L’Italia antica era un mosaico di popoli: Etruschi, Celti, Veneti, Reti, Umbri, Piceni, Latini, Osci, Apuli, Bruzi, Siculi. Ciascuno aveva la propria lingua e praticava la scrittura in una grande varietà di situazioni e di tipologie linguistiche.
L’esposizione presso il Museo d’Arte di due importanti prestiti archeologici legati ai temi della lingua e della scrittura (la Stele di Lemno e la Stele di Vicchio), è l’occasione di una serie di incontri organizzati da Fondazione Luigi Rovati in collaborazione con l’Istituto nazionale di Studi Etruschi ed Italici su alcune lingue dell’Italia preromana approfondendone l’uso e la funzione all’interno dei diversi contesti storici, fino alla contemporaneità e alle prospettive future di lingua e scrittura.
Mercoledì 1 marzo
ore 17
L’Etrusco
Giuseppe Sassatelli Istituto nazionale di Studi Etruschi ed Italici
Mercoledì 8 marzo
ore 17
Il Retico
Simona Marchesini Università degli studi di Verona
È appena stato pubblicato il numero di Ada “archeologia delle Alpi” 2021/2022. Sul sito di trentino cultura ( https://www.cultura.trentino.it/Pubblicazioni) è possibile inoltre scaricare o richiedere in formato digitale il volume pubblicato ed i numeri precedenti oltre a diverse pubblicazioni di archeologia trentina.
ADA 2021/2022
Documenta lo stato dell’arte delle ricerche archeologiche in Trentino “AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022”, il volume recentemente dato alle stampe dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. La pubblicazione di 231 pagine, a cura di Franco Nicolis e Roberta Oberosler, offre un aggiornamento puntuale sulle attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, archeologico in particolare, condotte sul territorio provinciale. L’obiettivo è quello di rivolgersi a pubblici diversi e sempre più ampi, andando oltre la platea degli addetti ai lavori, al fine di condividere con tutti gli interessati i risultati delle indagini in questo ambito. Il volume, disponibile anche in formato digitale, può essere richiesto all’Ufficio beni archeologici scrivendo all’indirizzo di posta elettronica uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022” si compone di due parti: la prima e più corposa è composta da articoli di archeologi, studiosi, esperti di settore, ricercatori di istituzioni scientifiche e culturali con approfondimenti specifici mentre la seconda parte è costituita da un sintetico notiziario che riporta i principali interventi effettuati nell’ultimo biennio in Trentino. Filo conduttore dei contenuti è la metodologia di indagine che presuppone un approccio multidisciplinare e un costante confronto per l’analisi dei dati da parte di studiosi ed esperti di settori diversi.
Una buona parte dei contributi è dedicata alle ricerche condotte nell’area urbana di Trento. Il capoluogo continua a restituire interessanti informazioni sul suo complesso passato a cominciare dal sito de La Vela dove sono emerse evidenze di occupazione risalenti al Neolitico legate a pratiche di allevamento di ovicaprini con una propensione per lo sfruttamento delle risorse animali a discapito delle attività produttive agricole. Restando nell’ambito cittadino è di particolare interesse la scoperta avvenuta in via Esterle dove, in un’area in passato interessata da violenti eventi alluvionali, alla inconsueta quota di 8 metri sotto i piani attuali, sono emerse testimonianze di epoca romana tra cui un tratto di via glareata e una porzione di area cimiteriale risalente al IV secolo d.C. La vitalità commerciale ed economica della Tridentum romana è attestata anche dallo studio dei frammenti di anfore rinvenuti durante gli scavi di Piazza Bellesini e nell’area archeologica di Palazzo Lodron a Trento. L’origine di questi contenitori, provenienti da diverse aree dell’Impero, evidenzia come Tridentum facesse parte di una fitta rete commerciale che metteva in comunicazione la penisola italica con il bacino renano-danubiano e con le aree del Mediterraneo orientale e occidentale. Riguardo il loro contenuto, si può ipotizzare che le anfore servissero principalmente per l’approvvigionamento e il trasporto di olio, salse di pesce, vino miele, olive, frutta secca e spezie oltre a olii vegetali, balsami e unguenti. Di epoca romana è anche il sarcofago, rinvenuto nel 1860 e attualmente visibile in piazza della Mostra, del quale vengono illustrati i materiali di corredo in esso ritrovati e il contesto.
Nuovi dati sull’età romana in Trentino giungono inoltre dalla ripresa dei lavori presso la villa romana di Isera, in Vallagarina, che hanno reso possibile la raccolta di nuovi e importanti dati relativi alla tecnica edilizia e all’articolazione del grande edificio terrazzato con sale panoramiche e giardino risalente alla prima età imperiale. Spostandoci in Val di Non, la recente riconsegna di una coppa vitrea e di due bracciali in bronzo è stata l’occasione per lo studio e la ricontestualizzazione di questi reperti che ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una possibile necropoli tardoantica tra Revò e Romallo, ai margini dell’importante via che attraverso la Val di Non collegava i due versanti delle Alpi e veicolava prodotti di pregio importati e apprezzati anche in Anaunia.
Si sta rivelando di grande importanza lo scavo di ricerca presso l’insediamento retico-romano del Doss Penede a Nago-Torbole, oggetto di un progetto di studio multidisciplinare che vede la collaborazione tra l’Universita di Trento, la Soprintendenza e il Comune di Nago-Torbole. Lo scavo archeologico ha restituito significative testimonianze architettoniche di età romana delle quali sono state analizzate le tecniche edificatorie e le soluzioni costruttive. Contribuisce alla ricerca e alla conoscenza degli insediamenti rurali in area trentina lo studio dei materiali provenienti dal complesso rurale di epoca romana e tardoromana messo in luce a Mezzolombardo in località Calcara.
L’indagine con metodo archeologico, condotta in occasione di recenti lavori nei pressi di Passo San Valentino a Brentonico, ha portato al recupero di un insieme di reperti databili al XVIII secolo che hanno permesso di riconoscere la presenza di una serie di fortificazioni realizzate nel 1796 dall’Impero Asburgico per contrastare l’avanzata napoleonica in Trentino.
Ampio spazio è riservato al Parco Archeo Natura di Fiavé, inaugurato nell’estate 2021, al quale sono dedicati tre articoli. Il soprintendente Franco Marzatico evidenzia come la realizzazione del Parco, in dialogo tra l’archeologia e l’ambiente naturale, abbia lo scopo di proporre un percorso partecipato di conoscenza, consapevolezza e valorizzazione, offrendo un’opportunità di fruizione integrata del patrimonio culturale e ambientale che coinvolga nel progetto le diverse realtà locali per accrescere la conoscenza e la consapevolezza culturali, sia l’attrattiva del territorio dal punto di vista turistico. Le referenti dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici tracciano un quadro della ricca proposta di attività rivolte a pubblici di ogni età, con particolare attenzione al mondo della scuola e alle famiglie, realizzati con enti e associazioni locali e con il coinvolgimento attivo della comunità.
Il notiziario riporta gli interventi di indagine archeologica effettuati Civezzano in località Sorabaselga, ad Arco in via Degasperi, a Tesero in località Sottopedonda, a Sanzeno in Val di Non, sull’Altopiano della Vigolana, ad Arco presso il Monastero delle Serve di Maria, a Trento in via Grazioli e in via S.Pietro e a Vetriolo dove è stata portata alla luce una vasta area mineraria protostorica.
“Archeologia delle Alpi. Studi in onore di Gianni Ciurletti” raccoglie indagini e approfondimenti su varie tematiche in ambito archeologico che coprono un arco temporale dalla preistoria all’età contemporanea. Hanno contribuito al volume studiosi e ricercatori oltre agli archeologi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che hanno così reso omaggio a Gianni Ciurletti già Soprintendente per i beni archeologici del Trentino.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici Via Mantova, 67
Sviluppi culturali durante l’età del ferro nei territori alpini centro-orientali.
Atti della giornata di studi internazionale: 1 maggio 2010 – Sanzeno – Trento.
Il territorio trentino è stato sin da epoche remotissime luogo d’incontro e di confronto tra i popoli. Costituisce, infatti, fin dall’antichità un passaggio naturale che collega il mondo mediterraneo all’Europa transalpina. Questo volume costituisce un importante risultato dell’azione di tutela, conoscenza, valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico non solo provinciale ma più in generale alpino.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici Via Mantova, 67
Tel. 0461/492161
uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
La pubblicazione è consultabile presso la biblioteca specialistica “Pia Laviosa Zambotti” dell’Ufficio beni archeologici, via Mantova 67, Trento, tel.0461 492161.
Primo numero del rinnovato periodico che ospita articoli relativi singoli aspetti, scavi, ricerche, scoperte effettuati nel territorio provinciale e più in generale nell’area alpina centro-orientale.
In questo primo numero della nuova rivista sono raccolti articoli, saggi, riflessioni, interventi informativi di carattere archeologico che provengono dall’Ufficio beni archeologici e da altre istituzioni trentine che hanno tra le proprie competenze anche la ricerca archeologica.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici Via Mantova, 67
Tel. 0461/492161
Le pubblicazioni sono disponibili presso le strutture della Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici:
S.A.S.S. Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas Trento, piazza Cesare Battisti
Museo Retico – Centro per l’archeologia e la storia antica della Val di Non
Sanzeno, via Rezia 87
Museo delle Palafitte di Fiavé Fiavé, via 3 Novembre, 53
2021 Provincia autonoma di Trento Autore / Curatore: Paolo Bellintani, Elena Silvestri Ufficio beni archeologici Fare Rame. La metallurgia primaria della tarda età del Bronzo in Trentino: nuovi scavi e stato dell’arte della ricerca sul campo aggiorna, con le ricerche condotte dopo il 2000 dall’Ufficio beni archeologici, le conoscenze sullo sfruttamento dei giacimenti di rame trentini nella tarda età del Bronzo (3400-3000 anni fa circa). Si tratta di alcuni studi dedicati a siti di lavorazione del minerale di rame (Segonzano, Lavarone, Luserna, Transacqua, S.Orsola, Fierozzo) messi a confronto con analoghi contesti archeologici nord-alpini e alcuni lavori di sintesi sulla cronologia relativa e assoluta dei contesti esaminati, sulla tipologia delle strutture piro-tecnologiche e sull’inquadramento storico della tematica.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici via Mantova, 67 38122 Trento tel. 0461 492161 uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
scarica il libro: Fare Rame_volume_web.pdf (21,01 MB)
scarica il sommario: Fare Rame_sommario_web.pdf (305,06 kB)
Attraverso l’archeologia il passato si fa presente, le tombe acquistano vita. Stupiscono e affascinano i reperti in mostra nel nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona, presso l’ex caserma asburgica di San Tomaso, inaugurato lo scorso 17 febbraio e appena arricchitosi di una nuova, ampia sezione interamente riservata all’Età del Ferro – dall’inizio del primo millennio a.C. fino all’arrivo dei Romani – che va ad aggiungersi a quella dedicata a preistoria e protostoria.
Una vera e propria finestra sul passato che aiuta a capire la realtà di un territorio come quello veronese, da tempi antichissimi punto di incontro e crocevia di genti diverse tra loro per lingua e cultura come Veneti, Etruschi, Reti e Celti. La nuova sezione appena inaugurata, curata sotto il profilo scientifico dalla direttrice Giovanna Falezza e da Luciano Salzani in collaborazione con la soprintendenza veronese, è stata allestita da Chiara Matteazzi, in continuità con il precedente allestimento museale. Focus delle nuove sale espositive sono numerosi abitati sia in pianura che in collina, anche di rilevanti dimensioni come ad esempio il centro veneto in località Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari con ampie aree di insediamenti abitativi accanto ad aree artigianali. A fornire i reperti più interessanti sono però le numerosi necropoli, spesso ricche di oggetti particolari venuti da lontano e con lavorazioni raffinatissime, a testimoniare la ricchezza dei contatti con il resto della penisola e, a volte, con gli altri popoli del mediterraneo.
Emoziona ad esempio il corredo funerario, unico per completezza e ricchezza, del cosiddetto “Principe bambino”, proveniente da una delle 187 tombe della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio. Si tratta della sepoltura di un soggetto di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme a un sontuoso carro da parata ,( https://wp.me/paEVnZ-Qt) , di cui restano gli elementi metallici come i mozzi delle ruote e i morsi dei cavalli, e a un armamentario tipico dei guerrieri adulti: spada, lancia, giavellotto e scudo. Un ricco vasellame ceramico e bronzeo assieme a monete, attrezzi agricoli, strumenti per il banchetto e i residui del pasto funebre completano il quadro di un’ultima dimora presumibilmente riservata a un appartenente alle classi dominanti. L’attento studio del contesto ha permesso agli archeologi di ricostruire il rituale di sepoltura, che viene oggi riproposto ai visitatori con l’ausilio di un suggestivo contributo multimediale: dopo che questi fu cremato insieme ad alcune offerte, le ceneri del bimbo furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo. Al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto.
Non meno suggestivo il corredo di una tomba del VII secolo a.C. appartenente a una bambina di pochi anni, rinvenuto in una delle tre necropoli di Oppeano. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo furono deposti alcuni elementi molto particolari: conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco, una pianta di astragalo, probabilmente un amuleto e infine un uovo di cigno, uccello acquatico ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione. Sepolture di uomini e donne ma anche di animali: come i famosi cavalli veneti, citati da fonti latine e greche per la loro agile bellezza; nel percorso museale è infatti presente uno dei due “cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano. Si tratta di un piccolo maschio di 17-18 anni – 135 cm al garrese – sepolto in una piccola fossa coricato sul fianco destro e con le gambe ripiegate.
Si tratta solo di alcuni tra i molti tesori del nuovo museo, il più famoso dei quali è l’iconica pietra calcarea dipinta in ocra rossa nota come “lo Sciamano”. L’opera, rinvenuta a Grotta di Fumane, va posta alle origini delle prime espressioni artistiche (paleolitico superiore, circa 40.000 anni prima di Cristo) e raffigura un personaggio che indossa un copricapo: una delle più antiche immagini teriomorfe (figure di uomo-animale) conosciute. Un luogo da conoscere e visitare più volte, in attesa che il progetto espositivo venga completato nel 2024 con l’aggiunta dell’ultima, fondamentale parte dedicata all’età romana.
Un viaggio immaginario alla scoperta del mondo dei Veneti antichi, lungo il I millennio a.C., dalle origini fino al contatto con il mondo romano.
Vengono riuniti centinaia di oggetti emersi dagli scavi archeologici che ci raccontano come viveva questo popolo antico, come costruiva le abitazioni, come si procurava il cibo, come seppelliva i propri defunti, come si rivolgeva alle divinità, come si rapportava ai popoli confinanti e a quelli più lontani con cui entrava in contatto. Vengono inoltre messi in luce aspetti di grande rilevanza culturale: la pratica della scrittura e il suo legame con la realtà del sacro, ma anche la padronanza nella lavorazione del bronzo e la sua traduzione, sul piano dell’espressione artistica, nei repertori decorativi dell’arte delle situle, dove animali fantastici si intrecciano a scene di vita quotidiana, a momenti rituali, a processioni e a teorie di guerrieri.
Grande attenzione è dedicata al cavallo, animale importantissimo nella cultura protostorica: famosi erano già nell’antichità i cavalli dei Veneti decantati dalle fonti letterarie, effigiati su lamine votive, su monumenti funerari, riprodotti sotto forma di bronzetti e, non di rado, sepolti in apposite aree di necropoli e a volte addirittura abbinati, nel viaggio oltremondano, alla persona che di essi si era occupata durante la vita. Un viaggio nel tempo e nello spazio alla riscoperta dei nostri progenitori.
Quando parliamo dei popoli antichi che hanno abitato la regione Padana ed Alpina ,quella che sarà chiamata poi dai Romani Gallia Cisalpina , dobbiamo ovviamente pensare ad un vero e proprio mosaico di tante diverse popolazioni . Ad esempio, parlando dei Galli essi erano diversamente cugini tra loro . Insubri e Cenomani avevano avuto una diversa etnogenesi solo per fare un esempio.. Altri popoli Celti, i Boi e soprattutto i Senoni erano fortemente fuse con le popolazioni etrusche ed umbre tanto da creare una koinè celto- italica.
Nel Piemonte e sugli Appennini la commistione con Liguri fu ancora più forte. Altre popolazioni come i Camuni e i Triumphilini erano definiti come Euganei e seppur molto affini ai Reti avevamo assorbito anche molti elementi etruschi, celtici e venetici. I Reti sulle Alpi, affini ai Tirreni per lingua, avevano anche loro assorbito molti elementi celtici e venetici così come i Veneti ,affini a loro volta linguisticamente ai Latini. Nel video che qui segue il vicedirettore del Gruppo Archeologico Comasco ci descrive appunto questo complesso mosaico di popoli e nazioni. Buona visione .
Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00
GRUPPO ARCHEOLOGICO CADORINO in collaborazione con MAGNIFICA COMUNITÀ DI CADORE presenta
Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano
Relatore Gioal Canestrelli Laureato in lettere antiche presso l’Università degli studi di Verona, dove vive e lavora, ha partecipato a numerosi scavi archeologici e dal 2004 si occupa attivamente di Archeologia Sperimentale ed è curatore di varie pubblicazioni. E’ conosciuto anche per i suoi contributi diffusi nelle piattaforme social e nei vari eventi culturali di ricostruzione storica.
La presentazione spazierà dalle leggende alla storia raccontata, con particolare attenzione ai rapporti di interscambio tra culture e con riferimenti all’area alpina, a quella dolomitica e al Cadore.
___________________________
Primo di un ciclo di tre incontri che coprono 1500 anni della nostra storia:
“Reti, Veneti e Celti nel Cadore preromano”, relatore Gioal Canestrelli Sabato 23 aprile 2022 ore 17.00 – Pieve di Cadore, Salone della Magnifica Comunità di Cadore
“L’avvento di Roma nelle Alpi Orientali – Riscontri militari – Aspetti di vita civile quotidiana: il vetro” Relatori Fabio Spagiari e Elisabetta Malaman Sabato 30 aprile 2022 ore 17.00 – Calalzo di Cadore, Sala consiliare
“L’arco alpino Orientale: cultura materiale e società: Epoca longobarda 568-774 – Epoca carolingia 774-884” Relatori Gabriele Zorzi e Dario Ceppatelli Sabato 7 maggio 2022 ore 17.00 – Lozzo di Cadore, Sala Pellegrini
Ingresso libero, nel rispetto delle vigenti disposizioni sanitarie
Presentazione di un ciclo di tre conferenze a carattere storico-archeologico organizzato dal GAC con la collaborazione di Magnifica Comunità di Cadore, MARC, Comune di Calalzo e Comune di Lozzo di Cadore per i mesi di aprile e maggio 2022.
Una piccola Venezia rupestre, sul crinale del colle”, così Anselmo Bucci definiva Feltre sul Corriere della Sera, nel lontano 1955. Feltre, una Venezia «ristretta, irrobustita, semplificata» e dal carattere montanino, si arricchisce ora del nuovo Museo Archeologico. La neonata istituzione è pronta a raccontare ai futuri pubblici le origini della città, le particolarità dei suoi reperti, il passato denso di storia. Il 29 aprile 2022 apre i battenti quello che è a tutti gli effetti un museo archeologico, ma di nuova generazione.
Propone infatti un percorso interattivo con videoproiettori, monitor, diffusori acustici. Si dota, inoltre, di un sistema di approfondimento digitale che, tramite QR Code, connette gli smartphone dei visitatori ad un archivio web strutturato. Si aggiunge una nuova meta per gli amanti dell’arte antica e delle bellezze arcaiche, dopo il recente opening del Museo Archeologico Nazionale di Verona e del romano Museo Ninfeo all’Esquilino.
Dracma venetica di imitazione massaliota
FELTRIA, IL MUSEO ARCHEOLOGICO
Una scritta scolpita ad oltre 2000 metri d’altezza sul Monte Pergol, nella catena del Lagorai, attesta l’antica Feltria come municipium competente e punto di raccordo delle vallate comprese tra Trento e Belluno. La città, che prima dell’arrivo dei romani era un insediamento retico, ha quindi una storia quindi antichissima. Aveva un territorio vastissimo che rendeva l’attuale Feltre tra i più rilevanti centri dell’alta terraferma veneta. Entrando negli ambienti del nuovo museo sorprende la scenografica parata di capitelli ionico-italici, in pietra tenera di Vicenza. Nella seconda sala è raccolta la piccola statuaria e alcune testimonianze dei raffinati ornamenti delle opulente dimore locali, datate tra il I sec. a.C. e il II d.C. Tra queste, la fontanella – rinvenuta nel 1926 – che doveva rinfrescare l’atmosfera di un elegante giardino patrizio e una Testa di Satiro, caratterizzata da un enigmatico sorriso. La Testa è lievemente inclinata, i capelli sono a ciocche corpose e divise da una benda, con una ricca corona vegetale frammentaria. La torsione del capo doveva essere giustificata dalla presenza di un altro elemento, collocato alla sua sinistra, come un bambino, una pantera o un grappolo d’uva.
Ma quali sono i reperti più curiosi e pregiati del Museo Archeologico di Feltre? Innanzitutto, nella sala dei culti, troneggia la più grande rappresentazione di Esculapio, dio della medicina, di tutta l’Italia centro-settentrionale. È una statua in marmo greco, a cristalli medi traslucidi, rinvenuta durante gli scavi sul sagrato del Duomo nel 1974. Esculapio indossa l’himation, il tipico mantello greco che andava sopra la tunica o a contatto con la pelle nuda. Poi si distingue l’ara votiva per Anna Perenna, dea collegata alle origini dell’Urbe per eccellenza, Roma. Si pensa fosse venerata in qualità di personificazione femminile dell’anno e del suo perpetuo ritorno. Si tratta di una rarissima iscrizione dedicata alla “singolare (e ambivalente)” figura di divinità testimoniata a Feltre e nel quartiere Parioli a Roma dove recentemente “è stato rinvenuto un suo santuario, con una cisterna al cui interno gli archeologi hanno trovato una ventina di lamine con maledizioni e figurine antropomorfe di materiale organico entro piccoli contenitori”. Infine, il monumento funebre dedicato a Lucius Oclatius Florentinus, pretoriano feltrino di illustre lignaggio deceduto a 24 anni, rappresenta un caso quasi unico nel suo genere. Perché? È stato “sepolto due volte”, sia a Feltre che nella capitale dell’Impero, all’imbocco della via Cassia. Per la stessa persona sono stati quindi innalzati ben due monumenti che, per la prima volta in assolto, si troveranno fianco a fianco .
Iscrizione romana alla divinità Anna Perennia
Il museo di Feltre ha beneficiato, per l’occasione della sua apertura, di un prestito eccezionale, da parte del Museo Archeologico Romano della Capitale. Eppure, il percorso espositivo non termina nelle sale ma si dipana, grazie agli strumenti di approfondimento urbano forniti, nelle strade della “Venezia dolomitica” tracciando una carta archeologica a cielo aperto. Il pubblico di fruitori può in tal modo rivivere, nel Ventunesimo Secolo, la “ricchezza culturale di un’area di cerniera tra montagna e pianura”.
– Giorgia Basili
Esculapio di Feltre
Museo Archelogico presso Museo Civico Feltre, via Luzzo 23 Dal 30 aprile a tutto maggio: dal lunedì alle domenica 10.30-13.00 e 15.00-18.00 – Previste aperture straordinarie e serali https://www.visitfeltre.info/ Ingresso con Totem card che consente l’accesso a Museo civico, Galleria Rizzarda, Museo Diocesano, Torri del Castello ed ex Prigioni (ridotta 8 euro, intera 10, famiglia 14) Info e prenotazioni Società Aqua srl 327/2562682 museifeltre@aqua-naturaecultura.com Ufficio Musei: 0439/885242
La cosiddetta Tomba di Antenore è un’edicola medievale che, secondo la leggenda, dovrebbe contenere le spoglie del mitico fondatore di Padova. Nel 1274, durante la costruzione di un ospizio, fu rinvenuta un’arca funeraria con due bare in cipresso e piombo contenenti resti umani con una spada e due vasi di monete d’oro. Il giudice Lovato Lovati, poeta e studioso, attribuì i resti al principe troiano Antenore al quale, secondo Tito Livio, si deve la fondazione di Padova. Nel 1283 fu decisa la costruzione di un monumento per contenere l’arca: un’edicola cuspidata costruita in laterizi al lato del ponte di San Lorenzo, di epoca romana, che attraversava il Naviglio.
Tomba di Antenore a Padova
Vi rimando per tutte le info al blog la voce dei borghi” da cui ho tratto l ‘idea del post:
Ministero della cultura destina 1,25 milioni di euro a Zuglio per la riqualificazione e valorizzazione del sito archeologico di Iulium Carnicum, unico centro urbano antico di età romana conservato nell’area alpina orientale.
IULIUM CARNICUM
L’intervento rientra così tra i 38 Grandi Progetti Beni Culturali previsti sul territorio nazionale, varati dal Ministro della Cultura Dario Franceschini – e approvati dalla Conferenza Unificata Stato Regioni – perché considerati ‘strategici’ per favorire il rilancio della competitività territoriale del Paese e la crescita economica e sociale. Un Piano complessivo del valore di circa 200 milioni di euro per la tutela, la riqualificazione, la valorizzazione, la promozione culturale e l’incremento dell’offerta turistico culturale.
Il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale è uno degli assi fondamentali su cui si fonda la crescita economica e sociale del Paese. Questo intervento rientra tra i 38 progetti strategici che il ministero ha portato in Conferenza Stato Regioni a conferma della centralità della cultura nell’azione di politica economica del governo”, dice il ministro della Cultura, Dario Franceschini.
L’area archeologica di Zuglio si articola attorno al foro romano, centro pulsante dell’antica città di Iulium Carnicum. Dei resti del foro si conservano parti di alcuni edifici pubblici principali: un tempio, un capitolium, il complesso termale, risalente al I secolo d.C. noto per le decorazioni di alcuni ambienti, in particolare del frigidarium ricco di affreschi in stile pompeiano e la Basilica. Nel Museo Archeologico di Zuglio sono esposti invece i reperti dell’area insieme a testimonianze precedenti e successive all’epoca romana.
Oggetto principale dell’intervento è il completamento dello scavo archeologico, il rinnovo della copertura e la realizzazione di un punto panoramico che permetta una migliore e completa comprensione dell’area archeologica valorizzando tutto il percorso di visita del Foro.
Iulium Carnicum, così come tutti gli interventi della Programmazione strategica dei Grandi Progetti, è dunque destinato a diventare uno strumento di promozione dell’offerta culturale e turistica italiana e un veicolo di sviluppo economico sostenibile del territorio.
Da il gazzettino.it
***************************
IULIUM CARNICUM
Da società friulana di archeologia
Archeocartrfvg.it
REGIO VENETIA
Nella media vallata del torrente But, alla confluenza con il rio Bueda, dove oggi si sviluppa l’abitato di Zuglio, i Romani hanno lasciato un segno indelebile della loro presenza nei loro territori alpini dell’Italia nord-orientale: una città dal nome Iulium Carnicum, sorta in corrispondenza di un agglomerato esistente almeno dalla seconda metà del II sec. a.C., al quale gli studiosi attribuiscono un ruolo importante nell’ambito dei traffici commerciali tra l’area adriatica e l’area a nord delle Alpi. La prima sicura forma dell’insediamento romano fu quella del vicus, cioè un piccolo centro non dotato di autonomia amministrativa, ma probabilmente dipendente da Aquileia, istitito in età cesariana (anni centrali del I sec. a.C.). Esso fu da subito ben pianificato per quanto riguarda i sistemi infrastrutturali, come, ad esempio, le strade e lo smaltimento delle acque. Il principale ambito di questa prima comunità fu costituito da un ampio spazio fornito da botteghe, attorno al quale si svilupparono abitazioni di ampie dimensioni e di qualità elevata, con pavimenti cementizi ornati da motivi realizzati con tessere di mosaico e con sistema di riscaldamento ad ipocausto, cioè con il passaggio di aria calda sotto i piani pavimentati sorretti da pilastrini. Oltre alle evidenze archeologiche, la documentazione epigrafica ci racconta di opere significative come il rifacimento o l’erezione di edifici sacri, rispettivamente un tempio a Beleno e uno dedicato a Ercole.
IULIUM CARNICUM
La fisionomia dell’abitato cambiò radicalmente in coincidenza di un importante mutamento istituzionale rappresentato dall’autonomia amministrativa: il piccolo centro divenne città (municipium o, più probabilmente, colonia), alla quale fu assegnato un vasto territorio da controllare compreso tra Cadore e Val Canale. Entro la seconda metà del I sec. a.C. fu avviato un imponente e articolato progetto di monumentalizzazione degli spazi e degli edifici pubblici, che portò anche alla realizzazione di infrastrutture come l’acquedotto, di cui sono state rinvenute alcune tubazioni in piombo.
Sul luogo già destinato a spazio pubblico venne creato il foro, fulcro della vita civile, amministrativa e politica della città, che costituisce oggi un’area archeologica di grande suggestione per il visitatore. L’impianto della piazza, con il tempio posto nella parte settentrionale e la basilica civile affacciata sul lato breve meridionale, riproduce con fedeltà il modello del foro di Cesare a Roma. Da quest’area provengono le più significative testimonianze artistiche finora note della città romana, che si inseriscono nella migliore tradizione bronzistica romana dell’Italia settentrionale. Un primo nucleo venne recuperato agli inzi dell’Ottocento nell’ampio criptoportico della basilica civile, che nel 1820 venne venduto al Museo di Cividale (dove ora si trova, ndr): si tratta di due dediche a Gaio Bebio Attivo, procuratore del Norico, e di due (forse tre) grandi clipei (decorazione rotonda, a forma di medaglione, in rilievo) che facevano verosimilmente parte di una galleria di personaggi della famiglia giulio-claudia, forse allestita all’interno dell’edificio. Un clipeo, studiato e ricomposto in anni recenti, dal diametro massimo di 1,84 mt., comprendeva al centro una raffigurazione di togato, mentre un secondo esemplare aveva dimensioni maggiori (diametro 2,50 mt.) ed era caratterizzato da una corona di foglie di quercia. Sempre dalla basilica civile proviene anche una straordinaria testa virile di bronzo (che gli ultimi studi assegnano agli inizi del II sec. d.C.), contraddistinta da tratti decisi e da alcuni particolari fisionomici marcati, recuperata nel 1938 in occasione degli scavi del Bimillenario augusteo. Nelle immediate adiacenze del foro si trovava il complesso termale pubblico, edificato intorno alla metà del I sec. d.C. come indicano alcune evidenze materiali, in particolare gli affreschi e gli stucchi. Dell’edificio si conoscono alcuni ambienti tra i quali il frigidarium, la sala termale più vasta, occupata per i bagni di immersiane. Nel caso di Iulium Carnicum questo ambiente era fornito da una vasca rettangolare con abside su un lato, rivestita internamente con cocciopesto impermeabile.
Della città, sviluppata nella parte pianeggiante lungo il corso del torrente But, ma anche sulle prime pendici del colle sovrastante mediante un sistema a terrazzi, conosciuamo anche alcune testmonianze riferibili all’edilizia domestica. Sono note per solo porzioni di edifici privati, che indicano una tipologia di case con piante semplici ad ambienti paralleli affacciati ad un corridoio di disimpegno. Una delle costruzioni meglio indagate, per la quale è in corso un progetto di valorizzazione destinato alla creazione di una nuova area archeologica a Zuglio, si colloca nel settore settentrionale dell’area urbana. Le dimensioni dell’edificio sono considerevoli, almeno 400 metri quadri, ma dalle indicazioni fornite dallo scavo, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia a partire dal 2001, risulta che esso doveva svilupparsi anche in altezza, almeno in un settore. La costruzione, di cui non è stato possibile riconoscere l’impianto originario, si adattava in gran parte alla configurazione del terreno, presentando all’interno piccoli dislivelli tra i diversi ambienti, almeno dieci, superati con gradini in pietra e in qualche caso forse con scalette in legno di cui si è persa la traccia. Tra i materiali provenienti dallo scavo particolarmente interessanti e abbondanti si sono rivelati quelli rinvenuti al di sopra delle ultime pavimentazioni dell’edificio e quindi ricollegabili alle fasi finali della frequentazione e abbandono (V sec. d.C.). Numerosi sono gli esemplari di vasellame in ceramica comune grezza, caratterizzata da impasti grossolani, spesso arricchiti di quarzo o calcite triturata per migliorarne le capacità di tenuta alla fiamma e utilizzata per la preparazione degli alimenti e la conservazione delle derrate. L’insediamento moderno di Zuglio si sviluppa proprio in corrispondenza della città antica, della quale per ora è visitabile il centro monumentale costituito dal complesso forense. Le altre zone di interesse archeologico sono illustrate da una serie di pannelli collocati lungo un percorso di visita che prende avvio dal Museo archeologico.
Fonte: AA.VV. Tra storia e fede. Guida storico-artistica a Pievi e siti archeologici in Carnia, Regione FVG, ottobre 2011.
Un centro alpino tra Italia e Norico (Tolomeo, Geografia, II, 13,3). Iulium Carnicum raggiunse verosimilmente l’autonomia amministrativa in età augustea nella forma di municipio o forse direttamente di colonia. Nel corso del I sec. d.C. il centro mantenne il suo ruolo di collegamento con i territori posti al di là dei valichi alpini, diventati nel frattempo una provincia: il Norico. Lungo la vallata transitavano le merci mediterranee più richieste nelle zone d’Oltralpe, cioè il vasellame fine da mensa (in particolare terra sigillata italica), la ceramica comune e da fuoco di alta qualità (ceramica a vernice rossa interna) e soprattuo l’olio e il vino, trasportati in anfore e provenienti da svariate zone dell’Italia peninsulare, dall’area egea e dall’Istria. Come ricorda lo storico Strabone (I sec. d.C.) a proposito dei traffici aquileiesi (Geografia, V, 1,8), le province settentrionali esportavano a loro volta verso il Mediterraneo schiavi, bestiame, pelli e metalli. La presenza a Iulium Carnicum di individui provenienti dai territori a nord delle Alpi è suggerita dal rinvenimento di ceramiche comuni fabbricate nel Norico e diffuse quasi esclusivamente nell’area alpina. L’economia del territorio doveva basarsi anche sullo sfruttamento del legname, dell’allevamento del bestiame, delle cave di pietra e forse dei giacimenti minerari. Nella prima età imperiale la commercializzazione a livello regionale di alcuni derivati dell’allevamento dei caprovini è testimoniata, per la città alpina così come per altri centri delle Alpi nord-orientali, dalla diffusione fino alla costa adriatica dei vasi Auerberg, fabbricati probabilmente nel territorio di Iulium Carnicum e usati come contenitori da trasporto. Il centro mantenne un ruolo importante fino all’età tardoimperiale e di conseguenza anche l’afflusso di manufatti e di derrate alimentari da regioni anche remote continuò con una certa regolarità. Olio e salse di pesce venivano importati dalla penisola iberica e, successivamente, anche dalle coste settentrionali dell’Africa, assieme a lucerne e a vasellame che, seppur in quantità meno rilevanti rispetto ai centri più vicini della costa, rappresenta la suppellettile da tavola per eccellenza del periodo tardoimperiale. Alcuni contenitori testimoniano anche l’importazione di vino dall’Oriente mediterraneo e dalla Mauretania. Ancora dall’Oriente mediterraneo arrivava in età medio imperiale la ceramica fine da mensa. Una scatola cilindrica decorata a matrice con scene di battaglia attesta, inoltre, il consumo di un pregiato unguento profumato prodotto in Grecia, anche se sembra essere il solo esemplare a Zuglio. Somo documentati ancora i contatti commerciali transalpini con l’importazione di ceramiche da cucina dal Norico e dalla Pannonia, ma accanto a questi prodotti d’importazione a largo raggio si trovano ovviamente abbondanti testimonianze di vasellame di uso comune di produzione locale o regionale, alle quali si affiancano anche i contenitori in vetro, di più ampia diffusione territoriale, caratteristici di questo momento storico. Il quadro delle merci di diversa provenienza attestate dagli scavi di Zuglio sembra quindi indicare anche per l’epoca più tarda la vivacità degli scambi commerciali che passavano per il centro alpino proveniendo da due direzioni opposte: da una parte, le merci di origine orientale e mediterranea in generale che risalivano dalla pianura e dai porti costieri verso le regioni transalpine, dall’altra, i manufatti caratteristici di quelle regioni che seguendo la corrente contraria venivano portati verso l’Italia settentrionale e la costa.
Fonte: Patrizia Donati, Luciana Mandruzzato, Iulium Carnicum in età imperiale, in In viaggio verso le alpi. itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico, a cura di Flaviana Oriolo, luglioeditore, Trieste 2014.
Info: L’area archeologica del Foro romano viene aperta su prenotazione per gruppi e scolaresche contattando il Civico Museo Archeologico Iulium Carnicum. Museo: Palazzo Tommasi Leschiutta – Via Giulio Cesare, 19 – 33020 Zuglio (Ud) Tel. e fax 0039 0433 92562 – e-mail: museo.zuglio@libero.it – http://www.comune.zuglio.ud.it
Bibliografia: – AA.VV. Tra storia e fede. Guida storico-artistica a Pievi e siti archeologici in Carnia, Regione FVG, ottobre 2011.
Patrizia Donati, Luciana Mandruzzato, Iulium Carnicum in età imperiale, in In viaggio verso le alpi. itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico, a cura di Flaviana Oriolo, Luglio Editore, Trieste 2014.
Vabbè Vicetia, ma i vicetini? Dei vicentini all’epoca di Vicenza romana, in effetti ben poco si sa, sia come gruppi sociali che individualmente. La città ha un profilo modesto e una propensione alla chiusura su sé stessa che improntano la vita dell’oppidum su uno sviluppo circoscritto, diciamo intra moenia (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr).
Già almeno dal III secolo avanti Cristo c’è pace nella Venetia e la definitiva integrazione nella Repubblica, duecento anni più tardi, porta un importante salto di qualità nelle condizioni ambientali ed urbane e, quindi, economiche. Vicenza diventa una città dove il benessere è diffuso perché i suoi abitanti possono dedicarsi al lavoro senza dover pensare, magari, a difendersi da nemici o a dove procurarsi il cibo.
Le attività produttive generano ricchezza per le gentes imprenditoriali della città. I settori più importanti sono quelli della produzione di laterizi, della estrazione e della lavorazione dei marmi, della lana e della tessitura. Poi c’è l’agricoltura (sono famosi i vini prodotti sui Colli Berici) e del commercio. La pietra delle cave di Costozza, così particolare, è esportata anche molto lontano dal territorio veneto.
Il ciclo produttivo coinvolge tutta la struttura sociale di Vicetia in una filiera che va dalle famiglie di rango equestre e senatorio fino agli schiavi, diffondendo la ricchezza o quanto meno il benessere. La amministrazione locale è autonoma rispetto al potere centrale ed è, in pratica, riservata agli esponenti delle gentes più ricche perché i magistrati sono tenuti a versare una discreta somma all’erario cittadino. Sono loro ad accedere all’ordo decurionum, il senato locale che ha funzioni legislative.
Chi sono e quali mansioni hanno i magistrati dell’oppidum? Sono i quattuorviri (letteralmente “quattro uomini”), collegio elettivo, due dei quali, chiamati quattuorviri iure dicundo, si occupano di giustizia e polizia urbana e altri due (aedilicia potestate) sono invece gli “assessori” all’edilizia pubblica, al commercio e agli spettacoli. La prima coppia è quella più importante: convoca il senato e le assemblee popolari, ha la responsabilità dell’erario e, ogni cinque anni, organizza il censimento. A queste cariche di natura laica si affiancano quelle religiose (a Roma i capi della chiesa sono laici ed elettivi): i pontifices, i severi, gli Augustales, tutti sacerdozi municipali.
Vicenza entra a far parte della struttura amministrativa centrale dopo le guerre civili degli anni Ottanta del I secolo avanti Cristo. Vicetia è infatti inserita in una delle trentuno tribù rurali (così chiamate per differenziarle da quelle urbane in cui è ripartita la popolazione di Roma), la Maenenia, che è una delle più antiche e che origina addirittura da una gens esistente alla fondazione dell’Urbe. Che c’entra con Vicenza? Nulla, ovviamente. Si tratta, infatti, di una attribuzione territoriale a fini elettorali scollegata da ogni legame gentilizio e dovuta, piuttosto, alla presenza in loco di proprietà latifondistiche dei capi della gens originaria. Nella Venetia anche Feltre è inserita nella Maenenia.
Una statua del Teatro Berga di Vicenza inserita nella ristrutturazione del I secolo d.C.
Pace, ricchezza, infrastrutture e autonomia amministrativa sono i fondamenti della Vicetia anche
anche nella età imperiale, durante la quale emergono le pochissime figure di cittadini che riescono ad avere qualche importanza anche a Roma e quindi a iscrivere i propri nomi nella storia.
Sono due potenti famiglie vicentine che accedono, nella prima metà del II secolo dopo Cristo, addirittura alla famiglia imperiale. In realtà le due famiglie, i Salonii e i Matidii, poi si fondono. Della prima si sa che ha possedimenti nell’agro vicentino, che suoi esponenti rivestono cariche amministrative e che è ramificata a Este, Asolo e Aquileia.
Il primo vicentino di cui sono arrivate a noi alcune notizie è Salonio Matidio, cooptato nel 48 dall’imperatore Claudio nel Senato di Roma. È lui, probabilmente, a radicare la gens nella capitale. Un suo discendente, forse il figlio, Caio Salonio Matidio Patruino, anche lui senatore e giurista, è quello che si imparenta con la famiglia imperiale. È cognato di Traiano e la figlia Matidia maggiore e la nipote Matidia minore sono suocera e cognata di Adriano.
Un altro personaggio vicentino che si fa largo a Roma è Quinto Remmio Palemone, un liberto che si afferma come grammatico (insegnante di greco e latino) e, nel contempo, come imprenditore nel settore tessile, sfruttando le conoscenze tecniche acquisite quand’era schiavo a Vicenza. Di lui si riporta anche la forte licenziosità. Un tipo davvero particolare.
Sempre al primo secolo dopo Cristo risale un altro vicentino illustre, un militare. È il generale Aulo Cecilio Allieno, coinvolto nel 69 nelle lotte di potere per la successione che coinvolgono tre imperatori (Galba, Ottone e Vitellio) in un solo anno prima dell’avvento di Vespasiano. Si tramanda che il comandante vicentino sia stato un po’ ambiguo e opportunista in quei frangenti.
Conosciamo, infine, anche il nome e il ruolo di un altro cittadino di Vicetia anche se la sua fama è esclusivamente locale. È Tito Dellio, un imprenditore di successo, fondatore della manifattura di tegole la cui produzione è ben diffusa nel territorio. La gens Dellia si arricchisce con questa attività, Tito è anche quattuorvir. Non è inappropriato considerarlo un prototipo dell’industriale del Nord Est che fa fortuna venti secoli dopo.