ARCHEOLOGIA DELLE ALPI . RASSEGNA STAMPA.

È appena stato pubblicato il numero di Ada “archeologia delle Alpi” 2021/2022. Sul sito di trentino cultura ( https://www.cultura.trentino.it/Pubblicazioni) è possibile inoltre scaricare o richiedere in formato digitale il volume pubblicato ed i numeri precedenti oltre a diverse pubblicazioni di archeologia trentina.

ADA 2021/2022

Documenta lo stato dell’arte delle ricerche archeologiche in Trentino “AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022”, il volume recentemente dato alle stampe dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. La pubblicazione di 231 pagine, a cura di Franco Nicolis e Roberta Oberosler, offre un aggiornamento puntuale sulle attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, archeologico in particolare, condotte sul territorio provinciale. L’obiettivo è quello di rivolgersi a pubblici diversi e sempre più ampi, andando oltre la platea degli addetti ai lavori, al fine di condividere con tutti gli interessati i risultati delle indagini in questo ambito. Il volume, disponibile anche in formato digitale, può essere richiesto all’Ufficio beni archeologici scrivendo all’indirizzo di posta elettronica uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022” si compone di due parti: la prima e più corposa è composta da articoli di archeologi, studiosi, esperti di settore, ricercatori di istituzioni scientifiche e culturali con approfondimenti specifici mentre la seconda parte è costituita da un sintetico notiziario che riporta i principali interventi effettuati nell’ultimo biennio in Trentino. Filo conduttore dei contenuti è la metodologia di indagine che presuppone un approccio multidisciplinare e un costante confronto per l’analisi dei dati da parte di studiosi ed esperti di settori diversi.

Una buona parte dei contributi è dedicata alle ricerche condotte nell’area urbana di Trento. Il capoluogo continua a restituire interessanti informazioni sul suo complesso passato a cominciare dal sito de La Vela dove sono emerse evidenze di occupazione risalenti al Neolitico legate a pratiche di allevamento di ovicaprini con una propensione per lo sfruttamento delle risorse animali a discapito delle attività produttive agricole. Restando nell’ambito cittadino è di particolare interesse la scoperta avvenuta in via Esterle dove, in un’area in passato interessata da violenti eventi alluvionali, alla inconsueta quota di 8 metri sotto i piani attuali, sono emerse testimonianze di epoca romana tra cui un tratto di via glareata e una porzione di area cimiteriale risalente al IV secolo d.C. La vitalità commerciale ed economica della Tridentum romana è attestata anche dallo studio dei frammenti di anfore rinvenuti durante gli scavi di Piazza Bellesini e nell’area archeologica di Palazzo Lodron a Trento. L’origine di questi contenitori, provenienti da diverse aree dell’Impero, evidenzia come Tridentum facesse parte di una fitta rete commerciale che metteva in comunicazione la penisola italica con il bacino renano-danubiano e con le aree del Mediterraneo orientale e occidentale. Riguardo il loro contenuto, si può ipotizzare che le anfore servissero principalmente per l’approvvigionamento e il trasporto di olio, salse di pesce, vino miele, olive, frutta secca e spezie oltre a olii vegetali, balsami e unguenti. Di epoca romana è anche il sarcofago, rinvenuto nel 1860 e attualmente visibile in piazza della Mostra, del quale vengono illustrati i materiali di corredo in esso ritrovati e il contesto.

Nuovi dati sull’età romana in Trentino giungono inoltre dalla ripresa dei lavori presso la villa romana di Isera, in Vallagarina, che hanno reso possibile la raccolta di nuovi e importanti dati relativi alla tecnica edilizia e all’articolazione del grande edificio terrazzato con sale panoramiche e giardino risalente alla prima età imperiale. Spostandoci in Val di Non, la recente riconsegna di una coppa vitrea e di due bracciali in bronzo è stata l’occasione per lo studio e la ricontestualizzazione di questi reperti che ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una possibile necropoli tardoantica tra Revò e Romallo, ai margini dell’importante via che attraverso la Val di Non collegava i due versanti delle Alpi e veicolava prodotti di pregio importati e apprezzati anche in Anaunia.

Si sta rivelando di grande importanza lo scavo di ricerca presso l’insediamento retico-romano del Doss Penede a Nago-Torbole, oggetto di un progetto di studio multidisciplinare che vede la collaborazione tra l’Universita di Trento, la Soprintendenza e il Comune di Nago-Torbole. Lo scavo archeologico ha restituito significative testimonianze architettoniche di età romana delle quali sono state analizzate le tecniche edificatorie e le soluzioni costruttive. Contribuisce alla ricerca e alla conoscenza degli insediamenti rurali in area trentina lo studio dei materiali provenienti dal complesso rurale di epoca romana e tardoromana messo in luce a Mezzolombardo in località Calcara.



L’indagine con metodo archeologico, condotta in occasione di recenti lavori nei pressi di Passo San Valentino a Brentonico, ha portato al recupero di un insieme di reperti databili al XVIII secolo che hanno permesso di riconoscere la presenza di una serie di fortificazioni realizzate nel 1796 dall’Impero Asburgico per contrastare l’avanzata napoleonica in Trentino.

Ampio spazio è riservato al Parco Archeo Natura di Fiavé, inaugurato nell’estate 2021, al quale sono dedicati tre articoli. Il soprintendente Franco Marzatico evidenzia come la realizzazione del Parco, in dialogo tra l’archeologia e l’ambiente naturale, abbia lo scopo di proporre un percorso partecipato di conoscenza, consapevolezza e valorizzazione, offrendo un’opportunità di fruizione integrata del patrimonio culturale e ambientale che coinvolga nel progetto le diverse realtà locali per accrescere la conoscenza e la consapevolezza culturali, sia l’attrattiva del territorio dal punto di vista turistico. Le referenti dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici tracciano un quadro della ricca proposta di attività rivolte a pubblici di ogni età, con particolare attenzione al mondo della scuola e alle famiglie, realizzati con enti e associazioni locali e con il coinvolgimento attivo della comunità.

Il notiziario riporta gli interventi di indagine archeologica effettuati Civezzano in località Sorabaselga, ad Arco in via Degasperi, a Tesero in località Sottopedonda, a Sanzeno in Val di Non, sull’Altopiano della Vigolana, ad Arco presso il Monastero delle Serve di Maria, a Trento in via Grazioli e in via S.Pietro e a Vetriolo dove è stata portata alla luce una vasta area mineraria protostorica.

Informazioni

Provincia autonoma di Trento

Soprintendenza per i beni culturali

Ufficio beni archeologici

Via Mantova, 67 – 38122 Trento

tel. 0461 492161

e-mail: uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

http://www.cultura.trentino.it/Temi/Archeologia

(md)

Sullo stesso argomento:

https://wp.me/p7tSpZ-5Qm

*****************************

ALCUNE DELLE PUBBLICAZIONI DISPONIBILI:

https://www.academia.edu/resource/work/45126791.

https://www.academia.edu/resource/work/47922483.

*****************************

  • ISBN: 978-88-7702-457-2
  • 2018
    Provincia autonoma di Trento
  • Autore / Curatore: Franco Nicolis e Roberta Oberosler
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

“Archeologia delle Alpi. Studi in onore di Gianni Ciurletti” raccoglie indagini e approfondimenti su varie tematiche in ambito archeologico che coprono un arco temporale dalla preistoria all’età contemporanea. Hanno contribuito al volume studiosi e ricercatori oltre agli archeologi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che hanno così reso omaggio a Gianni Ciurletti già Soprintendente per i beni archeologici del Trentino.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

 scarica il sommario: ArcheologiaDelleAlpi_sommario.pdf (59,62 kB).

https://www.academia.edu/resource/work/38296180

************************

  • ISBN: 978-88-7702-363-6
  • 2014
    Provincia autonoma di Trento
  • Soprintendenza per i Beni architettonici e archeologici
  • Autore / Curatore: Rosa Roncador e Franco Nicolis
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

Sviluppi culturali durante l’età del ferro nei territori alpini centro-orientali.

Atti della giornata di studi internazionale: 1 maggio 2010 – Sanzeno – Trento.

Il territorio trentino è stato sin da epoche remotissime luogo d’incontro e di confronto tra i popoli. Costituisce, infatti, fin dall’antichità un passaggio naturale che collega il mondo mediterraneo all’Europa transalpina.
Questo volume costituisce un importante risultato dell’azione di tutela, conoscenza, valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico non solo provinciale ma più in generale alpino.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

La pubblicazione è consultabile presso la biblioteca specialistica “Pia Laviosa Zambotti” dell’Ufficio beni archeologici, via Mantova 67, Trento, tel.0461 492161.

 scarica il libro: ATTI_Antichi Popoli delle Alpi_web.pdf (12,07 MB)

 scarica il sommario: ATTI_Antichi Popoli_sommario.pdf (475,07 kB)

*********************************

  • ISBN: 978-88-7702-385-8
  • 2014 – Archeologia delle Alpi
    Provincia autonoma di Trento
  • Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni Archeologici
  • Autore / Curatore: Franco Nicolis e Roberta Oberosler
  • € Distribuzione a fini istituzionali
  • Ufficio beni archeologici

Primo numero del rinnovato periodico che ospita articoli relativi singoli aspetti, scavi, ricerche, scoperte effettuati nel territorio provinciale e più in generale nell’area alpina centro-orientale.

In questo primo numero della nuova rivista sono raccolti articoli, saggi, riflessioni, interventi informativi di carattere archeologico che provengono dall’Ufficio beni archeologici e da altre istituzioni trentine che hanno tra le proprie competenze anche la ricerca archeologica.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici 
Via Mantova, 67 

Tel. 0461/492161

Le pubblicazioni sono disponibili presso le strutture della Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici:

S.A.S.S. Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas 
Trento, piazza Cesare Battisti 

Museo Retico – Centro per l’archeologia e la storia antica della Val di Non 

Sanzeno, via Rezia 87

Museo delle Palafitte di Fiavé 
Fiavé, via 3 Novembre, 53 

 scarica il libro: Archeologia delle Alpi 2014.pdf (8,61 MB)

 scarica il sommario: sommario.pdf (894,04 kB

************************************


Fare Rame



2021
Provincia autonoma di Trento
Autore / Curatore: Paolo Bellintani, Elena Silvestri
Ufficio beni archeologici
Fare Rame. La metallurgia primaria della tarda età del Bronzo in Trentino: nuovi scavi e stato dell’arte della ricerca sul campo aggiorna, con le ricerche condotte dopo il 2000 dall’Ufficio beni archeologici, le conoscenze sullo sfruttamento dei giacimenti di rame trentini nella tarda età del Bronzo (3400-3000 anni fa circa). Si tratta di alcuni studi dedicati a siti di lavorazione del minerale di rame (Segonzano, Lavarone, Luserna, Transacqua, S.Orsola, Fierozzo) messi a confronto con analoghi contesti archeologici nord-alpini e alcuni lavori di sintesi sulla cronologia relativa e assoluta dei contesti esaminati, sulla tipologia delle strutture piro-tecnologiche e sull’inquadramento storico della tematica.

Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:

Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici
via Mantova, 67
38122 Trento
tel. 0461 492161
uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

scarica il libro: Fare Rame_volume_web.pdf (21,01 MB)

scarica il sommario: Fare Rame_sommario_web.pdf (305,06 kB)

LA DATAZIONE DEI REPERTI IN GALLIA TRANSPADANA.

Come riuscire ad identificare la datazione di un reperto proveniente dal territorio della Gallia Transpadana centro-occidentale ?

Prendendo a riferimento il periodo compreso tra la metà del II sec. a.C. e il regno di Augusto (30 a.C.) dobbiamo innanzitutto appoggiarci a materiali provenienti principalmente da necropoli (fig. 1), mentre sono ancora rare le sequenze stratigrafiche degli abitati ben documentate.

Per la cronologia del La Tène padano si fa riferimento alla periodizzazione proposta da Raffaele De Marinis (tabella 1)3, basata essenzialmente sui ritrovamenti lombardi, tuttora comunemente utilizzata sia per i contesti lombardi sia anche per i ritrovamenti lateniani del Piemonte e del Veneto. Su questa cronologia si basano anche le datazioni proposte da Luciano Salzani per le necropoli sopra ricordate. Pur tenendo conto che questo quadro cronologico, con l’affinamento delle datazioni ceramiche e soprattutto di altri materiali, come le armi e le fibule, oggetto ultimamente di vari studi tipo-cronologici, necessita di un aggiornamento, al momento si ritiene comunque un valido punto di riferimento.

I materiali sono numerosi e vari e documentano ciò che era in uso contemporaneamente in un certo periodo utilizzando una cronologia mutuata da quella utilizzata in Europa Centrale, dove questi centocinquanta anni sono stati suddivisi in quattro periodi principali:

La Tène C2 finale,

La Tène D1,

La Tène D2,

età augustea1.

Gli autori dello studio hanno cercato di articolare il periodo Tardo La Tène della Transpadana centro-occidentale in una sequenza di sei orizzonti cronologici della durata di circa una generazione. Questa partizione è stata effettuata prendendo come fossile guida le fibule diffuse localmente confrontate con le forme di vasellame ceramico e dalle sue combinazioni.

LE FIBULE COME FOSSILE GUIDA

A. Fibule di schema Medio La Tène a staffa corta (di lunghezza notevolmente inferiore alla corda dell’arco)4. Il gruppo comprende diversi tipi individuabili in base al materiale, alla forma dell’arco e alla lunghezza della molla

B Fibule di schema Tardo La Tène di ferro a molla bilaterale lunga e corda esterna. Il gruppo comprende due tipi individuati in base alla forma dell’arco.

C Fibule di schema tardo La Tène “tipo Nauheim” caratterizzate da arco ribassato, molla bilaterale di 2 spire per lato e corda interna

D Fibule di schema tardo La Tène “a testa coprente”6, in ferro e in bronzo, con arco di lamina triangolare la cui estremità copre parzialmente o totalmente la molla, molla bilaterale di 2 o 3 spire per lato, corda esterna o interna.

E Fibule di schema tardo La Tène “ad arpa”: in bronzo, arco asimmetrico rialzato a gomito verso la molla e ornato da un nodulo, molla di tre spire per lato e corda esterna.

F Fibule di schema tardo La Tène ad arco rialzato, in ferro e in bronzo, molla di due spire per lato e corda interna.

G Fibule di schema tardo La Tène con arco “a noduli” (Knotenfibeln): in bronzo, arco filiforme asimmetrico, rialzato verso la molla dove è ornato da noduli, molla di due spire per lato a corda esterna, staffa triangolare traforata o chiusa.

H. Fibule a cerniera. Al loro interno si possono individuare due grossi gruppi, estremamente articolati ma la cui documentazione grafica e fotografica è spesso inadatta a una più precisa classificazione.

Associando alle fibule le tipologia dei reperti ceramici si sono quindi indicati 6 periodi storici.

SE VOLETE APPROFONDIRE L ARGOMENTO VI INVITIAMO ALLA LETTURA DELL ‘ARTICOLO PRESENTE SU ACADEMIA.EDU DI PAOLA PIANA AGOSTINETTI

https://www.academia.edu/resource/work/2362284

ALTRI LINK:

https://www.academia.edu/resource/work/40467104

ALLA RICERCA DEGLI ANTICHI PICENI NELLE MARCHE

Un interessante itinerario attraverso i musei archeologici per seguire passo passo le antiche vestigia dei Piceni:

Per chi volesse approfondire le straordinarie scoperte di Belmonte piceno , uno dei piu’ incredibili siti archeologici delle Marche , vi consiglio la seguente lettura:

LINK:

I LIGURI E ROMA : PRESENTAZIONE DEGLI ATTI DEL CONVEGNO

Acqui Terme. Sabato 30 aprile alle ore 16.00, presso la Sala del Consiglio di Palazzo Levi, si torna a parlare di archeologia con la presentazione ufficiale del volume degli Atti del Convegno “I Liguri e Roma- Un popolo tra archeologia e storia” tenutosi ad Acqui Terme tra il 30 maggio e il 01 giugno 2019, e organizzato dal Comune di Acqui Terme tramite il Civico Museo Archeologico insieme alla Soprintendenza SABAPAL e all’Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Studi Storici.

Il volume, veramente imponente, edito da Quasar (428 pagine) a cura di Silvia Giorcelli Bersani enoMarica Venturino, raccoglie integralmente gli interventi presentati in occasioni del Convegno, le comunicazioni inviate e gli estratti del dibattito conclusivo, permettendo la diffusione presso un vasto pubblico delle importanti giornate di studi acquesi.

Liguri e Roma atti del convegno

Per il Civico Museo Archeologico il Convegno, che aveva inaugurato l’importante mostra “Le ceneri degli Statielli. La necropoli dell’età del Ferro di Montabone” (terminata a dicembre 2021), è stato un momento davvero importante; lo ribadisce il Conservatore museale Germano Leporati che ci tiene a sottolineare: “siamo davvero molto orgogliosi di poter presentare qui ad Acqui un volume così importante, che mette in risalto il ruolo del Museo e  l’importanza del nostro patrimonio archeologico, ed evidenzia quanto realizzato negli scorsi anni dal punto di vista della ricerca e della divulgazione; aver collaborato con la Soprintendenza e l’Università degli Studi di Torino a questo importante incontro costituisce per l’archeologia acquese e per la città un motivo di orgoglio”.

All’incontro interverranno Egle Micheletto, già Soprintendente per le province di Alessandria, Asti e Cuneo,  e le curatrici del volume, Silvia Giorcelli Bersani, Professoressa Ordinaria di Storia Romana presso l’Università degli Studi di Torino,  e Marica Venturino, già funzionaria SABAPAL e curatrice della mostra “Le ceneri degli Statielli”, nonché del relativo volume, realizzato da Museo e Soprintendenza e presentato anch’esso presso la Sala Consigliare di Palazzo Levi nel febbraio 2020. ( Da settimanalelancora.it)

___________________________________________

I LIGURI E ROMA UN POPOLO TRA ARCHEOLOGIA E STORIA

Il volume nasce dall’esigenza condivisa di aggiornare, a quarant’anni dall’uscita di Fontes Ligurum et Liguriae antiquae (1976) e a quindici dalla mostra “I Liguri: un antico popolo europeo tra il Mediterraneo e l’Europa” (2005), il quadro delle conoscenze storiche e archeologiche sui Ligures e sul loro rapporto con Roma

A cura di: Silvia Giorcelli Bersani e Marica Venturino (con la collaborazione di Giordana Amabili)
Anno edizione: 2021
Collana: Studi e ricerche sulla Gallia Cisalpina, 29
Isbn: 978-88-5491-172-7
Materie: Archeologia
Formato: 21,5×28
Pagine: 425

Atti del Convegno Aqui Terme (31 maggio – 1 giugno 2019)

Sommario:

Presentazioni

Luisa Papotti

Gianluca Cuniberti

Lorenzo Lucchini – Germano Leporati

Ricordando Filippo        

I sessione: la documentazione archeologica

Filippo Maria Gambari, I Liguri tra Etruschi e Celti: la Liguria interna prima della romanizzazione 

Silvia Paltineri, Dinamiche del popolamento ligure dal Bronzo finale alla romanizzazione

Marica Venturino, L’identità nella morte. Le necropoli dei Liguri

Daniele Arobba, Sila Motella De Carlo, I Liguri. Aspetti economici e paleoambientali 

Mirella T.A. Robino, I Liguri Statielli tra identità e assimilazione nel mondo romano       

II sessione: la discussione storica

Michele Bellomo, L’espansione romana nella seconda metà del III secolo a.C. e il caso delle guerre liguri: tra ‘grande strategia’ e competizione nobiliare 

Mattia Balbo, Contare i Ligures: il contesto del trasferimento degli Apuani nel Sannio 

Elisabetta Todisco, Per un modello di organizzazione degli agglomerati secondari della regio IX augustea                                                                                                               

Michel Tarpin, La sententia Minuciorum: La procedura finanziaria come chiave dell’interpretazione territoriale                                                                                          

Francesco Mongelli, Forme di vita rurale nella Liguria romana di età imperiale              

Francesco Rubat Borel, La componente celtica nell’onomastica epicoria dell’epigrafia latina della Regio IX Liguria                                                                                                

Giovanni Mennella, La “Prìa scritta” di Cichero: una cultualità di Iuppiter nel Levante ligure  

Andrea Pellizzari, Liguri e Liguria nelle fonti letterarie e scoliastiche tardoantiche           

COMUNICAZIONI

Sila Motella De Carlo, Frascaro (AL) – località Cascina Brumosa: dati archeobotanici       

Stefano Marchiaro, Note sulla ceramica della seconda età del Ferro di Fossano (CN)     

Marina Giaretti, Marica Venturino, Elementi di costume ligure della seconda età del Ferro da Palazzolo Vercellese                                                                                    

Germano LeporatiReliqua desiderantur. Mancanze e osservazioni preliminari per un riesame del bronzo siracusano di Ierone II di provenienza acquese, nel contesto di Acqui preromana  

Alberto Carlevaris, Fra continuità e innovazione. La romanizzazione del Piemonte sud-orientale nel I secolo a.C. e il caso di Forum Fulvii   

Furio Ciciliot, Alcuni presunti toponimi romani acquesi in fonti anteriori al 1671 

Angela Pola, Importazioni falische in sepolture liguri. I più antichi vasi figurati falisci della necropoli preromana di Genova       

Simona Minozzi, Gloria Saccò, La necropoli ligure di Genicciola: nuovi dati bioarcheologici 

Ivan Repetto, La via Postumia tra Genova e Libarna. La funzione Least Cost Path di ArcGIS per una ricostruzione dell’antico percorso   

Michela Ruffa, Golasecchiani o Liguri? Una comunità composita a Gropello Cairoli (PV) 

Annamaria Carini, Borchie in bronzo dell’età del Ferro nel Piacentino: una moda etnica resiliente      

James Tirabassi, Nicolò Donati, Claudio Cavazzuti, Alcuni Liguri sulla Pietra di Bismantova alle soglie della romanizzazione: prime analisi dei corredi delle tombe e del profilo biologico dei cremati 

Roberto Macellari, Giada Pellegrini, Lucia Romoli, Valentina Uglietti, La signora della pietra: una Ligure alle soglie della conquista romana nel territorio reggiano. Storytelling e story-game ai Musei Civici di Reggio Emilia                                                                                                           

Silvia Landi, Emanuela Paribeni, Luca Parodi, Ivo Tiscornia, Ricerche intorno alla necropoli ligure di Pulica (Fosdinovo – MS)                  

Giulio Ciampoltrini, Paolo Notini, L’insediamento ligure apuano del Monte Pisone (San Romano di Garfagnana, Lu). Nuovi dati (e qualche ipotesi per i Friniates)         

Giulia Picchi, La Versilia fra III e II secolo a.C.: Liguri, Etruschi e Romani         

Discussione                                                                                                                               

Silvia Giorcelli Bersani, Conclusioni     

LA VILLA DI ALBA DOCILIA AD ALBISOLA E I SUOI AFFRESCHI

Frammenti di affresco della villa di Alba Docilia -Albisola

Gli studi sulle antichità di Albisola, iniziati nella seconda metà dell’800, portarono a localizzare nella zona di Albisola Superiore l’Alba Docilia che compare come stazione o luogo di sosta sulla Tabula Peutingeriana, mappa stradale dell’Impero romano redatta forse tra III e IV sec. d.C. per scopi militari, pervenutaci grazie a una copia medievale, e in altri itinerari antichi in cui il toponimo assume forme diverse, come Alba Decilia Delicia.



La presenza dell’antico insediamento albisolese sugli itinerari stradali si spiega con la prossimità all’arteria costiera che da Genova conduceva a Vado, che tuttavia divenne secondaria dopo l’apertura della via Julia Augusta voluta dall’imperatore Augusto tra il 13 e il 12 a.C. Il complesso antico in piazza Giulio II, portato in luce con gli scavi condotti alla fine dell’800 da don Schiappapietra, parroco della chiesa di S. Nicolò di Albisola, è riferibile ad una grande villa (circa 8000 mq) di età romana imperiale che univa caratteristiche della dimora residenziale con strutture e servizi produttivi tipici della fattoria. Sono riconoscibili il quartiere padronale (pars urbana), il settore rustico – produttivo (pars rustica o fructuaria) e il settore termale.

Ricostruzione della Villa di Alba Docilia( disegno di Como)

Parte del nucleo abitativo e della zona termale è attualmente visibile nell’area archeologica compresa nel vasto piazzale antistante la stazione ferroviaria; un tratto del settore rustico è conservato sotto il porticato a fianco della stazione stessa, mentre i resti murari esistenti sotto la piazza sono resi leggibili grazie al tracciato planimetrico, riportato mediante lastre di travertino sulla pavimentazione.

Ipotesi ricostruttiva di porzione della villa

Nel quartiere residenziale della villa, esposto a Sud, piccoli vani (cubicula) si affacciavano su un peristilio porticato dotato di un bacino rettangolare per la raccolta dell’acqua.

I reperti rinvenuti nello scavo rivelano l’elegante decorazione del porticato con intonaci dipinti, lesene scanalate in marmo bianco e capitellini figurati con foglie d’acanto e delfini affrontati. Alcuni vani posti a Nord del peristilio erano forniti di sistema di riscaldamento mediante circolazione di aria calda sotto il piano pavimentale; gli ambienti destinati al soggiorno del proprietario, della famiglia e degli ospiti erano dotati di pavimenti a mosaico e tarsie marmoree e di pareti e soffitti dipinti, che testimoniano una certa raffinatezza almeno nel periodo di maggior sviluppo della villa, corrispondente al I e al II secolo d.C.


 

Suspensoree di ambienti riscaldati della villa di Albisola

Nel settore rustico una ventina di vani di differenti dimensioni adibiti probabilmente a magazzini, alloggi servili e ricoveri per animali, si disponevano, secondo una tipologia diffusa in area gallo-romana, intorno ad una grande corte centrale; gli ambienti ubicati nell’angolo Nord ospitavano impianti di lavorazione con vasche e canalette, oggi occultate sotto il terrapieno ferroviario, attribuibili alla produzione o alla trasformazione delle derrate alimentari e dei prodotti provenienti dalle proprietà agrarie dell’azienda agricola.


 

Planimetria dei resti della villa di Alba Docilia

Il settore termale collegato alla parte abitativa comprende un grande edificio circolare, già indagato alla fine dell’800, da identificare probabilmente con un laconicum o assa sudatio, una sauna in cui era possibile prendere bagni di vapore o di aria calda, e forse anche di sole, e una vasca o cisterna rivestita con malta idraulica. In una serie di ambienti collegati si riconoscono vani di servizio connessi alle attivita termali.
 

La monumentalità dell’impianto termale, il numero di cubicula presenti nell’area residenziale nonché l’estensione planimetrica del settore di servizio con la vasta area cortilizia hanno indotto a interpretare il complesso più che con una villa di tipo rustico-residenziale, con la mansio di Alba Docilia, stazione di posta appartenente all’organizzazione del cursus publicus.

Le mansiones romanae sorgevano in prossimità di strade di grande comunicazione e garantivano possibilità di sosta, accoglienza e riposo per viaggiatori e animali: corrispondono a tali necessità sia lo sviluppo del quartiere residenziale sia l’estensione planimetrica della corte circondata da spaziosi ambienti adibiti forse a magazzini o stalle, sia un capillare sistema idraulico e non ultima la presenza di un attrezzato settore termale, adeguato a un esercizio pubblico piuttosto che ad una struttura privata, per quanto grandiosa. In realtà la distinzione tra villa rustica e mansio non è sempre chiara, in quanto le tipologie edilizia e planimetrica possono presentare elementi comuni, e nulla esclude che alcune villae possano essere state successivamente trasformate in mansiones.


 

Frammenti di affreschi della Villa di Alba Docilia

L’occupazione stabile della villa tra I e V forse VI secolo d.C. è documentata dai numerosi reperti ceramici e monetali, attestanti una rete di vivaci rapporti commerciali. Le indagini archeologiche recentemente condotte sotto la Via degli Scavi hanno rivelato una stratigrafia intatta, altrove mancante, che ha permesso di delineare la frequentazione del sito dall’epoca preromana al tardo antico e all’alto medioevo, quando alcuni ambienti della villa ormai in abbandono vengono occupati da sepolture a inumazione, per le quali è ancora da individuare la relazione con la chiesa di S. Pietro, o con un primitivo edificio di culto, che si imposta sui resti del complesso di età imperiale. ( Da comune di Albisola).

Frammenti intonaci della villa
Frammenti di affreschi della Villa

GLI AFFRESCHI

Da http://www.archeoliguria.beniculturali.it/index.php?it/131/pubblicazioni/37/alba-docilia-la-villa-romana-gli-affreschi-della-collezione-schiappapietra

Indice

Presentazione e Introduzione, p. 6 [scarica il PDF]
Dede Restagno, La figura e l’opera di Givanni Schiappapietra, p. 13 [scarica il PDF]
Dede Restagno, La collezione Schiappapietra, p. 17 [scarica il PDF]
Anna Maria Pastorino, Santo Varni ad Alba Docilia 1880-1881, p. 21 [scarica il PDF]
Storia degli scavi di Alba Docilia
Dede Restagno, Le più antiche notizie e i primi scavi, p. 25 [scarica il PDF]
Francesca Bulgarelli, Scavi e ricerche 1969-1996, p. 29 [scarica il PDF]
Francesca Bulgarelli, La villa romana di Alba Docilia, p. 35 [scarica il PDF]
Francesca Bulgarelli, La decorazione parietale, p. 43 [scarica il PDF]
Lorenza Panizzoli, Il restauro, p. 59 [scarica il PDF]
Giancarlo Lanterna, Pietro Moioli, Claudio Seccaroni, Strati superficiali dei dipinti murali. Studio della composizione, p. 65 [scarica il PDF]
Glossario, p. 73 [scarica il PDF]
Bibliografia, p. 77 [scarica il PDF]
Errata Corrige [scarica il PDF]

Scarica il PDF completo del volume [circa 32 Mb]

ARCHEOLOGIA VENETA

DA ACADEMIA.EDU

“ARCHEOLOGIA VENETA” CI PROPONE IN QUESTA RACCOLTA DI STUDI DEL 2012 UNA AMPIA MISCELLANEA DI RICERCHE E SCOPERTE DELL’ANTICO VENETO

QUI DI SEGUITO L ‘INDICE E SOTTO È POSSIBILE SCARICARE E CONSULTARE IN PDF L’ INTERO VOLUME:

<object class="wp-block-file__embed" data="https://archeologiagalliacisalpina.files.wordpress.com/2021/08/archeologia-veneta-magnifici_focosi_scintillanti_i_cavalli.pdf&quot; type="application/pdf" style="width:100%;height:600px" aria-label="Incorporamento di <br>


archeologia-veneta-magnifici_focosi_scintillanti_i_cavalli
Download

INTRODUZIONE ALLA LINGUA DEGLI ANTICHI LIGURI

L’Autore commenta e interpreta le antiche iscrizioni liguri incise su rocce e pietre finora trovate in 30 località di Lunigiana e provincia della Spezia. I Liguri svilupparono un sistema scrittorio basato su legature tra lettere, spesso elaborate con finalità figurative. La scrittura era un’arte non solo perché i segni alfabetici erano formati e disposti per costituire simboli, figure di divinità e oggetti, ma anche perché essa doveva essere ingegnosa e spesso comunicare più messaggi. Essendo il ligure una lingua indeuropea, i contesti e il cospicuo numero delle attestazioni permettono di interpretare il 90 per cento delle parole.

Qui potete consultare l’introduzione tratta dal sito ACADEMIA.EDU

ANNUARIO TRENTINO DI ARCHEOLOGIA DELLE ALPI 2020

Si rinnova l’appuntamento annuale con il resoconto delle ricerche archeologiche in Trentino raccolte nella pubblicazione “AdA Archeologia delle Alpi 2020”, che riporta gli studi e le indagini più recenti condotti dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. Il volume di 182 pagine, a cura di Franco Nicolis e Roberta Oberosler, intende svolgere un ruolo di documentazione e informazione sull’attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico in Trentino e allo stesso tempo costituire uno strumento di condivisione della conoscenza e delle indagini scientifiche con la cittadinanza.

“Archeologia delle Alpi 2020” presenta nella prima parte contributi e approfondimenti a cura degli archeologi della Soprintendenza, di collaboratori e di studiosi di altre discipline a conferma di quanto l’approccio interdisciplinare caratterizzi sempre più la metodologia della ricerca anche in ambito archeologico. La seconda parte è costituita da un notiziario che riporta l’esito delle attività di tutela archeologica condotte sul territorio.
Nella presentazione sia il soprintendente per i beni culturali Franco Marzatico sia il direttore dell’Ufficio beni archeologici Franco Nicolis ricordano la figura di Gianni Ciurletti, già soprintendente per i beni archeologici, tra i fondatori dell’archeologia trentina, il cui “indiscutibile contributo intellettuale resta indelebile”. Si legano all’opera di Ciurletti gli studi relativi all’area dell’Alto Garda a partire dal sito di Monte San Martino ai Campi che a oltre cinquant’anni dalla sua scoperta continua a restituire dati importanti per ricostruire la storia più antica del territorio. Ne sono testimonianza gli atti, riportati nel volume, del seminario “Sopra il Garda, Monte San Martino: la lunga vita di un’area di strada”, svoltosi a Riva nel 2019 in collaborazione con il MAG Museo Alto Garda. I contributi si riferiscono ad aspetti legati alla sfera del sacro e mettono in risalto, attraverso l’analisi archeologica ed epigrafica, la presenza in età protostorica e romana di realtà complesse e sfaccettate, che caratterizzano il luogo come un incontro di stimoli e suggestioni culturali diversi.

Tegola iscritta da San Martino ai Campi


Rimanendo in area altogardesana, si riferiscono al Doss Penede a Nago i risultati della campagna di scavo condotta dall’Università di Trento sull’insediamento retico-romano, sito noto fin dagli anni ’90 del secolo scorso, ma finora mai oggetto di puntuali indagini scientifiche.

Le ricerche sono il frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, la Soprintendenza e l’amministrazione comunale di Nago-Torbole, che ha permesso la nascita del Doss Penede Project. Il progetto prevede, oltre allo scavo stratigrafico, anche la valorizzazione delle strutture messe in luce per la creazione di un’area archeologica pubblicamente fruibile.
Di notevole interesse sono i contenitori ceramici, probabilmente destinati alla commercializzazione di oli profumati, rinvenuti durante gli scavi effettuati nel centro di Riva del Garda dove sono stati riportati alla luce i resti di un vasto complesso termale pubblico di età romana. Questa tipologia di reperti, che può essere ricondotta a produzioni di terra sigillata dell’area adriatica, è stata ritrovata solo in pochissimi altri contesti provinciali, ad esempio in indagini effettuate nel centro storico di Trento.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è il-giro-del-monte-calisio-escursioni-valle-d-adige-trento-trentino.jpg


Lo studio relativo dall’insediamento fortificato di Monte San Martino nel Lomaso prende invece in esame gli oltre 18.000 frammenti di resti animali ritrovati nel sito e riconducibili a quattro classi zoologiche (mammiferi, pesci, uccelli e anfibi). Per lo più datati a periodi compresi fra la metà del V e la seconda metà dell’VIII secolo, testimoniano le modalità di sfruttamento della risorsa animale e di approvvigionamento di chi presidiava la fortezza. Di respiro europeo, il progetto “VirtualArch Visualize to valorize” ha posto la tecnologia al servizio della tutela e della valorizzazione permettendo di conoscere e di fruire del patrimonio archeologico nascosto nell’Europa centrale. La Soprintendenza ha partecipato con iniziative dedicate alle miniere medievali del Monte Calisio.


Affrontano le problematiche legate a un delicato restauro le valutazioni sull’opportunità di intervento per distendere due lamine d’argento arrotolate con iscrizioni rinvenute in un corredo tombale del III sec. d.C. a Riva del Garda.
Nel notiziario, tra i vari articoli, si dà inoltre spazio alle indagini archeologiche condotte a Riva del Garda in via Brione e in località Sant’Alessandro e a Trento, presso la villa romana di via Rosmini, dove sono in corso i lavori per restituire il sito alla fruizione da parte del pubblico.
Infine, in un anno segnato dall’emergenza sanitaria che ha imposto la chiusura dei musei e l’interruzione delle attività in presenza dei Servizi Educativi, un resoconto sulle iniziative di comunicazione, valorizzazione e didattica messe in atto a distanza.

Astuccio con lamina d’Argento da Riva del Garda

Informazioni
Provincia autonoma di Trento
Soprintendenza per i beni culturali
Ufficio beni archeologici
Via Mantova, 67 – 38122 Trento
tel. 0461 492161
e-mail: uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
www.cultura.trentino.it/Temi/Archeologia (md)

Da ufficio stampa provincia trento

CELTI E VENETI

Da cafoscarinews unive.it

La questione dei Celti continua a suscitare grande interesse, non solo nel mondo scientifico che ha dedicato loro programmi di ricerca, seminari e convegni, ma anche presso istituzioni culturali, musei e associazioni che hanno organizzato importanti mostre da “Celti” a  “Venetkens”, non tralasciando il fatto che l’approccio al mito celtico abbia incluso anche distorsioni ideologiche e politiche. L’impatto culturale dei Celti sui popoli italici ed in particolare sui Veneti antichi è oggetto da anni degli studi di Giovanna Gambacurta, archeologa del Dipartimento di Studi Umanistici, che proprio partendo dalla concretezza e trasparenza del dato archeologico ha restituito una sintesi del fenomeno del celtismo in Veneto interpretato a tutto tondo nel volume scritto a quattro mani con Angela Ruta I Celti e il Veneto (2019).

Qui scaricabile dal sito :

Fai clic per accedere a I%20Celti%20e%20il%20Veneto.pdf

oppure qui sotto già scaricata dal sito sopraindicato :

Un viaggio che si svolge lungo cinque secoli di storia, dai primi contatti della fine del VI-primi del V sec. a.C. fino alle soglie della romanizzazione.

Le abbiamo chiesto di tracciare un quadro in poche pennellate di una cultura ancora così poco conosciuta e affascinante che si materializza davanti ai nostri occhi attraverso i reperti: gioielli, spade, fibbie, monete, decorazioni, iscrizioni, perché, come si sottolinea nel volume “Se usata con uno sguardo ‘da reporter’, l’archeologia sa essere una chiave di lettura attuale ed obiettiva nella conoscenza delle relazioni tra culture per diventare il palinsesto di una narrazione sapientemente dipanata”.

Nell’ambito del suo studio ventennale sul Celtismo in Veneto, ci può dire qual è il rapporto tra i Celti e il Veneto antico, quali i tratti caratteristici e i punti di contatto?

Diversamente da altre zone dell’Italia settentrionale, che a partire dal IV secolo a.C. conoscono una invasione violenta da parte di una o più tribù celtiche, il Veneto istituisce un rapporto  di ‘non belligeranza; la forte coesione e coerenza della civiltà veneta consente un rapporto dialettico e dinamico che inizia già sullo scorcio del VI secolo a.C. e favorisce l’inserimento nel tessuto sociale di singoli personaggi, famiglie, piccoli gruppi che a volte vanno ad occupare spazi di territorio marginale, formando enclave che coesistono e si integrano senza gravi fratture.

Il contatto con diverse tribù celtiche, provenienti da occidente o da oltralpe, contribuisce ad un arricchimento del gusto, manifestato inizialmente soprattutto attraverso i monili, e progressivamente con l’implementazione dei commerci e l’integrazione di usi e costumi.

Qual è la novità della chiave di lettura e della prospettiva adottata nella recente ricerca culminata con la pubblicazione del volume “I Celti e il Veneto”?

Si tratta di un esperimento che Angela Ruta ed io abbiamo fortemente voluto e condiviso, quello di far coesistere un aspetto di documentazione scientifica sistematica e il più possibile completa con una interpretazione esposta con un linguaggio narrativo, rivolto ad un pubblico non necessariamente specialistico. Ci sembrava necessario far sì che il nostro lavoro di raccolta e documentazione, ormai ventennale, sfociasse in una visione di sintesi di ampio respiro e di chiara accessibilità.

Il mondo celtico è variegato, formato da tanti gruppi e tante tribù, mentre i Veneti antichi sono una civiltà molto compatta, come si realizza l’integrazione tra loro, ci può fare alcuni esempi?

L’integrazione si realizza progressivamente, sulla base di un contesto socio-culturale veneto che fa della sua coerenza un punto di forza per l’integrazione dell’ ‘altro’. Il primo segnale è l’influsso della moda. Le donne venete non possono non rimanere colpite dal gusto della decoratività propria del mondo celtico, dall’uso del colore per i bracciali di vetro (vedi figura grande sopra), alla ricchezza della decorazione con motivi vegetali nei monili, all’uso dell’argento e dell’oro per anelli, bracciali, orecchini. Tra i monili famoso e identitario è il torquis, la collana rigida che portavano anche i guerrieri e che compare anche sui bronzetti dedicati nei santuari come ex-voto. La migrazione di individui singoli o piccoli nuclei familiari, piuttosto che di intere tribù, è incentivata dall’ampliarsi dei commerci, ma anche dalle guerre che divampano nel mondo italico; i celti, infatti, famosi guerrieri, ricoprono spesso la funzione di mercenari; la loro arma identitaria è la spada che presuppone un modo di combattere in duello, lontano dal combattimento in schiera o in falange.

Ci sono degli oggetti tra quelli incontrati nei suoi studi che ci danno indicazioni utili per capire la cultura dei Celti e la loro storia o sono descrittivi del loro modo di essere?

Alcune loro ‘storie’ a contatto con la società del Veneti sono ben rivelate da alcuni monumenti iscritti. Tre ‘ciottoloni’, rinvenuti a Padova e nei pressi della città, a Trambacche, riportano nelle iscrizioni una intera genealogia. Un capostipite, Tivalio Bellenio, giunge a Padova dalla zona di Mantova (area celtica Cenomane), probabilmente sullo scorcio del VI secolo a.C.; non sappiamo quale fosse la sua attività, ma le iscrizioni ricordano che suo figlio Fugio Tivalio Andetio, il nipote e il pronipote  Voltigenes Andetiaio e Fremaisto Voltigeneios, hanno potuto acquisire il titolo di ‘ekupetaris’, il più prestigioso nella società locale. Segno dunque che questi individui avevano scalato i vertici della società veneta antica in una dinamica di integrazione.

Ancora, in una sepoltura atestina, una situla di bronzo usata come prestigioso ossuario, accoglie le ceneri di due donne Frema Boialna e Rebetonia Votina, riunite per testimoniare un forte legame familiare e affettivo. I loro nomi ci dicono che Frema è una veneta moglie di un Boios, un celta della tribù dei Boi, mentre Rebetonia è una donna celtica, moglie di un Votos, dal nome inequivocabilmente veneto. I matrimoni misti davano quindi origine a nuclei familiari di significativo livello sociale, che di fatto rappresentavano la positiva evoluzione di fenomeni di integrazione. 

 La riscoperta della cultura celtica e l’attenzione verso queste popolazioni ha portato recentemente anche a distorsioni di natura politico ideologica. Forse la concretezza del dato scientifico ci aiuterà a fare chiarezza? bbbbb

Il tema del celtismo ha conosciuto storicamente e particolarmente negli ultimi decenni forme di distorsione e strumentalizzazione ideologica e politica. Il compito dell’archeologia è quello di ricondurre la discussione alla documentazione concreta, alle fonti primarie, e quindi di rimettere in ordine le sequenze degli avvenimenti, prima di giungere alla loro interpretazione in chiave sociale e antropologica, oltre che storica. Il panorama dei reperti archeologici è un dato di partenza il più possibile oggettivo, sulle interpretazioni si può discutere ed esprimere posizioni diverse, ma la base documentaria è inequivocabile, da quella non si dovrebbe mai allontanarsi.

**************************************

Da il manifesto.it

Articolo di Beatrice Andrease

Già dalla seconda metà del I millennio a.C. il fascino per i gioielli di gusto esotico tra gli antichi Veneti è favorito dall’intenso e fiorente commercio con i Celti di Golasecca ed Halstatt. Nel IV sec. a.C. le élite si scambiano gioielli in argento o in pasta vitrea e la staffa a terminazione zoomorfa delle fibule, le spille che accompagnano i tessuti rievocano quelle trovate nella necropoli del Dürrnberg vicino ad Hallein.

In pianura, da Este a Padova ma anche ad Oderzo, circolano le fibule ad arco rialzato o quelle dotate di molla bilaterale e compaiono grandi orecchini in argento o in bronzo con terminazione a bauletto che risentono del gusto tipico dell’Est. Oltre a importare fibule, armille (braccialetti) e orecchini i gusti decorativi celtici influenzano anche la produzione locale di armi e ceramiche. Ad Este oreficerie specializzate lavorano per una clientela privilegiata, le signore si agghindano come le straniere e le giovani spose, arrivate da lontano con la loro dote, cementano nuovi legami di parentela.

C’è poi il gancio da cintura traforato che i Celti utilizzavano come sistema di sospensione della spada, mentre in Veneto viene adottato come accessorio
dell’abbigliamento soprattutto femminile. Più della spada, dunque, poterono la moda e il fascino per le linee morbide e i disegni vegetali dei gioielli di quei popoli che nel IV sec. a.C. distrussero città come Mediolanum e si insediarono a Felsina, l’attuale Bologna. Il Veneto che già da almeno duecento anni vantava città dalla spiccata autonomia, una propria scrittura ed un proprio sistema religioso, rimane ai margini delle guerre conservando la propria identità e coesione. Ad affermarlo sono due tra le più importanti studiose della antica civiltà veneta Giovanna Gambacurta e Angela Ruta Serafini nel loro ultimo lavoro I Celti e il Veneto, Ante Quem editore.

Il volume si avvale di un corposo apparato fotografico, è arricchito da disegni esplicativi, utilissime carte distributive che introducono ogni capitolo e, in appendice, da liste analitiche dei rinvenimenti che rendono leggibile la narrazione anche ai non addetti. Nel volume, che ospita anche un saggio sulla monetazione locale di Federico Biondani, sono descritte le diverse fasi che caratterizzano i rapporti tra i due popoli, attraverso una rigorosa scansione cronologica che parte dal V sec. a. C. sino alla romanizzazione. Le autrici sottolineano i «differenti momenti di confronto tra culture» l’integrazione e le numerose direttrici di traffico oltreché «la autonoma rielaborazione locale di modelli alloctoni, segnali di una elevata pulsazione del territorio». Un supporto storico e archeologico ben diverso dalla narrazione leghista su una supposta identica matrice celtica dei popoli del nord.

Nessuna invasione in armi dunque nella fertile regione degli Eneti dove, tra il VI e la seconda metà del V sec a.C., la presenza celtica è costituita da piccoli gruppi di armati che si insediano in aree marginali come Montebello o Montebelluna per affiancarsi alla popolazione locale.

Nemmeno nel IV sec. a.C. quando le invasioni storiche culminano nella presa di Roma da parte dei Senoni cambia qualcosa. Nonostante la ripercussione di tali eventi debba aver «comportato una vasta eco nella penisola – spiegano le autrici- provocando la diaspora di nuclei di armati che si offrivano come mercenari, cercando appoggio e sostegno presso le popolazioni italiche». In quel periodo in Veneto fanno capolino fibule dalle nuove forme e armille in pasta di vetro dai colori vivaci insieme ad anelli d’argento e orecchini vistosi.

I guerrieri Celti vengono progressivamente inseriti nelle società locali, si recano nei santuari di Altino, Este, Lagole di Calalzo dove lasciano bronzetti votivi per propiziarsi il favore delle divinità e allontanare i pericoli della guerra. Ad Altino una iscrizione votiva, rinvenuta nel santuario nord occidentale, ricorda un addetto al culto della divinità marziale Belatucadro, equivalente al dio celtico Beleno. A partire dalla metà del III sec. a. C. i gioielli in oro, argento e pasta vitrea assieme al vasellame in bronzo di ispirazione etrusco ellenistica indicano un probabile periodo di pacificazione e di sviluppo. Le attestazioni onomastiche con influssi celtici si moltiplicano tra il III e il I sec. a.C. ad Este, Altino, Oderzo, Vicenza dove troviamo singoli personaggi o nuclei familiari eminenti inseriti nella società locale grazie ad importanti relazioni economiche e politiche. Attorno alla metà del III secolo un celta di origine boica è perfettamente inserito nella élite atestina e i matrimoni misti diventano probabilmente una consuetudine.

In una situla di bronzo usata come ossario il nome Frema Boialna, testimonia il matrimonio di una signora locale con un immigrato di provenienza boica. Il nome dell’altra defunta, Rebetonia Votinia, rivela le sue origini celtiche. Ad Isola Vicentina in una stele il committente del monumento si chiama IATS, un nome «forse riferibile al popolo celtico dei Laevi e la sua condizione di straniero venetizzato Osts Venetkens».

Nel secolo successivo il dominio cenomane si consolida nel comparto sud occidentale fino ad accerchiare Este e le campagne circostanti. Nella bassa pianura veronese e a Verona, centro multietnico da cui passa l’Adige, nelle tombe dei guerrieri vengono esibite panoplie complete che rappresentano la condizione di uomini liberi all’interno della comunità. Nel comparto centro orientale invece si diffondono i torques, una affermazione di identità celtica che recupera la tradizionale collana rigida. Stabilità e benessere favoriscono nuovi traffici e la ricchezza si percepisce dallo sfoggio del costoso vasellame da mensa. In quel periodo nel Veneto occidentale inizia a circolare la dracma di imitazione massaliota (ovvero originaria di Marsiglia) di provenienza padana, mentre in quello orientale l’imitazione della dracma massaliota è locale. La svolta arriva attorno al 225 a.C. Quell’anno i Veneti alla battaglia di Talamone inviano, insieme ai Cenomani, contingenti in appoggio ai Romani contro i galli Boi, gli Insubri e i Gesati.

Nel 186 a.C. dodicimila Galli transalpini invadono le propaggini della regione ad est ma dopo tre anni vengono respinti e costretti a ritirarsi. A presidio della frontiera verso l’Istria quanto verso la traiettoria settentrionale austriaca e le regioni ricche di ferro della Carinzia i Romani fondano e rafforzano Aquileia inviando ben 1500 famiglie d’accordo con le élites locali. Roma costruisce importanti strade consolari come la via Postumia che attraversa l’Italia settentrionale e, in Veneto, collega Verona ad Aquileia. I contatti col sud sono assicurati dalla via Annia sulla direttrice Ravenna, Adria, Padova e Altino e da una altra strada che, distaccandosi dalla via Emilia all’altezza di Modena, arriva fino ad Este. E così, alleandosi con Roma, i Veneti cercano di difendersi dalla crescente pressione cenomane nel basso veronese dove l’incremento delle armi si fa sempre più minaccioso. Nel 222 infine i Romani proibiranno l’uso delle armi ai Cenomani favorendo una relativa stabilità per il Veneto le cui città entreranno gradualmente a far parte del futuro impero.