Alcuni ritrovamenti celtici presso Sendling Monaco di Baviera
Uno dei ritrovamenti più tipici delle sepolture celtiche maschili in Gallia Cisalpina , così come in altre aree celtofone è la cesoia uno strumento tipicamente associato alle attività manuali ed a quelle agropastorali. Se ne trovano diversi resti nei tanti piccoli musei in Padania. Qui sotto ad esempio un esemplare in ferro con molla arrotondata a curva continua e lame triangolari con margine incurvato, IV-I sec. a.C. (tarda età del ferro) del museo Bellini di Asola .
Cesoia del museo archeologico di Asola “Bellini”
Qui nasce lo spunto per segnalare un eccezionale ritrovamento in Baviera ovvero delle cesoie straordinariamente conservate. Ricordiamo come l’ area bavarese sia strettamente legata in antichità con la Cisalpina. ( Nel III sec a.C. . I Boi abitavano principalmente la zona dell’odierna città di Monaco di Baviera, mentre i Cotini si insediarono nella zona a sud-ovest della Baviera, nella regione del lago di Costanza. I Vindelici vivevano nella parte nord-occidentale della Baviera, mentre i Norici si trovavano nella zona orientale della regione, sulle rive dell’odierno Danubio)
Riportiamo di seguito il report :
L’altissima qualità del metallo della forbici trovate nella tomba, che mostrano ancora la nitidezza del “filo” e ampie parti non ossidate e specchianti.Tra Austria e Germania, in antico, veniva realizzato un ferro simile all’acciaio. Foto: Maximilian Bauer, Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti
Quasi come nuove: forbici di 2.300 anni sorprendono i ricercatori per il loro fenomenale stato eccezionale di conservazione.
Nel distretto di Sendling,- una porzione del territorio comunale di Monaco di Baviera, in Germania – una squadra di archeologi dell’Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti ha scavato, studiato e recuperato eccezionali reperti dell’epoca celtica. “La qualità della conservazione di questi corredi funerari è impressionante: le forbici trovate hanno stupito i ricercatori: sembrano quasi nuove, senza ruggine e leggermente lucide. – affermano gli archeologi della soprintendenza bavarese – Oltre alle forbici, in questa tomba, gli specialisti dell’Ufficio di Stato per la Conservazione dei Monumenti hanno trovato anche una spadaripiegata, resti di uno scudo e una punta di lancia, un rasoio e una fibula. La scoperta del materiale antico è avvenuta durante un intervento di messa in sicurezza dell’area per la presenza di ordigni bellici della Seconda guerra mondiale.
Gli artificieri – che, evidentemente procedono con l’ausilio di rilevatori di metalli – hanno scoperto la tomba e hanno immediatamente informato l’ente archeologico di stato bavarese.
È stato così possibile scoprire un altro piccolo importante tassello del passato celtico in Baviera ma soprattutto apprezzare l’eccezionale stato di conservazione fino ad allora completamente sconosciuto in altri reperti.
L’eccezionale qualità metallurgica del manufatto testimonia forse uno status sociale speciale del defunto. Il Prof. Mathias Pfeil, capo dell’Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti, spiega: “Un paio di forbici che hanno più di 2.300 anni ,in una condizione tale da essere usate ancora oggi: è un oggetto certamente speciale. La qualità tecnica della realizzazione artigianale è impressionante, tanto quanto il particolare stato di conservazione del manufatto…”
Dal III secolo a.C. al II secolo a.C., i Celti di questa area utilizzavano l ‘incenerazione e quindi bruciavano i loro morti e seppellivano i resti degli scheletri in fosse insieme ai corredi funerari. Il ritrovamento contestuale di altre sepolture a Sendling mostra che si tratta di un cimitero sconosciuto e intatto.
“La tomba con spada, forbici e rasoio era collocata al centro di un quadrato formato da quattro pali distinti, che ne enfatizzavano lo spazio. I corredi sono riferibili ad un individuo di sesso maschile . La spada è stata ritualmente piegata , come avveniva tradizionalemte nei popoli celtici. Le forbici erano forbici per il taglio dei capelli o destinate al taglio di tessuti. Tuttavia, avrebbero potuto essere utilizzate anche per la tosatura delle pecore. Un dispositivo multifunzionale già allora”.
Il volume raccoglie gli Atti di un Convegno internazionale tenutosi presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano il 28-29 novembre 2019. L’incontro aveva lo scopo di sollecitare nuove prospettive di ricerca attraverso lo scambio e il confronto tra specialisti di diversa formazione, nel superamento di rigidità periodizzanti e barriere disciplinari. I contributi si concentrano sull’area oggi definibile come lombarda, vista nei suoi rapporti con altre realtà geografiche in una prospettiva di lungo periodo (dall’età imperiale romana sino a tutto l’alto medioevo), e affrontano tematiche di storia politica, militare, economica, religiosa e culturale.
Nel 50 avanti Cristo tutta la Gallia è occupata dai Romani… Tutta? No! Un villaggio , abitato da irriducibili Galli resiste ancora e sempre all’invasore. E la vita non è facile per le guarnigioni legionarie romane negli accampamenti ..”. Questo è l ‘incipit che precede tutte le avventure a fumetti di Asterix il Gallico, storie che neanche a dirlo hanno acceso la mia fantasia. René Goscinny e Albert Uderzo, crearono le strisce a fumetti dove un piccolo e orgoglioso guerriero gallo dall’elmo alato, con casacca nera e pantaloni rossi, un paio di baffi resiste agli invasori. Ho parlato del mio fumetto preferito per inserire gli studi su un piccolo villaggio LEPONTICO che è riuscito a mantenere per lungo tempo almeno fino ai Gordiani nel II sec d.C le sue tradizioni seppur all’interno di un mare ormai Romano. Si tratta del villaggio di altura di Marano.
Qui di seguito troverete uno stralcio dell’ articolo originale che potete leggere nella sua forma originale dal titolo ” CONTINUARE A SENTIRSI LEPONTI NEL VASTO IMPERO ROMANO – FULVIA BUTTI”
<< L’incontro tra il nascente impero romano ed i Leponti fu all’inizio superficiale e non presenta differenze così significative del costume funerario se non quelle che rispecchiano i mutamenti storico-sociali in corso alla fine del II secolo aC. Possiamo desumere che i rapporti fra Leponti e “stranieri” Romani inon siano stati particolarmente profondi: risultano gestiti dalle elites, che si limitano ad usare i prodotti importati ed esibiscono nei loro corredi tombali raffinato vasellame di provenienza italica come segno di prestigio. Gli uomini, che si “presentano nelle tombe ancora come guerrieri, dotati di armi (spada e lancia), non appaiono intaccati nella loro identità.
Tale situazione ha un prima netta svolta attorno al 40-20 a.C. quando le testimonianze di cultura materiale sono chiaramente “romane”: probabilmente in questa fase la popolazione vive “alla romana, sia perché gli oggetti d’uso sono quelli comunemente diffusi, sia perché doveva avere adottato usanze “importate”, come quelle relative alla toilette nelle tombe compaiono infatti balsamari che testimoniano l’impiego di profumi ed oli, e vengono deposti specchi.
Ma il vero mutamento “interiore” è ancora successivo, solamente infatti in età augustea gli uomini non vengono più sepolti armati, rinunciando così all’antico modello del guerriero, e non adottano più il tradizionale mantello. fissuto con la vistosa fibula “Ornavasso”, tipica del loro territorio (MARTIN-KILCHER 1998, pp. 234-238). Penso che solamente in questo momento si possa dire sia effettivamente completato il processo di romanizzazione. quando cioè i notabili si identificano nei nuovi modelli romani
Questa fase cruciale della romanizzazione dovette essere comunque articolata e variamente sfumata, poiché ad esempio ad Ornavasso gli uomini continuano per più tempo rispetto a Locarno a vestirsi “all’antica”. Ancora più tradizionaliste appaiono le donne che, sulle sponde del Verbano settentrionale, sono molto più restie dei mariti ad aprirsi ai nuovi influssi e conservano fino oltre la meta del I secolo. d.C. I valori tradizionali della loro terra (MARTIN-KILCHER 1998, p. 138)
Il processo di romanizzazione si potrebbe perciò dire concluso con relativa velocità, e l’epigrafe di La Turbie, in cui i Leponti compaiono fra le popolazioni alpine conquistate, costituirebbe anche il loro epitaffio funebre: proprio quando vengono alla ribalta” della storia citati nell’imponente monumento che celebra l’impresa militare del 15 a.C., essi si annullano rapidamente nel grande impero romano. Infatti i materiali tombali non si distinguono sostanzialmente da quelli cisalpini, anche se si notano differenziazioni fra la parte orientale e quella occidentale (Xe XI Regio), e anche se all’interno di quest’ultima sono state evidenziate caratteristiche specifiche del “comprensorio del Verbano”
La piccola necropoli di Madrano, presso uno degli accessi al passo del San Gottardo e non distante dall’attuale traforo, è per vari aspetti interessante (BUTTI RONCHETTI 2000). Il primo aspetto è proprio questo, la sua posizione in ambito alpino, cioè in un territorio completamente diverso, ma complementare a quello delle numerose tombe del Locarnese che, con la loro alta concentrazione e con la bellezza e ricchezza degli oggetti deposti (anelli, vetri, bronzi, ecc.), avevano dominato “la scena dell’archeologia ticinese e rappresentato “ufficialmente” la romanità del Canton Ticino. Le tombe di Madrano, anche se solo quindici, documentano una realtà in parte differente da quella lacuale. Le diversità erano ovviamente già intuibili a priori, ma proprio il confronto fra le due situazioni permette di conoscere meglio il mondo antico.
Un secondo aspetto è quello del rito funerario adottato, l’inumazione invece della cremazione, che viceversa diventa dominante o esclusiva in pianura. Oltre ad un valore intrinseco già di per sé significativo, questo rito offre il vantaggio di conservare la disposizione originale degli oggetti sul cadavere ed all’interno della tomba (fig. 1). rendendo così fruibile un interessante serie di dati, primo fra tutti la ricostruzione di come era vestito il defunto (MARTIN-KILCHER 1993).
La “novità” emersa dalla ricerca della professoressa Martin- Kilcher è proprio quella di superare il dato archeologico per fornire aspetti di vita antropologici; la studiosa ha appurato in primo luogo che i morti erano vestiti come i vivi ed è riuscita, tramite il confronto con alcuni rilievi pervenutici, a individuare l’abbigliamento in voga, nel quale sorprendentemente rimangono in uso abitudini ed oggetti di antica tradizione .
Un altro aspetto è quello dei materiali rinvenuti: anch’essi si discostano in parte da quelli della pianura e forniscono ulteriori elementi conoscitivi. Mentre le suppellettili ceramiche e vitree sono con ogni probabilità di produzione regionale, è attestato un consistente gruppo di materiali di importazione, vasi e fibule transalpini. Inoltre compare tra i reperti un particolare tipo di fibula quella di “Mesocco” (CRIVELLI 1958-1959, tipo C), su cui è necessario soffermarsi. E un ornamento massiccio di ragguardevoli dimensioni, che raggiunge anche i 16 centimetri di lunghezza , portato in coppia sulle spalle dalle donne per fissare la “sopratunica” (corrispondente al peplo), un rettangolo di stoffa che avvolge il corpo (fig. 5). Certamente di produzione locale. ne possiamo all’incirca delimitare la diffusione ai Grigioni, Canton Ticino, Valli Ossolane ed Alto Vallese. In quest’ultimo ne era presente un atelier produttore, poichè a Brig/Waldmatte, ne sono stati rinvenuti due pezzi non ultimati (PACCOLAT 1998a, p. 88) ed all’interno dell’ambito sopra definito questa spilla raggiunge picchi di alta concentrazione (ETTLINGER 1973, p. 46).
Siamo in grado anche di tratteggiarne la genesi, già la Ettlinger infatti (ETTLINGER 1973, p. 51) aveva individuato una forma intermedia fra la Misorerfibel e la Knotenfibel (rispettivamente forme Ettlinger 7 ed Ettlinger 8) di cui più esemplari provengono da Ornavasso e dal Locarnese (fig. 6). Essi sono ornamenti più raffinati rispetto ai successivi, poiché conservano ancora la staffa traforata ed i noduli sull’estremità dell’arco, sono in argento e normalmente di piccole dimensioni, anche se qualche esemplare supera i 10 centimetri (SIMONETT 1941, Liverpool u tomba 33, n. 13: ETTLINGER 1973, tav. 24, n. 1), ma presentano già l’arco piatto come sarà caratteristico nella “Mesocco”, Altri pezzi provengono da Coira (SIEGFRIED-WEISS 1991, pp. 141-142, tav. 51, n. 3) (fig. 7) e da Gamsen (Vallese). All’età angustea si data la maggior parte dei rinvenimenti sopra citati ed in quest’epoca dobbiamo collocare perciò la nascita della Misoxerfibel. 1 secoli di maggiore concentrazione sono il I-II, ma la sua durata è sorprendente, poiché è ancora presente, successivamente, nella necropoli di Arcegno (tomba 61) (fig. 8) associata a monete di Gordiano III, e nel Vallese (PACCOLAT 1997, p. 33, fig. 15, tomba 89/3)………>> .
Possiamo dire che ancora ai tempi dei Gordiani resistevano tradizioni specifiche identificative della cultura dell’ ‘antica area insubres -lepontica
DAI CELTI AI ROMANI . IL CATALOGO NON UFFICIALE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA
Il “Quasi Catalogo”o il “Catalogo non ufficiale” del Museo Archeologico della Lomellina di Vigevano è nato dalla nostra passione e dalla volontà di fornire ai visitatori ed agli appassionati una breve guida delle preziose testimonianze scoperte nella Lomellina e custodite in una meravigliosa cornice che è il castello Visconteo. (Alessandro Guerri)
IL MUSEO
Il Museo Archeologico del Castello Visconteo Sforzesco di Vigevano è un’importante istituzione culturale della Lombardia, che custodisce una ricca collezione di reperti archeologici provenienti dalle necropoli lomelline di epoca tardo celtica, La Tène e romana. Il percorso espositivo, che prende avvio dal suggestivo spazio con interni coperti da volte a crociera, offre al visitatore la possibilità di ammirare oggetti di uso quotidiano, ma anche statuine a tuttotondo e appliques per letti funebri, che conferiscono unicità ai corredi lomellini.
Le prime tracce di popolamento nella zona risalgono al Mesolitico e al Neolitico, ma sono nell’età del Bronzo e del Ferro, in cui si afferma la cultura celtica, e soprattutto in età romana che le testimonianze diventano progressivamente più abbondanti. In questo periodo, compreso tra la seconda metà del II sec. a.C. e la fine del I d.C., si assiste alla massima fioritura di insediamenti in questo territorio, come dimostrano l’abbondanza e il grande interesse dei ritrovamenti, in cui predomina il rito funerario della cremazione.
Tra i corredi esposti, significativa è la tomba di guerriero da Valeggio-cascina Tessera e il ricco corredo femminile con vaso a trottola e fibule da Dorno-cascina Grande. Si possono anche ammirare un corredo maschile proveniente da Tromello e uno femminile da Dorno, nel quale fanno comparsa i primi manufatti in vetro soffiato (balsamari, olpai, bicchieri, coppe), il vasellame in vernice nera e in terra sigillata che documentano la fase della romanizzazione. L’olpe sostituisce il vaso a trottola. La piena età romana è illustrata da questi corredi, esposti in ordine cronologico da Dorno, Zinasco, Vigevano, Gropello Cairoli. Particolarmente significativa la tomba a cassetta di laterizi proveniente da Zinasco Nuovo.
Nella sezione dedicata alla coroplastica, si possono ammirare statuine a tuttotondo, appliques per letti funebri, in bassorilievo o a tutto tondo, che conferiscono unicità ai corredi lomellini. E’ esposto anche un frammento di stele funeraria a edicola, iscritta, della seconda metà del I sec. d.C. dall’abbazia di S. Pietro a Breme, un reperto raro per la Lomellina.
Il Museo Archeologico è ubicato all’interno del complesso architettonico del castello Visconteo Sforzesco di Vigevano, nella terza Scuderia Ducale, attribuita a Leonardo da Vinci (1490) che, come ingegnere ducale, intervenne nel castello e nelle campagne vigevanesi, dove affrontò il problema della regolamentazione delle acque.
LOMELLINA: i siti dei ritrovamenti -pannello esplicativo del mueso archeologico della Lomellina di vigevano
ETA’ DEL BRONZO
Goliere ed Armille vedo figura qui sotto per la descrizioneRIPOSTIGLI DEL TERRITORIO DELLA LOMELLINA ( MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)
1 Ripostiglio di asce a margini rialzati in bronzo a vari stadi di lavorazione e diversa percentuale di rame
Pieve Albignola. Bronzo Antico (2200-1700 a. C.)
(Deposito del Civici Musei di Pavia)
2 Ripostiglio di bronzo comprendente goliere e collari a capi aperti, armille a spirale e un’ascia a flabello Robbio Lomellina. Bronzo Antico-Medio (XVII-XVI secolo a. C.)
(Deposito del Civici Musel di Pavia)
3 Ripostiglio di pani di rame per fusione Evidenti i segni del prelievi per analisi condotte nel 1923 Semiona. Bronzo Recente (Xil secolo a. C.)
4 Ripostiglio di bronzi comprendente anello, pinzette, pugnale. spilloni e panelle per fusione Gropello Cairoli, Santo Spirito, Inizi Bronzo Recente (Xil secolo a.C.)
ETÀ DEL FERRO
L’inizio della prima Età del Ferro in Italia settentrionale è convenzionalmente fissato al 900 a.C. e si conclude al momento della storica invasione gallica del 388 a.C.
In questo periodo la Lomellina, occupata dal popolo dei Laevi rientra nell’ambito della cultura “protoceltica” di Golasecca, che si estendeva sull’area compresa tra Adda e Sesia, la regione dei laghi a nord e il corso del Po a sud in continuità con il Bronzo Finale e il periodo precedente .
Sembra di assistere però nella fase iniziale della prima Etá del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) uno spopolamento della bassa pianura, come testimoniato dai pochi rinvenimenti relativi a questo periodo. Tale spopolamento è forse legato al cambiamenti climatici che, con l’aumento della piovositá hanno comportato un dissesto idrogeologico della pianura, insieme a fattori politici e sociali che hanno impedito il formarsi di realtà de- demografiche importanti
Con il Vil secolo a.C. territorio assume nuova importanza, grazie all’esistenza di una rete di traffici attivata dagli Etruschi che, dalle coste della Liguria, per correndo la direttrice del Ticino, raggiungeva Lago Maggiore, dove era situato il principale centro golasecchiano, e da li le comunità transalpine.
L’importanza di questa direttrice risulta ben evidente a partire dal VI secolo a.C e la ceramica d’importazione rinvenuta a Lomello insieme al vasellame metallico ritrovato a Dorno e Garlasco confermano l’inserimento del territorio lomellino in una rete di scambi di ampio portata legati all’ampliamento del centri etruschi della pianura padana e alla fondazione di un emporio etrusco a Genova alla fine del VI secolo a.C.
Durante V secolo o.C. sorgono nuovi pic- coli centro in tutta la Lomellina e acquisisce sempre più importanza l’abitato di Gropello Cairoli Santo Spirito. Questo crescita è cetamente favorita dalla nascita di Milano, che determina la creazione di nuove dinamiche commercial lungo una direttrice nord-sud in direzione di Genova: l’abitato a Santo Spirito. era posto proprio su percorso che da Milano. lungo to vale Scrivia, raggiungeva Genova.
PRIMA ETÀ DEL FERRO- CIVILTÀ PROTOCELTICA DI GOLASECCA
Reperti celtici civiltà di Golasecca da Groppelo Cairoli Santo Spirito VI-Vsec.aC 1 tazza monoansata 2 scodella a urlo cordonato 3 coppa a orlo cordonato 4 olletta 5 bicchiere a tulipano 6 bicchieri decorati 7 presa di coperchio 8 olla ovoide 9 Olla con la spalla 10 olla decorata 11 brocca decorata 12 olla con decorazione 13 fibule 14 borchie 15 pendagli 16-fibula a drago in bronzo 17 Fibule a sanguisuga 18-19 parti terminali di staffa di fibula 20 strumento da toilette in bronzoVedi sopra MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
L’ABITATO DI GROPPELO CAIROLI
L’importante abitato di Gropello Cairoli era localizzato sull’altura di Santo Spirito creata dai depositi alluvionali del Ticino sul margine destro del fiume in una posizione favorevole al controllo del territorio.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’altura è stata destinata a cava di sabbia e tali lavori hanno completamente asportato i depositi archeologici. I controlli durante le escavazioni hanno consentito, però, l’individuazione di un insediamento di circa cinque ettari di estensione.
L’abitato, formatosi nel corso dell’VIII secolo a.C., crescerà d’importanza nel VI e soprat- tutto nel V secolo a.C., come conseguenza dell’incremento dei commerci dell’Etruria con i paesi a nord del Po e le regioni alpine.
L’abbondante materiale ceramico raccolto documenta la compresenza di elementi golasecchiani nella ceramica fine, e lo sviluppo di forme locali e di aspetti formali della tradizione ligure nella ceramica grossolana.
I resti delle strutture individuate, realizzate con palizzate lignee e argilla, permettono di ipotizzare l’organizzazione interna dell’abitato. dove l’area insediativa, affacciata sul Ticino, era chiusa da un fossato che attraversava l’altura nel punto di minor larghezza e nei cui pressi, fuori dal centro, era localizzata una zona artigianale, documentata da un’officina per la lavorazione del bronzo.
Mancano dati certi sulla presenza di una necropoli, ma alcuni indizi inducono a ipotizzare che fosse in posizione arretrata rispetto al nucleo insediativo/produttivo.
Le attività quotidiane sono testimoniate da macine, rocchetti, fuserole, pesi da telaio e dai frammenti di piastre in argilla forate relative a piani di cottura mobili.
L’abitato di Santo Spirito. localizzato in una posizione privilegiata in un sistema di comunicazioni stradali e fluviali, riveste dunque durante la media Età del Ferro il ruolo di centro egemone sul territorio, forse insieme a Garlasco. L’altura continuerà ad essere occupata anche durante la seconda Età del Ferro
Un inquadramento della situazione del pavese e in particolare della Lomellina all’inizio della latenizzazione, nella seconda età del Ferro, appare oggi, dopo il riconoscimento della celticità, almeno linguistica, dei Liguri, molto più agevole che in passato.
La lettura delle fonti operata dal Gabba nel 1984 (1) trova ora una chiarezza prima non facile da riconoscere (2). I Laevi (i Laci di Polibio (3)) sono per Livio (4) popolazione ligure (mentre per Poli- bio (5) sono celti), collocata a Nord del Po, inco- lentes circa Ticinum flumen. Sull’altra riva sono gli Anares. Ad essi si sovrappone una popolazione di origine gallica, i Marici
Oggi non possiamo più dubitare che i due gruppi abbiano potuto collegarsi sulla base di comuni premesse etnico-linguistiche, come certamente è avvenuto alla fine del V secolo in molte altre aree “celto-liguri” della Cisalpina. 1 Laevi avevano par- tecipato, nel corso della prima età del Ferro, all’elaborazione e allo sviluppo delle Culture cosiddetta di Golasecca. I Marici portavano gli stimoli culturali delle culture lateniane d’Oltralpe. In altri termini, nel corso della seconda età del Ferro, si è sviluppata in Lomellina e nel Pavese una cultura lateniana su sostrato celto-ligure-golasecchiano, con due gruppi uniti (fusi?), che “condidere Ticinum non procul a Pado” (6)
Se il Po rappresenta, dal IV secolo a.C. (7), una delimitazione territoriale molto precisa, oltre la quale sono gli Anares, in tutte le altre direzioni, verso gli altri gruppi prima celto-liguri, poi celti co-lateniani, i confini appaiono molto vaghi. Ciò in particolare per la prima fase, dei Laevi golasecchiani, la cui collocazione areale ci sfugge completamente, ma anche per la seconda età del Ferro, con i Laevi Marici latenizzati, che mal si distinguono da Vertamocori, Salluvii, Libui. Così come, oltre il Ticino, appare difficile individuare il confine con il gruppo insubre (8). Dagli Insubres, infine, i Laevi-Marici risultano dipendere nel III seco- lo a.C., se non da epoca precedente. Quindi, in questa sintetica trattazione, si preferisce riferirsi all’attuale realtà territoriale della Lomellina, ben sapendo come essa appaia in gran parte artificiale, legata più alle vicende storiche moderne che a quelle antiche (9).
Un corretto inquadramento delle vicende della Lomellina nella seconda età del Ferro non può così prescindere dai precedenti della prima (10), in quanto proprio nel sostrato golasecchiano dei Laevi è da riconoscere la premessa delle specifici tà nelle epoche successive.
L’area, come si è detto, è collocata, nella prima età del Ferro (11), in un ampio spazio culturale, com- plessivamente definibile come “Golasecchiano”, ma con sensibili differenziazioni locali.
Nella Lomellina ci è possibile, infatti, riconoscere, nella documentazione materiale, caratteri specifi ci, sia nelle ceramiche, che nell’ornamentazione personale (ad esempio nel gigantismo delle fibule, che nel tempo resterà un motivo costante, fino alla romanizzazione). Tali specificità, che devono esse- re verificate in parallelo con le specificità degli altri comparti golasecchiani, nell’analisi dei quali forse talvolta si insiste più sulle concordanze che sulle discordanze, rendendo meno facile una lettu ra in termini “storici”, vengono messe in rapporto con la più facile apertura di questo territorio ai condizionamenti (persone, materiali, idee) di pro- venienza etrusca (12), se non più lontana, fino alla Daunia (13). Condizionamento giustificato dalla collocazione della Lomellina lungo uno degli assi di penetrazione principali dal Mediterraneo, dalla Liguria marittima alla Padania, all’Europa conti- nentale.
10 Ciotola e olla decorate a incisioni Garlasco, Bozzole, cavo Striello
11 imboccatura di vaso a trottola con iscrizione sinistorsa graffita ESOPNOSKEPI Garlasco, Bozzole
12 Olette decorate a incisioni Groppelo Cairoli
13 Frammenti di armille in vetro fuso blu e porpora Gropello Cairoli Santo Spirito
14 Fondo di patera con iscrizione
Graffito ERIPOCHIOS Groppelo C. vigna GaraldiERIPOCHIOS N11In primo piano fibule tipo pavese n 4- strigile in Bronzo n3 -dracma padana n2Ollette da Groppelo Cairoli n12Frammenti di braccialetti di vetro celtici n13
NECROPOLI CELTICHE DELLA SECONDA ETA DEL FERRO-LOMELLINA
NECROPOLI DELLA SECONDA ETA DEL FERRO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)
VIGEVANO, LOCALITÀ RONCHI, NECROPOLI A INCINERAZIONE Tomba 33. Sepoltura femminile. Prima metà I secolo a. C.
1 Fusaiola decorata a incisioni 2 Fibula in bronzo
3 Armilla in vetro biancastro rifuso dal rogo
4 Patere a vernice nera
5 -6 Tegame in impasto semidepurato
6 Ciotola a orlo rientrante e ciotola-grattugia troncoconica
7 Patere deformate durante la cottura
8 Olette decorate a impressioni e a incisioni
DINTORNI DI VIGEVANO Materiale sporadico da contesti tomball. II-I secolo a. C.
9 Ciotoline con fondo ombelicato Provenienza non precisable
10 Bicchiere miniaturistico Località Ronchi
11 Ciotolina e bicchiere di piccole dimensioni Provenienza non precisabile
12 Cuspidi di lancia in ferro Località Monte Oliveto
13 Spada a codalo in ferro, con resti del fodero,deformata Località Monte Oliveto
14 Coltello in ferro Località Monte Oliveto
15 Cesole in ferro Località Monte Oliveto
16 Strigile in ferro Località Monte OlivatoNECROPOLI DELLA SECONDA ETÀ DEL FERRO VELEZZO LOMELLINA, LOCALITA’ PIEVE necropoli a cremazione
Tomba 59. Sepoltura maschile, Inizio I secolo a.C 1 Coltello in ferro con resti di legno sul manico 2 Asse repubblicano in bronzo, consunto D/Giano bifronte. R/ Prua di nave 3 Anello di sospensione in bronzo 4 Cesoie in ferro con resti di tessuto mineralizzato 5 Patere acrome, imitazione della ceramica a vernice nera 6 Vasi a trottola decorati a fasce sovradipinte 7 Ciotole troncoconiche con orlo a tacche impresse Ciotole carenate 9 Ciotole a orlo rientrante 10 Ciotola troncoconica 11 Olletta ovoide Tomba 14. Prima metà I secolo a. C. 12 Ciotola treppiede 13 Ciotola carenata 14 Olletta lenticolareOlpi a trottola vedi sopraGARLASCO tombe celtiche GARLASCO , necropoli ad incenerizzazione
Tomba 1 femminile III sec a.C 1 Fuseruola decorata a placche incise
2 Ciotola troncoconica e ciotolina in impasto grossolana
3 Olla globulare 4 Brocca biconica con orlo a beccuccio cilindrico obliquo
Tomba 1a 5Armilla a due giri in bronzo e anello di sospensione in ferro entrante
6 ciotola ad orlo rientrante e ciotolina troncoconica 7 Oletta globulare 8 Oletta situliforme decorata a impressioni
Tomba 28. Sepoltura maschile 9 Spada in ferro ancora inserita nel fodero decorato,deformata dal fuoco
10 Elementi di catena reggispada in ferro 11 Borchie in ferro
12 Fibule in ferro
13 Armilla in sapropelle
14 Cuspide di giavellotto in ferro
15 Lama di collello 16 Frammenti di cesoie e di impugnatura di strigile in ferro
17 Ciotole troncoconiche in impasto semidepurato 18 Olla biconica
19 Oletta situliformeVedi sopraNECROPOLI DELLA SECONDA ETA’ DEL FERRO
GARLASCO, BOZZOLE NECROPOLI A INCINERAZIONE Fine III -Inizio IIsecolo a. C.
Tomba 8 sepoltura maschile
1 Fibule in ferro 2 Lame e impugnatura di cesoie in ferro 3 Cuspidi di lancia: conservano tracce del tessuto in cui erano avvolte
4 Coltelli in ferro con residui di legno e tessuto 5 Olletta globulare e ciotolina troncoconica 6 Olla biconica e vaso a trottola decorato a fasce sovradipinte
Tomba 29. Sepoltura maschile 7 Umbone di scudo in ferro 8 Spada ravvolta nel fodero, ritualmente deformata, e punta di fodero in ferro 9 Ciotola-cineraria e ciotola in argilla semidepurata 10 Olla globulare e vaso a trottola
Tomba 4. Sepoltura femminile 11 Borchie in bronzo 12 Fibule ed elementi di catenina in bronzo
13 Bottoni conici in bronzo, con asola interna 14 Vetro blu rifuso dal rogo, probabile armilla
15 Ciotoline in argilla semidepurata
16 Bicchiere a corpo ovoide
17 Olletta con decorazione incisa e brocchetta
18 in argilla semidepurata 19 Ciotole-cinerarie carenate Vaso a trottolaVedi sopraVALEGGIO LOMELLINA cascina Tessera necropoli ad incenerazione Temba 189, Sepoltura maschile. Seconda metà II secolo a. C.
1 Spada in ferro: la lama è ancora inserita nel fodero 2 Rasoio e cesoie in ferro 3 Fibula a molla bilaterale in ferro 4 Pinzette e anello di sospensione in bronzo 5 Punta di lancia in ferro decorata da reticolo inciso, con resti di legno mineralizzato sul manico 6 Assi repubblicani in bronzo
D/ Giano bifronte. R/ Prua ali nave. Al di sotto: ROMA
7 Vittoriato in argento D/Testa di Giove, R/ Vittoria che incorona un trofeo. Al di sotto: ROMA 8 Umbone di scudo in ferro 9 Coltello in ferra, deformato dal rogo 10 Olle in ceramica comune modellate a mano: una à decorata a incision! 11 Quattro ciotole in ceramica comune: una è decorata a tacche Impresse sull’orlo 12 Olle e olletta in ceramica comune. modellate al tornio e a mano
Tomba 199. Fine Il-inizi I secolo a. C. 13 Cesoie in ferro 14 Asse repubblicano in bronzo, consunto D/Giano bifronte. R/ Prua di nave 15 Patere a vernice nera: una reca il graffito IEVO 16 Ciotolina monoansata e bicchiere a spalla cordonata in ceramica comune 17 Olla globulare in ceramica comune 18 Ciotola cinerario carenata in ceramica comuneVedi sopra
ROMANIZZAZIONE
GROPPELO CAIROLI Cascina Menabrea il corredo contiene strumenti del mondo femminile : 10 fuseruole variamente decorate con motivi geoimpressi o con impressioni a tacche Le due grandi fibule di tipo pavese servivano a sostenere pesanti tessuti come quelli dei mantelli. Frequenti in età tardo celtica sono però usato fino alla prima età imperiale perché espressione della cultura locale VELEZZO LOMELLINA località Pieve tomba 53 L’attaccamento alla cultura locale è rappresentata dalla ciotola carenata a due anse e dalle ollette dall’impasto semidepuratoVedi sopra – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)VELLEZZO LOMELLINA. Statuetta di mulo segno della presenza di influssi romani MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
GROPELLO CAIROLI, località Marone – tomba II GAMBOLÒ, Dosso della Guardia – tomba 21 Seconda metà del I secolo a.C.
Gli oggetti del due corredi in vetrina rispecchiano di fondo la tradizione culturale indigena, ma contengono alcuni manufatti indicativi della penetrazione commerciale (e culturale) romana.
Il corredo di Gropello Cairoli piuttosto semplice e ridotto nella composizione, accanto a oggetti tipici del periodo tardo celtico, come il vaso a trottola e le ciotole carenate, contiene una lucema dal serbatoio biconico e dal beccuccio ad ancora, che imita analoghi esemplari laziali, di solito a vernice nera. Il vaso a trottola, un contenitore per il vino dalla stretta imboccatura che veniva chiusa con un fappo, e le ciotole, oggetto di utilizzo comune sulla tavola. sono invece di produzione locale.
Ugualmente la tomba di Gambolò accanto alle più tradizionali ollette. decorate e non, e al piatto tegame verosimilmente prodotti in loco. presenta un oggetto di importazione, una grande patera a vernice nera di buona qualità, che sulla tavola era utilizzata per servire il cibo.DORNO – CASCINA GRANDE Corredo femminile seconda metà del I sec a.C . Incenerizzazione indiretta. Sono presenti fibule bronzee di varie dimensioni, ceramica tra cui un olpe a trottola , una Armilla di vetro deformata dal fuoco.
BIBLIOGRAFIA UTILE E LINKS:
PROBLEMi DI ARCHEOLOGIA LOMELLINA: UN GRUPPO DI TOMBE DAL PODERE PANZARASA DI GROPPELLO CAIROLI , GIOVANNA ARATA RAC 166 anno 1984 pag 41-121
LA NECROPOLI DI DORNO LOCALITÀ S.MATERNO , MARIA VITTORIA ANTICO GALLINA ,RAC 167 pag 113-162
LA NECROPOLI ROMANA DI OTTOBIANO , GLORIA VANNUCCI LUNAZZI RAC 168 anno 1986 pag 47-104
CASSOLNOVO, località Brugarolo – tomba 1 località Gerassa – tomba 1 Prima metà I secolo d.C.
Due corredi tombali ritrovati nel territorio di Cassolnovo si distinguono per la presenza di ceramica ottenuta da matrice, che imita nella forma e nella decorazione il prezioso vasellame metallico ed è rivestita di vetrina verde all’esterno e gialla all’interno.
La tomba di Cassalnovo località Brugarolo era probabilmente una sepoltura femminile, come suggeriscono i balsamari in vetro e l’anello a spirale. Tra i materiali di corredo, spicca lo skyphos (coppa biansata per bere) in ceramica invetriata, decorato da due tralci di vite contrapposti con una rosetta a otto petali al centro. Il rilievo è di notevole qualità tecnica e la resa della decorazione molto naturalistica.
Cassalnovo Brugarolo- Balsamari e skyphos a motivi vegetali( vite) prima metà I sec d.C -MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
Da Cassolnovo loc. Gerassa proviene un altro corredo femminile: esso è composto da una patera a vernice nera, da una ciotolina in terra sigillata, che reca sul fondo il bollo del fabbricante AE NC racchiuso nella caratteristica planta pedis, e da diversi balsamari. L’oggetto più importante è lo skyphos invetriato, decorato in questo caso da tralci d’edera contrapposti e da nastri annodati al di sotto delle anse. Il rilievo è di buona tecnica e il gusto della decorazione di carattere naturalistico.
Gerassa -balsamari e skyphos con foglie di edera . prima metà del I secd.C.
ALAGNA LOMELLINA, cascina Guzza – tomba 4 DORNO, cascina Grande – tomba 33 Primi decenni del I secolo d.C.
Tra la fine del I secolo a.C. e i primi decenni del I d. C.. in Italia settentrionale, si affermano alcune officine di ceramistiche producono vasellame in terra sigillata realizzato a matrice dalle forme tipiche e con decorazioni caratteristiche. Tra i più famosi sono Sarius Surus e C. Aco Diophanes, che “firmano” i loro prodotti con un’iscrizione a rilievo nel corpo del vaso.
Bicchiere tipo ACO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
Creazione di Sarius è la coppa biansata ad alto orlo, dal corpo decorato a motivi vegetali, come quella della tomba di Alagna, mentre è tipico delle officine di Aco il bicchiere troncoconico decorato da motivi vegetali e dalla riproduzione dell’intelaiatura di un canestro, come nell’esemplare di Dorno che è firmato. Con il tempo, tuttavia, le stesse forme sono prodotte dai diversi ateliers. Benché l’utilizzo delle matrici permetta una produzione in serie, si tratta di manufatti raffinati, realizzati da artigiani famosi.
Anche gli altri oggetti dei due corredi indicano l’adozione di prodotti commerciali romani, mentre l’attaccamento alle consuetudini locali si esprime nella scelta dei cinerari: la ciotola carenata ad Alagna, l’olla di impasto grezzo a Dorno.
Interessante nel corredo di Alagna l’anello, benché rovinato dal rogo. che porta impresso nel castone il volto di un satiro barbato.
Anello con satiro barbato Alagna Lomellina Oggetti di vetro in primo piano .dietro coppa biansata a motivi floreali di Sarius Surus e bicchiere a tulipano
ZINASCO NUOVO, località La Madonnina Tomba a cassetta Primi decenni del I secolo d.C.
Nella vetrina si presenta la ricostruzione di una sepoltura ritrovata all’interno di una fossa rivestita da sei tegoloni. Il corredo, piuttosto ricco, comprendente sia oggetti combusti dal rogo sia integri, era distribuito tra l’interno e l’esterno della cassetta.
Assai interessanti appaiono i manufatti deposti intatti dentro la cassetta di laterizi. La duplicazione di alcuni esemplari (le olpai, le lucerne, gli specchi) e la concentrazione di reperti ossei in punti diversi della sepoltura fanno pensare alla deposizione nella stessa tomba di almeno due individui. La presenza di fusaiole e balsamari, inoltre, fa ritenere che si trattasse della sepoltura di individui di sesso femminile.
L’analisi dei manufatti porta a ipotizzare che le due donne fossero morte a poca distanza di tempo l’una dall’altra, in un arco cronologico. compreso tra l’età augustea e quella tiberiana.
Zinasco Nuova Località Madonnina – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO
BIBLIOGRAFIA E LINKS:
RAC 190 anno 2008 pag 67 -156 Il vasellame “tipo Sarius”: ceramica romana di tradizione ellenistica in Italia settentrionale MARIA PAOLA LAVIZZARI PEDRAZZINI
Coppe tipo Surus – decorazione sopra da Pavia scavi del tribunale fine I sec a C-inizi I sec d.C – coppa sotto da Alagna Lomellina ora a Gambalò fine I sec a.C – inizio I sec d. C ( DA RAC 190)
La scena rappresenta la libagione compiuta sull’altare da Manillo Giusto, prima del sacrificio di un torello addobbato delle sacre bende. Il dedicante, vestito della toga e con il capo coperto. celebra rito alla presenza delle immagini degli antenati collocate su plinti.
Si tratta di una delle rare testimonianze di scultura di età romana conservate in Lomellina.
Come riporta l’iscrizione, il personaggio, con l’offerta della vittima e la posa dell’altare, scioglie un voto a una divinità il cui nome non è conservato. Manillus doveva essere un facoltoso membro dell’élite locale, come prova la solennità del rito. Le pettinature del personaggi e gli accurati caratteri dell’epigrate indicano una datazione intorno al 25-50 d.C. L’altare in marmo di Candoglia è stato privato del basamento e del coronamento per essere riutilizzato, a scopo decorativo, in una muratura del battistero di Lomello, probabilmente nel Medioevo. Alla fine dell’Ottocento venne portato a Vigevano e murato prima nel Municipio poi a Palazzo Roncalli ove ora si trova un calco sostitutivo.
T MANILIVS SAL F IVSTVS MVSLM
Tito Manillo Glusto figlio di Salvio con gratitudine, sciolse il voto, volentieri, meritatamente
La stele infissa verticalmente nel terreno contrassegnava il sepolcro celebrando il defunto. I monumenti funerari sono frequenti nel mondo romano, ma rari in Lomellina 4’esemplare da Breme è quindi di eccezionale importanza nonostante la sue frammentarietà, mancano infatti le parte inferiore e la decorazione sul lato destro, che era speculare a quella di sinistra
La stele ha le forme di un tempietto con frontone decorate da una testa di Medusa e da rosette . La Medusa, circondata da serpentelli ha anche valore apotropaico ( scaccia il malocchio e gli spiriti maligni) L’iscrizione commemorativa è inscritta all’interno di un apposito riquadro delimitate de lesene coronate da capitelli corinzi. La parte terminale è invece distrutta e non è possibile risalire al nome della moglie . Seguivano poi in genere i nomi dei figli e dei liberti. L ‘uomo è vissuto in Lomellina nela seconda metà del I sec. d.C. come indica la tipologia della stele e l’ ‘accuratezza ed il tipo di caratteri .
TFI P CORNELIUS M FRONTO SIBI ET ….TATE CONI….
Per disposizione testamentaria Publio Cornelio Frontone, figlio di Marco fece innalzare il monumento per sé e per la moglie …
VETRI
GROPELLO CAIROLI, podere Castoldi – tomba 14 Seconda metà I secolo d. C. Tra le sepolture ritrovate nel podere Castoldi, la tomba 14. verosimilmente femminile, si distingue per la presenza di manufatti in vetro ben conservati: si distingue in particolare la raffinata brocca in vetro blu soffiato a stampo e decorata a baccellature, utilizzata sulla mensa per servire le bevande, Anche lacolombina di piccole dimensioni, in vetro soffiato liberamente. costituisce un oggetto di lusso: la sua forma ricorda l’animale sacro alla dea della bellezza Venere. All’interno sono ancora conservate le tracce del suo contenuto, probabilmente un profumo o un unguento per il corpo. Per utilizzarlo, si sarebbe dovuta spezzare la coda oppure il becco. Un ulteriore rimando a Venere sembra presente anche nella statuetta in terracotta raffigurante Amore e Psiche: Il personaggio maschile reca infatti nella mano sinistra una colomba. Completano il corredo uno specchio in bronzo, un balsamario tubolare in vetro, una lucerna in terracotta ed alcuni oggetti impiegati sulla tavola: una coppetta a pareti sottile ed un piatto in terra sigillata,
Ad imitazione del lusso . Si tratta di APPLIQUES che venivano posizionate soprattutto nel I sec d.C. sui letti funebri ad imitazione di quelli di lusso. Costituite da materiali ceramici dovevano imitare i ben più preziosi intarsi in osso avorio o metalli presenti in letti ben più preziosi.
COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.C
Ne sono rinvenute soprattutto in necropoli del territorio della Lomellina, dove probabilmente erano prodotte, data la grande e quasi esclusiva diffusione in quest’area.
COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.COTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986OTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986
GIOCARE A DADI O CON LE PEDINE
VARIE
IL TESORETTO DI MORSELLA
Tesoretto di Antoniniani dalla località Morsella
Il tesoretto è costituito da circa 1.400 antoniniani, monete della fine del III secolo d.C. prevalentemente di Gallieno ma anche di Claudio il gotico fino ad Aureliano Sono state rinvenute nel 1978 a seguito delle ricerche del Gruppo Archeologico Milanese coordinate dalla Sovraintendenza, successive a dei lavori di aratura di un campo. Erano interrate insieme ad un’olla fittile che originariamente le conteneva. Probabilmente sono state nascoste a seguito del periodo di grave instabilità politica e dei confini. Io e mio papà eravamo lá nel 1978 e non vi posso esprimere l ‘emozione nel vederle,sempre con mio padre ora, esposte al museo.
Tesoretto di MorsellaTesoretto di MorsellaTesoretto di Morsella
COLLEZIONE STRADA
La raccolta costituita da 260 oggetti appartenenti ad un arco cronologico che va dalla preistoria all’età rinascimentale, ma particolarmente ricca in relazione all’età della romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e alla prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.). Per la maggior parte rinvenute a seguito di lavori agricoli, sono testimonianze che quasi certamente provengono da corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Si va dalle ceramiche di uso comune, alle terrecotte figurate, agli oggetti d’ornamento, agli utensili di metallo. E ai vetri. Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Una meraviglia di fattura mediorientale destinata ad una famiglia facoltosa e di rango. Sempre tra i vetri, materiale distintivo della collezione, vanno citate, per integrità e qualità, anche la pisside in vetro blu e l’anforetta porpora con decorazione piumata in bianco
Il Latenium, è un museo archeologico a Neuchatel in Svizzera che vanta una vasta collezione di reperti celtici. È dedicato a Paul Vouga il padre delle scoperte e degli studi sull’epoca poi identificata come quella appunto di Latene. la ricchezza degli esemplari qui ritrovati è sorprendente. Si trovano armi, gioielli e oggetti domestici risalenti al periodo tra il III e il I secolo a.C. La mostra permanente del museo offre uno sguardo approfondito sulla vita quotidiana dei popoli celtici che una volta abitavano la regione. I visitatori possono ammirare la maestria nella lavorazione dei metalli e della ceramica da parte dei Celti e scoprire come questi abbiano influenzato la cultura e l’arte europee. Che dire…il Latenium è un must per chiunque è interessato ed appassionato alla storia e alla cultura celtica.
RIGUARDO ALLE SCOPERTE DI PAUL VOUGA. È possibile leggere il volume intero dello studioso sul link sotto di accademia.edu
È appena stato pubblicato il numero di Ada “archeologia delle Alpi” 2021/2022. Sul sito di trentino cultura ( https://www.cultura.trentino.it/Pubblicazioni) è possibile inoltre scaricare o richiedere in formato digitale il volume pubblicato ed i numeri precedenti oltre a diverse pubblicazioni di archeologia trentina.
ADA 2021/2022
Documenta lo stato dell’arte delle ricerche archeologiche in Trentino “AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022”, il volume recentemente dato alle stampe dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. La pubblicazione di 231 pagine, a cura di Franco Nicolis e Roberta Oberosler, offre un aggiornamento puntuale sulle attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, archeologico in particolare, condotte sul territorio provinciale. L’obiettivo è quello di rivolgersi a pubblici diversi e sempre più ampi, andando oltre la platea degli addetti ai lavori, al fine di condividere con tutti gli interessati i risultati delle indagini in questo ambito. Il volume, disponibile anche in formato digitale, può essere richiesto all’Ufficio beni archeologici scrivendo all’indirizzo di posta elettronica uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
AdA Archeologia delle Alpi 2021-2022” si compone di due parti: la prima e più corposa è composta da articoli di archeologi, studiosi, esperti di settore, ricercatori di istituzioni scientifiche e culturali con approfondimenti specifici mentre la seconda parte è costituita da un sintetico notiziario che riporta i principali interventi effettuati nell’ultimo biennio in Trentino. Filo conduttore dei contenuti è la metodologia di indagine che presuppone un approccio multidisciplinare e un costante confronto per l’analisi dei dati da parte di studiosi ed esperti di settori diversi.
Una buona parte dei contributi è dedicata alle ricerche condotte nell’area urbana di Trento. Il capoluogo continua a restituire interessanti informazioni sul suo complesso passato a cominciare dal sito de La Vela dove sono emerse evidenze di occupazione risalenti al Neolitico legate a pratiche di allevamento di ovicaprini con una propensione per lo sfruttamento delle risorse animali a discapito delle attività produttive agricole. Restando nell’ambito cittadino è di particolare interesse la scoperta avvenuta in via Esterle dove, in un’area in passato interessata da violenti eventi alluvionali, alla inconsueta quota di 8 metri sotto i piani attuali, sono emerse testimonianze di epoca romana tra cui un tratto di via glareata e una porzione di area cimiteriale risalente al IV secolo d.C. La vitalità commerciale ed economica della Tridentum romana è attestata anche dallo studio dei frammenti di anfore rinvenuti durante gli scavi di Piazza Bellesini e nell’area archeologica di Palazzo Lodron a Trento. L’origine di questi contenitori, provenienti da diverse aree dell’Impero, evidenzia come Tridentum facesse parte di una fitta rete commerciale che metteva in comunicazione la penisola italica con il bacino renano-danubiano e con le aree del Mediterraneo orientale e occidentale. Riguardo il loro contenuto, si può ipotizzare che le anfore servissero principalmente per l’approvvigionamento e il trasporto di olio, salse di pesce, vino miele, olive, frutta secca e spezie oltre a olii vegetali, balsami e unguenti. Di epoca romana è anche il sarcofago, rinvenuto nel 1860 e attualmente visibile in piazza della Mostra, del quale vengono illustrati i materiali di corredo in esso ritrovati e il contesto.
Nuovi dati sull’età romana in Trentino giungono inoltre dalla ripresa dei lavori presso la villa romana di Isera, in Vallagarina, che hanno reso possibile la raccolta di nuovi e importanti dati relativi alla tecnica edilizia e all’articolazione del grande edificio terrazzato con sale panoramiche e giardino risalente alla prima età imperiale. Spostandoci in Val di Non, la recente riconsegna di una coppa vitrea e di due bracciali in bronzo è stata l’occasione per lo studio e la ricontestualizzazione di questi reperti che ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una possibile necropoli tardoantica tra Revò e Romallo, ai margini dell’importante via che attraverso la Val di Non collegava i due versanti delle Alpi e veicolava prodotti di pregio importati e apprezzati anche in Anaunia.
Si sta rivelando di grande importanza lo scavo di ricerca presso l’insediamento retico-romano del Doss Penede a Nago-Torbole, oggetto di un progetto di studio multidisciplinare che vede la collaborazione tra l’Universita di Trento, la Soprintendenza e il Comune di Nago-Torbole. Lo scavo archeologico ha restituito significative testimonianze architettoniche di età romana delle quali sono state analizzate le tecniche edificatorie e le soluzioni costruttive. Contribuisce alla ricerca e alla conoscenza degli insediamenti rurali in area trentina lo studio dei materiali provenienti dal complesso rurale di epoca romana e tardoromana messo in luce a Mezzolombardo in località Calcara.
L’indagine con metodo archeologico, condotta in occasione di recenti lavori nei pressi di Passo San Valentino a Brentonico, ha portato al recupero di un insieme di reperti databili al XVIII secolo che hanno permesso di riconoscere la presenza di una serie di fortificazioni realizzate nel 1796 dall’Impero Asburgico per contrastare l’avanzata napoleonica in Trentino.
Ampio spazio è riservato al Parco Archeo Natura di Fiavé, inaugurato nell’estate 2021, al quale sono dedicati tre articoli. Il soprintendente Franco Marzatico evidenzia come la realizzazione del Parco, in dialogo tra l’archeologia e l’ambiente naturale, abbia lo scopo di proporre un percorso partecipato di conoscenza, consapevolezza e valorizzazione, offrendo un’opportunità di fruizione integrata del patrimonio culturale e ambientale che coinvolga nel progetto le diverse realtà locali per accrescere la conoscenza e la consapevolezza culturali, sia l’attrattiva del territorio dal punto di vista turistico. Le referenti dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici tracciano un quadro della ricca proposta di attività rivolte a pubblici di ogni età, con particolare attenzione al mondo della scuola e alle famiglie, realizzati con enti e associazioni locali e con il coinvolgimento attivo della comunità.
Il notiziario riporta gli interventi di indagine archeologica effettuati Civezzano in località Sorabaselga, ad Arco in via Degasperi, a Tesero in località Sottopedonda, a Sanzeno in Val di Non, sull’Altopiano della Vigolana, ad Arco presso il Monastero delle Serve di Maria, a Trento in via Grazioli e in via S.Pietro e a Vetriolo dove è stata portata alla luce una vasta area mineraria protostorica.
“Archeologia delle Alpi. Studi in onore di Gianni Ciurletti” raccoglie indagini e approfondimenti su varie tematiche in ambito archeologico che coprono un arco temporale dalla preistoria all’età contemporanea. Hanno contribuito al volume studiosi e ricercatori oltre agli archeologi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che hanno così reso omaggio a Gianni Ciurletti già Soprintendente per i beni archeologici del Trentino.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici Via Mantova, 67
Sviluppi culturali durante l’età del ferro nei territori alpini centro-orientali.
Atti della giornata di studi internazionale: 1 maggio 2010 – Sanzeno – Trento.
Il territorio trentino è stato sin da epoche remotissime luogo d’incontro e di confronto tra i popoli. Costituisce, infatti, fin dall’antichità un passaggio naturale che collega il mondo mediterraneo all’Europa transalpina. Questo volume costituisce un importante risultato dell’azione di tutela, conoscenza, valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico non solo provinciale ma più in generale alpino.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici Via Mantova, 67
Tel. 0461/492161
uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
La pubblicazione è consultabile presso la biblioteca specialistica “Pia Laviosa Zambotti” dell’Ufficio beni archeologici, via Mantova 67, Trento, tel.0461 492161.
Primo numero del rinnovato periodico che ospita articoli relativi singoli aspetti, scavi, ricerche, scoperte effettuati nel territorio provinciale e più in generale nell’area alpina centro-orientale.
In questo primo numero della nuova rivista sono raccolti articoli, saggi, riflessioni, interventi informativi di carattere archeologico che provengono dall’Ufficio beni archeologici e da altre istituzioni trentine che hanno tra le proprie competenze anche la ricerca archeologica.
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Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici Via Mantova, 67
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Le pubblicazioni sono disponibili presso le strutture della Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio Beni archeologici:
S.A.S.S. Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas Trento, piazza Cesare Battisti
Museo Retico – Centro per l’archeologia e la storia antica della Val di Non
Sanzeno, via Rezia 87
Museo delle Palafitte di Fiavé Fiavé, via 3 Novembre, 53
2021 Provincia autonoma di Trento Autore / Curatore: Paolo Bellintani, Elena Silvestri Ufficio beni archeologici Fare Rame. La metallurgia primaria della tarda età del Bronzo in Trentino: nuovi scavi e stato dell’arte della ricerca sul campo aggiorna, con le ricerche condotte dopo il 2000 dall’Ufficio beni archeologici, le conoscenze sullo sfruttamento dei giacimenti di rame trentini nella tarda età del Bronzo (3400-3000 anni fa circa). Si tratta di alcuni studi dedicati a siti di lavorazione del minerale di rame (Segonzano, Lavarone, Luserna, Transacqua, S.Orsola, Fierozzo) messi a confronto con analoghi contesti archeologici nord-alpini e alcuni lavori di sintesi sulla cronologia relativa e assoluta dei contesti esaminati, sulla tipologia delle strutture piro-tecnologiche e sull’inquadramento storico della tematica.
Per richiedere informazioni relativamente alla distribuzione rivolgersi a:
Soprintendenza per i beni culturali – Ufficio beni archeologici via Mantova, 67 38122 Trento tel. 0461 492161 uff.beniarcheologici@provincia.tn.it
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Storia del sito: La maggior parte delle costruzioni di epoca celtica era eseguita principalmente di legno o in legno con fondazioni di pietra. Rari sono i ritrovamenti di edifici realizzati completamente in pietra (in Irlanda, Bretagna, Occitania e Galizia) e quello di Roldo è l’unico ad essersi discretamente conservato in tutta l’area Gallo-romana. L’edificio è stato scoperto e studiato da Tullio Bertamini nel 1975 .
Dall’accurato esame dei materiali e delle tecniche costruttive, l’edificio è stato datato al primo secolo dell’era cristiana in un periodo nel quale gli influssi culturali romani erano ancora molto scarsi. Che si trattasse di un edificio di culto è dimostrato dalle tecniche costruttive, dalla posizione, dall’orientamento sull’asse nord-sud e soprattutto dall’uso della pietra e del marmo locale e la pianta interna a doppia cella che attestano un uso sacrale “importante”. Dopo la cristianizzazione dei territori dell’Ossola (IV sec.) fu convertito ad uso profano e, attorno al XIII secolo, fu sopraelevato per trasformarlo in torre di vedetta. Esso si trova oggi inglobato in mezzo ad altre costruzioni.
Descrizione del sito: L’edificio sorge in cima a uno sperone da cui si vede l’intera alta valle e da essa è perfettamente visibile. Esso è poi stato costruito su una grande roccia che è stata scavata per ospitarne le fondamenta e tutto lascia pensare che fosse proprio tale roccia la prima origine del culto su quel sito. E’ costruito interamente in pietra lavorata con una certa maestria e legata a calce.
La soprelevazione medievale è chiaramente visibile all’esterno anche per la diversità del paramento murario. Il tempietto di Roldo ha forma rettangolare dalle misure esterne di m 5,50 di lunghezza e di m 3,60 di larghezza. All’interno è diviso in due piccoli vani: una cella di 2,45 per 2,90 m e un atrio di m 2,45 per 1,10. Si accede all’atrio da una porta con arco a tutto sesto e si passa nella cella grazie ad un’altra porta, che è stata però demolita per creare un ambiente più ampio, a cui fu opposta una porta: queste sono le modifiche più evidenti.
La cella è coperta da una volta a botte impostata a m 2,85 di altezza ed alta, al centro, m 4,10. La copertura era di lastre di pietra sagomate a tegoloni ed è stata nascosta dalla sopraelevazione. Il tetto in beole di tale torre è crollato all’inizio del decennio 1970-80 e fu sostituito con una copertura in lamiera. Vicino alla finestra doveva trovarsi l’altare (o una base con la statua), dati i segni che si rilevano sul pavimento. A circa 4 m di altezza lungo l’intero perimetro del muro sta una pietra piatta e scura, la “laugera”, non di cava locale ma proveniente dalla val Bognanco che aveva una precisa funzione: sui lati Sud e Nord funge da corda di un arco di scarico, sul quale poggiano gli elementi della volta a botte della cella, perché la spinta sia solo in parte scaricata su questi due muri. L’edificio ha una sola piccola finestra, di cm 45 per 58, posta sulla parete di fondo ad una altezza dal pavimento tale che la luce solare penetri direttamente nell’edificio solo nel periodo compreso fra l’equinozio di autunno e quello di primavera (23 settembre – 21 marzo) e che l’illuminazione massima si abbia a mezzogiorno del solstizio d’inverno (22 dicembre), quando il raggio del sole attraversa l’intero tempietto. Per questo non è del tutto azzardato supporre che il tempio fosse dedicato al dio solare Belenos.
Informazioni: In frazione Roldo. Telefono Pro Loco 0324 232883
I vasi di bronzo costituiscono una particolare tipo di vasi ad uso domestico. Realizzati per durare a lungo , rappresentavano un patrimonio familiare che passava da madre in figlia per generazioni . Questa particolare preziosità antica, rende più difficile una fine identificazione cronologica . Tuttavia è possibile in ogni caso identificare in Gallia Cisalpina almeno tre fasi principali di utilizzo del vaso di bronzo. Questi tre periodi vanno dal 388 aC al periodo augusteo e ricalcano la divisione cronologica del periodo La Tène. Lo studio cerca di definire le forme e le tipologie dei vasi di bronzo, il loro legame con il rango sociale in Cisalpina utilizzando come area privilegiata l’area veronese ( Povegliano soprattutto). Tale zona ha permesso di osservare infatti almeno 150 esemplari, databili dal IV/III secolo a.C. all’età augustea in gran parte recuperati da contesti funerari.
PRIMO PERIODO: (388-130a.C)
Nonostante l ‘invadione gallica del 388 a.C. prosegue la produzione locale, rappresentata da recipienti destinati al consumo del vino o di altri tipi di vevande fermentate. Nelle aree occupate dai Leponti e dagli Insubri sono attestate le situle (tipi Pianezzo, Cerinasca e Castaneda), le capeduncole,le brocche a becco (Tessiner Kannen). Sono recipienti prodotti nel Sopraceneri – per le brocche a becco anche nel Comasco – e attestati nell’area occidentale della Cisalpina, tra il Canton Ticino e la Bergamasca, sui quali non mi soffermo in questa sede perché esaurientemente analizzati da De Marinis in occasione della mostra sui Leponti , e ancora più recentemente, da Nagy e Tori per la necropoli di Giubiasco. Produzioni locali sono ben attestate anche in area Cenomane – mi riferisco alle fiasche da pellegrino, con gli esemplari della tomba di Castiglione delle Stiviere e
Brocca a becco di area Lepontica
in area veneta e retica, dove permane la produzione di situle a sbalzo e di simpula. Sono attribuite a officine locali, che continuano una tradizione lunga e feconda, Le situle di Este, da quelle a corpo troncoconico e sinuoso della tomba Ricovero 23, la famosa tomba di Nerka Trostiaia, a quelle istoriate delle tombe Boldù-Dolfin 52–535. Per le situle è stata identificata anche un’area di produzione tra le valli dell’Adige e del Piave, con uno o più ateliers che operano nel IV secolo unendo elementi di tradizione halstattiana a motivi di influsso celtico ed etrusco. Anche i simpula prodotti a partire dal IV secolo riprendono e rielaborano il tipo etrusco a vasca emisferica e manico verticale, ma con il manico a nastro applicato con ribattini alla vasca.Nel santuario di Lagole di Calalzo(Belluno) questi attingitoi sono utilizzati anche nei rituali delle acque.
Vasellame d’importazione
Per quanto riguarda invece le importazioni di vasellame di bronzo dall’Etruria, che avevano caratterizzato tra VI e V secolo a.C. lo sviluppo dell’Etruria padana e della civiltà di Golasecca, si ha effettivamente una contrazione in seguito all’invasione gallica del 388 a.C., che non sembra però toccare l’area di Spina, dove recipienti e candelabri di bronzo caratterizzano sia le tombe dell’ultimo quarto del V secolo, sia quelle del primo quarto del secolo successivo.
SECONDO PERIODO ETÀ LT D
Con l’età tardorepubblicana, corrispondente in ambito padano al LT D (130–15 a.C.), la presenza di vasellame di bronzo d’importazione si fa numericamente più rilevante e più varia quanto a tipi rappresentati. Per la Gallia Cisalpina si possono considerare ancora validi i saggi sulle varie forme e le liste di distribuzione elaborati in occasione dellatavola rotonda di Lattes, La vaisselle tardo-républicaine en bronze (Feugère, Rolley (eds.) 1991), con aggiornamenti relativi all’asse Ticino-Verbano e, sul versante opposto, al Caput Adriae al territorio dell’attuale Lombardia, con specifiche dedicate al Comasco e al territorio di Bergamo; molto si attende, inoltre, dalle necropoli del Veronese che sono state scavate recentemente e sono attualmente in corso di studio. Più numerosi, a tutt’oggi, gli aggiornamenti e le pubblicazioni di recipienti di età tardorepubblicana in ambito europeo In linea generale, si può osservare che alle padelle tipo Montefortino e Povegliano si sostituiscono le padelle tipo Aylesford, con vasca fortemente convessa e il caratteristico motivo a spina di pesce sul labbro (cfr. Tav. 5: XXVI/7), che formano una coppia funzionale con le brocche carenate tipo Gallarate e, talora, anche con le brocche a corpo piriforme tipo Ornavasso-Ruvo,Ornavasso-Montefiascone,Kelheim e Kjaerumgaard.
Le brocche tipo Gallarate, bitroncoconiche a carena bassa con ansa terminante a foglia cuoriforme e puntale, sono a tutt’oggi, insieme alle padelle Aylesford, le forme più rappresentate nei contesti funerari di questo periodo; che in Gallia Cisalpina le padelle rivestissero un ruolo fortemente simbolico all’interno dei servizi da banchetto, è indiziato dalla frantumazione rituale del recipiente durante i riti di sepoltura e dalla deposizione sul rogo funebre. Del successo delle brocche bitroncoconiche possono essere indicative le imitazioni “povere” in terracotta attestate già dal terzo quarto del II secolo a.C. in Grecia, e la presenza, nel santuario di Delo,frequentato da mercanti e visitatori italici, di una matrice in calcare riferibile ad una forma a carena bassa di piccole dimensioni.
Padella tipo Aylesford. Museo di Mergozzo
TERZO PERIODO-ETA’ AUGUSTEA
Con l’età augustea, il nuovo dinamismo economico della Cisalpina, legato all’espandersi delle strutture produttive transpadane e all’apertura della zona centropadana a più veloci circuiti commerciali, vede la rapida diffusione di un repertorio di forme in parte legato alla serie tardorepubblicana, della quale vengono riproposti elementi strutturali e ornamentali, in parte del tutto innovativi.
Nella tomba 16 della necropoli del Colabiolo di Verdello (Bergamo), ad esempio, datata in base a una moneta e un boccale del tipo Aco intorno al 20 a.C.88, è già presente una brocchetta “moderna”, di produzione verosimilmente campana89. Si tratta infatti di un recipiente riconducibile alle serie Tassinari C1224, che trova un confronto puntuale con una brocchetta di Levate (Bergamo), da una tomba di età augustea . Alcune forme tardorepubblicane, del resto, risultano ancora in produzione, come le padelle tipo Aylesford, che continuano con una produzione bollata da Cornelius, alla quale sembrerebbe appartenere anche l’esemplare rinvenuto a Domodossola in una tomba di età prototiberiana, e le brocche carenate tipo Gallarate con labbro arricchito da un kyma ionico91. Anche i simpula-colini continuano ad essere prodotti con il tipo Radnόti 40, con vasca larga a fondo piatto (Fig. 17), datato tra il 20/15 a.C. e il 10/15 d.C.92 Appare legata alla serie tardorepubblicana anche la brocca tipo Tassinari C1210, attestata in Italia centrale (a Pompei, nel Viterbese e in Val di Cornia) e in Italia settentrionale a Genova, Fino Mornasco (Como), Castrezzato (Brescia).
La più antica città di Traspadana non è nata a Milano ma sulle sponde del Ticino sul lago Maggiore dove oggi sorge Castelletto Ticino. Riproponiamo qui gli studi presentati nella mostra “L’Alba della Città” organizzata nel 2009 dalla soprintendenza archeologica del Piemonte. il momento di avvio del primo centro protourbano dell’Italia nord-occidentale. Fanno rivivere quel tempo i reperti provenienti dagli scavi condotti dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte a Castelletto Ticino – località Croce Pietra (Via del Maneggio, Via Aronco, Via Repubblica), dove tra la fine del IX ed il VII secolo a.C. sorgeva una delle più arcaiche necropoli del Basso Verbano, caratterizzata da un’organizzazione monumentale con strutture a recinto e marginata da grandi stele in pietra, quale la stele della Briccola, protagonista dell’evento.
Primo nell’Italia nord-occidentale e tra i centri della cultura di Golasecca, anche se seguito a breve distanza cronologica da Como, il centro protourbano di Castelletto Ticino – Sesto Calende si mostra dunque poco prima del 650 a.C. ormai pronto ad assumere un ruolo rilevante economico e politico nel rapporto con le grandi città etrusche. La centralizzazione del controllo su un vasto territorio agricolo e sulle vie di traffico, a partire dall’asse fondamentale del Ticino, la possibilità di concentrare e organizzare in un unico centro, assicurando il prelievo di adeguate risorse alimentari dal territorio, un importante numero di artigiani e maestranze esperte a servizio della navigazione fluvio-lacuale, consente alle elite golasecchiane di offrire materie prime e servizi ai mercanti etrusco-italici, ricavandone un notevole incremento di ricchezza e quegli oggetti ed usi collegati al lusso signorile che sanciranno la loro distinzione sociale. In questo senso il disco-corazza tipo Mozzano in bronzo raffigurato sulla stele della Briccola, tipico dell’armamento etrusco-italico tra la fine dell’VIII e la prima metà del VII secolo a.C., costituisce il primo riscontro diretto del rapporto dei guerrieri golasecchiani con il mondo etrusco-italico e distacca definitivamente la stele della Briccola da quelle protoceltiche coeve del Mediterraneo occidentale, dalla Francia meridionale alla Penisola Iberica.
Nel III secolo a.C. in Europa occidentale e centrale fa la sua comparsa una quantità importante di oggetti di vetro, tra i quali si distingue un prodotto nuovo che ebbe grande successo come elemento di parure, nonché una vasta difusione: il braccialetto di vetro colorato, translucido, omogeneo e dai colori luminosi.
Bracciale di vetro da SALICETA San Giuliano – Modena- 250-200 a.C. Modena museo archeologico- da Catalogo I Celti Bompiani
Gli specialisti sono propensi a identiicare l’area di produzione nell’Italia del Nord, probabilmente nel Veneto, donde per ora provengono gli esemplari più antichi.
armilla da Adria / in vetro MATERIA E TECNICA:pasta vitrea/ lavorata a caldo con pinze
MISURE Diametro: 8,5 cm
I Celti si familiarizzarono con questo tipo di produzione della quale appresero le modalità di fabbricazione e le formule di composizione: da quel momento la produzione dei braccialetti di vetro costituì un altro elemento caratteristico e speciico dell’artigianato dei Celti, prodotto con tecniche e con un sapere nuovi. Ai Celti nel III secolo a.C. giungevano lingotti di vetro grezzo, che circolavano ed erano commercializzati nell’Europa transalpina: il relitto scoperto in Corsica al largo delle isole Sanguinaires (Ajaccio) (ultimi decenni del III secolo a.C.) conteneva tra gli altri prodotti trasportati anche 500 chilogrammi di vetro blu, che dall’Oriente era destinato alla Gallia. Lingotti di vetro grezzo sono documentati anche in centri costieri della Britannia. Il vetro celtico ha come base principale la silice (SiO2) ed è prodotto con sodio (Na) (7-15 per cento), calcio (Ca) (5-5,5 per cento) e altre sostanze come il potassio (K) (meno dell’1 per cento), alluminio (Al) (1,4 per cento) e magnesio (Mg) (0,25-0,30). Se la materia base (sabbia e calcare) era facilmente reperibile, la soda (nota col nome di natron presso Plinio il Vecchio) aveva delle precise zone di provenienza (in particolare, in Egitto, i giacimenti tra Alessandria e Il Cairo) ben lontane dall’Europa dei Celti.
Bologna Museo Archeologico – Necropoli Benacci tomba 921 braccialetto di vetro dei CeltiBologna Museo Archeologico – Come veniva portato il bracciale di vetroBologna Museo Archeologico – Necropoli Benacci tomba 921- uso del braccialetto di vetro e posizione di olpe a trottola
Le diverse colorazioni erano ottenute mescolando al vetro ioni metallici: il rame colorava il vetro di blu medio o scuro, il ferro in verde o bruno, il cobalto in blu cobalto, il manganese in porpora o viola. I diversi colori appaiono legati a un’epoca piuttosto che a un’altra, dal momento che quella del colore fu una conquista tecnologica dovuta alla maîtrise di particolari sostanze rispetto ad altre. Le tinte più antiche furono il blu cobalto, talora integrato da colorazioni in giallo e in bianco, quelle successive furono il color miele, il verde o l’incolore, mentre tra le più recenti, del I secolo a.C., ci fu il viola con sfumature rosse.
Le fogge dei braccialetti più recenti furono sottili e semplici mentre quelle degli esemplari più antichi (seconda metà del III secolo a.C.) sono molto variabili per forma e ornamentazione: gli esemplari hanno una ricca ornamentazione a rilievo. Con il II secolo a.C. i braccialetti sono più larghi, blu cobalto o incolori, con decorazione di ili bianchi o gialli visibili alla supericie. Con la ine del II e l’inizio del I secolo a.C. la forma del braccialetto subisce un cambiamento deciso, dal momento che la fascia diventa stretta, di colore blu scuro, viola o bruno, poco decorata o priva di decorazione. I vetri giallo e bianco utilizzati per ilamenti o altri tipi di ornamentazione erano ottenuti con antimonio (Sb), piombo (Pb) o stagno (Sn). Con manganese o antimonio si otteneva invece la decolorazione del vetro, una tecnica molto complessa.
Braccialetti di vetro colorato celtici III SEC a.C da Berna e D’intorni. Da “i Celti” BompianiMALNATE (VA) frammento di armilla di vetro celticaBraccialetto celtico di vetro blu da Maneia
Il braccialetto era ottenuto in un solo pezzo senza che si avessero – come in età romana – due estremità da saldare insieme. La faccia interna a contatto con la pelle del braccio era liscia mentre la faccia esterna era decorata con scanalature, motivi plastici o gocce di colore applicati. Talora sulla faccia interna di un braccialetto incolore poteva essere applicato un sottile nastro di colore giallo come l’oro. Alcune oicine attive nel II-I secolo a.C. sono riconosciute negli oppida di Manching in Baviera, di Stradonice in Baviera o di Stare Hradiskó in Moravia. L’abitato di Nemcice nad Hanou, sempre in Moravia, testimonia un’attività vetraria che parte dalla seconda metà del III secolo a.C., e che fa di questo centro il più antico atelier celtico di lavorazione del vetro. Nella successiva età degli oppida questo prodotto si difonde anche sul resto dell’Europa celtica; la grande difusione di braccialetti di vetro colorato in Italia del Nord fa ipotizzare la presenza di ateliers anche in Cisalpina (Transpadana) paralleli a quelli transalpini. A parte il caso di Nemcice nad Hanou, non si possono ancora individuare gli atelier del III secolo a.C. che gli specialisti, a partire dalle forme di braccialetti più antichi, ipotizzano attivi in Italia del Nord, in Svizzera o nel medio Danubio (Slovacchia sud-occidentale). Si vedano N. Venclová, La production du verre, in Les Celtes et les Artes du feu, in “Dossiers d’Archéologie”, CCLVIII (2000), pp. 76- 85; R. Gebhard, Der Glasschmuck aus dem oppidum von Manching, Stuttgart, 1989.
Adria, bracciali celtici in pasta di vetro III sec. a.CBraccialetti di vetro colorato da Mihovo ex Jugoslavia II Sec .a.C. Vienna museo archeologico da catalogo i Celti-BompianiFrammenti vitrei da Monte Bibele
A C B Fig. 95 Frammenti di braccialetti di vetro colorato rinvenuti a Maneia (A e C) e a sinistra del Ceno (B) nella zona di Varano de’ Melegari. MANPr. (Disegno I. Fioramonti)
Braccialetti di vetro da Berna e D’intorni III-II sec a.C.