AQUILEIA: LA VILLA DI TITO MACRO APRE AL GRANDE PUBBLICO.

Dal 1 febbraio la Domus di Tito Macro sarà aperta tutti i giorni, con ingresso scaglionato ogni 30 minuti,nei seguenti orari:

  • Da novembre a febbraio | dalle 10.00 alle 16.00 durante la settimana; sabato, domenica e festivi fino alle 17.00 (eccetto la chiusura del 25/12)
  • Marzo e ottobre | dalle 10.00 alle 18.00 tutti i giorni
  • Da aprile a settembre | dalle 10.00 alle 19.00 tutti i giorni

Intero: 5€ – visitatori individuali dai 18 anni in su
Ridotto: 4€ – visitatori in gruppo (minimo 15 persone) dai 18 anni in su

L’ingresso è gratuito per:
Minori di 18 anni
Studenti fino alla scuola Secondaria di II Grado, inclusi gli insegnanti accompagnatori
Visitatori disabili previa presentazione in Biglietteria del certificato d’invalidità. In caso di non autosufficienza, la gratuità è estesa anche a un accompagnatore
Giornalisti
Guide turistiche e Tour Leader
1 accompagnatore per gruppo
Membri ICOMOS e ICOM
Residenti ad Aquileia

Link:

Domus di Tito Macro

http://www.arte.it/notizie/udine/ad-aquileia-brilla-la-domus-di-tito-macro-cinque-secoli-di-storia-in-una-dimora-senza-precedenti-17689

LA PRIMA CITTÀ IN TRANSPADANA: CELTI GOLASECCHIANI A CASTELLETTO TICINO.

UNA MOSTRA DEL 2009 DA RIVIVERE

La più antica città di Traspadana non è nata a Milano ma sulle sponde del Ticino sul lago Maggiore dove oggi sorge Castelletto Ticino. Riproponiamo qui gli studi presentati nella mostra “L’Alba della Città” organizzata nel 2009 dalla soprintendenza archeologica del Piemonte. il momento di avvio del primo centro protourbano dell’Italia nord-occidentale. Fanno rivivere quel tempo i reperti provenienti dagli scavi condotti dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte a Castelletto Ticino – località Croce Pietra (Via del Maneggio, Via Aronco, Via Repubblica), dove tra la fine del IX ed il VII secolo a.C. sorgeva una delle più arcaiche necropoli del Basso Verbano, caratterizzata da un’organizzazione monumentale con strutture a recinto e marginata da grandi stele in pietra, quale la stele della Briccola, protagonista dell’evento.

Primo nell’Italia nord-occidentale e tra i centri della cultura di Golasecca, anche se seguito a breve distanza cronologica da Como, il centro protourbano di Castelletto Ticino – Sesto Calende si mostra dunque poco prima del 650 a.C. ormai pronto ad assumere un ruolo rilevante economico e politico nel rapporto con le grandi città etrusche. La centralizzazione del controllo su un vasto territorio agricolo e sulle vie di traffico, a partire dall’asse fondamentale del Ticino, la possibilità di concentrare e organizzare in un unico centro, assicurando il prelievo di adeguate risorse alimentari dal territorio, un importante numero di artigiani e maestranze esperte a servizio della navigazione fluvio-lacuale, consente alle elite golasecchiane di offrire materie prime e servizi ai mercanti etrusco-italici, ricavandone un notevole incremento di ricchezza e quegli oggetti ed usi collegati al lusso signorile che sanciranno la loro distinzione sociale. In questo senso il disco-corazza tipo Mozzano in bronzo raffigurato sulla stele della Briccola, tipico dell’armamento etrusco-italico tra la fine dell’VIII e la prima metà del VII secolo a.C., costituisce il primo riscontro diretto del rapporto dei guerrieri golasecchiani con il mondo etrusco-italico e distacca definitivamente la stele della Briccola da quelle protoceltiche coeve del Mediterraneo occidentale, dalla Francia meridionale alla Penisola Iberica.

https://web.archive.org/web/20130817085559/http://albadellacitta.it/index.htm

Da http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/biblioteca/91-editoria-cataloghi-mostre/706-l-alba-della-citta

SOMMARIO

Presentazioni

pp. 7-9

La necropoli settentrionale e l’evidenza della costituzione del centro protourbano di Castelletto Ticino Filippo Maria Gambari

pp. 13-18

Le pietre dei signori del fiume: il cippo iscritto e le stele del primo periodo della cultura di Golasecca Filippo Maria Gambari

pp. 19-32

Le necropoli in località Croce Pietra Raffaella Cerri

pp. 33-35

La necropoli di via del Maneggio Raffaella Cerri, Mauro Squarzanti

pp. 36-62

Castelletto Ticino, considerazioni geoarcheologiche inerenti il sito di via del Maneggio Cristiano Nericcio, Caterina Ottomano

pp. 63-64

L’insieme litico tardiglaciale di via del Maneggio. Studio preliminare tecnofunzionale Gabriele Luigi Francesco Berruti, Stefano Viola

pp. 65-74

Annotazioni preliminari al catalogo dei reperti e delle strutture Raffaella Cerri

pp. 75-82

Catalogo dei reperti e delle strutture. Via del Maneggio, scavi 2001-2003 Raffaella Cerri

pp. 83-157

Appendice al catalogo dei reperti e delle strutture. Via del Maneggio Mauro Squarzanti

pp. 159-160

Tavole a colori

pp. 161-176

La necropoli di via Aronco Mauro Squarzanti

pp. 177-182

Catalogo dei reperti e delle strutture. Via Aronco, scavo 1988-1989 Raffaella Cerri, Mauro Squarzanti

pp. 183-192

La necropoli di via Repubblica Mauro Squarzanti

pp. 193-195

Catalogo dei reperti e delle strutture. Via Repubblica, scavo 2002 Mauro Squarzanti

pp. 197-202

Considerazioni cronotipologiche Raffaella Cerri

pp. 203-208

I roghi funerari: una chiave di lettura per il paesaggio vegetale e per il rituale funebre Sila Motella De Carlo

pp. 209-224

Il gruppo umano di Castelletto Ticino, località via del Maneggio: paleobiologia e aspetti del rituale funerario Elena Bedini, Francesca Bertoldi, Emmanuele Petiti

pp. 225-240

Analisi paleonutrizionali: la ricostruzione delle abitudini alimentari Fulvio Bartoli, Elena Bedini

pp. 241-245

Un particolare aspetto del rituale funerario: i frammenti di ossa animali della sepoltura infantile T.17/01 Elena Bedini, Emmanuele Petiti

pp. 247-249

Bibliografia

pp. 251-258

Itinerari : https://www.vagabondiinitalia.it/la-cultura-di-golasecca-in-riva-al-ticino/

UNA ALTRA NAVE SI AGGIUNGE A IULIA FELIX

I carabinieri del nucleo per la Tutela del patrimonio culturale di Udine hanno ritrovati i resti di un’imbarcazione di epoca romana mai censita prima. La scoperta è avvenuta nell’ambito del periodico controllo dei siti archeologici sommersi che i carabinieri Tpc svolgono sul territorio nazionale. Nello specifico i militari stavano effettuando il monitoraggio di un vasto specchio d’acqua compreso tra Grado (GO) e le Foci del Timavo, in collaborazione con il Centro Subacquei di Genova, la Soprintendenza di Trieste e l’Università di Udine.
In corrispondenza dell’isola gradese di Pampagnola sono stati rinvenuti i resti di un’imbarcazione di epoca romana mai rilevata in precedenza.

Il relitto si trova ad una profondità di circa 5 metri e risulta in maggior parte interrato, tuttavia dall’osservazione si è
potuto già appurare che è stato costruito con la tecnica detta a “mortasa-tenoni”. La porzione di scafo al momento visibile ha una lunghezza pari a metri 12,20, ma considerata la conformazione del legno esposto potrebbe risultare di estensione almeno doppia e larghezza stimata non inferiore a 8 metri.

L’attività è proseguita presso il Canale delle Mee di Grado, lo storico ingresso al porto fluviale di Aquileia, con il rinvenimento di
due anfore acefale tipo “Lamboglia 2” di 60 x 35 cm, risalenti al I secolo a.C., nonché di un collo di brocca ed uno di anfora risalenti al II-III secolo d.C. Il monitoraggio è quindi proseguito in corrispondenza dell’area del canale Locovaz e dei tre rami della foce del fiume Timavo, zona in corrispondenza della quale in epoca romana era stata edificata una importante villa, intesa come centro di produzione agricolo e ittico, con annesse thermae e assolvendo anche alla funzione di statio lungo la strada che collegava Aquileia a Tergeste e alla Dalmatia. Non è la prima volta che l’area di Grado restituisce relitti di imbarcazioni di età romana. Uno degli esempi più noti è la “Iulia Felix“,

( Da Avvenire)

IULIA FELIX

Iulia Felix è un’imbarcazione romana del II sec. d.C. naufragò nelle acque dell’Adriatico, a circa 6 miglia al largo dell’isola di Grado. Il suo nome antico non è conosciuto ma fu dato il nome di «Julia Felix» a questo relitto.
Fu ritrovata nel 1986 da Agostino Formentin, pescatore di Marano Lagunare, a 16 metri di profondità sui fondali marini. Il carico di anfore fu danneggiato nella parte più superficiale dai ramponi delle barche da pesca.
L’imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è stata rinvenuta intatta con il suo carico di 560 anfore.


Gli scavi furono condotti dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Archeologici Artistici e Storici del Friuli-Venezia Giulia, con il coordinamento del Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Sono stati recuperati tre borrelli di varie misure, che allora come oggi servivano a giuntare le cime. Anche le bitte sono tre – due fisse e una mobile – di cui una è di particolare pregio in quanto raffigura l’effige intagliata di un busto femminile. Carrucole e pulegge servivano con ogni probabilità a manovrare il pennone della vela quadra dell’albero di maestra.
Vicino alla chiglia c’è un tubo di piombo largo almeno 7 cm e lungo 1,3 metri, che penetra lo scafo. Gli archeologi ritengono che sia stato possibile pompare acqua di mare per l’uso a bordo, presumibilmente per trasportare pesci vivi. Considerando la presenza di un acquario dietro l’albero della nave, che misura circa 3,5 x 1 m per una capacità di circa 7 metri cubi. Se mantenuto correttamente, potrebbe mantenere almeno 200 kg di pesci vivi come la spigola o l’orata.


«Gli storici credono che, prima dell’invenzione del congelatore, l’unica possibilità per il commercio del pesce fosse di salarla o di asciugarla; ora sappiamo che era anche possibile mantenerli in vita per una lunga distanza», spiega il ricercatore Carlo Beltrame, archeologo dell’Università Ca ’Foscari di Venezia. Plinio il Vecchio ha parlato del trasporto di pesci pappagallo dal Mar Nero alla costa di Napoli .
La nave di Grado costituisce un caso emblematico di commercio di redistribuzione e riutilizzo.
La nave trasportava un carico di alimenti (pesce in salamoia) e frammenti di vetro, forse destinati agli artigiani della vicina Aquileia. è stata trovata anche una botte piena di vetro in frantumi, destinato alla rifusione, pratica economicamente vantaggiosa poiché il vetro riciclato ha una minore temperatura di fusione e consuma quindi meno combustibile.
La nave conteneva entro più di 600 anfore in gran parte riutilizzate, provenienti da varie regioni del Mediterraneo: Egeo orientale, Tripolitania, Tunisia, Campania, Emilia Romagna, alto Adriatico.
Le anfore, giunte per varie vie e da posti diversi in un emporio, erano state svuotate del contenuto originario (vino egeo, olio tripolitano e tunisino, vino adriatico, ecc.) e immagazzinate per essere reimpiegate dal produttore della merce. Contenevano la salsa, il garum, com’è indicato nelle iscrizioni dipinte – vere e proprie etichette – sul collo dei contenitori.
A bordo sono stati ritrovati anche alcuni manufatti, tra i quali due teste bronzee di Poseidone e di Minerva.

Conservazione:
Il relitto della Iulia Felix, recuperata nel 1999, è in fase di restauro e di studio.
Per ospitare i resti della nave a Grado è stata avviata la realizzazione di un Museo di Archeologia subacquea, nella ex scuola Scaramuzza di Grado.
Per la mostra a Trieste, nel 2018, una sezione trasversale del bastimento fu realizzata dall’ERPAC, riproduzione storicamente fedele, con parte del carico originale.

Fontewww.marine-antique.net, 23 mar 2019

Vedi anche: La nave romana di Grado, P. Lopreato

Vedi anche: Le anfore del relitto di Grado ed il loro contenuto, Rita Auriemma

Vedi anche: Lo_studio_ricostruttivo_della_nave_romana di Grado

STAMPA SCHEDA IN PDF ]

Da archeocartafvg.it

LA SICCITÀ FA RIEMERGERE UN INSEDIAMENTO PALAFITTICOLO SUL FIUME OGLIO

Da la Repubblica


La siccità che tanti problemi sta creando in Lombardia riserva anche grandi sorprese dal punto di vista archeologico e paleontologico: dopo i resti di animali di circa 180mila anni fa rinvenuti nel Po nei mesi scorsi e oggi custoditi al Museo naturalistico paleoantropologico di San Daniele Po (nel Cremonese), è la volta dei resti di un sistema di palafitte risalenti probabilmente all’Età del Bronzo (dal 2300 al 700 a.C.), emersi dal fiume Oglio in secca nella zona tra Canneto sull’Oglio e Calvatone (fra le province di Mantova e Cremona).

Quelli che a un occhio disattento possono sembrare dei banali paletti di legno infissi nel letto del fiume non sono passati inosservati ai membri del gruppo Klousios – Centro studi e ricerche del Basso Chiese, che si occupa di archeologia di superficie. Dopo la loro segnalazione è intervenuta la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Cremona, Lodi e Mantova, che ha subito fatto transennare la zona del ritrovamento in collaborazione con i carabinieri.

Attualmente l’area è costantemente pattugliata dalle forze dell’ordine, per evitare che qualche curioso comprometta gli antichi resti prima che gli esperti abbiano modo di completare un’approfondita indagine, necessaria anche per stabilire con precisione la datazione. Per ora è certo che quei resti erano già stati rivelati dalla secca del fiume risalente a un’altra estate di caldo record, ovvero quella del 2003. Stavolta però la visibilità è migliore, perché il livello dell’acqua è addirittura più basso rispetto a 19 anni fa.

I pali delle palafitte si trovano in un’ansa che con ogni probabilità un tempo era morta, cioè sostanzialmente priva di corrente: questo spiegherebbe anche perché fosse stata scelta per costruire un insediamento abitativo. Informazioni più attendibili in merito potranno essere però fornite solo dalle ricerche della Soprintendenza, che per il momento mantiene il più assoluto riserbo e anzi scoraggia il più possibile la diffusione di notizie relative ai resti.

I curiosi che negli ultimi giorni si sono avvicinati troppo al sito sono già stati segnalati ai carabinieri. I lavori degli esperti dovrebbero concludersi tra un paio di settimane

AULA TEODORIANA DI AQUILEIA LE RECENTI SCOPERTE

Work in progress🛠️

Prendiamo lo spunto da recenti scoperte relative a nuovi frammenti di affresco del soffitto della AULA TEODORIANA di Aquileia, sia per un report dei nuovi reperti sia per un piccolo excursus su una delle più importanti testimonianze musive della città tardoantica.

Ricostruzione della architettura della Basilica TEODORIANA di Aquileia

RECENTI SCOPERTE

La Cripta degli Scavi della Basilica di S. Maria Assunta ad Aquileia, che preserva l’aula nord del primitivo complesso basilicale teodoriano (età costantiniana) con i suoi eccezionali mosaici, è stata interessata da recenti scavi finalizzati ad una migliore valorizzazione. Grazie all’asportazione di alcune porzioni ancora in situ del soprastante pavimento della cd aula post-teodoriana, sono venuti in luce sia la fascia inferiore delle pareti affrescate ancora in situ sia numerosi intonaci dipinti, in giacitura secondaria nei livelli di crollo. Fra questi sono stati individuati almeno sei lacerti di soffitto (tre combacianti di 220 x 100 cm, due combacianti di 150 x 180 ed uno di 50×80) ed ulteriori 20 cassette contenenti ulteriori frammenti pertinenti allo stesso manufatto. E ricostruibile una decorazione policroma geometrica, che si collega a quanto in parte già noto.

INFORMAZIONI SULLO STATO DELLA CONSERVAZIONE

Al momento del recupero i lacerti sono stati bloccati nella posizione di crollo con schiuma poliuretanica. A causa del crollo gli elementi si sono frammentati in porzioni per lo più minuscole ed hanno perso complanarità, anche lo stato di conservazione della pellicola varia, al pari dello spessore degli strati di preparazione. Molti residui della terra di scavo sono ancora accumulati nelle fratture degli intonaci.

Si prevedono quindi la rimozione dalla schiuma poliuretanica, previo rilievo in scala 1:1, la pulitura della pellicola pittorica a umido e meccanica a bisturi, il consolidamento, l’incollaggio preliminare, la velatura,, il trattamento del retro e la svelatura del fronte, l’incollaggio sopra resina acrilica pura – in modo ca creare isole sempre più grandi – la preparazione del retro e quindi l’applicazione su pannelli di aerolam ed infine la stuccatura e la reintagrazione della pellicola pittorica

Altro frammento del soffitto già presente nelle raccolte museali
Porzione di affresco del soffitto di recente scoperta.

AULA NORD E AULA SUD

Gli scavi effettuati circa un secolo fa sotto il pavimento della basilica di Aquileia hanno riportato alla luce un grande mosaico, risalente al quarto secolo dopo Cristo, che ricopriva una vasta aula (aula sud) molto precedente all’attuale basilica.

Disegno mosaici aula sud

Il tappeto musivo ritrovato, di pregevole fattura, risulta ben conservato e mancante solo in corrispondenza delle maestose colonne della basilica e di qualche tomba.

la campata orientale del mosaico teodoriano dell’aula sud è interamente occupata dagli episodi della storia biblica di Giona.

Storia di Giona aula sud Aquileia

L’intero racconto rappresenta un’allegoria della resurrezione di Cristo, e più in generale, del destino ultraterreno che attende coloro che sono stati battezzati.

Storia di Giona aula sud Aquileia

I tre momenti salienti della saga dell’Antico Testamento sono ambientati all’interno di un contesto marino, popolato da polpi, seppie, delfini, anatre, e ravvivato da scene di pesca.

Verso nord, il profeta è gettato in mare da una barca e inghiottito da un mostro marino. Verso sud, dopo il tondo con l’iscrizione celebrativa di Teodoro, Giona è rigettato dal mostro dopo tre giorni, mentre nella scena successiva è colto mentre riposa sotto una pianta di cucurbitacee.

Abbiamo poi un altro simbolo cristico; il “Buon Pastore” (che riprende l’iconografia dell’’Hermes Crioforo”, Κριοϕόρος, della statuaria greco-romana). Un Cristo giovanissimo ed imberbe (a raffigurare il suo “Essere senza Tempo”), porta la “pecorella smarrita” sulle spalle (quindi simboleggia il fatto che Gesù è Salvatore delle anime) e in mano regge la syrinx (la “siringa” o “Flauto di Pan”), lo strumento musicale dei pastori (che rappresenta la dolcezza con cui viene guidato il gregge).

(Immagine a sinistra: Aquileia – Mosaici di Teodoro. Gesù “Buon Pastore” con la syrinx, attorniato dagli animali del Creato).

Attorno, svariati tipi di animali (tutti realizzati con sorprendente e dettagliato realismo) del Creato, di cielo, di terra e di acqua. Allegoria dell’Umanità intera che fa parte del Suo “gregge”, senza alcuna distinzione di razza o provenienza culturale o geografica.

Nel mosaico troneggia anche una “Vittoria alata”, che non è più (ovviamente) quella “classica”, civile (e pagana) dell’Imperium Romanorum ma quella della Nuova Fede Cristiana.

Gli scavi, ripresi successivamente all’esterno, hanno portato alla luce i resti di un’altra aula (aula nord), in parte risalente allo stesso periodo di quella sud, coperta anch’essa da un vasto tappeto musivo,  mancante quasi solo in corrispondenza delle fondamenta del campanile che vi si erge sopra dal 1031.  I mosaici dell’aula nord risultano fatti con materiali meno pregiati ed eseguiti da mano meno esperta, fatta eccezione per una zona, situata a nord delle fondamenta del campanile, che presenta mosaici più antichi  dai colori brillanti,  di altissima scuola.

Disegno mosaici aula Nord

A Questi mosaici non sono inquadrabili  in un contesto storico/culturale latino o latino/cristiano. Dal loro esame, si ricavano, invece, indizi e ipotesi di lavoro che spostano le indagini verso gli ambienti culturali gnostici, presenti durante i primi secoli dell’era cristiana in tutto l’impero romano e particolarmente ad Alessandria d’Egitto. In particolare, lo studioso Renato Iacumin vede nei mosaici più antichi dell’aula nord  l’illustrazione iconografica di vari testi gnostici, tra i quali il libro I e IV del codice “Pistis Sophia

mosaici aula Nord

AQUILEIA PALEOCRISTIANA

LE GEMME DI AQUILEIA

A completamento del restauro dell’edificio principale del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia è stata inaugurata il 28 maggio la nuova sezione intitolata «Lusso e ricchezza» che occupa con 140 metri quadrati l’intero ultimo piano del percorso espositivo nel raccontare la storia della città imperiale. L’allestimento dimostra il ruolo centrale rivestito da Aquileia nella trasformazione e commercializzazione dei preziosi grezzi.

La sala è articolata in cinque aree, a partire dagli oggetti per la cura personale: specchi, strigili, contenitori per unguenti e profumi, strumenti per cosmesi e acconciature. Seguono le monete, con 120 pezzi che documentano la fitta rete di scambi di Aquileia con il resto del mondo romano e la zecca nata nel 295 a.C. Una zona raccoglie tutti i gioielli, in argento e oro ma anche in legno, bronzo e vetro.

E poi ci sono le sezioni più rappresentative della collezione aquileiese, quelle sull’ambra e le gemme, le cui materie prime provenivano dal Mar Baltico e dall’Oriente sia via terra che via mare. Gli oggetti in ambra intagliata sono i più disparati (130 pezzi esposti tra scatoline, giochi, portafortuna, accessori da toilette, specchi), a dimostrazione del ruolo prezioso e magico che tale materiale rivestiva, sia in vita come portatore di fertilità sia nell’aldilà inserito nei corredi funerari.

L’ultima parte illustra 600 gemme delle seimila esistenti tra quelle ritrovate negli scavi con ametiste, agate, cammei, onice, corniole, diaspri calcedoni e così via. Ambre, gemme e altri preziosi sono valorizzati individualmente, su progetto di Giovanni Tortelli già coinvolto nelle altre sezioni museali, talvolta con lenti di ingrandimento e sempre con luci dedicate, che nel caso delle gemme sono radenti o retroilluminate a seconda che siano lucide od opache. (Da il giornale dell’ arte)

BOREA DIO DEL VENTO DI AQUILEIA

Il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ha dedicato un’intera puntata di approfondimento a Borea, divinità mitologica il cui reperto bronzeo è oggi esposto nella sezione del museo dedicata alla decorazione dei grandi edifici pubblici della città antica di Aquileia.

Borea è il dio del vento del Nord, una divinità mitologica il cui nome evoca la nostra amata Bora. Una sua rappresentazione, nel dettaglio una testa bronzea, fu ritrovata nel 1988, durante una campagna di scavi nel foro di Aquileia e gli studiosi non ebbero dubbi nel classificarla come una personificazione del vento grazie alla sua espressione e le sue caratteristiche: sguardo virile, capelli ricci e scompigliati come mossi dal vento, barba folta e labbra socchiuse, tese nello sforzo dello sbuffo.

Il rilievo, databile tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., è tra i reperti più noti del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e attira ogni anno migliaia di visitatori per la sua bellezza, per le buone condizioni di conservazione, ma soprattutto perché, come noto, sono davvero molto rare le testimonianze in bronzo di quest’epoca. Il bronzo infatti veniva spesso fuso e riciclato per altri usi nei secoli successivi.

Borea è un personaggio della mitologia greca, la personificazione del Vento del Nord. Viene raffigurato come un uomo barbuto ed alato, con due volti e la chioma fluente. Nella mitologia romana corrisponde ad Aquilone.

Ed è proprio il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia che ha deciso di dedicare un’intera puntata di approfondimento a questo curioso reperto bronzeo oggi esposto nella sezione del museo dedicata alla decorazione dei grandi edifici pubblici della città antica di Aquileia. La rubrica si intitola “OMNIBUS, lo spazio per tutti” ed è uno spazio di approfondimento dove vengono presentati con contenuti audio e video alcuni dei reperti più importanti del museo.

Sapevate ad esempio che il bellissimo reperto in questione finì all’interno di un pozzo, nella piazza principale della città antica? Per approfondire e scoprire la sua storia cliccate qui: OMNIBUS. L’applique in bronzo con testa di vento (VIDEO).

Da triesteprima.it

LUSSO E RICCHEZZA AD AQUILEIA

Lusso e ricchezza ad Aquileia in un breve video del Man museo archeologico nazionale di Aquileia sulla nuova mostra inaugurata il 28 di Maggio

Una mostra tutta da visitare quella inaugurata venerdì 28 maggio al Man (Museo archeologico Nazionale) di Aquileia, con la nuova sezione al secondo piano della Villa Cassis Faraone intitolata “Lusso e ricchezza”. Sono in mostra, dalla giornata di sabato 29 maggio e visitabili da tutti negli orari di apertura del Museo, gli oggetti in ambra, gemme intagliate, cammei, monete e raffinati gioielli abilmente creati dagli artigiani dell’epoca.

Gemme e ambre costituiscono le eccellenze della produzione artigianale aquileiese, insieme ai gioielli e ai più vari oggetti d’ornamento, accompagnavano le persone nella quotidianità e per il viaggio nell’aldilà: monili e beni preziosi erano infatti uno dei mezzi più diffusi per mostrare ricchezza e rango.

Si alternano accessori per la cura della persona, gioielli e oggetti in ambra a testimoniare l’importanza della cura del corpo. Le acconciature variavano infatti in base ai modelli dettati dalla famiglia imperiale i cui volti erano noti grazie a sculture, a ritratti e a riproduzioni sulle monete.

Gli spilloni venivano utilizzati nella toilette femminile per dividere le ciocche di capelli, per applicare unguenti e dividere le acconciature. Alcune scatolini impiegate per la preparazione di cosmetici o medicamenti erano dotate di un fondo scorrevole costituito da tavolette in pietra di colore scuro, mentre gli strigili erano utilizzati da donne e uomini per detergere il corpo: costruiti con strumenti a manico rettangolare e da un cucchiaio ricurvo con cui veniva raschiata la superficie della pelle precedentemente cosparsa di olio e polveri utilizzate come detergenti.

Il ruolo commerciale, l’importanza strategica e militare di Aquileia hanno favorito nei secoli un’intesa circolazione di monete. La loro varietà è ben rappresentata dalla collezione del museo che comprende decine di migliaia di esemplari in oro d’argento e bronzo, datati dal IV secolo a.C. al VI secolo d.C., oltre a numerosi esempi di età medievale. La natura e la provenienza delle monete forniscono importanti informazioni sulla circolazione di beni e persone ad Aquileia e sui contatti economico commerciale della città.

L’approvvigionamento dell’ambra, proveniente dal Mar Baltico e dal Mare del Nord, determinò fin dalla Preistoria la nascita di itinerari commerciali che univano l’Europa settentrionale al Mediterraneo. I territori orientali della pianura padana costituirono il terminale di molti di tali percorsi, noti come la via dell’ambra. Aquileia svolse un ruolo centrale nella lavorazione e nel commercio della resina fossile. Sono 145 i manufatti esposti.

Il museo vanta una delle più grandi raccolte di gemme romane, rinvenute quasi interamente nel territorio della città. Dei 6.000 esemplari dell’intera raccolta, ne sono stati selezionati ben 800. (Da bassaparola.it)

Per maggiori info scrivere a: museoaquileiadidattica@beniculturali.it


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IL SOGNO DI COSTANTINO IN UN TESORETTO DI AQUILEIA

Nel percorso “spirituale” di Costantino, però, ha un peso notevole la fede riposta nel dio Sole, divinità accolta nel pantheon pagano, ma di chiaro stampo monoteistico. La devozione dell’imperatore verso questa religione orientale la si osserva attraverso le numerosissime emissioni raffiguranti il Sole e soprattutto attraverso le emissioni di solidi e multipli mostranti al dritto i busti accollati del dio e dell’imperatore, che indubbiamente caratterizzano un’identificazione di Costantino verso il dio Sole. È proprio questo dio che fece da ponte fra il paganesimo e il cristianesimo: Eusebio ci ha tramandato che Costantino stesso aveva rivolto una preghiera al Sole e nel Sole si manifestò il segno di Cristo nel sogno rivelatore del 312. La storia ci mostra come la conversione fu dunque di natura politica, intesa come rapporto fra divinità e Stato, di cui l’imperatore era il giusto tramite e fu propagandata in maniera lenta, ma costante, fino a creare un “Impero cristiano”.

Il video presenta un particolare tesoretto di monete romane scoperte ad Aquileia. La particolarità sta nel fatto che sono tutte della stessa tipologia con una “X” che ci riporta al famoso sogno di Costantino prima della battaglia contro Massenzio a Ponte Milvio .