LEPONTI : NUOVE SCOPERTE IN TICINO A GIUBIASCO

Palasio alcune tombe con corredi, mentre 30 sepolture riemergono tra il viale 1814 e via Ferriere: trovati qui anche 4 tumuli, una novità in Ticino.

TRANSPADANA , RAETIA AI TEMPI DI AUGUSTO

Doppia importante scoperta archeologica a Giubiasco: nelle scorse settimane in una grande parcella di terreno situata tra il viale 1814 e la via Ferriere, durante i lavori per una nuova edificazione, sono emerse una trentina di tombe da riferire all’Età del Ferro, risalenti perciò al Sesto-Quinto secolo avanti Cristo. Il terreno – spiega l’Ufficio cantonale dei beni culturali in un comunicato stampa – era occupato da una serie di edifici a carattere industriale, demoliti per lasciare spazio alla costruzione di un palazzo residenziale, nel frattempo quasi giunto a tetto. Ma non è tutto: alcune centinaia di metri verso montagna, in via Rompeda nella zona del Palasio, area conosciuta da decenni dal profilo archeologico, sempre nel corso di un cantiere edile di dimensioni più ridotte sono emerse alcune tombe, pure risalenti all’Età del Ferro. In questo caso una sepoltura conservava un vaso pre-trottola, una ciotola e un bicchiere a calice in ceramica, così come due fibule in ferro, indica a ‘laRegione’ Rossana Cardani Vergani, caposervizio archeologia dell’Ufficio beni culturali, responsabile delle operazioni di scavo, ricerca, catalogazione e conservazione dei reperti. Cardani Vergani ricorda che «grazie alla raccolta dati della Mappa archeologica del Cantone Ticino, lavoro iniziato a fine anni 90, oggi l’Ufficio dei beni culturali è in grado d’inserire nei Piani regolatori (Pr) i cosiddetti Perimetri d’interesse archeologico (Pia)». E come detto la zona del Palasio, con le sue 700 sepolture emerse dagli anni 60 fino a oggi, rientra notoriamente in una di queste aree d’interesse.

Materiali celtici dalla tomba 423 di Giubiasco

‘Potrebbero cambiare la storia di questa grande area sepolcrale’

Lo scavo tra il viale 1814 e via Ferriere è ancora in corso (si concluderà a fine dicembre) e sta riportando alla luce un numero considerevole di sepolture a inumazione e cremazioni singole. Se i corredi che accompagnano le oltre trenta tombe finora scavate sono ricchi e interessanti – indice quindi di una popolazione che le vie di transito hanno reso di ceto alto –, stando al Servizio archeologico la grande sorpresa sta nei quattro grandi tumuli presenti, “una prima assoluta per il Ticino”. Il tumulo rimanda infatti alle famose tombe etrusche, dove una struttura costruita ‘a collina’ racchiudeva sepolture di grande importanza. I tumuli giubiaschesi verranno aperti in sequenza nei prossimi giorni. La tomba principale lo sarà nel corso della presentazione alla stampa in agenda il 28 novembre: “Le aspettative al proposito sono grandi e, se confermate, cambieranno la storia di questa grande area sepolcrale”.

La brocca in bronzo a becco d’anatra trovata nove anni fa

Tornando in via Rompeda, in zona Palasio già nel 2013 era stata scoperta una necropoli, «dalla quale sono state riportate alla luce una trentina di sepolture a inumazione, caratterizzate da ricchi corredi perlopiù maschili da riferire all’Età del Ferro». Un’area nota fin dal 1906, «in quanto (seppur in modo sporadico) nelle vicinanze erano state rinvenute alcune sepolture», precisa Cardani Vergani. Le tombe di via Rompeda sono dunque legate alla Necropoli del Palasio, visto che sono state trovate a pochi metri di distanza da essa. Ricordiamo che uno degli oggetti di maggior pregio riportati alla luce nel 2013, è stata una brocca in bronzo a becco d’anatra: una rielaborazione dei Leponti – popolo stanziato nelle Alpi centrali che alcuni secoli a.C. era presente pure nella zona di Bellinzona, ad Arbedo e, appunto, Giubiasco – di un modello tipico etrusco per servire il vino nei simposi. La brocca è stata esposta una prima volta nella casa comunale di Giubiasco assieme ad altri oggetti ritrovati nella necropoli per alcuni mesi nel 2016; oggi è l’‘oggetto simbolo’ presso il Museo di Montebello.

Tomba 31 Castione Bergamo d’Arbedo

Zone archeologicamente sensibili

Se da un lato il ritrovamento di reperti antichi genera sempre stupore e curiosità, dall’altro può anche provocare alcuni malumori per le ditte che devono parzialmente rallentare il cantiere. Tuttavia, l’istituzione di zone archeologicamente sensibili genera trasparenza: in questo modo le società di costruzione sono a conoscenza che il cantiere potrebbe, molto probabilmente, subire alcuni ritardi, di cui quindi si tiene conto al momento della pianificazione dei lavori. «L’inserimento a Pr dei Pia fa sì che ogni intervento previsto nei terreni che vi fanno parte venga annunciato al Servizio archeologico cantonale, che ha il dovere di preavvisare la domanda di costruzione o la notifica», rileva Cardani Vergani. «Il preavviso (di regola favorevole con condizioni) indica un solo obbligo agli istanti, che in base alla Legge sui beni culturali, sono tenuti a preavvisare per tempo l’inizio dei lavori, in modo che dai primi movimenti di terreno il Servizio sia presente e controlli la possibile presenza di sostanza archeologica».

Dal ritrovamento allo studio, fino all’esposizione, passando dal restauro

Ma concretamente cosa succede quando viene accertata la presenza di reperti archeologici in un cantiere? «Lo scavo meccanico viene interrotto e gli archeologi iniziano il loro intervento manualmente; solo in questo modo infatti la sostanza antropica ancora presente nel terreno viene identificata, rilevata e documentata, così che se ne possa ricostruire l’evoluzione», sottolinea la caposervizio. «Lo scavo scientifico condotto da archeologici permette così di riportare alla luce strutture legate a insediamenti, fortificazioni, luoghi di culto, necropoli, per citare i ritrovamenti più comuni. Accanto ai reperti immobili, l’indagine riconsegna molto spesso grandi quantità di reperti mobili integri o in frammenti: corredi da sepolture, oggetti di uso quotidiano da insediamento, armi da luogo difensivo». Ovviamente il percorso di un reperto archeologico non si ferma dopo il ritrovamento a seguito di uno scavo: in un secondo tempo si procede infatti con «la conservazione, il restauro, lo studio, la valorizzazione e infine l’esposizione».

Tomba 108 Cerinasca d ‘Arbedo

Il Cantone possiede oltre quarantamila reperti mobili

Cardani Vergani precisa poi che «i reperti mobili diventano per legge di proprietà dello Stato, mentre quelli immobili (se non distrutti) rimangono ancorati al terreno e quindi sotto la responsabilità del suo proprietario». In generale in Ticino sono stati mappati «circa tremila siti archeologici» e il Cantone possiede «più di quarantamila reperti mobili». Di questi ne sono stati esposti «unicamente un migliaio. Una minima parte, se si considera la grande ricchezza della collezione archeologica: dai vetri romani (una delle maggiori collezioni a livello europeo), ai numerosi reperti in ceramica, ferro, bronzo, argento e oro, che dal Neolitico ci portano all’alto Medioevo, ai frammenti di dipinti murali del pieno Medioevo».

Collezione destinata a crescere ancora

Una collezione, quella di proprietà dello Stato del Cantone Ticino, che, visti i frequenti nuovi ritrovamenti archeologici, è «destinata a crescere negli anni. Una collezione che tutti auspichiamo sempre di più diventi appannaggio non solo degli specialisti», ma di tutta la popolazione. Articolo di Fabio Barenco tratto da “la regione.ch”

ALTRI LINKS SULLA SCOPERTA:

Dopo 2500 anni aperte le tombe di Giubiasco

Dopo 2500 anni aperte le tombe di Giubiasco

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/A-Giubiasco-i-tesori-dellet%C3%A0-del-Ferro-15822394.html

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LA NECROPOLI DI GIUBIASCO

VOLUME 1:

https://www.academia.edu/resource/work/1818129

VOLUME 2:

https://www.academia.edu/resource/work/1818119

VOLUME 3

https://www.academia.edu/resource/work/1818136

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IL NUOVO MUSEO AL CASTELLO DI BELLINZONA.

Da M4.ti.ch

Archeologia Montebello – Il nuovo percorso espositivo all’interno del Castello di Montebello, Bellinzona

Dopo alcuni anni di interventi, svoltisi a tappe e seguiti dalla Sezione della logistica (Dipartimento delle finanze e dell’economia), e con un allestimento museale rinnovato a cura del Servizio archeologia, il Castello di Montebello ha riaperto al pubblico con un nuovo concetto espositivo, più innovativo e dal taglio divulgativo.

La nuova entrata al percorso espositivo “Archeologia Montebello”

La visita al maniero, trasformato architettonicamente al suo interno nel 1974 su progetto degli architetti Mario Campi, Franco Pessina e Niki Piazzoli, è organizzata in due distinti spazi.

Al Palazzetto – attraverso vecchi documenti, disegni, fotografie d’epoca e progetti architettonici – è presentata la storia del castello, dalla sua edificazione avvenuta alla fine del XIII secolo, passando attraverso gli ampi lavori di restauro e di ricostruzione del periodo 1902-1910, per giungere all’ultimo importante intervento architettonico risalente agli anni ’70 del secolo scorso.

La torre del castello ospita invece un’esposizione archeologica dove è presentata una selezione di rinvenimenti del territorio ticinese, con particolare attenzione alla regione del Bellinzonese e delle valli superiori. I reperti, tra cui alcuni pezzi rari e di pregio come ad esempio la brocca a becco d’anatra da Giubiasco-Palasio esposta all’entrata, invitano il visitatore alla scoperta di questo territorio attraverso elementi, legati alle risorse naturali e alla presenza umana, che lo caratterizzano fin dai tempi più remoti.

Brocca a becco d ‘anatra

La visita al mastio si sviluppa in verticale seguendo il filo del tempo in ordine cronologico, dal basso (il periodo più antico, il Mesolitico) verso l’alto (il periodo più recente, la Romanità). La sequenza – suddivisa in quattro piani espositivi, intercalati da tre piani evocativi – richiama le modalità della ricerca sul terreno, che riporta alla luce le testimonianze in base a una lettura stratigrafica: gli strati più profondi racchiudono gli elementi più antichi, quelli più superficiali i più recenti. In ogni piano la “Carta del tempo” ideata dall’Associazione Archeologica Ticinese e i relativi riferimenti cromatici ricordano al visitatore a quale epoca appartengono gli oggetti esposti e in quale contesto essi si inseriscono.

Estratto della “Carta del tempo” elaborata dall’Associazione Archeologica Ticinese

Una volta giunti al cosiddetto Belvedere, alcune vedute mostrano la morfologia attuale del territorio, mettendo l’accento sugli aspetti geografici.

Un altro percorso scende invece ai piani inferiori, dove si possono approfondire alcune tematiche: l’introduzione nelle nostre terre della prima forma di scrittura, avvenuta durante l’età del Ferro, e la sua diffusione, in epoca romana; l’abbigliamento, ossia come vestivano e si adornavano le nostre antenate e i nostri antenati; i riti funerari in uso nell’antichità.

Un approfondimento tematico dedicato all’introduzione della scrittura nelle nostre terre

Una guida in quattro lingue scaricabile su smartphone accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo.

Link:

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Scoperta-una-necropoli-a-Moghegno-15221758.html

ANTICHI POPOLI DELLA CISALPINA CELTI E NON CELTI

Quando parliamo dei popoli antichi che hanno abitato la regione Padana ed Alpina ,quella che sarà chiamata poi dai Romani Gallia Cisalpina , dobbiamo ovviamente pensare ad un vero e proprio mosaico di tante diverse popolazioni . Ad esempio, parlando dei Galli essi erano diversamente cugini tra loro . Insubri e Cenomani avevano avuto una diversa etnogenesi solo per fare un esempio.. Altri popoli Celti, i Boi e soprattutto i Senoni erano fortemente fuse con le popolazioni etrusche ed umbre tanto da creare una koinè celto- italica.

Nel Piemonte e sugli Appennini la commistione con Liguri fu ancora più forte. Altre popolazioni come i Camuni e i Triumphilini erano definiti come Euganei e seppur molto affini ai Reti avevamo assorbito anche molti elementi etruschi, celtici e venetici. I Reti sulle Alpi, affini ai Tirreni per lingua, avevano anche loro assorbito molti elementi celtici e venetici così come i Veneti ,affini a loro volta linguisticamente ai Latini. Nel video che qui segue il vicedirettore del Gruppo Archeologico Comasco ci descrive appunto questo complesso mosaico di popoli e nazioni. Buona visione .

Elmo Celto-Ligure da Berceto

I CELTI SULLE ALPI LECCHESI NEL MUSEO DELLE GRIGNE

IL MUSEO DELLE GRIGNE

Il museo raccoglie reperti archeologici che testimoniano della presenza umana sulle Grigne fin dall’epoca preistorica. Ma di particolare rilievo per la storia di Esino è stata la presenza di popolazioni celtiche e romane.

Dei primi, che occuparono il territorio tra il IX-I secolo a.C. portandovi la cultura di Golasecca e in seguito di La Tène, sono stati ritrovati i corredi funebri, con fibule (spille per abiti sia maschili che femminili), armille (bracciali e braccialetti sempre sia maschili che femminili), pendagli e ceramiche (urne cinerarie connesse al rito).

Le tombe dei guerrieri hanno consentito di studiare il loro vasto armamentario che consisteva in lance, spade, foderi, coltelli e scudi. Sono stati trovati anche oggetti come rasoi, pinzette e cesoie. Una particolarità interessante dei riti funebri del guerriero si osserva nelle spade, che venivano deformate per renderle inutilizzabili.

Per quanto riguarda i Romani, in paese sono state trovate delle tombe di inumati talora con corredo funebre, con monete del IV secolo, dadi in bronzo, vasellame e altri oggetti.

→ vedi gli oggetti della collezione archeologica del Museo delle Grigne su Wikimedia Commons

→ vedi l’elaborazione tridimensionale di un vasetto in pietra ollare del museo

→ vedi l’elaborazione tridimensionale della chiesetta di san Pietro a Ortanella

Da

LO STUDIO DELLE ARMI E DEI METALLI DI EPOCA CELTICA E ROMANA

Tesi di Laurea in Scienze e Tecnologie per lo studio e la conservazione dei Beni Culturali Martina Pensa da ” Resegone online”

Esino Lario, Isen in dialetto esinese, la “perla delle Grigne”, è un piccolo paese di 747 abitanti situato ad un’altitudine di 910 metri s.l.m. nella Val d’Esino, che sovrasta il lago di Como in provincia di Lecco. Il paese, di fatto unificato solamente dopo la prima guerra mondiale, risultava originariamente diviso in due: rispettivamente Cres e Piach. A Cres vi sono tracce archeologiche di epoca celtica e a Piach per lo più di età romana. A oggi in questo territorio non sono state condotte campagne archeologiche sistematiche, dunque il presente progetto è il punto di partenza per l’avvio, con l’appoggio del Comune di Esino Lario e della Soprintendenza ai Beni Culturali della Lombardia, di ricerche scientifiche sul passato di questo paese. La prima fase di questa collaborazione, illustrata in questa serata si concentra sullo studio preliminare dei ritrovamenti Celtici conservati nell’Eco-museo, con particolare attenzione agli aspetti riguardanti la storia e l’identificazione di una produzione locale attraverso le tecnologie di ricerca scientifiche.

Esino Lario rappresenta una scelta ottimale per uno studio sperimentale di questo tipo proprio anche alla luce della conformazione geomorfologica del paese che, racchiuso tra vallate impervie, costituisce un ambiente circoscritto poco aperto ad influssi esterni. In prima istanza un veloce inquadramento dei ritrovamenti e approfondimento delle problematiche legate alla conformazione geomorfologica del territorio (orogenesi, sfruttamento minerario e vie di passaggio), ritenuti fondamentali nella comprensione dei risultati ottenuti.I reperti di età celtica del Museo delle Grigne che sono stati analizzati sono ventiquattro e di diversa tipologia: spade, lance, un umbone e attrezzi di vita quotidiana come cesoie e un rasoio, una verghetta e una fibula.Come elementi di confronto, sono stati considerati anche due reperti romani, una punta di lancia e una cuspide di lancia ritrovati in loco.

Per poter poi inquadrare le caratteristiche degli elementi emersi dalle analisi sono stati quindi presi in considerazione come campioni di confronto alcuni manufatti cronologicamente affini conservati presso il Museo Civico Guido Sutermeister di Legnano (Mi) e altri provenienti dal Museo Civico Etnografico Archeologico C.G. Fanchini di Oleggio (No); si tratta di una punta di lancia e di un coltello da Legnano e di un umbone e di una punta di lancia e una cesoia da Oleggio. I reperti di Legnano provengono dallo scavo di un insediamento di Magenta, particolarmente significativo per i nostri studi perché sufficientemente lontano per ipotizzare un approvvigionamento del ferro dal gruppo delle Grigne.

Il secondo gruppo di reperti proviene invece dalla necropoli di Oleggio, un sito che, per la vicinanza al lago Maggiore e alle aree di approvvigionamento di ferro circostanti, doveva reperire i minerali di ferro più verosimilmente da miniere di questo territorio. Sono stati inoltre considerati alcuni campioni di rocce provenienti da una delle antiche miniere in località Cainallo, a Esino Lario, al fine di evidenziare una possibile correlazione appunto tra queste miniere e i reperti.
Per tutti i manufatti sono state realizzate fotografie ad alta definizione, utilizzando una semi-sfera per diffondere uniformemente la luce in modo da non creare ombre e riflessi ed un colorchecker per la calibrazione dei colori. Le fotografie, eseguite anche in vista del catalogo del Museo delle Grigne, sono poi state elaborate mediante l’utilizzo di photoshop.

La composizione elementare è stata determinata con l’analisi della fluorescenza X caratteristica (XRF) che consente di rilevare gli elementi in traccia presenti nei reperti, costituiti principalmente da ferro. Questa analisi è stata eseguita al Laboratorio Diart di Milano trasferendo in accordo con le varie Soprintendenze i reperti. Dopo aver rielaborato i dati ottenuti si è eseguita l’analisi delle componenti principali che ha mostrato che i campioni celtici locali formano un gruppo continuo, anche se non compatto, caratterizzato da zinco, titanio, cromo e arsenico, elementi presenti in traccia anche nelle rocce di miniera, compreso l’arsenico, assente viceversa in tutti i campioni di confronto. La presenza di questo elemento chimico tossico è nota in questo territorio a seguito dei problemi causati per anni agli esinesi per la sua massiccia presenza anche nelle falde acquifere.

Tutti i campioni non locali mostrano peraltro, oltre al ferro, una diversità nella tipologia e nella quantità delle tracce presenti. Anche i reperti locali romani presentano un numero minore di elementi in traccia, comparabile con quelli dei manufatti di Magenta; in particolare spicca l’assenza di arsenico che suggerisce quindi la possibilità di una produzione non locale. Tale risultato potrebbe essere messo in relazione con i dati storici poiché è noto che nei presidi Romani più antichi venivano inviati armati direttamente da Roma e le aree di approvvigionavano di metalli vennero progressivamente concentrate in alcuni distretti minerari più ricchi. I Romani avevano probabilmente prescelto, come si è detto, lo stanziamento nella parte inferiore dell’abitato dove il ricco territorio offriva sia campi da coltivare e prati per il bestiame e zone, come San Pietro in Ortanella, utili per il controllo dei i traffici da e verso la Valsassina e le vie di transito lungo l’alta via del Lago di Como.

Lo stanziamento nella parte alta dell’attuale paese, che può forse essere messa in relazione con lo sfruttamento delle miniere soprastanti, appare viceversa più strategica nella fase celtica precedente, a possibile conferma di un significativo mutamento degli indirizzi economici di questo territorio. Le analisi condotte in questo studio confermano dunque che le miniere di Esino costituirono la fonte di estrazione dei metalli con cui vennero fabbricati gli utensili della panoplia del guerriero (spade, lancia, umboni) e gli oggetti della vita quotidiana (fibule, verghette, rasoi, coltelli e cesoie) del periodo celtico e probabilmente rappresentarono una delle spinte più significative nella risalita fino a queste valli delle popolazioni di Oltralpe che almeno dal IV secolo a.C. si stanziarono nel territorio del Nord dell’Italia. L’ elevato numero di armi rinvenute fa presagire che proprio il controllo e la strenua difesa di queste ricche risorse economiche caratterizzasse in modo significativo la struttura sociale di questo stanziamento e dei suoi individui sepolti nella Valle di Esino.

Visita virtuale al Museo delle Grigne :

https://www.tour-sistemamuseale.provincia.lecco.it/10museo/