Ora – informa la Tgr – ci sarebbe un’indicazione più precisa: grazie a una scansione ad altissima risoluzione nei laboratori dell’Università di Vienna e alla comparazione con decine di campioni di olite da tutta eEuropa è stato scoperto dove è stata creata.
Il match perfetto è stato trovato con la roccia olite estratta alla Sega di Ala. I natali della scultura sono quindi trentini.
La statuetta fu rinvenuta nel 1908 dall’archeologo Josef Szombathy, in un sito archeologico risalente al paleolitico, presso Willendorf in der Wachau, in Austria.
Intorno al 1990, dopo un’accurata analisi della stratigrafia del luogo, e dopo precedenti datazioni che la ponevano inizialmente al 10.000 a.C. poi fino al 32.000 a.C., fu stimato che la statuetta fosse stata realizzata da 25.000 a 26.000 anni fa.
SITI E RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI TRA LAMBRO E SEVESO ATTRAVERSO UN ANTICO SENTIERO
Passeggiare lungo gli antichi sentieri della Brianza alla riscoperta di tante tantissime vestigia del passato , spesso sconosciute al nostro sguardo. È la proposta di alternativa verde che ci accompagna in questo percorso con una guida precisa di tanti piccoli oggetti di epoca celtica romana e medioevale che ci raccontano la storia quotidiana dei “piccoli”. È anche l’occasione per chi abita vicino a Milano di fare una passeggiata nella bellissima Brianza.
Il sito ricostruisce e studia un antico sentiero che attraversava anticamente Desio,Lissone, Verano al Lambro Monza ( parco ):
Alcuni reperti archeologici ( vasi a trottola di epoca gallo romana ) provenienti dalla cascina Mondina di Biassono
Se avete la passione di camminare e con un po’ di immaginazione vi piacerebbe percorrere un ipotetico viaggio dalle terre insubri a quelle liguri vi suggerisco questo percorso:
La Chiesa dell’Assunzione della Vergine Maria si trova in Slovacchia nel villaggio di Boldog e dista meno di 30 km dall’antico confine dell’Impero Romano sul Danubio. nelle vicinanze vi sono altre testimonianze di epoca romana (a Cíferi-Páci, si trova una sito romano barbarico del 4° secolo oltre a diverse necropoli germaniche (Kostolná pri Dunaji, Sládkovičovo, Abrahám) risalenti al I e II secolo. Anche uno dei rami della Via dell’Ambra passava da questa località archeologicamente ricca, dove è stata ritrovata la stele romana.
Durante i lavori di restauro della chiesa di Boldog nel 1976 rimuovendo parte dell’intonaco , venne alla luce l’originario ingresso alla parte romanica della chiesa oltre alla iscrizione tombale romana in una porzione laterale della chiesa . ”
. Le dimensioni attuali della lapide sono 175 x 76 x 17 a 18 cm. Il lato sinistro della cornice profilata è sabbiato, il che significa che la larghezza originale della stele era di circa 87 cm. Non si può escludere che la stele originariamente presentasse nella parte superiore da un timpano triangolare. L’iscrizione di 11 righe sulla stele è di facile lettura, ma non sempre chiaramente interpretabile.
L’originario ingresso alla parte romanica della chiesa che utilizzava una lapide come rivestimento sinistro
Qui di seguito la traduzione di P. Valachovič, che è pubblicata in Fonti sulla storia della Slovacchia e Slovaks I: “Quintus Atilius Primus, figlio di Spuri dal tribuno Veturiano, interprete XV. legione, suo centurione e mercante. Fu sepolto qui all’età di 80 anni. Quinto Atilius Cogitatus, Atilia Fausta, Quintus, Privatus e Martialis furono felici di costruire come eredi”.
Il punto più problematico nella traduzione è la parola nella terza riga – INTERREX. Una parola che può essere letta in quattro diversi modi. .
Titus Kolník presenta la traduzione inter (p) rex – “interprete“. Secondo T. Kolník, lo scalpellino dietro la sillaba MVS, che è elencata all’inizio della terza riga, ha perso troppo spazio, e quindi ha cancellato la lettera P nella parola interprex, oppure ha visto la lettera P nella lettera R.,
Magda Pichlerová e Alfred R. Neumann, non vede l’errore dello scalpellino, ma la corretta trascrizione di , interrex- “re intermedio“. Questa funzione era già nota a Roma durante il periodo regio. Durante il periodo repubblicano fu così chiamato il funzionario che garantiva il corretto svolgimento delle elezioni nel caso in cui entrambi i consoli fossero morti e la carica principale fosse rimasta vacante. Tali funzionari erano presenti anche nei municipia (città con autogoverno totale o parziale), quindi secondo gli autori potrebbero essere esistiti anche nei castra (città militari). Un ulteriore problema nasce qui perchè Augusto abolì questa carica e la sostituì con quella di prefetto (praefectus). Per questo motivo, entrambi i ricercatori presumono che la denominazione originaria sia stata mantenuta per “‘abitudine “anche dopo l’abolizione, oppure sia stata reintrodotta.
Radislav Hošek legge la parte contesa come un’abbreviazione inter tr (ecenarios) ex leg (ione) – “soldati che appartenevano ai soldati scelti della legione”. Trecenarios era stato una carica a Roma sin dai tempi dell’imperatore Nerone e corrispondeva al grado di centurione della coorte.
L’abbreviazione nella parola citata è letta infine da Péter Püspöki Nagy, la cui interpretazione è data nella tabella accanto alla stele stessa. La sua lettura è inter r (iparios) ex leg (ione) – “soldati tra le sponde”, ovvero soldati a guardia della sponda del Danubio tra il corso d’acqua e il suo braccio, il Piccolo Danubio. Tuttavia, gli esperti non propendono per questa interpretazione .. Quinto Atilius Primus proveniva da Voturi, risp. Il tribuno Veturi, che era una specie di affiliazione domestica. Era un libero cittadino romano originario della Gallia Cisalpina, situata nell’Italia settentrionale.
Ricopriva il grado di centurione nell’esercito, cioè Capitano XV. la legione, che aveva sede a Carnunto capoluogo della provincia della Pannonia. Nel caso dell’inter (p) rex come interprete, non sappiamo quale interprete di lingua fosse. Forse dei popoli di lingua germanica come i Quadri e i Marcomanni oppure di altre etnie quali i Daci o il resto della popolazione celtica. Non possiamo escludere la possibilità di un interprete multilingue. Tuttavia, Interprex non era solo un interprete linguistico, ma anche un consigliere per gli affari della tribù o delle tribù barbare. Poteva svolgere la sua funzione non solo per i bisogni dell’esercito, ma anche per la carica di governatore della provincia.
D. Atilius Primus ha trascorso gran parte della sua lunga vita di negoziatore, termine che va inteso nel senso di imprenditore e non di comune uomo d’affari. Aveva diversi presupposti per questa attività. Da centurione aveva uno stipendio più alto di un soldato regolare, inoltre, se faceva l’interprete, significava per lui non solo un doppio stipendio, ma anche un doppio pensionato quando lasciava l’esercito per diventare un veterano. Grazie a questo reddito sopra lo standard, aveva una buona base finanziaria per avviare un’impresa. Come interprete, conosceva la lingua dei barbari e le condizioni barbariche, cosa che gli dava un vantaggio significativo nel fare affari al di fuori dell’Impero. Il suo altro vantaggio era la posizione situata sulla rotta di due importanti rotte commerciali. Per prima cosa scelse Carnuntum come sua sede,
Non sappiamo con cosa commerciava Q. Atilius Primus. Per i grandi imprenditori come Quinto in un primo momento, vengono prese in considerazione le esportazioni di olio, vino, “frutti di mare” oltre a pregiate ceramiche italiane, orci in bronzo e vetro e prodotti simili dall’Italia. D’altra parte, l’importazione di colture agricole (soprattutto grano), bovini, pellicce, lana, ambra e forse schiavi dai barbari all’Impero Romano.
Vasi in ceramica (skyphos e kantharos) realizzati nell’Italia settentrionale e rinvenuti in tombe a cremazione germaniche, I sec. nl, Kostolná pri Dunaji e Sládkovičovo
Alla fine della lapide, scopriamo chi ha fatto realizzare la stele dell’ottantenne Quinto. Suo figlio Quinto Atilius Cogitatus molto probabilmente viene prima. Atilia Fausta, seconda, era la moglie del defunto, che aveva lo status di licenziamento prima del matrimonio, ma dopo aver contratto il matrimonio acquisiva lo status e lo status giuridico di suo marito, libero cittadino. Tra gli eredi, alla fine sono elencati Privato e Martialis. Secondo il nome semplice, forse gli schiavi che venivano liberati.
Infine, abbiamo altre due domande a cui rispondere. Quando è stata realizzata la stele e da dove è stata portata a Boldog.
Il punto di datazione più importante è l’affiliazione di Q. Atilia Prima alla XV. legione. Questa legione fu trasferita a Carnuntum nel 14 d.C. e vi rimase fino al 62 d.C. Fu quindi schierata per combattere in Oriente contro i Parti e gli Ebrei. Ritornò solo nel 71 e rimase a Carnunto fino al 114, al più tardi nel 118 (119), quando fu definitivamente distaccata e sostituita dal XIV. legione. La stele, secondo vari autori, risalirebbe alla seconda metà del I secolo o alla prima metà del II secolo. Tuttavia, anche una datazione precedente non cambia il fatto che si tratta di un monumento notevole e allo stesso tempo il più antico di questo tipo del territorio della Slovacchia.
Ricostruzione della città di CarnuntoPorzione ricostruttiva della citta di Carnunto Resti arco trionfale a CarnuntoRicostruzione arco trionfale Carnunto
Oltre alla stele, nella chiesa in muratura di Boldog sono presenti diversi blocchi lapidei, che rappresentano probabilmente un materiale da costruzione di seconda mano, probabilmente proveniente da un edificio romano. Si presume che la stele, o altri materiali da costruzione correlati, possano provenire dalle vicinanze piuttosto che essere dalla lontana Carnuntum, ma piuttosto da un luogo più vicino, come un sito romano fino ad ora sconosciuto. È possibile che Q. Atilius Primus abbia esercitato la professione di mercante nel territorio dell’attuale Slovacchia, tanto che potrebbe essere stato sepolto più vicino a Boldog che a Carnuntum stessa. Non dimentichiamo che a soli 10 km da Boldog a Cíferi-Pácy c’era un complesso di edifici costruiti da costruttori romani nel 4° secolo. Non si può escludere che da qui sia stato importato il materiale per la costruzione della chiesa. In tal caso, però, si tratterebbe di un uso terziario,
Nonostante opinioni divergenti sull’interpretazione dell’iscrizione e diverse domande senza risposta, la stele di Boldog è uno dei monumenti epigrafici più importanti non solo in Slovacchia, ma nell’intera regione di Podujan.
Nota: i manufatti sono datati da: KOLNÍK, Titus. 1979. Gemme dell’antichità in Slovacchia.
Riferimenti:
HOŠEK, Radislav – MAREK, Václav. 1990. Roma di Marco Aurelio . Praga: Mladá fronta, 1990. 280 p. ISBN 80-204-0083-4, 80-204-0147-4.
KOLNÍK, Tito. 1977. Iscrizione romana da Boldog. Nell’archeologia slovacca . 1977, vol. 25, n. 2, pag. 482 – 500.
KOLNÍK, Tito. 1979. Gemme dell’antichità in Slovacchia . Bratislava: Tatran, 1979. 156 p.
KOLNÍK, Tito. 1980. Recenti ritrovamenti archeologici sul soggiorno dei romani in Slovacchia. In Laugaricio. Atti di studi storici sul 1800° anniversario dell’iscrizione romana a Trenčín . Košice: Východoslovenské vydavateľstvo, 1980. p. 37 – 72.
KOLNÍK, Tito. 2000. Stele di Boldog – la più antica lapide in Slovacchia. In Monumenti e musei . ISSN 4335-4353, 2000, vol. 49, n. 3, pag. 20 – 21.
KOLNÍK, Tito. 2000. Cífer-Pác – un mistero per il sequel. Residenza germanica o addirittura stazione militare romana? In Monumenti e musei . ISSN 4335-4353, 2000, vol. 49, n. 3, pag. 41 – 44.
PICHLEROVA, Magda – NEUMANN, Alfred. 1979. Lapide romana a Boldog. (Interrex nella legione di cannabis di Carnuntum?). In Atti del Museo Nazionale Slovacco . 1979, vol. 73, Storia 19, p. 51 – 61.
VALACHOVIC, Pav. 2013. Epigrafia latina in Slovacchia . Krakov / Trnava: Spolok Slovákov v Poľsku / Facoltà di Lettere, Università di Trnava a Trnava, 2013. 82 p. ISBN 978-83-7490-671-5.
Nonostante opinioni divergenti sull’interpretazione dell’iscrizione e diverse domande senza risposta, la stele di Boldog è uno dei monumenti epigrafici più importanti non solo in Slovacchia, ma nell’intera regione di Podujan.
Nota: i manufatti sono datati da: KOLNÍK, Titus. 1979. Gemme dell’antichità in Slovacchia.
Riferimenti:
HOŠEK, Radislav – MAREK, Václav. 1990. Roma di Marco Aurelio . Praga: Mladá fronta, 1990. 280 p. ISBN 80-204-0083-4, 80-204-0147-4.
KOLNÍK, Tito. 1977. Iscrizione romana da Boldog. Nell’archeologia slovacca . 1977, vol. 25, n. 2, pag. 482 – 500.
KOLNÍK, Tito. 1979. Gemme dell’antichità in Slovacchia . Bratislava: Tatran, 1979. 156 p.
KOLNÍK, Tito. 1980. Recenti ritrovamenti archeologici sul soggiorno dei romani in Slovacchia. In Laugaricio. Atti di studi storici sul 1800° anniversario dell’iscrizione romana a Trenčín . Košice: Východoslovenské vydavateľstvo, 1980. p. 37 – 72.
KOLNÍK, Tito. 2000. Stele di Boldog – la più antica lapide in Slovacchia. In Monumenti e musei . ISSN 4335-4353, 2000, vol. 49, n. 3, pag. 20 – 21.
KOLNÍK, Tito. 2000. Cífer-Pác – un mistero per il sequel. Residenza germanica o addirittura stazione militare romana? In Monumenti e musei . ISSN 4335-4353, 2000, vol. 49, n. 3, pag. 41 – 44.
PICHLEROVA, Magda – NEUMANN, Alfred. 1979. Lapide romana a Boldog. (Interrex nella legione di cannabis di Carnuntum?). In Atti del Museo Nazionale Slovacco . 1979, vol. 73, Storia 19, p. 51 – 61.
VALACHOVIC, Pav. 2013. Epigrafia latina in Slovacchia . Krakov / Trnava: Spolok Slovákov v Poľsku / Facoltà di Lettere, Università di Trnava a Trnava, 2013. 82 p. ISBN 978-83-7490-671-5.
Articolo di Angelo Cimarosti( mi fa piacere riportare l ‘articolo anche perché Angelo è stato mio compagno di scuola al liceo Tito Livio di Milano)
Lo scavo della più antica fonderia della Padova Pre Romana: un’indagine sulle scoperte archeologiche in questura in Riviera Ruzante (nel laboratorio di Ponte di Brenta)
La più antica fonderia della Padova Preromana fu un ritrovamento archeologico avvenuto tra il 2000 e il 2001 durante i lavori di ammodernamento nel cortile della questura padovana, in Riviera Ruzante. La parte più interessante di quell’importante indagine, che individuò case in terra e legno della prima età del ferro (IX-VII secolo a.C.), fu però “prelevata” in un grande cassone per essere scavata in laboratorio in un momento successivo, e portata ai depositi del Museo Nazionale Atestino. Dopo 21 anni da quel salvataggio, che riuscì a identificare varie aree artigianali dedicate alla manifattura ceramica, alla tessitura,e alla metallurgia, il grande cassone è ritornato in camion a Padova, ai laboratori di Archeologia del Dipartimento dei Beni Culturali del Bo, che si trovano a Ponte di Brenta, in via delle Ceramiche, evidentemente una strada dal nome azzeccatissimo.
La Minerva di Stradella, è una statua bronzea di circa 60 cm del II secolo d.c., ritrovata nel 1828 durante alcuni scavi al torrente Versa e donata al re Carlo Felice. La Minerva è custodita al Museo dell’Antichità di Torino,
Minerva di Stradella- museo archeologico di Torino
Minerva nella piccola bronzistica dell’Italia settentrionale
I bronzetti di Minerva hanno suscitato a più riprese l’interesse di Claude Rolley1, cui dedico questo censimento2 degli esemplari a tutto tondo dall’Italia settentrionale3, senza pretese di esaustività. Si tratta di più di quaranta statuine in bronzo oltre a otto irreperibili e non illustrate, due in argento (di cui una perduta) e tre in piombo; Minerva è quindi fra le dee più riprodotte in quest’area nella piccola plastica in metallo, accanto a Fortuna/Iside e Venere4.
2Fra gli esemplari con dati di provenienza (di solito luogo e talvolta data della scoperta, senza indicazioni sul contesto), alcuni paiono di antichità dubbia o appartengono a serie sulle quali sussistono sospetti; al proposito si ricorda che i bronzetti romani dell’Italia del nord sono giunti nelle raccolte pubbliche in gran parte nell’Ottocento, quando fu attivo un vivace mercato antiquario di falsi, copie, rielaborazioni.
3Dal santuario della dea Reitia a Este, attivo forse già dalla fine del VII sec. a.C. al II-III sec. d.C., vengono due statuette, anteriori all’età imperiale, accomunate da elmo corinzio, braccia nude, peplo con lungo apoptygma e cintura subito sotto il seno, egida bilobata con gorgoneion a piccola borchia e proporzioni del corpo (con torace breve e sottile e parte inferiore allargata), ma diverse nelle dimensioni e negli attributi. Una reca nella destra una patera ampia e concava5; l’altra – più alta – ha la mano destra sul fianco mentre la sinistra posa su un pilastrino sul quale striscia un serpente, indizio per un’interpretazione come Minerva Igea6, supportata dalla presenza nella stipe di un cane e un serpente in bronzo, animali connessi ai culti iatrici7.
Le due Minerve sono probabilmente prodotti locali realizzati per le specifiche esigenze del santuario, dove erano attive da tempo fiorenti botteghe per la fabbricazione di votivi metallici, ma richiamano la bronzistica centroitalica di età ellenistica, presentando affinità strutturali con una Minerva da Siena, per la quale Bentz ha proposto un archetipo pergameno e quindi una datazione dopo la metà del II sec. a.C.8. Il bronzetto atestino di maggiori dimensioni sembra situabile ancora nel II sec. a.C., mentre quello con patera potrebbe essere un poco più recente, della fine del II-primi decenni del I sec. a.C.9.
4È forse da situare nel I sec. a.C. anche una Minerva – con patera e probabilmente scudo poggiato al suolo – di Aquileia (fig. 1)10, dove si ha una presenza precoce della dea, testimoniata da un’epigrafe11.
Gli altri bronzetti di maggiori dimensioni
statua di Stradella, con peplo altocinto, datata su base stilistica all’età antoniniana12, è alta cm 60 cioè due piedi romani, forse una misura standardizzata13; richiama la Parthenos fidiaca (è l’unica in Italia del nord con elmo con tre creste14), però attraverso mediazioni ellenistiche; forse votivo per un luogo di culto, poteva tenere lo scudo con la sinistra e la patera nella destra15.
6Da un edificio del VI secolo sul Monte S. Martino, proviene un elmo corinzio con tori sui paraguance, notevole per qualità e dimensioni (alt. cm 5,8), pertinente a una figura alta una quarantina di centimetri, ritenuto asportato dal vicino santuario, in cui si veneravano soprattutto divinità femminili, fra cui Minerva, testimoniata da una testina fittile16.
7In Cisalpina, l’uso di porre in ambito cultuale statue in bronzo inferiori al vero è testimoniato anche da un’epistola di Plinio il Giovane17.
8Non lontano da Este è stato rinvenuto un gorgoneion di altissima qualità, applicazione per una statua di loricato o di Minerva, quindi pertinente alla grande plastica18.
9Vicina al tipo di Stradella sembra una statuina da Reggio Emilia, molto danneggiata, da una domus in uso dal I al V sec. d.C.19.
10Ancora a braccia nude, con egida più evidente e peplo con risvolto e cintura, sono due piccoli gruppi: uno costituito dagli esemplari da Trento (fig. 2, piazza Duomo, contesto di III secolo con materiali anteriori) e Verteneglio in Istria, con breve crista aderente all’elmo, lancia nella destra e scudo posto di tre quarti nella sinistra20; l’altro formato dalle statuine di Chiarano (fig. 3) e Promontore (Istria), con civetta nella destra estesa e lancia a sinistra21, inoltre forse una dispersa da Campegine22. I bronzetti del secondo gruppo richiamano la statua di un tempio urbano riprodotto su serie monetali neroniano-flavie, identificato in via ipotetica con il santuario dell’Aventino23.
IL TIPO VERONA PARMA
Tipo «Verona-Parma», Serie di minori dimensioni, Brescia
11Il tipo di Minerva prediletto in Italia del nord, con attestazioni ovunque ma soprattutto nella Venetia, è quello cosiddetto «Verona-Parma» (fig. 4), individuato negli anni Settanta24, nel quale sono distinguibili – riguardo alle dimensioni – due serie25. Alla lista di esemplari proposta in un recente riesame del tipo26 va aggiunto un bronzetto da Claterna (Ozzano nell’Emilia), peculiare poiché è l’unico a presentare l’inversione della posizione delle braccia (reggeva la lancia con il sinistro alzato)27.
12Una Minerva dalla mansio di Sirmione (fig. 5, provenienza solo ipotizzata)28 ha peplo con apoptygma senza cintura e kolpos, ma con l’aggiunta del mantello discendente sul retro dalla spalla destra e coprente il braccio sinistro; l’elmo (perduto) era lavorato a parte.
13Il tipo sembra ispirato, più che alla statuaria attica degli ultimi decenni del V sec. a.C. (Procne di Alcamene, Cariatidi dell’Eretteo), a creazioni della prima metà del IV sec. a.C., come l’Eirene di Cefisodoto, riproposta in un bronzetto romano di Atene29; il favore riservato allo schema nel II secolo30 determinò forse la sua diffusione nella bronzistica. La Minerva del larario di Ostia, in strato di incendio del 270-280 d.C., attesta comunque la permanenza in uso del tipo in quest’epoca31. Altri esemplari sono conservati a Berlino (con lancia nella destra ed imponente elmo attico)32 e Verona33; nessuno conserva l’attributo della mano sinistra, attraversata da un foro cilindrico: potrebbe essere lo scudo o la civetta. Come per la serie «Verona-Parma», questo tipo è stato utilizzato per la creazione di altre figure: Minerva-Iside-Fortuna, cambiando la posizione delle braccia e gli attributi34; Iside-Fortuna, eliminando l’egida35.
14Vestono mantello discendente sul retro e peplo con maniche e cintura in vita due Minerve trovate nell’Ottocento e disperse, dal Lodigiano e da Trento-Piedicastello (fig. 6)36, questa con grandi occhi cordonati e gorgoneion insolito, con chioma fiammeggiante. Fanno parte di una serie, con lancia e patera, ispirata al periodo protoclassico, ritenuta sospetta da Franken e testimoniata da esemplari di provenienza ignota a Göttingen, Köln, in Austria (forse da Carnuntum)37, e al Museo di Bologna.
15Un buon numero di statuine dell’Italia del nord è caratterizzato dal mantello che copre la parte frontale, con esiti diversi.
16Nel tipo Kaufmann-Heinimann I A rientrano due statuine di qualità differente, collegabili – pur con molte semplificazioni – all’Atena Giustiniani: da Tortona (fig. 7), con scudo (mentre la lancia è perduta), dubbia per le caratteristiche tecniche e stilistiche, e da Libarna, raffinata e ricca di dettagli, forse databile fra la fine del I e il II sec. d.C. per le proporzioni allungate38.
17Ancora al tipo I A si riferisce un gruppo, con provenienze dal Trentino (Moio di Chizzola, fig. 8, e Trento-Piedicastello) e dal territorio di Altino39; qualche dubbio suscita la struttura del mantello sul retro e il suo rapporto con la cresta dell’elmo. Un esemplare pressoché identico è di provenienza dichiarata da Liberchies, località che ha «attratto» falsificazioni40; altri sono di provenienza ignota41.
18Al tipo Kaufmann-Heinimann I B si riferiscono quattro esemplari, accomunati dalla posizione di braccia e gambe: da Gazzo Veronese42 e Aquileia (fig. 9)43 (entrambi con lancia perduta nella sinistra) e due molto simili da Tortona (dispersa, con patera nella destra)44 e Felegara (fig. 10, priva degli attributi)45, trovate nell’Ottocento. La Minerva di Gazzo, di ritrovamento recente, è sicuramente antica, ma bronzetti analoghi sono moderni46; quelle di Tortona e Felegara rientrano in una serie caratterizzata da proporzioni tozze e testa grossa, con mento prominente che appare quasi «barbato47», ripresa (o reimpiegata?) nella bronzistica rinascimentale48
19Un altro gruppo di Minerve è caratterizzato dal mantello che risale non sulla spalla, ma sull’avambraccio sinistro. Si tratta di quattro esemplari differenti, concentrati nella zona orientale dell’Italia del nord: a Trento-S. Bartolomeo, forse a Oderzo, a est dell’Isonzo (con ponderazione inversa)49, a Fodico in Emilia (fig. 11)50. Nell’esemplare forse da Oderzo, il panneggio passa sotto il braccio sinistro, collegandosi all’Atena tipo Velletri; il gruppo cui questa statuina appartiene, definito da Menzel, Galliazzo e Ţeposu-Marinescu, Pop, è poco numeroso, con statuette differenti ma riferibili ad uno stesso modello in Gallia, Renania, Dacia, oltre che in Italia: vicina all’esemplare forse da Oderzo è la Minerva da Porolissum, mentre quella di Vaison conserva lo scudo circolare, sollevato con la mano sinistra51. Per la Minerva di Fodico (fig. 11) un confronto fa pensare che l’attributo nella destra fosse la civetta52.
20Le Minerve in cui il mantello copre completamente il petto sono rappresentate da tre esemplari diversi da Alessandria, Gran San Bernardo (fig. 12) e Este, quest’ultimo in argento.
21Al tipo Kaufmann-Heinimann III si riferisce la Minerva di Alessandria, da larario privato (associata ad una Minerva più piccola del tipo «Verona-Parma»), molto danneggiata53, appartenente a una serie di notevoli dimensioni e di alta qualità, studiata fra gli altri da Boube-Piccot, Leibundgut, Boucher, Kaufmann-Heinimann54, con datazione all’età augustea-prima età imperiale. L’ampia distribuzione degli esemplari noti, dalla Pannonia alla Gallia al Marocco, non consente l’individuazione di una zona privilegiata di produzione.
22Nel piccolo bronzetto del Gran San Bernardo (fig. 12), l’egida quasi indistinguibile è in diagonale sopra il mantello, verso la spalla sinistra, con un minuscolo gorgoneion; questo particolare55 consente l’inserimento in una serie riesaminata da Annemarie Kaufmann-Heinimann, che ne ha messo in luce la forte variabilità, evidenziando come non si individui – data la vasta dispersione del motivo nell’Impero – un centro di elaborazione56. In Italia del nord, per ora il tipo con egida in diagonale è presente solo in questo centro periferico, di transito verso le Gallie.
23Miniaturistica è la Minerva in argento dal santuario di Reitia a Este, forse un orecchino prodotto fra I sec. a.C. e I sec. d.C. e deposto come offerta votiva, particolare per gli attributi rappresentati (lancia, scudo con il serpente Erittonio; un probabile altro serpente sul fianco destro della dea, che reggeva forse una patera), in connessione con la valenza salutistica della dea in questo luogo57. Il gorgoneion e i serpenti dell’egida, posta sopra il mantello, sono a malapena visibili; è inoltre singolare il mantello sulla testa della dea.
Un esemplare analogo è a Vienna, di provenienza ignota59, mentre un altro, differente (braccia volte in avanti con mani aperte, globo sferico), è noto da un disegno e ritenuto moderno60. La posa della gamba destra sollevata, con panneggio rovesciato sulla coscia a formare una grossa piega e piede su globo, è nota anche per bronzetti di Fortuna/Iside Panthea61. Una placca in bronzo da Charlton Down, tardoantica per i caratteri stilistici, mostra Minerva con piede sinistro su globo, intenta a scrivere su uno scudo, per contaminazione con l’iconografia della Vittoria62.
25Questo schema iconografico, il cui terminus postquem per la diffusione nella bronzistica sarebbe la statua di culto del tempio di Minerva Chalcidica a Roma, eretto da Domiziano63, è presente a Vada Sabatia, a Marani in Trentino, e a Fodico (fig. 14), nel territorio di Reggio Emilia.
26La statuina di Vada ha elmo sormontato da Sfinge (cresta perduta) e braccia fuse a parte (perdute). Nonostante il ritrovamento recente (1942) e l’acquisizione per dono e non per compravendita, è stata ritenuta falsa per l’iconografia insolita e la lega usata, con stagno e piombo in tracce e con il 9 % di zinco. Sono però note in età romana statuette ad alto tenore di zinco, anche se le proporzioni della lega della statuina di Vada hanno pochi confronti64; in Italia settentrionale la campagna di analisi sui bronzi di Industria ha rivelato un tripode con alta percentuale di Zn (11,2) e scarsa presenza di Sn e Pb (2,9 e 4,2)65.
27Peculiare la Minerva da Marani, in cui il corsetto è decorato da volute e il gorgoneion è trasformato in un «occhio di dado66», ma va ricordato che un esemplare molto simile dalla Romania è stato ritenuto sospetto67.
28La Minerva di Fodico (fig. 14)68 è insolita per l’egida trasformata in una lorica indossata sopra il peplo, la forma curiosa dell’elmo e la resa stilistica (tacche sul retro dell’egida).
29Rispetto al censimento delle Minerve «in corsa» proposto da Hélène Chew69, le statuine norditaliche confermano la grande eterogeneità di questi bronzetti, che non sembrano potersi riunire in vere e proprie serie70. La rarità in Italia settentrionale potrebbe indicarne sia un’origine allogena sia elaborazioni locali isolate.
30Cimieri di elmo isolati, da Vada Sabatia e dal Veronese71, possono riferirsi – ma solo in via ipotetica – a Minerva, considerando che statuine di Marte a tutto tondo sono poco attestate nel Norditalia, mentre il Genius elmato è finora assente72.
31Minerve in piombo del tipo a braccia nude, con peplo e cintura73, sono a Pavia (con patera nella destra, lancia nella sinistra, scudo a lato) e forse nell’agro altinate (braccio destro sollevato forse con patera, sinistro alzato per la lancia, perduta)74; a S. Giorgio di Valpolicella si trovano un frammento di scudo e una figurina femminile ritenuta Fortuna o Minerva75.
24Nel Museo di Aquileia, senza provenienza ma ritenuta dalla città, è una Minerva insolita (fig. 13), con piede destro su globo informe; benché costruita su un unico piano, è di resa accurata, con un considerevole
33Le «serie» ben definite sono quattro (con parziali sospetti di non antichità): «Verona-Parma» (fig. 4), Lodigiano/Trento-Piedicastello (fig. 6), Moio (fig. 8)/Trento-Piedicastello/Altino, Tortona/Felegara (fig. 10). Per il resto, pur classificandosi in grandi tipi, i bronzetti sono diversi l’uno dall’altro, probabilmente per la pluralità di modelli o di centri di produzione.
34Per gli attributi, quasi sempre perduti, possiamo ipotizzare: lancia + scudo, l’associazione più frequente78; patera + scudo79; patera + lancia80; civetta + lancia81. Al momento sembra poco attestata la civetta, ma si deve considerare che per alcuni tipi82 l’attributo non è noto neanche da confronti. Le maggiori peculiarità si trovano a Este per la presenza dei serpenti83.
35La crista dell’elmo è molto variabile: breve, compatta e aderente nei bronzetti di Este (Minerva di minori dimensioni), Trento-piazza Duomo (fig. 2) e Verteneglio, Lodigiano/Trento-Piedicastello (fig. 6); discendente sul dorso e in genere bifida negli altri, spesso aderente all’elmo (come nel tipo «Verona-Parma»), ma anche a tutto tondo e connessa all’elmo mediante un sostegno variamente sagomato (Chiarano (fig. 3), Promontore, Libarna; cimieri isolati). In qualche caso l’estremità verso la fronte raffigura una testa di grifo (Libarna) oppure una protome apparentemente di bovide (Tortona (fig. 7), Gazzo Veronese, a est dell’Isonzo, forse da Oderzo); l’indicazione di occhi e naso sull’elmo di tipo corinzio è talvolta più evidente (Minerva più bassa da Este, Libarna; alcuni del tipo «Verona-Parma»); la presenza della sfinge si riscontra a Vada e Campegine, mentre la statuina con mantello da Alessandria – secondo i confronti – poteva avere una civetta sopra la calotta; a Vada e Alessandria sono presenti anche i paraguance sollevati.
36Gli esemplari di buona qualità sono pochi: Libarna, Alessandria (con mantello), Vada Sabatia.
37In generale, dal punto di vista dell’assimilazione di schemi iconografici, si riscontra – per il cospicuo numero dei bronzetti del tipo «Verona-Parma» (fig. 4) – una leggera predominanza delle figure con peplo e senza mantello, di gusto «conservatore84». A parte il caso di Este, le peculiarità cisalpine nella riproduzione di Minerva nella piccola bronzistica consistono appunto nella preferenza accordata al tipo «Verona-Parma» e nella scarsissima affermazione dei tipi «in corsa» e «con egida in diagonale».
15. Distribuzione delle Minerve in metallo in Italia settentrionale (escluse quelle di dimensioni maggiori dei bronzetti e gli elementi isolati)
Triangolo pieno, Minerve conservate o illustrate; triangolo vuoto, Minerve perdute e non illustrate.
38Esaminando la carta di distribuzione (fig. 15), si notano zone di assenza nella Transpadana e una considerevole diffusione invece nella Venetia et Histria e in Aemilia, con concentrazioni a Trento, Este ed Aquileia; per comprenderne il significato sarebbero necessarie ulteriori ricerche sugli altri prodotti in bronzo85, anche non a carattere cultuale (appliques, pesi, ecc.), e sulle testimonianze epigrafiche e figurative in materie diverse dal bronzo86. Un rapido sguardo a queste ultime indica scelte iconografiche differenti: la Minerva sulla grande lamina argentea con teoria di divinità in rilievo87 del tesoro di Marengo, sepolto dopo l’inizio del III secolo, appare accanto a Giove e Giunone, ed è rappresentata con le gambe incrociate, iconografia rara nei bronzetti88; nella terracotta è frequente Minerva accanto ad un’ara89, motivo ignoto nella bronzistica. Anche le grandi statue in marmo (a Breno e Trieste)90 non sembrano aver influito direttamente sulle scelte dei bronzisti; questi avevano dunque un proprio repertorio, non coincidente con quelli usati per la terracotta e il marmo.
39Alcune Minerve sono in contesti votivi: due, di cui una perduta, nel santuario di Juppiter Poeninus al passo del Gran San Bernardo, dove sono forse legate al carattere guerriero della dea e al passaggio di truppe attraverso il valico; elementi in piombo nella stipe di San Giorgio di Valpolicella, attribuita da ultimo a una popolazione latina che venerava – in ambiente retico – diverse divinità; due statuine in bronzo e due probabili orecchini in argento (di cui uno perduto) nella stipe del santuario di Reitia a Este, dove la dea ha competenze su ambiti diversi (militare, della scrittura, della salute, forse del passaggio sul fiume); una dispersa a Padova, nella stipe «domestica» del Pozzo dipinto, forse deposta in età augustea, con figure maschili di epoca anteriore e amuleti fallici.
40Per le associazioni in contesti privati, ad Alessandria, in un edificio con monete fino alla seconda metà del IV secolo, troviamo due Minerve e una Venere, con una configurazione del larario solo femminile, finora unico caso in Italia settentrionale di iterazione della figura di Minerva. A Gazzo Veronese, in un edificio residenziale (I-IV sec. d.C.), Minerva è associata ad un piccolo albero. A Trento-piazza Duomo, in un’officina di fabbro (III sec. d.C.), è associata a Mercurio, con due possibili interpretazioni:
in un’officina di fabbro (III sec. d.C.), è associata a Mercurio, con due possibili interpretazioni: oggetti metallici accumulati nell’officina per rifusione/riparazioni o piccolo larario dell’artigiano. A Campegine, in un contesto successivo al 161-180 d.C., disperso, la dea è con Apollo, Marte, Mercurio, Venere e Fortuna. Le associazioni finora ricorrenti sono quindi quelle con Venere e Mercurio, probabilmente perché si tratta di alcune fra le divinità più diffuse nell’area. Un dato interessante è l’assenza della triade capitolina.
BIBLIOGRAFIA
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Nella Regio IX, corrispondente all’attuale Liguria e Piemonte meridionale (fig. 1), l’occupazione romana si sviluppò attraverso due fasi. Nella prima metà del II secolo a.C. (173a.C.) le campagne condotte dal console Marco Popillio Lenate si conclusero con una vittoria sulla popolazione dei Ligures Statielli. Molti di essi caddero e i restanti furono fatti
prigionieri; la loro capitale Caristo fu completamente rasa al suolo. Tale operazione militare ben si inseriva in quell’ampia politica di espansione di Roma verso l’area padana: l’obiettivo principale, attraverso la gestione e il controllo dei valichi alpini, era lo spostamento del confine della Cisalpina sempre più verso occidente…( PAOLO SAPIENZA)
Ministero della cultura destina 1,25 milioni di euro a Zuglio per la riqualificazione e valorizzazione del sito archeologico di Iulium Carnicum, unico centro urbano antico di età romana conservato nell’area alpina orientale.
IULIUM CARNICUM
L’intervento rientra così tra i 38 Grandi Progetti Beni Culturali previsti sul territorio nazionale, varati dal Ministro della Cultura Dario Franceschini – e approvati dalla Conferenza Unificata Stato Regioni – perché considerati ‘strategici’ per favorire il rilancio della competitività territoriale del Paese e la crescita economica e sociale. Un Piano complessivo del valore di circa 200 milioni di euro per la tutela, la riqualificazione, la valorizzazione, la promozione culturale e l’incremento dell’offerta turistico culturale.
Il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale è uno degli assi fondamentali su cui si fonda la crescita economica e sociale del Paese. Questo intervento rientra tra i 38 progetti strategici che il ministero ha portato in Conferenza Stato Regioni a conferma della centralità della cultura nell’azione di politica economica del governo”, dice il ministro della Cultura, Dario Franceschini.
L’area archeologica di Zuglio si articola attorno al foro romano, centro pulsante dell’antica città di Iulium Carnicum. Dei resti del foro si conservano parti di alcuni edifici pubblici principali: un tempio, un capitolium, il complesso termale, risalente al I secolo d.C. noto per le decorazioni di alcuni ambienti, in particolare del frigidarium ricco di affreschi in stile pompeiano e la Basilica. Nel Museo Archeologico di Zuglio sono esposti invece i reperti dell’area insieme a testimonianze precedenti e successive all’epoca romana.
Oggetto principale dell’intervento è il completamento dello scavo archeologico, il rinnovo della copertura e la realizzazione di un punto panoramico che permetta una migliore e completa comprensione dell’area archeologica valorizzando tutto il percorso di visita del Foro.
Iulium Carnicum, così come tutti gli interventi della Programmazione strategica dei Grandi Progetti, è dunque destinato a diventare uno strumento di promozione dell’offerta culturale e turistica italiana e un veicolo di sviluppo economico sostenibile del territorio.
Da il gazzettino.it
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IULIUM CARNICUM
Da società friulana di archeologia
Archeocartrfvg.it
REGIO VENETIA
Nella media vallata del torrente But, alla confluenza con il rio Bueda, dove oggi si sviluppa l’abitato di Zuglio, i Romani hanno lasciato un segno indelebile della loro presenza nei loro territori alpini dell’Italia nord-orientale: una città dal nome Iulium Carnicum, sorta in corrispondenza di un agglomerato esistente almeno dalla seconda metà del II sec. a.C., al quale gli studiosi attribuiscono un ruolo importante nell’ambito dei traffici commerciali tra l’area adriatica e l’area a nord delle Alpi. La prima sicura forma dell’insediamento romano fu quella del vicus, cioè un piccolo centro non dotato di autonomia amministrativa, ma probabilmente dipendente da Aquileia, istitito in età cesariana (anni centrali del I sec. a.C.). Esso fu da subito ben pianificato per quanto riguarda i sistemi infrastrutturali, come, ad esempio, le strade e lo smaltimento delle acque. Il principale ambito di questa prima comunità fu costituito da un ampio spazio fornito da botteghe, attorno al quale si svilupparono abitazioni di ampie dimensioni e di qualità elevata, con pavimenti cementizi ornati da motivi realizzati con tessere di mosaico e con sistema di riscaldamento ad ipocausto, cioè con il passaggio di aria calda sotto i piani pavimentati sorretti da pilastrini. Oltre alle evidenze archeologiche, la documentazione epigrafica ci racconta di opere significative come il rifacimento o l’erezione di edifici sacri, rispettivamente un tempio a Beleno e uno dedicato a Ercole.
IULIUM CARNICUM
La fisionomia dell’abitato cambiò radicalmente in coincidenza di un importante mutamento istituzionale rappresentato dall’autonomia amministrativa: il piccolo centro divenne città (municipium o, più probabilmente, colonia), alla quale fu assegnato un vasto territorio da controllare compreso tra Cadore e Val Canale. Entro la seconda metà del I sec. a.C. fu avviato un imponente e articolato progetto di monumentalizzazione degli spazi e degli edifici pubblici, che portò anche alla realizzazione di infrastrutture come l’acquedotto, di cui sono state rinvenute alcune tubazioni in piombo.
Sul luogo già destinato a spazio pubblico venne creato il foro, fulcro della vita civile, amministrativa e politica della città, che costituisce oggi un’area archeologica di grande suggestione per il visitatore. L’impianto della piazza, con il tempio posto nella parte settentrionale e la basilica civile affacciata sul lato breve meridionale, riproduce con fedeltà il modello del foro di Cesare a Roma. Da quest’area provengono le più significative testimonianze artistiche finora note della città romana, che si inseriscono nella migliore tradizione bronzistica romana dell’Italia settentrionale. Un primo nucleo venne recuperato agli inzi dell’Ottocento nell’ampio criptoportico della basilica civile, che nel 1820 venne venduto al Museo di Cividale (dove ora si trova, ndr): si tratta di due dediche a Gaio Bebio Attivo, procuratore del Norico, e di due (forse tre) grandi clipei (decorazione rotonda, a forma di medaglione, in rilievo) che facevano verosimilmente parte di una galleria di personaggi della famiglia giulio-claudia, forse allestita all’interno dell’edificio. Un clipeo, studiato e ricomposto in anni recenti, dal diametro massimo di 1,84 mt., comprendeva al centro una raffigurazione di togato, mentre un secondo esemplare aveva dimensioni maggiori (diametro 2,50 mt.) ed era caratterizzato da una corona di foglie di quercia. Sempre dalla basilica civile proviene anche una straordinaria testa virile di bronzo (che gli ultimi studi assegnano agli inizi del II sec. d.C.), contraddistinta da tratti decisi e da alcuni particolari fisionomici marcati, recuperata nel 1938 in occasione degli scavi del Bimillenario augusteo. Nelle immediate adiacenze del foro si trovava il complesso termale pubblico, edificato intorno alla metà del I sec. d.C. come indicano alcune evidenze materiali, in particolare gli affreschi e gli stucchi. Dell’edificio si conoscono alcuni ambienti tra i quali il frigidarium, la sala termale più vasta, occupata per i bagni di immersiane. Nel caso di Iulium Carnicum questo ambiente era fornito da una vasca rettangolare con abside su un lato, rivestita internamente con cocciopesto impermeabile.
Della città, sviluppata nella parte pianeggiante lungo il corso del torrente But, ma anche sulle prime pendici del colle sovrastante mediante un sistema a terrazzi, conosciuamo anche alcune testmonianze riferibili all’edilizia domestica. Sono note per solo porzioni di edifici privati, che indicano una tipologia di case con piante semplici ad ambienti paralleli affacciati ad un corridoio di disimpegno. Una delle costruzioni meglio indagate, per la quale è in corso un progetto di valorizzazione destinato alla creazione di una nuova area archeologica a Zuglio, si colloca nel settore settentrionale dell’area urbana. Le dimensioni dell’edificio sono considerevoli, almeno 400 metri quadri, ma dalle indicazioni fornite dallo scavo, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia a partire dal 2001, risulta che esso doveva svilupparsi anche in altezza, almeno in un settore. La costruzione, di cui non è stato possibile riconoscere l’impianto originario, si adattava in gran parte alla configurazione del terreno, presentando all’interno piccoli dislivelli tra i diversi ambienti, almeno dieci, superati con gradini in pietra e in qualche caso forse con scalette in legno di cui si è persa la traccia. Tra i materiali provenienti dallo scavo particolarmente interessanti e abbondanti si sono rivelati quelli rinvenuti al di sopra delle ultime pavimentazioni dell’edificio e quindi ricollegabili alle fasi finali della frequentazione e abbandono (V sec. d.C.). Numerosi sono gli esemplari di vasellame in ceramica comune grezza, caratterizzata da impasti grossolani, spesso arricchiti di quarzo o calcite triturata per migliorarne le capacità di tenuta alla fiamma e utilizzata per la preparazione degli alimenti e la conservazione delle derrate. L’insediamento moderno di Zuglio si sviluppa proprio in corrispondenza della città antica, della quale per ora è visitabile il centro monumentale costituito dal complesso forense. Le altre zone di interesse archeologico sono illustrate da una serie di pannelli collocati lungo un percorso di visita che prende avvio dal Museo archeologico.
Fonte: AA.VV. Tra storia e fede. Guida storico-artistica a Pievi e siti archeologici in Carnia, Regione FVG, ottobre 2011.
Un centro alpino tra Italia e Norico (Tolomeo, Geografia, II, 13,3). Iulium Carnicum raggiunse verosimilmente l’autonomia amministrativa in età augustea nella forma di municipio o forse direttamente di colonia. Nel corso del I sec. d.C. il centro mantenne il suo ruolo di collegamento con i territori posti al di là dei valichi alpini, diventati nel frattempo una provincia: il Norico. Lungo la vallata transitavano le merci mediterranee più richieste nelle zone d’Oltralpe, cioè il vasellame fine da mensa (in particolare terra sigillata italica), la ceramica comune e da fuoco di alta qualità (ceramica a vernice rossa interna) e soprattuo l’olio e il vino, trasportati in anfore e provenienti da svariate zone dell’Italia peninsulare, dall’area egea e dall’Istria. Come ricorda lo storico Strabone (I sec. d.C.) a proposito dei traffici aquileiesi (Geografia, V, 1,8), le province settentrionali esportavano a loro volta verso il Mediterraneo schiavi, bestiame, pelli e metalli. La presenza a Iulium Carnicum di individui provenienti dai territori a nord delle Alpi è suggerita dal rinvenimento di ceramiche comuni fabbricate nel Norico e diffuse quasi esclusivamente nell’area alpina. L’economia del territorio doveva basarsi anche sullo sfruttamento del legname, dell’allevamento del bestiame, delle cave di pietra e forse dei giacimenti minerari. Nella prima età imperiale la commercializzazione a livello regionale di alcuni derivati dell’allevamento dei caprovini è testimoniata, per la città alpina così come per altri centri delle Alpi nord-orientali, dalla diffusione fino alla costa adriatica dei vasi Auerberg, fabbricati probabilmente nel territorio di Iulium Carnicum e usati come contenitori da trasporto. Il centro mantenne un ruolo importante fino all’età tardoimperiale e di conseguenza anche l’afflusso di manufatti e di derrate alimentari da regioni anche remote continuò con una certa regolarità. Olio e salse di pesce venivano importati dalla penisola iberica e, successivamente, anche dalle coste settentrionali dell’Africa, assieme a lucerne e a vasellame che, seppur in quantità meno rilevanti rispetto ai centri più vicini della costa, rappresenta la suppellettile da tavola per eccellenza del periodo tardoimperiale. Alcuni contenitori testimoniano anche l’importazione di vino dall’Oriente mediterraneo e dalla Mauretania. Ancora dall’Oriente mediterraneo arrivava in età medio imperiale la ceramica fine da mensa. Una scatola cilindrica decorata a matrice con scene di battaglia attesta, inoltre, il consumo di un pregiato unguento profumato prodotto in Grecia, anche se sembra essere il solo esemplare a Zuglio. Somo documentati ancora i contatti commerciali transalpini con l’importazione di ceramiche da cucina dal Norico e dalla Pannonia, ma accanto a questi prodotti d’importazione a largo raggio si trovano ovviamente abbondanti testimonianze di vasellame di uso comune di produzione locale o regionale, alle quali si affiancano anche i contenitori in vetro, di più ampia diffusione territoriale, caratteristici di questo momento storico. Il quadro delle merci di diversa provenienza attestate dagli scavi di Zuglio sembra quindi indicare anche per l’epoca più tarda la vivacità degli scambi commerciali che passavano per il centro alpino proveniendo da due direzioni opposte: da una parte, le merci di origine orientale e mediterranea in generale che risalivano dalla pianura e dai porti costieri verso le regioni transalpine, dall’altra, i manufatti caratteristici di quelle regioni che seguendo la corrente contraria venivano portati verso l’Italia settentrionale e la costa.
Fonte: Patrizia Donati, Luciana Mandruzzato, Iulium Carnicum in età imperiale, in In viaggio verso le alpi. itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico, a cura di Flaviana Oriolo, luglioeditore, Trieste 2014.
Info: L’area archeologica del Foro romano viene aperta su prenotazione per gruppi e scolaresche contattando il Civico Museo Archeologico Iulium Carnicum. Museo: Palazzo Tommasi Leschiutta – Via Giulio Cesare, 19 – 33020 Zuglio (Ud) Tel. e fax 0039 0433 92562 – e-mail: museo.zuglio@libero.it – http://www.comune.zuglio.ud.it
Bibliografia: – AA.VV. Tra storia e fede. Guida storico-artistica a Pievi e siti archeologici in Carnia, Regione FVG, ottobre 2011.
Patrizia Donati, Luciana Mandruzzato, Iulium Carnicum in età imperiale, in In viaggio verso le alpi. itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico, a cura di Flaviana Oriolo, Luglio Editore, Trieste 2014.
Nel 2005, durante la costruzione della linea ferroviaria Alta Velocità, nella tratta Novara-Milano2 grazie ad un meticoloso lavoro di sorveglianza archeologica sui cantieri dei sovrintendenti , veniva messa in luce una necropoli tardoromana .
Ritrovamenti dalle tombe tardoromane
Allargando l’area degli scavi venivano man mano scoperte anche tombe a cremazione romane del del I secolo d.C.. Il progressivo allargamento degli scavi evidenziava la presenza anche di tombe celtiche .
Resti di corredi romani del I sec.d.C.
Nonostante il carattere molto verosimilmente parziale del ritrovamento, considerando che le tombe celtiche sono vicine al limite nordoccidentale dell’area che è stato possibile indagare e che l’ampio canale di età ancora successiva a quella romana passa proprio in questo punto intaccando alcune strutture, questa scoperta permetteva comunque di riportare indietro di alcuni secoli la prima frequentazione dell’area. Nulla sappiamo purtroppo – come accade spesso per le antiche comunità celtiche stanziate sul nostro territorio – della collocazione né delle dimensioni dell’abitato, probabilmente un pagus (villaggio) secondo le testimonianze degli autori antichi relative all’insediamento per piccoli nuclei sparsi. Particolarmente suggestivo è il ritrovamento dei resti di una struttura lignea circolare interpretata come possibile luogo di culto.
Ritrovamenti della necropoli celticaResti di struttura circolare (luogo di culto?)
Il volume della sovraintendenza è un diario di viaggio di queste scoperte.
“Tramandano che un tempo i Galli, circondati dalle Alpi come da un muro inespugnabile, ebbero questa motivazione per riversarsi in Italia la prima volta: poiché un certo Elicone, della tribù degli Elvezi, dopo aver dimorato a Roma per esercitare il mestiere di fabbro, ritornando nella propria terra avrebbe portato con sé fichi, uva passa, olio e vino. Bisogna quindi perdonarli se decisero di procurarsi questi beni anche con la guerra”
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XII, 5)
Celti talvolta organizzano durante i loro banchetti dei veri duelli. Sempre armati nelle loro riunioni, si dedicano a dei simulacri di combattimento e lottano tra di loro a mani nude; arrivano tuttavia talvolta fino alle ferite, si irritano allora e se qualcuno non li separa arrivano ad uccidersi. Nei tempi antichi quando era servito un cosciotto o un prosciutto, il più valoroso se ne attribuiva la parte superiore; se un altro desiderava prenderlo, avveniva tra i due contendenti un combattimento a morte … Quando i convitati sono numerosi si seggono in circolo mentre il posto nel mezzo è riservato al personaggio più importante … colui che si distingue tra tutti per la sua abilità in guerra, per la sua nascita o per le sue ricchezze. Presso di lui siede il suo ospite e, alternativamente sulle due ali, tutti gli altri secondo il loro rango. Dietro si tengono i valletti d’armi che portano lo scudo e di fronte i portatori di lance: seduti in cerchio come i loro padroni, fanno festa nello stesso tempo. I servi fanno circolare le bevande in vasi di terracotta o d’argento … i piatti su cui sono disposte le vettovaglie sono dello stesso genere, talvolta in bronzo, altre volte in legno e vimini intrecciato. La bevanda servita dai ricchi è il vino d’Italia o della regione massaliota: lo bevono puro o, più raramente, mescolato con un po’ d’acqua; presso coloro che sono meno abbienti, si usa una bevanda fermentata a base di frumento e di miele; presso il popolo la birra che chiamano korma. Bevono dalla stessa coppa, a sorsi piccoli … ma frequenti.”
Posidonio, Storie, XXIII ( da Terrataurina.it)
La ricostruzione proposta di seguito si basa dunque sulle poche fonti scritte e attinge invece più ampiamente alla documentazione archeologica, con particolare riferimento ai territori abitati da Insubri e Leponzi, corrispondenti al cuore della regione che i Romani definirono Transpadana, e che attualmente comprende la Lombardia e il Piemonte orientale1
Questa stele presenta la dedica di Sossia Iusta, liberta del murmillo Quintus Sossius Albus, al suo benemerito proprietario. Q. Sossius Albus, è raffigurato nella pietra come un gladiatore armato di tutto punto. Possiamo dedurre che Quintus fosse un uomo libero dalla sua identificazione con “tria nomina” (tre nomi) scolpiti sulla stele. Generalmente invece i gladiatori erano schiavi identificati da iscrizioni che riportavano solo i loro soprannomi. Un uomo libero, un cittadino romano come lo era Q. Sossius Albus, poteva esibirsi nei giochi gladiatori solo per sua libera scelta o per speciale invito imperiale.
Il nostro personaggio è rappresentato in altorilievo come un mirmillone (murmillo). Indossa un perizoma (subligaculum), e l’equipaggiamento tipico di questa classe di gladiatori ovvero è dotato di elmo crestato, spada corta (gladius), scudo “piastrellato” (scutum), manica protettiva sulla braccio destro e un solo schiniero (ocra) sulla gamba sinistra. Sebbene il volto del defunto sia coperto dalla visiera a grata dell’elmo, la modellazione della figura è molto accurata.
Fonte: Cigaina L., “Microscultura nelle stele sepolcrali di Aquileia romana”