura gallica insubre del periodo storico

Quasi tutti i reperti esposti, vasellame, utensili per l ‘ igiene e l’abbigliamento, oggetti di ornamento in metallo , ambra e coralli  provengono da necropoli nella zona compresa tra Golasecca, Castelletto sopra Ticino e Sesto Calende.  

Colpisce il visitatore  la Tomba del Tripode, del  VI sec a. C.,  sepolcro rinvenuto nella necropoli in zona Mulini Bellaria. Essa consiste nell’urna cineraria e nel  corredo funerario principesco  di una donna di alto rango. Peccato non conoscerne bene la sua storia se non attraverso gli oggetti che l ‘hanno accompagnata nel suo ultimo viaggio.

Situla celtico-golasecchiana al museo di Sesto Calende (Va)

Un altro elemento decisamente importante della raccolta è il collo di un bicchiere con leggibili iscrizione celtica in carattere nord etrusco basata sul cosiddetto “alfabeto di Lugano”

Iscrizione celtica in caratteri nord etruschi . Museo di Sesto Calende

La zona archeologica del museo comprende poi una esposizione di reperti di età precedente alla Cultura di Golasecca ed altri  posteriori che, dal periodo gallico, attraverso quello romano, giungono sino all’insediamento medievale di Sesto Calende.

Ricostru

I pezzi di epoca medievale esposti evidenziano una Sesto Calende fiorente,  sviluppata soprattutto intorno all’abazia di San Donato. Da qui provengono due plutei antichi, mentre altri preziosi oggetti sono giunti dalla collezione Bellini.

Il museo, nato nei primi anni del dopoguerra e ufficializzato nel 1954 dalla Sovrintendenza alle Antichità, nacque inizialmente come raccolta ed esposizione archeologica ma, successivamente, venne ampliato e in questi spazi si sono poi sviluppate una Pinacoteca ed un’area Naturalistica.  In quest’ultima è raccolta una preziosa collezione di fossili pliocenici ritrovati in massima parte a Cheglio di Taino, situato sulla riva varesina del Lago Maggiore. Il materiale è stato recentemente classificato e include differenti specie  vegetali e animali.

PER APPROFONDIRE SULLE SCOPERTE DEI CELTI GOLASECCHIANI NEL TERRITORIO DI SESTO CALENDE su accademia.eu:

https://www.academia.edu/resource/work/7076511

https://www.academia.edu/resource/work/7076484

https://www.academia.edu/resource/work/7085633

https://www.academia.edu/resource/work/7085633

https://www.academia.edu/resource/work/13068775

https://www.academia.edu/resource/work/38973189

https://www.academia.edu/resource/work/7751607

https://www.preistoriainitalia.it/ricerca/la-sacerdotessa-del-tripode-di-sesto-calende-e-le-sue-sorelle-donne-sacre-nella-cultura-di-golasecca/

ZIXU COLLANA MONOGRAFICA DI STUDI SUI CELTI GOLASECCHIANI:

https://www.interlinea.com/cerca.php?s=Zixu

Altri links:

https://www.academia.edu/resource/work/345116

GALLI SENONI AD ARCEVIA MONFORTINO

Il nome di Montefortino è conosciuto a livello internazionale in tutto il mondo archeologico perché c’è un elmo, detto appunto «elmo tipo Montefortino», che fu ritrovato in questo paesino durante l’aratura di un appezzamento agricolo.
La sua storia è molto antica e risale al tempo dei Galli Senoni, che si erano stabiliti fra questi colli dell’ Appennino Marchigiano e dei quali è stata trovata una necropoli e una fonte sacra. Dell’intero territorio gallico Montefortino era probabilmente il baluardo celtico più meridionale, al confine con gli Etruschi e i Piceni.

Gli scavi della necropoli di Montefortino.

La necropoli di Montefortino di Arcevia (AN), pur con le limitazioni dovute alle modalità di scavo e di documentazione, costituisce a tutt’oggi il più cospicuo complesso rappresentativo della presenza celtica nelle Marche, uno dei maggiori dell’Italia centro-settentrionale. Situata in zona Pianetti, essa fu oggetto di indagine da parte di E. Brizio, direttore del Museo di Bologna e Commissario per gli scavi in Emilia Romagna e nelle Marche, tra il 1894 e il 1899.
I primi rinvenimenti si ebbero in proprietà Giampieri/Carletti già nel 1892, mentre l’esplorazione “regolare” proseguì, poi, anche negli attigui poderi Marcellini e Anselmi. Lo scavo si svolse con metodologia alquanto approssimativa e molti reperti furono comunque asportati dai proprietari dei terreni, non esistendo ancora all’epoca, peraltro, chiare normative di tutela. Furono comunque recuperate almeno 47 sepolture a fossa per lo più di grandi dimensioni e di forma rettangolare, spesso con cassa lignea.
Nei casi in cui era presente la cassa lignea, questa conteneva il solo inumato con pochi oggetti, mentre la gran parte del corredo funerario era disposto all’esterno, sul fondo della fossa.


I materiali provenienti dagli scavi “regolari” entrarono subito a far parte delle collezioni del Museo Nazionale di Ancona mentre altri confluirono in esso successivamente per acquisto dalle raccolte private.
Le tombe, in numero pressoché uguali tra maschili e femminili, presentano corredi che mostrano, accanto a componenti culturali centro-europee, una immediata e forte assimilazione nella Koinè ellenistica italica, nelle sue ideologie e modi di vita: i corredi maschili sono quasi sempre caratterizzati da armi offensive e difensive (lance, spade, elmi “tipo Montefortino” ecc.), mentre quelli femminili da ornamenti talora preziosi in oro, argento e vetro. Questi ultimi sono sia di tipologia celtica che d’importazione, come per altro molti dei restanti oggetti (ceramiche e bronzi), chiaramente riferibili, per la stragrande maggioranza, ad ambito etrusco, nonché magno-greco e forse anche greco proprio. Particolarmente significativa è la presenza, apparentemente ubiquitaria sia nei corredi maschili che femminili, degli apparati da banchetto e simposio, come coltelli e spiedi in ferro, calderoni, teglie, colini, brocche e situle in bronzo, nonché vasellame da mensa in ceramica di vario tipo. La necropoli copre un arco di tempo tra la metà circa del IV secolo a.C. e i primi decenni del III.(da archeo media.net)





Le corone d ‘oro dei Celti

ELMO TIPO MONFORTINO

Da roma-victrix.com

Elmo di bronzo (e raramente di ferro) di tradizione etrusco-italica o celtica (la questione è ancora dibattuta) conosciuto come Montefortino (dal nome della necropoli marchigiana che ne restituì alcuni esemplari),
Sulle origini di questo elmo che soppiantò praticamente tutte le tipologie allora in uso presso le truppe romane, si confrontano diverse linee, che sostanzialmente sostengono una, la derivazione del Montefortino da elmi Celtici (Boi e Senoni nel momento storico del loro insediamento nella pianura padana) e l’importazione da parte di popolazioni etrusche di questo elmo, e l’altra, con riferimento ai ritrovamenti di questo elmo in tombe celtiche, a bottini di guerra e a contatti commerciali con le popolazioni italiche (il Feugére classifica il Montefortino come etrusco-italico).
Divenuto comunque l’elmo più comune in uso presso le legioni romane, si distingue per la semplicità della forma emisferico-conica (forse conum era il nome all’epoca; Varrone DLL,V,24), del bordo conformato orizzontalmente, paranuca leggermente accennato, e pomello (apex) in cima al coppo a volte forato per l’inserimento di piume rosse o nere (crista), di oca o cigno, alte 45 cm (un cubito; Polibio, Historiae, VI,23) e fuso in un pezzo unico con lo stesso coppo. In corrispondenza delle tempie, le cerniere che sostenevano le paragnatidi mobili (bucculae), la cui ampiezza e forma anatomica, permettevano di proteggere guance, zigomi e mento; le paragnatidi erano fissate anche, tramite cinghie, ad un anello o due presenti nel paranuca (saldato internamente o applicato con ribattini), anche allo scopo di dare stabilità all’elmo. Alcuni esemplari di paragnatidi dei reperti più antichi, presentano decorazioni che secondo alcuni studiosi deriverebbero dalle tipiche corazze sannitiche; in questi esemplari anche la calotta risulta particolarmente decorata (classificazione A del Coarelli).
Le caratteristiche fondamentali sopra descritte (costanti nella produzione, nonostante la cospicua quantità dei reperti rinvenuti) fanno ipotizzare una produzione di decine di migliaia di esemplari nei secoli.
La lastra di partenza per la costruzione (fusa e poi battuta) era piuttosto spessa agli inizi della comparsa di questo elmo, per poi peggiorare nei secoli, probabilmente a causa dell’aumentare della domanda, come si evince anche dalla progressiva scomparsa di dettagli ornamentali: dapprima presenti sulle paragnatidi sul paranuca (classificazione Coarelli B, la cui diffusione è attestata soprattutto in Etruria), e in seguito sul solo paranuca (Coarelli C).

La produzione dell’elmo Montefortino si ipotizza cessi nel primo quarto del I secolo a.C.

Particolare di cippo funerario in pietra con raffigurato un elmo Montefortino, con 
paragnatidi e cresta a coda di cavallo.
La presenza, dietro all’elmo, di quella che parrebbe essere una spada kopis (o machaira), 
farebbe datare il cippo a non oltre il III secolo a.C., anche se la datazione ufficiale lo colloca
tra la seconda metà del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C.
cassides montefortino36s
(Cortesia Parco Archeologico di Carsulae – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria-IT. 
Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo)

Due esemplari di elmi Montefortino in ferro, con relative paragnatidi, 
databili al IV-III secolo a.C.; dalla necropoli celtica di Arcevia (AN).
cassides montefortino30s
(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Elmo in bronzo con ricche lavorazioni incise, sia sulla parte inferiore che superiore del coppo e borchie ai lati; paragnatidi trilobate con lavorazioni a sbalzo. Sull’apice del coppo un imponente punta tricuspidata di ferro per cresta o piume. Dalla necropoli celtica di Filottrano (AN); 
seconda metà del IV secolo a.C.
cassides montefortino31s
(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Esemplare di bronzo con ricca lavorazione sulla fascia inferiore del coppo e con 
borchie sui lati, con paragnatidi trilobate di ferro con contorni di bronzo; 
da Fabriano (AN) e databile al 360 a.C.9

360 a.C.

(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Esemplare che presenta caratteristiche molto simili, se non uguali, ai reperti precedenti. 
Da San Ginesio (MC), e databile alla prima metà del IV secolo a.C.
cassides montefortino33s
(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Esemplare databile al IV-III secolo a.C. con pomello decorato con foglie ornamentali; scanalature parallele e un nastro lavorato con motivi a lisca di pesce circondano l’elmo nella parte inferiore della calotta. Due ribattini di ferro per l’attacco delle paragnatidi, sono visibili su ogni lato. La sporgenza di un anello (probabilmente quello rimasto di due, presenti in precedenza) rimane sulla parte posteriore del paranuca. Altezza cm 18,5, peso gr. 1180.

Elmo databile al III secolo a.C. dalla necropoli celtica di Serra San Quirico (AN).
(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Elmo ben conservato, dalla necropoli celtica di Arcevia-I Pianetti (AN), 
databile alla seconda metà del III secolo a.C. Bordo decorato a torciglione e puntinatura, 
e bottone apicale decorato; conserva anche l’anello sotto il paranuca e uno degli anelli su una delle paragnatidi, per la chiusura con il laccio di cuoio.
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(Cortesia Museo Archeologico Nazionale delle Marche – Ancona-IT)

Esemplare catalogato anche come Montefortino-Canosa (IV-III secolo a.C.); altezza cm 18,3, peso gr. 220. Presenta al vertice del coppo dei residui del porta cresta di ferro, accanto al pomello di bronzo.
cassides montefortino05s
(Cortesia Hermann Historica, International Auctioneers – Munich-D)

Montefortino con paragnatide superstite e con iscrizione interna (úlúverna 
un nominativo sud piceno), e databile al IV-III secolo a.C. da Canne (BA).
Altezza del reperto cm 33,5, altezza della calotta cm 19,8, lunghezza della 
paragnatide cm 13,7, diametro della calotta cm 18×23,5; lunghezza del paranuca cm 2,8.cassides montefortino06s
cassides montefortino07s
(Cortesia Museo Archeologico Nazionale Firenze-IT)

Questo esemplare (tipo A del Robinson), proviene dalla necropoli gallica detta 
“Benacci” nel territorio bolognese. Le due paragnatidi non sono uguali ne’ 
per forma ne’ per misura, ad indicare che una delle due è stata recuperata da un altro elmo; 
entrambe presentano nella parte inferiore i fori dove erano alloggiati i ganci che 
tenevano le corregge in cuoio che partivano da sotto il paranuca.
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(Cortesia e Copyright Museo Civico Archeologico Bologna-IT)

Esemplare con paragnatidi trilobate, databile alla fine del IV secolo a.C.-metà III secolo a.C.
Produzione centro-italica.
cassides montefortino27s
(Cortesia Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia-Roma-IT. Su concessione
della Soprintendenza per Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale)


MANUFATTI IN FERRO DI EPOCA GALLICA- SPADE CELTICHE.

In questo articolo vi è una revisione dei principali ritrovamenti in ferro di epoca celtica Lateniana dell’area centrosettentrionale della penisola italiana corrispondente alla Gallia Cisalpina : articolo originale di Daniele Vitali tratto da persee.fr melanges de ecole francaise de Rome.

CLICCA QUI SOTTO PER L ARTICOLO:

DUE SPADE GALLICHE DA GHISALBA

Nel 1986 sono state restaurate due spade galliche provenienti da Ghisalba .

La prima spada proviene uno sterro effettuato nel giardino del “Castello”.La spada è inserita nel fodero in ferro ed è mancante del codolo della impugnatura. Il fodero era decorato nella parte inferiore . Si conservano alcuni tratti di cerchi e linee incise riconducibili al motivo dei Dragoni affiancati . La spada è databile per la tipologia del fodero al Medio La Tene III Sec. a C.

La seconda spada proviene dal greto del fiume Serio ad ovest del paese( presso un antico guado della strada Francesca).La spada in ferro conserva parte del fodero seppur lacunoso. La spada per la progressiva schematizzazione dei singoli elementi , è stata datata alle fasi finali del La Tene medio.

Spade galliche da Ghisalba

Tratto da notiziario sopraintendenza archeologica della Lombardia 1986

L’ELMO CELTICO DA GOTTOLENGO

Da bresciaturismo.it

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L’elmo di Gottolengo venne ritrovato nel 1925 presso la cascina Lumaghina lungo la strada che da Gottolengo porta a Pavone Mella, insieme a frammenti di altri oggetti presumibilmente appartenenti a corredi di ricche sepolture celtiche. Tuttavia solo i frammenti dell’elmo pervennero nel 1927 al Museo Romano di Brescia, dove vennero inizialmente interpretati non correttamente, come applique decorative di uno scudo altomedievale.

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-sopra ricostruzione elmo di Gottolengo-
Solo negli anni ’50 gli elementi frammentari dell’elmo trovarono la loro corretta collocazione cronologica e tipologica.

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Databile stilisticamente alla fine del IV – inizio III secolo a.C., l’elmo si colloca nella fase storica in cui il territorio bresciano vide l’insediamento della tribù celtica dei Cenomani.
Per quanto fortemente lacunoso, esso appartiene alla tipologia degli elmi celtici in ferro con apice conico e paranuca (completamente perduti a causa della corrosione del ferro), completato con appliques e paragnatidi o paraguance in bronzo decorate a sbalzo con motivi tratti dal mondo animale e vegetale.
Della calotta in ferro resta solo una piccola parte del margine inferiore del lato sinistro, al quale si salda una delle applique e lungo cui correva un nastro di bronzo con borchiette. Le applique di bronzo sono poste sopra le paragnatidi e una di esse è ancora fissata alla calotta in ferro mediante un chiodino con capocchia a forma di rosetta. La decorazione, resa sulla lamina di bronzo a sbalzo sul rovescio e rifinita a bulino sul diritto, reca il motivo “a lira zoomorfa”, ovvero due linee curve contrapposte che racchiudono alla base un tondo a cerchi concentrici entro il quale si trova il chiodino con capocchia a rosetta che fissa l’applique alla calotta di ferro. Le due volute del motivo a lira terminano con due teste di uccello dal lungo becco ricurvo i cui occhi servivano a far passare ulteriori chiodini per il fissaggio. Sopra le teste ornitomorfe, un calice floreale a volute capovolte completa il motivo a lira, fondendo sapientemente i motivi zoomorfi, portato di una mentalità e una concezione artistica propria al mondo celtico-lateniano (come viene chiamato il periodo al quale appartengono stilisticamente le decorazioni dell’elmo), e quelli fitomorfi di influenza greco-etrusca.
Le paragnatidi hanno una forma triangolare scandita da tre tondi a rilievo, utili a racchiudere le capocchie dei ribattini che ancoravano la lamina di bronzo a quella retrostante in ferro. Lo spazio tra i tondi è riempito da una palmetta rovesciata, motivo ancora una volta di repertorio tradizionale greco-etrusco, più classico e regolare da un lato, e più asimmetrico dall’altro lato dove la palmetta ha uno sviluppo superiore a linee curve, che formano un motivo a cuore e terminano quindi a testa di uccello dal becco ricurvo. La diversità nella decorazione ha fatto supporre che il secondo paraguance sia stato sostituito in antico.
L’elmo di Gottolengo appartiene ai rari casi di elmi celtici rinvenuti in area padana cenomane e insubre, attestati invece molto più frequentemente in area emiliana e marchigiana, dove si trovavano stanziati i celti Boi e Senoni. Questo ci porta a supporre che si tratti di un oggetto di importazione dall’area boica-senonica, dove l’arte celtica vede maturare l’incontro col mondo figurativo mediterraneo che porterà alla comparsa di un nuovo stile decorativo.

Elmo celtico da Gottolengo
Fine del IV – inizio III secolo a.C.
Ferro e bronzo
Sezione età preistorica e protostorica, Santa Giulia Museo della città

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DAL CATALOGO ROMA E LE GENTI DEL PO –  FRANCESCA MORANDINI

L’elmo aveva la calotta in ferro, alla quale erano fissate le due appliques e i paraguancia in bronzo decorato a
sbalzo e a incisione, con motivi vegetali e zoomorfi; fu restaurato in antico, come indicano le differenze tra i due
paraguancia.
È inquadrabile nel tipo Coarelli A (Vitali A1), probabile prodotto di atelier gallici dell’area adriatica, impegnati a
rielaborare modelli etrusco-italici per le esigenze di una committenza che esprimeva un nuovo gusto. L’esemplare,
uno dei pochi noti in Transpadana, proveniva da una sepoltura in un’area di necropoli e doveva evidenziare l’elevata
posizione gerarchica del defunto.
Francesca Morandini
coareLLi 1976, pp. 163-164: tipo A; VitaLi 1982, pp. 39-40; Bonini 1998a, p. 97; Bonini 1998b pp. 127-128 (con bibliografia

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