IL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA DI VIGEVANO -DAI CELTI AI ROMANI. IL CATALOGO “NON UFFICIALE”.

DAI CELTI AI ROMANI . IL CATALOGO NON UFFICIALE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA

Il “Quasi Catalogo”o il “Catalogo non ufficiale” del Museo Archeologico della Lomellina di Vigevano è nato dalla nostra passione e dalla volontà di fornire ai visitatori ed agli appassionati una breve guida delle preziose testimonianze scoperte  nella Lomellina e custodite in una meravigliosa cornice che è il castello Visconteo. (Alessandro Guerri)

IL MUSEO

Il Museo Archeologico del Castello Visconteo Sforzesco di Vigevano è un’importante istituzione culturale della Lombardia, che custodisce una ricca collezione di reperti archeologici provenienti dalle necropoli lomelline di epoca tardo celtica, La Tène e romana. Il percorso espositivo, che prende avvio dal suggestivo spazio con interni coperti da volte a crociera, offre al visitatore la possibilità di ammirare oggetti di uso quotidiano, ma anche statuine a tuttotondo e appliques per letti funebri, che conferiscono unicità ai corredi lomellini.

Le prime tracce di popolamento nella zona risalgono al Mesolitico e al Neolitico, ma sono nell’età del Bronzo e del Ferro, in cui si afferma la cultura celtica, e soprattutto in età romana che le testimonianze diventano progressivamente più abbondanti. In questo periodo, compreso tra la seconda metà del II sec. a.C. e la fine del I d.C., si assiste alla massima fioritura di insediamenti in questo territorio, come dimostrano l’abbondanza e il grande interesse dei ritrovamenti, in cui predomina il rito funerario della cremazione.

Tra i corredi esposti, significativa è la tomba di guerriero da Valeggio-cascina Tessera e il ricco corredo femminile con vaso a trottola e fibule da Dorno-cascina Grande. Si possono anche ammirare un corredo maschile proveniente da Tromello e uno femminile da Dorno, nel quale fanno comparsa i primi manufatti in vetro soffiato (balsamari, olpai, bicchieri, coppe), il vasellame in vernice nera e in terra sigillata che documentano la fase della romanizzazione. L’olpe sostituisce il vaso a trottola. La piena età romana è illustrata da questi corredi, esposti in ordine cronologico da Dorno, Zinasco, Vigevano, Gropello Cairoli. Particolarmente significativa la tomba a cassetta di laterizi proveniente da Zinasco Nuovo.

Nella sezione dedicata alla coroplastica, si possono ammirare statuine a tuttotondo, appliques per letti funebri, in bassorilievo o a tutto tondo, che conferiscono unicità ai corredi lomellini. E’ esposto anche un frammento di stele funeraria a edicola, iscritta, della seconda metà del I sec. d.C. dall’abbazia di S. Pietro a Breme, un reperto raro per la Lomellina.

Il Museo Archeologico è ubicato all’interno del complesso architettonico del castello Visconteo Sforzesco di Vigevano, nella terza Scuderia Ducale, attribuita a Leonardo da Vinci (1490) che, come ingegnere ducale, intervenne nel castello e nelle campagne vigevanesi, dove affrontò il problema della regolamentazione delle acque.

link :https://www.artribune.com/turismo/2022/09/vigevano-castello-sforzesco-museo-lomellina/

LOMELLINA: i siti dei ritrovamenti -pannello esplicativo del mueso archeologico della Lomellina di vigevano

ETA’ DEL BRONZO

Goliere ed Armille vedo figura qui sotto per la descrizione
RIPOSTIGLI DEL TERRITORIO DELLA LOMELLINA ( MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)


1 Ripostiglio di asce a margini rialzati in bronzo a vari stadi di lavorazione e
diversa percentuale di rame

Pieve Albignola. Bronzo Antico (2200-1700 a. C.)

(Deposito del Civici Musei di Pavia)



2 Ripostiglio di bronzo comprendente goliere e collari a capi aperti, armille a
spirale e un’ascia a flabello
Robbio Lomellina. Bronzo Antico-Medio (XVII-XVI secolo a. C.)


(Deposito del Civici Musel di Pavia)


3 Ripostiglio di pani di rame per fusione Evidenti i segni del prelievi per analisi condotte nel 1923 Semiona. Bronzo Recente (Xil secolo a. C.)


4 Ripostiglio di bronzi comprendente anello, pinzette, pugnale. spilloni e panelle per fusione Gropello Cairoli, Santo Spirito, Inizi Bronzo Recente (Xil secolo a.C.)

ETÀ DEL FERRO

L’inizio della prima Età del Ferro in Italia settentrionale è convenzionalmente fissato al 900 a.C. e si conclude al momento della storica invasione gallica del 388 a.C.

In questo periodo la Lomellina, occupata dal popolo dei Laevi rientra nell’ambito della cultura “protoceltica” di Golasecca, che si estendeva sull’area compresa tra Adda e Sesia, la regione dei laghi a nord e il corso del Po a sud in continuità con il Bronzo Finale e il periodo precedente .

Sembra di assistere però nella fase iniziale della prima Etá del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) uno spopolamento della bassa pianura, come testimoniato dai pochi rinvenimenti relativi a questo periodo. Tale spopolamento è forse legato al cambiamenti climatici che, con l’aumento della piovositá hanno comportato un dissesto idrogeologico della pianura, insieme a fattori politici e sociali che hanno impedito il formarsi di realtà de- demografiche importanti 

Con il Vil secolo a.C. territorio assume nuova importanza, grazie all’esistenza di una rete di traffici attivata dagli Etruschi che, dalle coste della Liguria, per correndo la direttrice del Ticino, raggiungeva Lago Maggiore, dove era situato il principale centro golasecchiano, e da li le comunità transalpine.

L’importanza di questa direttrice risulta ben evidente a partire dal VI secolo a.C e la  ceramica d’importazione rinvenuta a Lomello insieme al vasellame metallico ritrovato a Dorno e Garlasco confermano l’inserimento del territorio lomellino in una rete di scambi di ampio portata legati all’ampliamento del centri etruschi della pianura padana e alla fondazione di un emporio etrusco a Genova alla fine del VI secolo a.C.

Durante V secolo o.C. sorgono nuovi pic- coli centro  in tutta la Lomellina e acquisisce sempre più importanza l’abitato di Gropello Cairoli Santo Spirito. Questo crescita è cetamente favorita dalla nascita di Milano, che determina la creazione di nuove dinamiche commercial lungo una direttrice nord-sud in direzione di Genova: l’abitato a Santo Spirito. era posto proprio su percorso che da Milano. lungo to vale Scrivia, raggiungeva Genova.

PRIMA ETÀ DEL FERRO- CIVILTÀ PROTOCELTICA DI GOLASECCA

Reperti celtici civiltà di Golasecca da Groppelo Cairoli Santo Spirito VI-Vsec.aC
1 tazza monoansata 
2 scodella a urlo cordonato 
3 coppa a orlo cordonato 
4 olletta 
5 bicchiere a tulipano 
6 bicchieri decorati 
7 presa  di coperchio 
8 olla ovoide
9 Olla con la spalla 
10 olla decorata 
11 brocca decorata 
12 olla con decorazione 
13 fibule 
14 borchie 
15 pendagli
16-fibula a drago in bronzo
17 Fibule a sanguisuga
18-19 parti terminali di staffa di fibula
20 strumento da toilette in bronzo
Vedi sopra MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO

L’ABITATO DI GROPPELO CAIROLI

L’importante abitato di Gropello Cairoli era localizzato sull’altura di Santo Spirito creata dai depositi alluvionali del Ticino sul margine destro del fiume in una posizione favorevole al controllo del territorio.

A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’altura è stata destinata a cava di sabbia e tali lavori hanno completamente asportato i depositi archeologici. I controlli durante le escavazioni hanno consentito, però, l’individuazione di un insediamento di circa cinque ettari di estensione.

L’abitato, formatosi nel corso dell’VIII secolo a.C., crescerà d’importanza nel VI e soprat- tutto nel V secolo a.C., come conseguenza dell’incremento dei commerci dell’Etruria con i paesi a nord del Po e le regioni alpine.

L’abbondante materiale ceramico raccolto documenta la compresenza di elementi golasecchiani nella ceramica fine, e lo sviluppo di forme locali e di aspetti formali della tradizione ligure nella ceramica grossolana.

I resti delle strutture individuate, realizzate con palizzate lignee e argilla, permettono di ipotizzare l’organizzazione interna dell’abitato. dove l’area insediativa, affacciata sul Ticino, era chiusa da un fossato che attraversava l’altura nel punto di minor larghezza e nei cui pressi, fuori dal centro, era localizzata una zona artigianale, documentata da un’officina per la lavorazione del bronzo.

Mancano dati certi sulla presenza di una necropoli, ma alcuni indizi inducono a ipotizzare che fosse in posizione arretrata rispetto al nucleo insediativo/produttivo.

Le attività quotidiane sono testimoniate da macine, rocchetti, fuserole, pesi da telaio e dai frammenti di piastre in argilla forate relative a piani di cottura mobili.

L’abitato di Santo Spirito. localizzato in una posizione privilegiata in un sistema di comunicazioni stradali e fluviali, riveste dunque durante la media Età del Ferro il ruolo di centro egemone sul territorio, forse insieme a Garlasco. L’altura continuerà ad essere occupata anche durante la seconda Età del Ferro

LINKS:

https://www.academia.edu/resource/work/94904863

https://www.academia.edu/resource/work/41387722

https://ipotesidipreistoria.unibo.it/article/view/10311

SECONDA ETÀ DEL FERRO-EPOCA GALLICA

Da ARSLAN -LOMELLINA NELLA SECONDA ETÀ DEL FERRO:

Un inquadramento della situazione del pavese e in particolare della Lomellina all’inizio della latenizzazione, nella seconda età del Ferro, appare oggi, dopo il riconoscimento della celticità, almeno linguistica, dei Liguri, molto più agevole che in passato.

La lettura delle fonti operata dal Gabba nel 1984 (1) trova ora una chiarezza prima non facile da riconoscere (2). I Laevi (i Laci di Polibio (3)) sono per Livio (4) popolazione ligure (mentre per Poli- bio (5) sono celti), collocata a Nord del Po, inco- lentes circa Ticinum flumen. Sull’altra riva sono gli Anares. Ad essi si sovrappone una popolazione di origine gallica, i Marici

Oggi non possiamo più dubitare che i due gruppi abbiano potuto collegarsi sulla base di comuni premesse etnico-linguistiche, come certamente è avvenuto alla fine del V secolo in molte altre aree “celto-liguri” della Cisalpina. 1 Laevi avevano par- tecipato, nel corso della prima età del Ferro, all’elaborazione e allo sviluppo delle Culture cosiddetta di Golasecca. I Marici portavano gli stimoli culturali delle culture lateniane d’Oltralpe. In altri termini, nel corso della seconda età del Ferro, si è sviluppata in Lomellina e nel Pavese una cultura lateniana su sostrato celto-ligure-golasecchiano, con due gruppi uniti (fusi?), che “condidere Ticinum non procul a Pado” (6)

Se il Po rappresenta, dal IV secolo a.C. (7), una delimitazione territoriale molto precisa, oltre la quale sono gli Anares, in tutte le altre direzioni, verso gli altri gruppi prima celto-liguri, poi celti co-lateniani, i confini appaiono molto vaghi. Ciò in particolare per la prima fase, dei Laevi golasecchiani, la cui collocazione areale ci sfugge completamente, ma anche per la seconda età del Ferro, con i Laevi Marici latenizzati, che mal si distinguono da Vertamocori, Salluvii, Libui. Così come, oltre il Ticino, appare difficile individuare il confine con il gruppo insubre (8). Dagli Insubres, infine, i Laevi-Marici risultano dipendere nel III seco- lo a.C., se non da epoca precedente. Quindi, in questa sintetica trattazione, si preferisce riferirsi all’attuale realtà territoriale della Lomellina, ben sapendo come essa appaia in gran parte artificiale, legata più alle vicende storiche moderne che a quelle antiche (9).

Un corretto inquadramento delle vicende della Lomellina nella seconda età del Ferro non può così prescindere dai precedenti della prima (10), in quanto proprio nel sostrato golasecchiano dei Laevi è da riconoscere la premessa delle specifici tà nelle epoche successive.

L’area, come si è detto, è collocata, nella prima età del Ferro (11), in un ampio spazio culturale, com- plessivamente definibile come “Golasecchiano”, ma con sensibili differenziazioni locali.

Nella Lomellina ci è possibile, infatti, riconoscere, nella documentazione materiale, caratteri specifi ci, sia nelle ceramiche, che nell’ornamentazione personale (ad esempio nel gigantismo delle fibule, che nel tempo resterà un motivo costante, fino alla romanizzazione). Tali specificità, che devono esse- re verificate in parallelo con le specificità degli altri comparti golasecchiani, nell’analisi dei quali forse talvolta si insiste più sulle concordanze che sulle discordanze, rendendo meno facile una lettu ra in termini “storici”, vengono messe in rapporto con la più facile apertura di questo territorio ai condizionamenti (persone, materiali, idee) di pro- venienza etrusca (12), se non più lontana, fino alla Daunia (13). Condizionamento giustificato dalla collocazione della Lomellina lungo uno degli assi di penetrazione principali dal Mediterraneo, dalla Liguria marittima alla Padania, all’Europa conti- nentale.

articolo completo su accademia.edu al link:

https://www.academia.edu/resource/work/16487214

Altri links:

I guerrieri di Garlasco e Gesati- ARSLAN:

https://www.academia.edu/resource/work/70818160

https://www.academia.edu/resource/work/14784071

REPERTI CELTICI DA RITROVAMENTI SPORADICI AREA LOMELLINA II-I sec. a.C

MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO

1 Padella tipo monfortino e brocca ovoide carenata in bronzo Tromello

2 Dracma padana Tromello S.Stefano

3. Strigile in bronzo -Tromello S.Spirito

4 Fibule di tipo pavese in Bronzo da Scaldasole

5 Armille in bronzo decorate ad occhi di dado deformate dal rogo Valeggio Lomellina cascina Tessera

6 Armilla a larga fascia in bronzo decorata ad occhi di dado. Rosasco frazione Rivoltella

7 Ciotola treppiede in ceramica da Mortara, Sabbioni

8 Vaso piriforme, decorato o linee in rilievo Lomello, S.Giovanni Doria

9 Ciotolina troncoconica miniaturidica Garlasco , Bozzole, cavo Striello

10 Ciotola e olla decorate a incisioni
Garlasco, Bozzole, cavo Striello 

11 imboccatura di vaso a trottola con iscrizione sinistorsa graffita ESOPNOSKEPI Garlasco, Bozzole

12 Olette decorate a incisioni Groppelo Cairoli

13 Frammenti di armille in vetro fuso blu e porpora Gropello Cairoli Santo Spirito

14 Fondo di patera con iscrizione 

Graffito  ERIPOCHIOS Groppelo C. vigna Garaldi
ERIPOCHIOS N11
In primo piano fibule tipo pavese n 4- strigile in Bronzo n3 -dracma padana n2
Ollette da Groppelo Cairoli n12
Frammenti di braccialetti di vetro celtici n13

NECROPOLI CELTICHE DELLA SECONDA ETA DEL FERRO-LOMELLINA

NECROPOLI DELLA SECONDA ETA DEL FERRO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)


VIGEVANO, LOCALITÀ RONCHI, NECROPOLI A INCINERAZIONE
Tomba 33. Sepoltura femminile. Prima metà I secolo a. C.



1 Fusaiola decorata a incisioni 
2 Fibula in bronzo


3 Armilla in vetro biancastro rifuso dal rogo

4 Patere a vernice nera

5 -6 Tegame in impasto semidepurato

6 Ciotola a orlo rientrante e ciotola-grattugia troncoconica

7 Patere deformate durante la cottura 

8 Olette decorate a impressioni e a incisioni

DINTORNI DI VIGEVANO
Materiale sporadico da contesti tomball. II-I secolo a. C.

9 Ciotoline con fondo ombelicato Provenienza non precisable

10 Bicchiere miniaturistico
Località Ronchi

11 Ciotolina e bicchiere di piccole dimensioni
Provenienza non precisabile 

12 Cuspidi di lancia in ferro
Località Monte Oliveto 

13 Spada a codalo in ferro, con resti del fodero,deformata
Località Monte Oliveto 

14 Coltello in ferro
Località Monte Oliveto 

15 Cesole in ferro
Località Monte Oliveto

16 Strigile in ferro
Località Monte Olivato
NECROPOLI DELLA SECONDA ETÀ DEL FERRO
VELEZZO LOMELLINA, LOCALITA’ PIEVE necropoli a cremazione

Tomba 59. Sepoltura maschile, Inizio I secolo a.C
1 Coltello in ferro con resti di legno sul manico
2 Asse repubblicano in bronzo, consunto D/Giano bifronte. R/ Prua di nave
3 Anello di sospensione in bronzo
4 Cesoie in ferro con resti di tessuto mineralizzato
5 Patere acrome, imitazione della ceramica a vernice nera
6 Vasi a trottola decorati a fasce sovradipinte
7 Ciotole troncoconiche con orlo a tacche impresse
Ciotole carenate
9 Ciotole a orlo rientrante
10 Ciotola troncoconica
11 Olletta ovoide Tomba 14. Prima metà I secolo a. C.
12 Ciotola treppiede
13 Ciotola carenata
14 Olletta lenticolare
Olpi a trottola vedi sopra
GARLASCO tombe celtiche GARLASCO , necropoli ad incenerizzazione


Tomba 1  femminile III sec a.C
1 Fuseruola decorata a placche incise

2 Ciotola troncoconica e ciotolina in impasto grossolana 

3 Olla globulare
4 Brocca biconica con orlo a beccuccio cilindrico obliquo

Tomba 1a
5Armilla a due giri in bronzo e anello di sospensione in ferro entrante 

6 ciotola ad orlo rientrante e ciotolina troncoconica
7 Oletta globulare
8 Oletta situliforme decorata a impressioni


Tomba 28. Sepoltura maschile
9 Spada in ferro ancora inserita nel fodero decorato,deformata dal fuoco 

10 Elementi di catena reggispada in ferro
11 Borchie in ferro

12 Fibule in ferro

13 Armilla in sapropelle

14 Cuspide di giavellotto in ferro 

15 Lama di collello
16 Frammenti di cesoie e di impugnatura di strigile in ferro 

17 Ciotole troncoconiche in impasto semidepurato
18 Olla biconica

19 Oletta situliforme

Vedi sopra
NECROPOLI DELLA SECONDA ETA’ DEL FERRO


GARLASCO, BOZZOLE NECROPOLI A INCINERAZIONE Fine III  -Inizio IIsecolo a. C.


Tomba 8 sepoltura maschile

1 Fibule in ferro
2 Lame e impugnatura di cesoie in ferro
3 Cuspidi di lancia: conservano tracce del tessuto in cui erano avvolte 

4 Coltelli in ferro con residui di legno e tessuto 
5 Olletta globulare e ciotolina troncoconica
6 Olla biconica e vaso a trottola decorato a fasce sovradipinte

Tomba 29. Sepoltura maschile 
7 Umbone di scudo in ferro
8 Spada ravvolta nel fodero, ritualmente deformata, e punta di fodero in ferro
9 Ciotola-cineraria e ciotola in argilla semidepurata 
10 Olla globulare e vaso a trottola

Tomba 4. Sepoltura femminile
11 Borchie in bronzo
12 Fibule ed elementi di catenina in bronzo

13 Bottoni conici in bronzo, con asola interna 
14 Vetro blu rifuso dal rogo, probabile armilla

15 Ciotoline in argilla semidepurata

16 Bicchiere a corpo ovoide

17 Olletta con decorazione incisa e brocchetta

18 in argilla semidepurata
19 Ciotole-cinerarie carenate
Vaso a trottola
Vedi sopra
VALEGGIO LOMELLINA cascina Tessera necropoli ad incenerazione Temba 189, Sepoltura maschile. Seconda metà II secolo a. C.

1 Spada in ferro: la lama è ancora inserita nel fodero
2 Rasoio e cesoie in ferro
3 Fibula a molla bilaterale in ferro
4 Pinzette e anello di sospensione in bronzo
5 Punta di lancia in ferro decorata da reticolo inciso, con resti di legno mineralizzato sul manico
6 Assi repubblicani in bronzo

D/ Giano bifronte. R/ Prua ali nave. Al di sotto: ROMA

7 Vittoriato in argento D/Testa di Giove, R/ Vittoria che incorona un trofeo.
Al di sotto: ROMA
8 Umbone di scudo in ferro
9 Coltello in ferra, deformato dal rogo
10 Olle in ceramica comune modellate a mano: una à decorata a incision!
11 Quattro ciotole in ceramica comune: una è decorata a tacche Impresse sull’orlo
12 Olle e olletta in ceramica comune. modellate al tornio e a mano

Tomba 199. Fine Il-inizi I secolo a. C.
13 Cesoie in ferro
14 Asse repubblicano in bronzo, consunto
D/Giano bifronte. R/ Prua di nave
15 Patere a vernice nera: una reca il graffito IEVO
16 Ciotolina monoansata e bicchiere a spalla cordonata in ceramica comune
17 Olla globulare in ceramica comune
18 Ciotola cinerario carenata in ceramica comune
Vedi sopra

ROMANIZZAZIONE

GROPPELO CAIROLI Cascina Menabrea il corredo contiene strumenti del mondo femminile : 10 fuseruole  variamente decorate con motivi geoimpressi o con  impressioni a tacche  Le due grandi fibule di tipo pavese servivano a sostenere pesanti tessuti come quelli dei mantelli. Frequenti in età tardo celtica sono però usato fino alla prima età imperiale perché espressione della cultura locale
VELEZZO LOMELLINA località Pieve tomba 53 L’attaccamento alla cultura locale è rappresentata dalla ciotola carenata a due anse e dalle ollette dall’impasto semidepurato

Vedi sopra – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO)
VELLEZZO LOMELLINA. Statuetta di mulo segno della presenza di influssi romani
MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO

GROPELLO CAIROLI, località Marone – tomba II GAMBOLÒ, Dosso della Guardia – tomba 21 Seconda metà del I secolo a.C.

Gli oggetti del due corredi in vetrina rispecchiano di fondo la tradizione culturale indigena, ma contengono alcuni manufatti indicativi della penetrazione commerciale (e culturale) romana.

Il corredo di Gropello Cairoli piuttosto semplice e ridotto nella composizione, accanto a oggetti tipici del periodo tardo celtico, come il vaso a trottola e le ciotole carenate, contiene una lucema dal serbatoio biconico e dal beccuccio ad ancora, che imita analoghi esemplari laziali, di solito a vernice nera. Il vaso a trottola, un contenitore per il vino dalla stretta imboccatura che veniva chiusa con un fappo, e le ciotole, oggetto di utilizzo comune sulla tavola. sono invece di produzione locale.

Ugualmente la tomba di Gambolò accanto alle più tradizionali ollette. decorate e non, e al piatto tegame verosimilmente prodotti in loco. presenta un oggetto di importazione, una grande patera a vernice nera di buona qualità, che sulla tavola era utilizzata per servire il cibo.
DORNO – CASCINA GRANDE   Corredo femminile seconda metà del  I sec a.C . Incenerizzazione indiretta. Sono presenti fibule bronzee di varie dimensioni, ceramica tra cui un olpe a trottola , una Armilla di vetro deformata dal fuoco.

BIBLIOGRAFIA UTILE E LINKS:

PROBLEMi DI ARCHEOLOGIA LOMELLINA: UN GRUPPO DI TOMBE DAL PODERE PANZARASA DI GROPPELLO CAIROLI , GIOVANNA ARATA RAC 166 anno 1984 pag 41-121

LA NECROPOLI DI DORNO LOCALITÀ S.MATERNO , MARIA VITTORIA ANTICO GALLINA ,RAC 167 pag 113-162

LA NECROPOLI ROMANA DI OTTOBIANO , GLORIA VANNUCCI LUNAZZI RAC 168 anno 1986 pag 47-104

LINKS:

https://www.academia.edu/resource/work/45157862

https://www.academia.edu/resource/work/1308207

ROMANITÀ

CASSOLNOVO, località Brugarolo – tomba 1 località Gerassa – tomba 1 Prima metà I secolo d.C.

Due corredi tombali ritrovati nel territorio di Cassolnovo si distinguono per la presenza di ceramica ottenuta da matrice, che imita nella forma e nella decorazione il prezioso vasellame metallico ed è rivestita di vetrina verde all’esterno e gialla all’interno.

La tomba di Cassalnovo località Brugarolo era probabilmente una sepoltura femminile, come suggeriscono i balsamari in vetro e l’anello a spirale. Tra i materiali di corredo, spicca lo skyphos (coppa biansata per bere) in ceramica invetriata, decorato da due tralci di vite contrapposti con una rosetta a otto petali al centro. Il rilievo è di notevole qualità tecnica e la resa della decorazione molto naturalistica.

Cassalnovo Brugarolo- Balsamari e skyphos a motivi vegetali( vite) prima metà I sec d.C -MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO

Da Cassolnovo loc. Gerassa proviene un altro corredo femminile: esso è composto da una patera a vernice nera, da una ciotolina in terra sigillata, che reca sul fondo il bollo del fabbricante AE NC racchiuso nella caratteristica planta pedis, e da diversi balsamari. L’oggetto più importante è lo skyphos invetriato, decorato in questo caso da tralci d’edera contrapposti e da nastri annodati al di sotto delle anse. Il rilievo è di buona tecnica e il gusto della decorazione di carattere naturalistico.

Gerassa -balsamari e skyphos con foglie di edera . prima metà del I secd.C.

ALAGNA LOMELLINA, cascina Guzza – tomba 4  DORNO, cascina Grande – tomba 33 Primi decenni del I secolo d.C.

Tra la fine del I secolo a.C. e i primi decenni del I d. C.. in Italia settentrionale, si affermano alcune officine di ceramistiche producono vasellame in terra sigillata realizzato a matrice dalle forme tipiche e con decorazioni caratteristiche. Tra i più famosi sono Sarius Surus e C. Aco Diophanes, che “firmano” i loro prodotti con un’iscrizione a rilievo nel corpo del vaso.

Bicchiere tipo ACO – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO



Creazione di Sarius è la coppa biansata ad alto orlo, dal corpo decorato a motivi vegetali, come quella della tomba di Alagna, mentre è tipico delle officine di Aco il bicchiere troncoconico decorato da motivi vegetali e dalla riproduzione dell’intelaiatura di un canestro, come nell’esemplare di Dorno che è firmato. Con il tempo, tuttavia, le stesse forme sono prodotte dai diversi ateliers. Benché l’utilizzo delle matrici permetta una produzione in serie, si tratta di manufatti raffinati, realizzati da artigiani famosi.

Anche gli altri oggetti dei due corredi indicano l’adozione di prodotti commerciali romani, mentre l’attaccamento alle consuetudini locali si esprime nella scelta dei cinerari: la ciotola carenata ad Alagna, l’olla di impasto grezzo a Dorno.



Interessante nel corredo di Alagna l’anello, benché rovinato dal rogo. che porta impresso nel castone il volto di un satiro barbato.

Anello con satiro barbato Alagna Lomellina
Oggetti di vetro in primo piano .dietro coppa biansata a motivi floreali di Sarius Surus e bicchiere a tulipano

ZINASCO NUOVO, località La Madonnina Tomba a cassetta Primi decenni del I secolo d.C.

Nella vetrina si presenta la ricostruzione di una sepoltura ritrovata all’interno di una fossa rivestita da sei tegoloni. Il corredo, piuttosto ricco, comprendente sia oggetti combusti dal rogo sia integri, era distribuito tra l’interno e l’esterno della cassetta.

Assai interessanti appaiono i manufatti deposti intatti dentro la cassetta di laterizi. La duplicazione di alcuni esemplari (le olpai, le lucerne, gli specchi) e la concentrazione di reperti ossei in punti diversi della sepoltura fanno pensare alla deposizione nella stessa tomba di almeno due individui. La presenza di fusaiole e balsamari, inoltre, fa ritenere che si trattasse della sepoltura di individui di sesso femminile.

L’analisi dei manufatti porta a ipotizzare che le due donne fossero morte a poca distanza di tempo l’una dall’altra, in un arco cronologico. compreso tra l’età augustea e quella tiberiana.

Zinasco Nuova Località Madonnina – MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINA VIGEVANO

BIBLIOGRAFIA E LINKS:

RAC 190 anno 2008 pag 67 -156 Il vasellame “tipo Sarius”: ceramica romana di tradizione ellenistica in Italia settentrionale
MARIA PAOLA LAVIZZARI PEDRAZZINI

Coppe tipo Surus – decorazione sopra da Pavia scavi del tribunale fine I sec a C-inizi I sec d.C – coppa sotto da Alagna Lomellina ora a Gambalò fine I sec a.C – inizio I sec d. C ( DA RAC 190)

https://www.academia.edu/resource/work/3681796

ARA VOTIVA DA LOMELLO

La scena rappresenta la libagione compiuta sull’altare da Manillo Giusto, prima del sacrificio di un torello addobbato delle sacre bende. Il dedicante, vestito della toga e con il capo coperto. celebra rito alla presenza delle immagini degli antenati collocate su plinti.

Si tratta di una delle rare testimonianze di scultura di età romana conservate in Lomellina.

Come riporta l’iscrizione, il personaggio, con l’offerta della vittima e la posa dell’altare, scioglie un voto a una divinità il cui nome non è conservato. Manillus doveva essere un facoltoso membro dell’élite locale, come prova la solennità del rito. Le pettinature del personaggi e gli accurati caratteri dell’epigrate indicano una datazione intorno al 25-50 d.C. L’altare in marmo di Candoglia è stato privato del
basamento e del coronamento per essere riutilizzato, a scopo decorativo, in una muratura del battistero di Lomello, probabilmente nel Medioevo. Alla fine dell’Ottocento venne portato a Vigevano e murato prima nel Municipio poi a Palazzo Roncalli ove ora si trova un calco sostitutivo.



T MANILIVS SAL F IVSTVS MVSLM

Tito Manillo Glusto figlio di Salvio con gratitudine, sciolse il voto, volentieri, meritatamente

Ara VOTIVA da LOMELLO I sec. d.C.

Link: https://www.vigevanostoria.it/da-lomello-a-vigevano-lara-di-manilius-iustus/

STELE DI DEFUNTO PUBLIO CORNELIO FRONTONE

La stele infissa verticalmente nel terreno contrassegnava il sepolcro celebrando il defunto. I monumenti funerari sono frequenti nel mondo romano, ma rari in Lomellina 4’esemplare da Breme è quindi di eccezionale importanza nonostante la sue frammentarietà, mancano infatti le parte inferiore e la decorazione sul lato destro, che era speculare a quella di sinistra

La stele ha le forme di un tempietto con frontone decorate da una testa di Medusa e da rosette . La Medusa, circondata da serpentelli ha anche valore apotropaico ( scaccia il malocchio e gli spiriti maligni) L’iscrizione commemorativa è inscritta all’interno di un apposito riquadro delimitate de lesene coronate da capitelli corinzi. La parte terminale è invece distrutta e non è possibile risalire al nome della moglie . Seguivano poi in genere i nomi dei figli e dei liberti. L ‘uomo è vissuto in Lomellina nela seconda metà del I sec. d.C. come indica la tipologia della stele e l’ ‘accuratezza ed il tipo di caratteri .



TFI P CORNELIUS M FRONTO SIBI ET ….TATE CONI….

Per disposizione testamentaria Publio Cornelio Frontone, figlio di Marco fece innalzare il monumento per sé e per la moglie …

VETRI

GROPELLO CAIROLI, podere Castoldi – tomba 14 Seconda metà I secolo d. C.
Tra le sepolture ritrovate nel podere Castoldi, la tomba 14. verosimilmente femminile, si distingue per la presenza di manufatti in vetro ben conservati: si distingue in particolare la raffinata brocca in vetro blu soffiato a stampo e decorata a baccellature, utilizzata sulla mensa per servire le bevande,
Anche lacolombina di piccole dimensioni, in vetro soffiato liberamente. costituisce un oggetto di lusso: la sua forma ricorda l’animale sacro alla dea della bellezza Venere. All’interno sono ancora conservate le tracce del suo contenuto, probabilmente un profumo o un unguento per il corpo. Per utilizzarlo, si sarebbe dovuta spezzare la coda oppure il becco.
Un ulteriore rimando a Venere sembra presente anche nella statuetta in terracotta raffigurante Amore e Psiche: Il personaggio maschile reca infatti nella mano sinistra una colomba.
Completano il corredo uno specchio in bronzo, un balsamario tubolare in vetro, una lucerna in terracotta ed alcuni oggetti impiegati sulla tavola: una coppetta a pareti sottile ed un piatto in terra sigillata,

COROPLASTICA LOMELLINA

COROPLASTICA LOMELLINA animali
Vignaiolo

https://www.academia.edu/resource/work/7700895

APPLIQUES DEI LETTI FUNEBRI

COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.C

Ad imitazione del lusso . Si tratta di APPLIQUES che venivano posizionate soprattutto nel I sec d.C. sui letti funebri ad imitazione di quelli di lusso. Costituite da materiali ceramici dovevano imitare i ben più preziosi intarsi in osso avorio o metalli presenti in letti ben più preziosi.

COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.C

Ne sono rinvenute soprattutto in necropoli del territorio della Lomellina, dove probabilmente erano prodotte, data la grande e quasi esclusiva diffusione in quest’area.

Links:

https://iris.unipv.it/handle/11571/29353

COROPLASTICA letti funebri Lomellina I sec d.C
OTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986
OTTOBIANO APPLIQUES letti funebri .disegno da rivista RAC n 168 del 1986

GIOCARE A DADI O CON LE PEDINE

VARIE

IL TESORETTO DI MORSELLA

Tesoretto di Antoniniani dalla località Morsella

Il tesoretto è costituito da circa 1.400 antoniniani, monete della fine del III secolo d.C. prevalentemente di Gallieno ma anche di Claudio il gotico fino ad Aureliano Sono state rinvenute nel 1978 a seguito delle ricerche del Gruppo Archeologico Milanese coordinate dalla Sovraintendenza, successive a dei lavori di aratura di un campo. Erano interrate insieme ad un’olla fittile che originariamente le conteneva. Probabilmente sono state nascoste a seguito del periodo di grave instabilità politica e dei confini. Io e mio papà eravamo lá nel 1978 e non vi posso esprimere l ‘emozione nel vederle,sempre con mio padre ora, esposte al museo.

Tesoretto di Morsella
Tesoretto di Morsella
Tesoretto di Morsella

COLLEZIONE STRADA

La raccolta costituita da 260 oggetti appartenenti ad un arco cronologico che va dalla preistoria all’età rinascimentale, ma particolarmente ricca in relazione all’età della romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e alla prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.). Per la maggior parte rinvenute a seguito di lavori agricoli, sono testimonianze che quasi certamente provengono da corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Si va dalle ceramiche di uso comune, alle terrecotte figurate, agli oggetti d’ornamento, agli utensili di metallo. E ai vetri. Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Una meraviglia di fattura mediorientale destinata ad una famiglia facoltosa e di rango. Sempre tra i vetri, materiale distintivo della collezione, vanno citate, per integrità e qualità, anche la pisside in vetro blu e l’anforetta porpora con decorazione piumata in bianco

Link: https://wp.me/paEVnZ-1wQ

LE NUOVE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE IN LOMELLINA :

LE PIU RECENTI SCOPERTE ARCHEOLOGICHE IN LOMELLINA E VIGEVANO

LOMELLINA ANTICA IN MOSTRA FINO A DICEMBRE 2023 A VIGEVANO.

Presso le  Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano  dal 10 febbraio al 4 dicembre 2023, sarà possibile ammirare  l’esposizione completa della collezione Strada, recentemente acquisita dal Ministero della Cultura , affidata ora al Museo archeologico nazionale della Lomellina a Vigevano.

L’acquisizione al patrimonio dello Stato è avvenuta con un esproprio per pubblica utilità, reso possibile dalla Soprintendenza per le province di Como, Lecco, Monza Brianza, Pavia, Varese. Questo permetterà la conservazione unitaria, lo studio e l’esposizione al pubblico della collezione raccolta da Antonio Strada (1904 – 1968), e custodita fino al 2021 nella dimora della famiglia nel Castello di Scaldasole.

Emanuela Daffra, direttore regionale Musei della Lombardia si esprime in merito in questo modo «Questa esposizione completa è, insieme, il passaggio intermedio di un percorso e l’apice ‘pubblico’ della collezione. Dopo l’anteprima, che ha immediatamente offerto ai nostri visitatori i reperti più importanti ed integri, questa mostra è voluta per permettere a studiosi e appassionati di conoscere la totalità dei pezzi, tutti restaurati per l’occasione. Sarà un affondo importante sulla storia del collezionismo privato in Lomellina, che ora giunge ad arricchire il patrimonio collettivo e la storia del territorio. Anche per questo abbiamo voluto una ampia durata ed una ricca serie di attività per pubblici diversi. Al termine della mostra, con cognizione di causa, i nuclei più significativi confluiranno nell’esposizione permanente del museo imponendone una rilettura, a testimonianza di come il patrimonio archeologico non sia immobile».

La raccolta comprende 260 oggetti di epoche diverse , dalla preistoria all’età rinascimentale, ma è particolarmente centrata sul periodo compreso tra la romanizzazione della Lomellina (II – I secolo a.C.) e la prima epoca imperiale (I – II secolo d.C.).

La gran parte dei rinvenimenti proviene da reperti scoperti a seguito di lavori agricoli. Si tratta di  corredi funerari e il loro stato di conservazione è in molti casi eccellente. Troveremo esposti ceramiche di uso comune, a terrecotte figurate, oggetti d’ornamento, utensili di metallo e vetri . Tra questi spicca un pezzo eccezionale nella produzione vetraria del primo secolo dopo Cristo: una coppa in vetro verde chiaro, con decorazioni a girali d’acanto e tralci di vite, unico esemplare integro tra i pochissimi a noi noti, cinque in tutto, dal maestro vetraio Aristeas. Un capolavoro di fattura mediorientale destinata ad una famiglia ricca e di rango.

Sempre tra i materiali in vetro , vanno citate come piccoli capolavori anche una pisside in vetro blu e una anforetta porpora con decorazione piumata in bianco.

«Tutti i reperti della Collezione saranno esposti in un’unica sala che verrà caratterizzata, anche dal punto di vista grafico e visivo, rispetto agli altri spazi museali. L’allestimento sarà concepito in modo da enfatizzare i pezzi più importanti, gli altri reperti saranno raggruppati per tipologie. I pannelli guideranno il visitatore evidenziando non solo la sequenza di lettura dei reperti, ma anche le reciproche connessioni con il resto della collezione museale.»

Strada non si limitò a raccogliere i reperti rinvenuti nei suoi possedimenti.

«L’esposizione completa degli oggetti ci permettere di cogliere anche i modi della formazione della raccolta, che si configura come “collezione di collezioni”», ci spiega Rosanina Invernizzi, co-curatore scientifico della mostra. «Ai reperti già posseduti dai suoi antenati, Antonio Strada aggiunse altri nuclei acquistati da collezionisti del territorio della Lomellina: tra essi, in particolare, la raccolta Steffanini di Mortara (che comprendeva la coppa di Aristeas) e la raccolta Volpi-Nigra di Lomello, che includeva anche reperti di provenienza magno greca. Altri piccoli nuclei furano aggiunti nel tempo frutto di acquisti, doni o scambi. Non mancano, come spesso accade nelle collezioni, pezzi falsi o di dubbia antichità, ma nell’insieme la raccolta Strada ci mostra un quadro di attivi scambi tra i proprietari e soprattutto quell’interesse per le” antichità patrie” caratteristico degli anni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.»

Dopo il lungo periodo di esposizione, i reperti della Collezione Strada, selezionati, diverranno parte integrate del percorso museale del Museo Archeologico nazionale della Lomellina.

LINKS:

https://www.informatorevigevanese.it/eventi/2023/02/09/event/la-collezione-strada-260-reperti-in-mostra-al-museo-archeologico-nazionale-della-lomellina-di-vigevano-555558/

https://archeologiavocidalpassato.com/tag/collezione-strada-a-vigevano/

SULLO STESSO ARGOMENTO:

https://wp.me/paEVnZ-1di

Altri links:

https://museilombardia.cultura.gov.it/musei/museo-archeologico-nazionale-della-lomellina/

UNA ALTRA NAVE SI AGGIUNGE A IULIA FELIX

I carabinieri del nucleo per la Tutela del patrimonio culturale di Udine hanno ritrovati i resti di un’imbarcazione di epoca romana mai censita prima. La scoperta è avvenuta nell’ambito del periodico controllo dei siti archeologici sommersi che i carabinieri Tpc svolgono sul territorio nazionale. Nello specifico i militari stavano effettuando il monitoraggio di un vasto specchio d’acqua compreso tra Grado (GO) e le Foci del Timavo, in collaborazione con il Centro Subacquei di Genova, la Soprintendenza di Trieste e l’Università di Udine.
In corrispondenza dell’isola gradese di Pampagnola sono stati rinvenuti i resti di un’imbarcazione di epoca romana mai rilevata in precedenza.

Il relitto si trova ad una profondità di circa 5 metri e risulta in maggior parte interrato, tuttavia dall’osservazione si è
potuto già appurare che è stato costruito con la tecnica detta a “mortasa-tenoni”. La porzione di scafo al momento visibile ha una lunghezza pari a metri 12,20, ma considerata la conformazione del legno esposto potrebbe risultare di estensione almeno doppia e larghezza stimata non inferiore a 8 metri.

L’attività è proseguita presso il Canale delle Mee di Grado, lo storico ingresso al porto fluviale di Aquileia, con il rinvenimento di
due anfore acefale tipo “Lamboglia 2” di 60 x 35 cm, risalenti al I secolo a.C., nonché di un collo di brocca ed uno di anfora risalenti al II-III secolo d.C. Il monitoraggio è quindi proseguito in corrispondenza dell’area del canale Locovaz e dei tre rami della foce del fiume Timavo, zona in corrispondenza della quale in epoca romana era stata edificata una importante villa, intesa come centro di produzione agricolo e ittico, con annesse thermae e assolvendo anche alla funzione di statio lungo la strada che collegava Aquileia a Tergeste e alla Dalmatia. Non è la prima volta che l’area di Grado restituisce relitti di imbarcazioni di età romana. Uno degli esempi più noti è la “Iulia Felix“,

( Da Avvenire)

IULIA FELIX

Iulia Felix è un’imbarcazione romana del II sec. d.C. naufragò nelle acque dell’Adriatico, a circa 6 miglia al largo dell’isola di Grado. Il suo nome antico non è conosciuto ma fu dato il nome di «Julia Felix» a questo relitto.
Fu ritrovata nel 1986 da Agostino Formentin, pescatore di Marano Lagunare, a 16 metri di profondità sui fondali marini. Il carico di anfore fu danneggiato nella parte più superficiale dai ramponi delle barche da pesca.
L’imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è stata rinvenuta intatta con il suo carico di 560 anfore.


Gli scavi furono condotti dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Archeologici Artistici e Storici del Friuli-Venezia Giulia, con il coordinamento del Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Sono stati recuperati tre borrelli di varie misure, che allora come oggi servivano a giuntare le cime. Anche le bitte sono tre – due fisse e una mobile – di cui una è di particolare pregio in quanto raffigura l’effige intagliata di un busto femminile. Carrucole e pulegge servivano con ogni probabilità a manovrare il pennone della vela quadra dell’albero di maestra.
Vicino alla chiglia c’è un tubo di piombo largo almeno 7 cm e lungo 1,3 metri, che penetra lo scafo. Gli archeologi ritengono che sia stato possibile pompare acqua di mare per l’uso a bordo, presumibilmente per trasportare pesci vivi. Considerando la presenza di un acquario dietro l’albero della nave, che misura circa 3,5 x 1 m per una capacità di circa 7 metri cubi. Se mantenuto correttamente, potrebbe mantenere almeno 200 kg di pesci vivi come la spigola o l’orata.


«Gli storici credono che, prima dell’invenzione del congelatore, l’unica possibilità per il commercio del pesce fosse di salarla o di asciugarla; ora sappiamo che era anche possibile mantenerli in vita per una lunga distanza», spiega il ricercatore Carlo Beltrame, archeologo dell’Università Ca ’Foscari di Venezia. Plinio il Vecchio ha parlato del trasporto di pesci pappagallo dal Mar Nero alla costa di Napoli .
La nave di Grado costituisce un caso emblematico di commercio di redistribuzione e riutilizzo.
La nave trasportava un carico di alimenti (pesce in salamoia) e frammenti di vetro, forse destinati agli artigiani della vicina Aquileia. è stata trovata anche una botte piena di vetro in frantumi, destinato alla rifusione, pratica economicamente vantaggiosa poiché il vetro riciclato ha una minore temperatura di fusione e consuma quindi meno combustibile.
La nave conteneva entro più di 600 anfore in gran parte riutilizzate, provenienti da varie regioni del Mediterraneo: Egeo orientale, Tripolitania, Tunisia, Campania, Emilia Romagna, alto Adriatico.
Le anfore, giunte per varie vie e da posti diversi in un emporio, erano state svuotate del contenuto originario (vino egeo, olio tripolitano e tunisino, vino adriatico, ecc.) e immagazzinate per essere reimpiegate dal produttore della merce. Contenevano la salsa, il garum, com’è indicato nelle iscrizioni dipinte – vere e proprie etichette – sul collo dei contenitori.
A bordo sono stati ritrovati anche alcuni manufatti, tra i quali due teste bronzee di Poseidone e di Minerva.

Conservazione:
Il relitto della Iulia Felix, recuperata nel 1999, è in fase di restauro e di studio.
Per ospitare i resti della nave a Grado è stata avviata la realizzazione di un Museo di Archeologia subacquea, nella ex scuola Scaramuzza di Grado.
Per la mostra a Trieste, nel 2018, una sezione trasversale del bastimento fu realizzata dall’ERPAC, riproduzione storicamente fedele, con parte del carico originale.

Fontewww.marine-antique.net, 23 mar 2019

Vedi anche: La nave romana di Grado, P. Lopreato

Vedi anche: Le anfore del relitto di Grado ed il loro contenuto, Rita Auriemma

Vedi anche: Lo_studio_ricostruttivo_della_nave_romana di Grado

STAMPA SCHEDA IN PDF ]

Da archeocartafvg.it

VETRI ROMANI DELLA COLLEZIONE STRADA IN MOSTRA A VIGEVANO

Da Orobie.com

Raccoglie una selezione di 45 oggetti archeologici appartenenti alla collezione Strada. Formata da Antonio Strada (1904-1968) a partire da un nucleo di reperti rinvenuti nei terreni di famiglia già nel XIX secolo e arricchita anche con successivi acquisti da altre collezioni, raccoglie 269 pezzi appartenenti a un arco cronologico che si estende per oltre 18 secoli, dalla preistoria all’età longobarda, con particolare concentrazione di oggetti databili tra l’età della romanizzazione (II-I secolo avanti Cristo) e la prima epoca imperiale romana (I-II secolo dopo Cristo).

Oggetti in vetro di età romana

Il nucleo più prezioso è costituito dagli oggetti in vetro di età romana tra i quali spicca la splendida coppa firmata da Aristeas, databile al secondo quarto del I secolo dopo Cristo, un vero e proprio unicum per la qualità e l’eccezionale stato di conservazione.

Balsamario biansato in vetro soffiato blu, con anse bianche applicate, da Garlasco. Prima metà I secolo d.C.

Si tratta di un’anteprima, preludio all’esposizione dell’intera collezione che avverrà entro l’anno. Anteprima doverosa perché conclude, garantendo la fruizione pubblica, una azione di tutela da parte del ministero della Cultura che ha inizio nel 1999, quando la collezione fu dichiarata di eccezionale interesse.

Ricchezza eccezionale

Conservata nel castello di famiglia a Scaldasole, la collezione Strada era nota agli studiosi già a partire dagli anni Sessanta del Novecento, soprattutto per la ricchezza e la qualità del vasellame in vetro.

Brocca piriforme monoansata, in vetro soffiato color ambra con decorazione applicata a macchie bianche, da Scaldasole. Metà I secolo d.C.

Tuttavia l’importanza dell’insieme, la ricchezza in relazione al contesto lomellino, la qualità e l’eccezionalità di alcuni oggetti consigliavano l’acquisizione a favore di un museo pubblico, per garantirne una più ampia fruibilità, favorirne lo studio e diffonderne la conoscenza. Il ministero ha perciò deciso di avviare la procedura di esproprio per pubblica utilità con assegnazione al Museo archeologico nazionale della Lomellina.

La mostra è progettata dalla Direzione regionale Musei Lombardia, con a capo Emanuela Daffra, e dal Museo archeologico nazionale della Lomellina diretto da Stefania Bossi.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA LOMELLINA DI VIGEVANO

La Collezione

Da Lombardia.cultura.gov.it

Il percorso si snoda nelle diverse sale in ordine cronologico. La sala I ospita la documentazione relativa all’età preistorica e protostorica. La seconda sala espone i corredi funerari di età romana (fine I secolo a.C. – II secolo d.C.). La terza sala espone oggetti relativi agli abitati e alla vita quotidiana, mentre la quarta raccoglie manufatti di epoca tardo antica e altomedioevale (III – VII secolo d.C.). L’ultima sala infine è adibita a mostre ed esposizioni temporanee.

Corredo maschile da Gambolò
Corredo di Gambalò
Vetri
Vetri romani
Tomba del guerriero
Tomba del guerriero di Valeggio
  • Corredo maschile da GambolòAll’interno dell’urna decorata coperta da una ciotola è stato rinvenuto un ricco corredo appartenente sicuramente a un personaggio d’alto rango, data la grande concentrazione di bronzi. Si tratta di oggetti decorativi tra cui spilloni fermavesti, anelli, frammenti di cintura (anelli e pendagli), armille e collari.
  • VetriNei corredi tombali (soprattutto femminili) di età romana sono stati rinvenuti diversi recipienti in vetro soffiato, prevalentemente databili al I secolo d.C. Di forma elegante e piacevoli nei colori, erano utilizzati per diversi scopi, sia come contenitori di cibi e liquidi che come boccette per profumi, unguenti e balsami.
  • Tomba del guerriero Il corredo di questa tomba, proveniente dalla necropoli di Valeggio, presenta elementi che caratterizzano il defunto come guerriero, tra cui una spada ancora racchiusa nel fodero, la punta di una lancia, i resti di uno scudo e un coltello. A questi si aggiungono: utensili da toeletta (rasoio e pinzette in bronzo), recipienti in ceramica grezza e una moneta in argento.
  • Statuetta del vignaiuolo .Queste statuette, realizzate a stampo e talvolta dipinte, compaiono nei corredi funerari della Lomellina, tra l’età lo augustea e la metà del I secolo d.C. Qui
Tesoretto di Antoniani dell’epoca di Gallieno

NUOVA ACQUISIZIONE.

Una nuova, prestigiosa, acquisizione per il Museo archeologico della Lomellina: si tratta dell’ara votiva di Manilius Iustus, concessa in deposito al museo e recentemente restaurata. L ‘ara in marmo di Candoglia rappresenta il sacrificio del celebrante Manilius Iustus di un toro agli antenati ( rappresentati nei tre busti). La datazione è del secondo venticinquennio del I sec d.C.

VIAGGIO NEL TEMPO ATTRAVERSO I MUSEI DELLA LOMBARDIA

Centottanta oggetti per ricostruire la storia della Lombardia dal Paleolitico ai primi del Novecento seguendo la Linea del Tempo. Immagini di reperti esposti nelle tredici sedi museali statali che fanno capo alla Direzione Regionale Musei Lombardia del Ministero della Cultura, diretta da Emanuela Daffra. Tra questi c’è anche la Cappella Espiatoria, luogo simbolo del regicidio, dove continuano i restauri e gli interventi di miglioria. Questo viaggio lungo migliaia di anni di storia e di arte è disponibile on line, del tutto gratuitamente, all’indirizzo

 www.timelinemuseilombardia.org.

Alle 180 immagini sono affiancate schede sintetiche che consentono interrogazioni multiple attraverso parole chiave. Si potranno così creare percorsi di conoscenza e itinerari fisici, accontentare curiosità, scoprire accostamenti impensati, immaginare percorsi di ricerca alternativi.

“Quella proposta nella Linea del Tempo – spiega Emanuela Daffra – è una rete dettata dal patrimonio dei “nostri” musei. Ci offre un filo conduttore preziosissimo per seguire e comprendere l’intera storia della regione. È un progetto che continuerà a crescere, fino ad abbracciare e rendere disponibile l’intero patrimonio affidato alla Direzione lombarda. I nostri siti consentono un viaggio nella storia dell’uomo e delle sue espressioni artistiche che prende avvio dalle incisioni rupestri della Valle Camonica”.

Una grafica intuitiva e contemporanea facilita la consultazione permettendo all’utente di accedere subito a un primo livello di informazioni importanti quali per esempio titolo, data, autore, periodo di appartenenza.

“Se il “viaggiatore nel tempo” desidera addentrarsi in un periodo specifico – precisa la direttrice – può utilizzare lo strumento “Time Zoom” e scoprire, per esempio, che Leonardo finì di realizzare l’Ultima Cena nell’anno in cui i francesi, sotto il comando di Gian Giacomo Trivulzio, conquistarono Milano e costrinsero Ludovico il Moro alla fuga”.

Uscendo dalla timeline, si accede alla pagina dedicata all’opera specifica con sette livelli di informazioni, che permettono all’utente di indagare l’oggetto sotto diversi aspetti e di inserirlo in un contesto di eventi salienti sia storici che culturali. All’interno della scheda si possono selezionare le parole chiave per partire in un viaggio di scoperta potenzialmente infinito. L’esplorazione non si limita soltanto a ripercorrere il tempo ma proietta l’utente nello spazio. Il sistema gestisce grandi volumi di informazioni in modo molto agile e comprensibile ed è concepito per accogliere progressivamente l’intero patrimonio dei tredici musei.

Da ilcittadinomb.it

Da il

LA COPPA DIATRETA TRIVULZIO

Il Museo Archeologico di Milano è un piccolo gioiello, conosciuto poco ma ricco di importanti reperti che spaziano dall’epoca etrusca a quella altomedievale. Nella sala dedicata all’epoca romana, insieme a busti e reperti provenienti da abitazioni private, in una vetrina illuminata da una luce proveniente dalla parete, spicca una piccola coppa in vetro: è la Coppa Trivulzio, il simbolo del Museo.

La coppa appartiene ad un gruppo di manufatti rari e di lusso prodotti all’interno di officine specializzate soprattutto in Germania, Italia Settentrionale, Illiria e in Oriente[1]. È uno dei migliori esemplari dei vasa diatreta: il vetraio fondeva o, più probabilmente, soffiava la forma grezza di vetro incolore o, a volte, colorato all’interno di uno stampo e poi intagliato. A lavoro ultimato l’intaglio appariva completamente staccato dal corpo del vaso, a cui era unito per mezzo di ponticelli[2].

Coppa DIATRETA museo archeologico di Milano

La coppa del Museo Archeologico di Milano è stata rinvenuta il 9 giugno 1675 nel territorio di Castellazzo Novarese (NO) e venduta, nel 1777 dall’antiquario Dardanoni, all’abate Carlo Trivulzio, importate collezionista milanese, a cui si deve il nome della coppa[3].

Fino alla seconda metà del secolo scorso, si credeva che la maggior parte di questi manufatti fossero stati prodotti intorno al III-IV sec. d.C. Il cambiamento di rotta avvenne a seguito di scavi condotti a Nimega (Olanda) e a Begrām (Afghanistan): vennero alla luce due bicchieri lavorati «a giorno» messi in relazione ad oggetti datati a circa il I sec. d.C.

L’anno successivo, consapevole dell’importanza dell’oggetto, l’abate scrisse le Osservazioni di Carlo Trivulzio Patricio Milanese intorno un’antica tazza di vetro: manoscritto in cui descrive la coppa, le notizie riguardo la scoperta e i vari passaggi di proprietà. La diatreta divenne sempre più famosa perché venne inserita in una delle note all’edizione milanese (1779) della Storia delle arti del disegno presso gli antichi di Winckelmann[4].

Fig. 2. Coppa Trivulzio (Ph. Chiara Romano)

La diatreta (fig. 2), acquistata dal Comune di Milano nel 1935, è in vetro incolore, verde smeraldo, nocciola e azzurro ed è ornata da una rete di cerchi tangenti; i punti di contatto sono decorati con motivo a croce. Al di sotto dell’orlo, in una fascia non interessata dalla rete, corre l’iscrizione BIBE VIVAS MVLTIS ANNIS (“bevi, che tu possa vivere molti anni”). Questa tipologia di iscrizioni si trova anche su altri esemplari, il che suggerisce un uso come recipienti per il vino; altri casi, invece, dovevano essere sospesi con catenelle ed utilizzati come lucerne.

Data la rarità e il lusso di questi oggetti, è verosimile che fossero utilizzati nell’ambito della corte imperiale tardo antica o in cerimonie cultuali[5].

Note:
[1] Guida p. 89.
[2] Da Treccani s.v. Diatreti, vasi e Guida p. 89.
[3] Guida p. 89.
[4] Guida p. 90.
[5] Guida p. 90.

Tecnica di lavorazione

Glossario:
Diatreta: dal latino diatretus, traduzione del termine greco διάτρητος, “forato” o «perforato», è usato per indicare la tecnica con cui si realizzava nell’antichità un tipo particolare di vasi in vetro decorati «a giorno» (Enciclopedia Treccani, s. v.).

LE ALTRE COPPE DIATRETE

Il calice di Milano è l’unico pervenuto a noi interamente integro. Le altre otto coppe diatrete sparse per il mondo sono: la Piesport-Niederemmel (Rheinisches Landesmuseum di Trier, Germania); la diatreta di Colonia (Germania), la Coppa Cagnola (Museo Civico di Varese); la coppa di Monaco di Baviera (Munich Staatliche Antikensammlungen, Germania); la coppa Licurgo (British Museum di Londra, UK); il “Netzbecher” di Daruvar (Viennaal Kunsthistorisches Museum, Vienna, Austria); la diatreta del Corning Museum of Glass nello stato di New York (USA); la Constable-Maxwell Cup (collezione privata, Qatar); la coppa Komini II (Heritage Museum of Plijevlja, Montenegro). Ne esisteva una decima, la coppa Hohen-Sülzen di Mainz, purtroppo andata perduta nel 1945

Un altro esemplare tardoimperiale di coppa diatreta .museo Montenegro

Bibliografia:
Guida alla sezione “Milano Antica (V secolo a.C – V secolo d.C)”, Civico Museo Archeologico, 2008, Milano.
Enciclopedia Treccani: s.v. Diatreti, vasi

Da osservarcheologia.eu

LE GEMME DI AQUILEIA

A completamento del restauro dell’edificio principale del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia è stata inaugurata il 28 maggio la nuova sezione intitolata «Lusso e ricchezza» che occupa con 140 metri quadrati l’intero ultimo piano del percorso espositivo nel raccontare la storia della città imperiale. L’allestimento dimostra il ruolo centrale rivestito da Aquileia nella trasformazione e commercializzazione dei preziosi grezzi.

La sala è articolata in cinque aree, a partire dagli oggetti per la cura personale: specchi, strigili, contenitori per unguenti e profumi, strumenti per cosmesi e acconciature. Seguono le monete, con 120 pezzi che documentano la fitta rete di scambi di Aquileia con il resto del mondo romano e la zecca nata nel 295 a.C. Una zona raccoglie tutti i gioielli, in argento e oro ma anche in legno, bronzo e vetro.

E poi ci sono le sezioni più rappresentative della collezione aquileiese, quelle sull’ambra e le gemme, le cui materie prime provenivano dal Mar Baltico e dall’Oriente sia via terra che via mare. Gli oggetti in ambra intagliata sono i più disparati (130 pezzi esposti tra scatoline, giochi, portafortuna, accessori da toilette, specchi), a dimostrazione del ruolo prezioso e magico che tale materiale rivestiva, sia in vita come portatore di fertilità sia nell’aldilà inserito nei corredi funerari.

L’ultima parte illustra 600 gemme delle seimila esistenti tra quelle ritrovate negli scavi con ametiste, agate, cammei, onice, corniole, diaspri calcedoni e così via. Ambre, gemme e altri preziosi sono valorizzati individualmente, su progetto di Giovanni Tortelli già coinvolto nelle altre sezioni museali, talvolta con lenti di ingrandimento e sempre con luci dedicate, che nel caso delle gemme sono radenti o retroilluminate a seconda che siano lucide od opache. (Da il giornale dell’ arte)

OPITERGIUM L’ANIMA DELLE COSE NELLA VENETIA ROMANA

Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium

ODERZO CULTURA
PALAZZO FOSCOLO E MUSEO ARCHEOLOGICO ENO BELLIS

** MOSTRA PROROGATA AL 30 MAGGIO 2021 **

24 novembre 2019 > 14 febbraio 2021

Sei secoli di storia, dal I al VI secolo d.C., raccontati in un viaggio attraverso reperti inediti, alla scoperta dell’antico municipio romano e dei suoi abitanti.

“Ave lento viaggiatore, ti saluta Phoebe, schiava di Manilio, figlio di Tito: io che ottenni meritatamente ricompense pari ai compiti assolti”. 

Phoebe, è una degli abitanti della romana Opitergium, di cui la mostra in programma dal 24 novembre 2019 a Oderzo, Oderzo Cultura-Palazzo Foscolo e Museo Archeologico “Eno Bellis”, saprà risvegliare la memoria.

Il suo ricordo riemerge nelle parole scolpite nella stele a lei dedicata risalente al I secolo d.C., che conserva i volti di tre personaggi, due donne e un uomo, sullo sfondo di una grande conchiglia; così come il bellissimo cavallino in terracotta, dotato di ruote per il traino, rinvenuto in una tomba di fine II-III secolo d.C., narra di un bambino e dei suoi giochi infantili.

Personaggi, consuetudini, lo spaccato di una società attraverso i secoliil mondo dei vivi che riemerge dalla città dei morti, grazie all’esposizione promossa e organizzata dalla Fondazione Oderzo Cultura in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso e con il Polo Museale del Veneto.

Una mostra, “L’anima delle cose. Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium”, che per la prima volta presenta al pubblico, in una visione d’insieme, alcuni tra i corredi più belli e significativi rinvenuti grazie alle indagini archeologiche che, a partire dagli anni Ottanta, hanno interessato il centro di Oderzo, portando alla luce importanti evidenze dell’antica città romana e rivelando il glorioso passato dell’abitato.

Opitergium, romanizzata grazie alla costruzione della via Postumia – l’asse viario che metteva in comunicazione Genova con Aquileia – e soprattutto in seguito all’estensione della cittadinanza romana ai suoi abitanti negli anni compresi tra il 49 e il 42 a. C. (come per le popolazioni dell’intera Transpadana), ha infatti una storia rilevante di interventi urbani in chiave monumentale, in linea con il modello della capitale, ma anche di coinvolgimenti nelle vicende politiche e militari della stessa.

A fianco di Roma si posero i reparti opitergini nell’assedio di Ascoli Piceno tra il 90 e l’89 a.C.; mentre è tramandato da fonti storiche e letterarie il famoso atto eroico, di estrema fedeltà al partito cesariano, compiuto dal tribuno Caius Vulteius Capito e dei suoi 1000 uomini, tutti opitergini, che nella guerra tra Cesare e Pompeo del 49 a. C. furono protagonisti di un suicidio collettivo pur di non cadere nelle mani degli avversari. Cesare ricompensò la città con l’esenzione ventennale dal servizio militare e l’aggiunta di trecento centurie all’agro opitergino.

L’importanza e lo splendore di Oderzo e dei suoi abitanti in epoca romana, come pure la decadenza in età tardoantica, emergono con evidenza dalle indagini condotte nella necropoli della città di cui la mostra darà finalmente conto, esponendo ben 50 corredi funerari dei 94 appositamente selezionati e studiati dal comitato scientifico del progetto, composto dai Funzionari della Soprintendenza che hanno coordinato e sovrainteso alle diverse campagne di scavo – Marianna Bressan, Annamaria Larese, Margherita Tirelli e Maria Cristina Vallicelli – e da Marta Mascardi, Conservatore del Museo archeologico di Oderzo. 

Corredi per lo più inediti ed effettivamente rappresentativi per tipologia di rituale, arco cronologico, distribuzione topografica e materiali rinvenuti.

Le indagini archeologiche, effettuate dal 1986 al 2013 hanno in particolare interessato, in anni successivi, l’area del canale Navisego Vecchio Piavon e della cosiddetta lottizzazione Le Mutere (a ovest), l’area del sottopasso ferroviario e della lottizzazione dell’Opera Pia Moro (sud) e l’ampia area di via Spiné, via degli Alpini,via Caduti dei Lager (sud est) e, relativamente all’età tardoantica in una fase di contrazione dell’abitato, la zona delle ex Carceri di Oderzo: sono queste le principali aree di provenienza dei reperti in mostra, tutti restaurati grazie a finanziamenti della Regione del Veneto e del Comune di Oderzo.

Lo studio approfondito dei corredi selezionati, preliminare al progetto espositivo, ha portato a una lettura sistematica dei diversi settori di necropoli, messi in rapporto con il centro urbano e le principali direttrici di traffico, e ad un più ampio discorso sulla ritualità funeraria opitergina, completando la documentazione sino ad oggi edita.

Il progetto è accompagnato da un impegnativo catalogo Edizioni Ca’ Foscari, curato da Margherita Tirelli e Marta Mascardi, nel quale sono raccolti saggi di Marianna Bressan, Bruno Callegher, Claudia Casagrande, Silvia Cipriano, Francesca Ferrarini, Anna Larese, Marta Mascardi, Elisa Possenti, Giovanna Maria Sandrini, Margherita Tirelli e Maria Cristina Vallicelli.



La mostra si sviluppa dunque nelle sale di Palazzo Foscolo, ove sono esposti i corredi suddivisi per tipologie di deposizione – incinerazione diretta, incinerazione indiretta, inumazione – e prosegue nel salone centrale del Museo archeologico, che raccoglie numerosi reperti provenienti da contesti funerari, spesso riutilizzati negli edifici cittadini, ricostruendo idealmente l’assetto di una via che conduce ad Opitergium.

Dalla città dei morti, alla città dei vivi. Un racconto per oggetti dunque, attraverso sei secoli (dal I al VI secolo d.C.), che consente di fare nuova luce sulle pratiche funerarie in uso in età romana in città e di approfondire anche alcune questioni relative allo status economico e sociale dei defunti. 

Così per esempio un prezioso corredo scrittorio databile a età imperiale o lo stilo in ferro e il calamaio in vetro rinvenuti in tombe del I secolo, sono allusivi non solo della probabile attività del defunto, scriba o maestro, ma anche di una sua posizione sociale elevata; mentre appare evidente come, dopo la grande stagione del I-II secolo dopo Cristo in cui la necropoli opitergina conobbe la sua maggiore estensione e monumentalità, l’età tardoantica si connoti per la mancanza di strutture monumentali riferibili a ceti elevati e per la presenza di militari e stranieri (soprattutto orientali e talvolta germanici).

A testimoniarlo sarebbero il precoce diffondersi dell’inumazione (tipica nei territori orientali), la notevole quantità di vasellame ceramico e vetri e monili di importazione orientale (pensiamo ai pendenti a forma di brocchetta, in pasta vitrea scura con decorazioni a zig zag di filamenti applicati di colore giallo e azzurro, prodotti nelle regioni dell’Oriente mediterraneo a partire dal IV secolo d. C. e importati in Occidente come amuleti, da portare al collo, legati all’acqua e al bere che ritemprano) o alcuni elementi di corredi, come le fibule a cerniera e a testa di cipolla, fibbie in lamina ripiegata, particolari coltelli, ecc.



Filo conduttore dunque dell’esposizione è l’idea che, al di là del necessario confronto con il tema della morte, al quale il mondo romano si accosta in modo pragmatico, in una precisa scansione di rituali, gli oggetti del corredo siano strumenti per dare voce alle persone alle quali appartenevano.

Emergono in questo modo, muovendosi tra le sale, i ritratti degli antichi opitergini: una donna con i suoi gioielli e uno specchio, un bambino con un sonaglio (la statuina di Genius Cucullatus) donato come passatempo ma anche a protezione dagli spiriti maligni, forse un soldato romano con il suo coltello. 

I corredi presentano esempi pregiati di vetri (piatti, bottiglie, piccoli balsamari), giocattoli, materiale ceramico, fibule bronzee, oltre alle caratteristiche monete. 

Il percorso si conclude, a Palazzo Foscolo, con una sezione fotografica dedicata al lungo processo di studio, analisi, restauro ecc. che porta il bene archeologico dallo scavo alla sua esposizione al pubblico, coinvolgendo tante competenze diverse; mentre al Museo archeologico il pubblico potrà ammirare in conclusione i cosiddetti “reperti notevoli”, rinvenuti negli scavi della necropoli opitergina, ma non riconducibili a corredi precisi come un anello chiave, un bracciale in oro di probabile provenienza magno greca o un eccezionale secchio in bronzo rinvenuto all’interno di un pozzo della necropoli in Via Spiné grazie agli scavi del 2013 realizzato con un gran numero di laminette di reimpiego, assemblate tra loro con ribattini. 



L’attento restauro cui l’oggetto è stato sottoposto ha rivelato una laminetta figurata risalente addirittura alla seconda età del Ferro. Oderzo continua dunque a rivelare nuovi tasselli della sua storia e nuove incredibili testimonianze degli uomini e delle donne che hanno abitato queste terre.

Via degli Alpini (1994), US 201 Fibula ΙΙΙ secolo d.C. Bronzo e smalto rosso, blu e bianco; lacunosa, corrosa e leggermente Archivio fotografico SABAP – VE – MET (foto di Maddalena Santi)

TUTTE LE IMMAGINI: Archivio fotografico SABAP-VE-MET (foto di Maddalena Santi)

Tratto dal sito: mediterraneo antico.it

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ROMANI A MONTEBELLUNA

Da qdpnews.it

L’epoca romana nel Museo Civico di Montebelluna. Dopo avervi mostrato nel precedente videoservizio i reperti risalenti all’epoca preistorica paleoveneta conservati nel Museo Civico, sempre accompagnati dalla direttrice del museo, Monica Celi, facendo un grande salto temporale entriamo nella storia e nella testimonianza della presenza romana a Montebelluna. Una testimonianza che ci viene riportata attraverso il ritrovamento di numerosi reperti nei siti archeologici di Posmon, via Cimamandria e Santa Maria in Colle.

“Un passo avanti nella storia. Nel museo – spiega la direttrice Monica Celi – abbiamo l’unico reperto statuario di epoca romana del nostro territorio. Si tratta di una Diana, un’Artemide. E’ molto interessante per la qualità sia della lavorazione che del marmo utilizzato. La testa della Diana è un’aggiunta successiva. Bella la lavorazione del drappeggio, molto morbido“.

“Siamo intorno al I secolo Dopo Cristo ed è stata trovata vicino al Montello. Altro reperto estremamente interessante è un toro in bronzo che pare facesse parte dell’arredo interno di una casa ed è curiosa la somiglianza con la divinità egizia Api, anch’esso realizzato in modo molto raffinato. I luoghi più importante dei ritrovamenti di epoca romana – sottolinea Monica Celi – sono Posmon e Santa Maria in Colle”.

Oggetti straordinari e molto belli sono le lavorazioni dei vetri, vasi e ciotole, sempre del I secolo Dopo Cristo. Un’altra vera e propria chicca è un vetro molto particolare, piccolo ma speciale – prosegue -. Un balsamario trovato in via Cimamandria, località Posmon, lavorato con foglia d’oro all’interno, completamente integro. Interessante anche un corredo ritrovato in una tomba molto grande, denominata 174, che ci ha restituito corredi di sepolture plurime. Siamo sempre sul sito archeologico di via Cimamandria ed è la testimonianza della ricchezza di reperti che ha lasciato la presenza romana in questa città”.

Montebelluna è stato uno centri preromani più importanti del Veneto e ha continuato a essere abitata durante la romanizzazione della Regione, tra il II e I secolo Avanti Cristo fino al II secolo Dopo Cristo. Tanto che anche il toponimo della città, Montebelluna, molti lo fanno risalire al Monte (Mercato Vecchio) e al culto della dea romana Bellona, incarnante la guerra tanto da essere spesso associata a Marte.

“I romani sono arrivati in questo territorio e con i veneti antichi hanno intessuto una relazione che non è stata conflittuale, anzi – racconta Monica Celi -. In una tomba romana è stata trovata una spada veneta antica che è stata de-funzionalizzata ed è stata inserita come corredo all’interno di un grande vaso funerario. Quindi, la spada di un antenato del defunto ci racconta di questo legame che era mantenuto nei confronti dei propri antenati. Spesso troviamo anche nei vasi delle tombe la doppia scrittura, in lingua venetica e in latino”.

(Fonte: Flavio Giuliano © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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VETRI ROMANI AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI MILANO E VERONA

BREVE SINTESI FOTOGRAFICA WORK IN PROGRESS

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Museo Archeologico al Teatro romano di Verona

Da regione Veneto cultura itinerari

Fondato nella prima metà del XIX secolo il Museo Archeologico custodisce un notevole numero di materiali vitrei in parte confluiti grazie all’acquisizione di alcune raccolte private e, naturalmente, da interventi di scavo.

1842 – Collezione Verità; 46 reperti;
1867 – Collezione Jacopo Muselli;
1896 – Collezione Carlo Alessandri; 36 reperti;
1912 – Collezione Monga; materiali recuperati negli scavi effettuati nel teatro tra il 1834 ed il 1844;
1920 – Collezione Giuliari Gianfilippi; materiali da Mezzariva di Bardolino

Gli esemplari che provengono da interventi di scavo sono stati rinvenuti nell’area cittadina o nel territorio veronese.

Alcuni vetri provengono dall’area cittadina, dove sono state rinvenute aree sepolcrali disposte lungo le antiche vie romane come la Postumia (Stradone Porta Palio e aree adiacenti) e la Claudia Augusta (Via del Pontiere). Altri ritrovamenti vitrei di rilievo da contesti urbani sono quelli effettuati in Via Trezza dove sono state rinvenute, in momenti diversi, la tomba di un medico e di sua moglie ed alcune urne cilindriche in pietra contenenti olle cinerarie vitree.

Numerosi i materiali ritrovati nella provincia e custoditi nel Museo veronese; di particolare importanza quelli rinvenuti nelle necropoli di Raldon (Comune di S. Giovanni Lupatoto) e Spinimbecco (Comune di Villa Bartolomea).

Posta con buona probabilità lungo la strada che collegava anticamente Verona a Cerea, la necropoli di Raldon è riconducibile cronologicamente ad un periodo che va dall’età augustea sino alla metà del III secolo circa; essa venne scavata nel 1754 da Jacopo Muselli, che ne pubblicò in seguito i risultati nel volume Antiquitates Reliquiae. A dispetto dei caratteri generalmente pionieristici della scienza archeologica dell’epoca, tale opera si è dimostrata un valido aiuto nella ricostruzione della necropoli e nell’identificazione di molti reperti conservati nel museo che sarebbero stati altrimenti destinati a restare privi di provenienza.

A Spinimbecco, nella seconda metà del XIX secolo, vennero rinvenute una ventina di tombe da cui provengono numerosi vetri, alcuni di pregio come uno skyphos (451) e tre Zarte Rippenschalen (400-402).

Immagine: Skyphos.(451) Skyphos, (Inv. M. 20349), Isings 1957, f. 39 (variante)seconda metà I secolo d.C.
soffiatura libera, ansa fusa e applicata a caldo
prov. Spinimbecco, fraz. di Villa Bartolomea (VR). Necropoli romana, 1868-73
Produzione occidentale, probabilmente nord italica

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Immagine: Coppa.(400) Coppa (Zarte Rippenschalen) (Inv. M. 20331), Isings 1957, f. 17; metà I secolo d.C. – età Flaviasoffiatura libera, sottili baccellature ottenute tramite pizzicatura
prov. Spinimbecco, fraz. di Villa Bartolomea (VR). Necropoli romana, 1868-73
Produzione nord italica, probabilmente del comprensorio del Ticino.

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Immagine: Coppa.(402) Coppa (Zarte Rippenschalen) (Inv. M. 20332), Isings 1957, f. 17; metà I secolo d.C. – età Flaviasoffiatura libera, sottili baccellature ottenute tramite pizzicatura
prov. Spinimbecco, fraz. di Villa Bartolomea (VR). Necropoli romana (?)
Produzione nord italica, probabilmente del comprensorio del Ticino.

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Le forme:
Per quanto concerne la morfologia dei pezzi custoditi a Verona la maggior parte dei vetri è riconducibile a forme di uso corrente balsamaribottigliecoppe…; i balsamari, (10), in particolare, costituiscono il nucleo più numeroso: sono per lo più oggetti di scarso pregio prodotti in serie e di presumibile provenienza locale.

Immagine: Balsamario.(010) Balsamario (Inv. M. 20442), De Tommaso 1990, tipo 5; prima metà I secolo d.C.soffiatura libera
provenienza ignota
Produzione dell’Italia nord orientale, forse aquileiese

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Oltre ai soliti balsamari a ventre sferoidale, tubolare e troncoconico largamente attestati negli altri musei veneti, vi è un ristretto numero di oggetti che trova confronti puntuali nel Mediterraneo Orientale (312-316).

Immagine: Balsamario.(312) Balsamario (Inv. M. 20639), II-III secolo d.C.soffiatura libera
prov. ignota
Produzione del Mediterraneo orientale

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Immagine: Balsamario.(313) Balsamario (Inv. M. 20638), II-III secolo d.C.soffiatura libera
prov. ignota
Produzione del Mediterraneo orientale

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Immagine: Balsamario.(314) Balsamario (Inv. M. 29982), II-III secolo d.C.soffiatura libera
prov. ignota
Produzione del Mediterraneo orientale

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Immagine: Balsamario.(315) Balsamario (Inv. M. 20295), III-IV secolo d.C.soffiatura libera
prov. Morrubio (VR), 1886
Produzione del Mediterraneo orientale

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Immagine: Balsamario.(316) Balsamario (Inv. M. 20650), II-III secolo d.C.soffiatura libera
prov. ignota
Produzione del Mediterraneo orientale

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Il Museo custodisce anche numerose bottiglie e brocche; tra le bottiglie si nota una netta prevalenza di quelle monoansate f. Isings 50 a/b, quadrangolari, presumibilmente utilizzate come contenitori di vino od olio; una di esse porta impresso sul fondo uno dei marchi più ricorrenti sui vetri romani, quello di C.SALVI/GRATI; altri esemplari sono abbastanza più rari come nel caso delle bottiglie a sezione cilindrica o quelle poligonali.

Interessanti gli esemplari di bottiglie mercuriali con bollo: la prima (308) presenta sul fondo un marchio a rilievo composto da due lettere di cui una sola identificabile (M); la seconda (309) presenta due palmette in rilievo su due delle pareti del corpo ed un marchio in rilievo sul fondo costituito dalle lettere FIRM poste agli angoli.

Immagine: Bottiglia mercuriale.(308) Bottiglia mercuriale (merkurflasche) Isings 1957, f. 84; (Inv. M. 20394), III secolo d.C.soffiatura entro stampo, bollo impresso: due lettere, una sola leggibile (…M)
prov. ignota
Produzione nord italica

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Immagine: Bottiglia mercuriale.(309) Bottiglia mercuriale (merkurflasche) Isings 1957, f. 84; (Inv. M. 20688), III secolo d.C.soffiatura entro stampo, bollo impresso: due lettere, una sola leggibile (…M)
prov. ignota
Produzione nord italica

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Sono presenti vari tipi di brocche (367): le più numerose parrebbero quelle di possibile fabbricazione medio padana (373), ma la collezione comprende anche alcune brocchette (378) ed un’elegante oinochoe a bocca trilobata. Vi sono diversi altri oggetti riconducibili a varianti di questa forma, tra i quali spiccano in particolare una brocca di probabile fattura renana (f. Isings 120b – 383), (più tarda delle precedenti: seconda metà III – IV secolo), ed un paio (ex 384) di evidente produzione orientale (area siro-palestinese) caratterizzate da una complessa decorazione ricavata attraverso una lavorazione che prevedeva la soffiatura a stampo.

Immagine: Brocca(367) Brocca, Isings 1957, f. 54; (Inv. M. 20287), I secolo d.C.soffiatura libera; ansa fusa ed applicata a caldo
prov. ignota
Produzione nord italica

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Immagine: Brocca(373) Brocca

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Immagine: Brocca(378) Brocca, Isings 1957, f. 56b; (Inv. M. 20336), I secolo d.C.soffiatura libera; ansa fusa ed applicata a caldo
prov. Verona, strada vicinale Cavallara, Tomba di cecilia Rufa, 1962.
Produzione nord italica

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Immagine: Brocca(383) Brocca, Isings 1957, f. 126; (Inv. M. 20310), seconda metà III – IV secolo d.C.soffiatura libera; ansa fusa ed applicata a caldo
prov. ignota
Produzione renana

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Immagine: Brocca(384) Brocca, (Inv. M. 20288), I-II secolo d.C.soffiatura entro stampo chiuso; ansa fusa ed applicata a caldo
prov. ignota
Produzione orientale (Siria)

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È presente anche un buon numero di bicchieri e di coppe spesso di buon livello come nel caso del bicchiere a goccioloni, forma di origine siriana riprodotta in seguito anche in atelier occidentali (322);

Immagine: Bicchiere.(322) Bicchiere, Isings 1957, f. 31; (Inv. M. 20285), seconda metà del I secolo d.C.soffiatura entro stampo aperto
prov. Raldon, fraz. di S. Giovanni Lupatoto (VR). Necropoli romana, 1754; collezione J. Muselli
Produzione: origine orientale siriaca, poi prodotto in Occidente (Aquileia, Roma, centri campani)

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di un certo interesse anche l’esemplare soffiato a stampo con iscrizione beneaugurante in lingua greca disposta su due registri (321) ed un altro a Bogenripperdekor (326).

Immagine: Bicchiere.(321) Bicchiere, Harden 1935, tav. XXVI; (Inv. M. 20313), metà del I secolo d.C.soffiatura in stampo bipartito. Incisioni.
prov. ignota
Prodotto da officina nord-italica

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Immagine: Bicchiere.(326) Bicchiere, Isings 1957, f. 33; (Inv. M. 20317), seconda metà del I secolo d.C.soffiatura libera; filamenti applicati a caldo sulla superficie esterna (Bogenrippendekor)
prov. ignota
Produzione dell’Italia settentrionale o del comprensorio del Ticino

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Tra le coppe, oltre a quelle riconducibili a forme più comuni (395 – 405), sono presenti in particolare alcune coppe costolate di I secolo(388) e un discreto numero di Zarte Rippenschalen alcune incolori, altre violacee o ambrate (398); quest’ultimo tipo dovrebbe trovare in Aquileia il suo centro di produzione.

Immagine: Coppa.(395) Coppa, Isings 1957, f. 20; (Inv. M. 20330), prima metà del I secolo d.C.colatura a stampo
prov. Collezione J. Muselli
Produzione occidentale

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Immagine: Coppa.(405) Coppa, Isings 1957, f. 20; (Inv. M. 20286), seconda metà del I secolo d.C.soffiatura libera
prov. Raldon, fraz. di S. Giovanni Lupatoto (VR). Necropoli romana, 1754; collezione J. Muselli
Produzione occidentale, probabilente nord italica (Aquileia)

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Immagine: Coppa.(388) Coppa, Isings 1957, f. 3a; (Inv. M. 20338), prima metà del I secolo d.C.colatura a stampo e successiva levigatura
prov. Mezzariva di Bardolino (VR). (?)
Produzione occidentale, probabilente nord italica (Aquileia)

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Immagine: Coppa.(398) Coppa, Isings 1957, f. 17; (Inv. M. 20355), primi decenni del I secolo d.C. – età Flaviasoffiatura libera. Applicazioni di fili di vetro bianco a caldo. Sottili baccellature ottenute pizzicando la parete
prov. Raldon, fraz. di S. Giovanni Lupatoto (VR). Necropoli romana, 1754; collezione J. Muselli
Produzione occidentale, probabilente aquileiese

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Le olle, per lo più di forma Isings 64 (425) e 67a (421), sono riconducibili a forme ampiamente attestate nella Venetia. Le olle venivano largamente utilizzate come contenitori alimentari (443) e non solo in ambito funerario così come potrebbe esser stato anche per l’anfora di produzione nord italica (3).

Immagine: Olla.(425) Olla, Isings 1957, f. 64; (Inv. M. 20651/20651b), I – II secolo d.C.soffiatura libera; anse fuse e applicate a caldo.
prov. dintorni di Maccarari (VR)
Produzione dell’Italia nord orientale

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Immagine: Olla.(421) Olla, Isings 1957, f. 67a; (Inv. M. 20667/20667b), I – II secolo d.C.soffiatura libera.
prov. ignota.
Produzione dell’Italia nord orientale

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mmagine: Olla.(433) Olla, Isings 1957, f. 62; (Inv. M. 20373), seconda metà I secolo d.C.soffiatura libera con appiattimento delle pareti
prov. Custoza (VR) 1840 (?)
Produzione occidentale probabilmente nord italica

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Immagine: Anforetta.(3) Anforetta, soffiatura libera, seconda metà I secolo d.C.(Inv. M. 20418)
prov. ignota
Produzione dell’Italia del nord

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Vi sono, inoltre, due esemplari di skyphos (ex. 451) – un tipo di vaso potorio tradizionalmente legato al simposio aristocratico – provenienti uno da Raldon e l’altro da Spinimbecco, ma i pezzi più interessanti sono senza dubbio gli undici fondi d’oro di età tardoromana, tutti purtroppo di provenienza ignota (455).

Immagine: Skyphos.(451) Skyphos, (Inv. M. 20349), Isings 1957, f. 39 (variante)seconda metà I secolo d.C.
soffiatura libera, ansa fusa e applicata a caldo
prov. Spinimbecco, fraz. di Villa Bartolomea (VR). Necropoli romana, 1868-73
Produzione occidentale, probabilmente nord italica

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Immagine: Fondo d'oro.(455) Fondo d’oro; (Inv. M. 4567), IV secolo d.C.soffiatura libera; anello di base eseguito separatamente; foglia d’oro applicata alla superficie superiore del disco di base prima di fissarlo al fondo del recipiente.
prov. ignota
Produzione di Roma

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Nel complesso la collezione di Verona presenta forti analogie con quelle degli altri musei veneti; al suo interno sono presenti in buon numero esemplari di provenienza aquileiese e mediopadana; meno numerosi, ma di buona fattura, gli oggetti legati agli ateliers orientali, mentre sono numericamente scarse le attestazioni di esemplari tardi di produzione renana.

Cronologia: Per quanto concerne la cronologia, i materiali veronesi coprono un arco temporale piuttosto vasto che va dal III a.C. di alcuni esemplari di provenienza orientale lavorati con la tecnica del nucleo friabile (415) all’età tardoantica attestata dei fondi d’oro.

(415)

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