Tratto dal depliant della mostra ” LEPONTI TRA MITO E REALTÀ”Locarno anno 2000

La riscoperta dell’importanza e dell’esatta localizzazione della popolazione alpina dei Leponti è un’acquisizione della moderna archeologia protostorica.
Scarse e brevi sono infatti le notizie le notizie delle fonti letterarie antiche greche e romane, e non anteriori alla metà circa del II sec. a.C. quando Catone il Censore, a proposito delle tribù dell’area alpina e subalpina, ci informa che «i Leponti e i Salassi sono di stirpe taurisca», notizia ripresa oltre due secoli dopo da Plinio il Vecchio. Quest’ultimo riferisce inoltre una curiosa interpretazione del nome dei Leponti basata su una falsa etimologia greca: questo popolo sarebbe stato così chiamato perché «discendente dai compagni di Ercole abbandonati li per aver avuto le membra congelate durante il passaggio delle Alpi» (in greco, infatti, il verbo ‘abbando- nare’ suona ‘leipein’). Plinio aggiunge poi che la popolazione «leponzia» degli Uberi è stanziata presso le sorgenti del Rodano.

Da Strabone e da Giulio Cesare (I sec. a.C.) si desume infine qualche indizio sulla nozione dell’ampiezza in senso sud-nord del territorio dei Leponti. Il primo afferma che al di sopra di Como, posta alla base delle Alpi, abitano da un lato Reti e Vennoni, rivolti ad oriente, dall’altro Leponti, Tridentini e gli Stoni, e un gran numero di popoli che occupavano un tempo l’Italia», mentre il secondo osserva che il Reno nasce nel paese dei Leponti che abitano sulle Alpi.

La documentazione archeologica ha dimostrato come i Leponti facessero parte di un più ampio raggruppamento culturale, denominato civiltà di Golasecca, comprendente anche altre popolazioni, come quelle stanziate nella regione di Milano (Insubri) e fra Como e Bergamo (Orobi). Esse svolsero un ruolo importantissimo di intermediari negli scambi commerciali dal VII agli inizi del IV secolo a.C. tra Etruschi e Celti transalpini. Le invasioni galliche del 338 a.C. posero fine a questi fiorenti commerci tra mondo mediterraneo ed Europa centrale.
I Leponti, popolazione alpina della civiltà di Golasecca, continuarono a mante nere a lungo le proprie tradizioni culturali, ma ben presto subirono dapprima l’influenza della nuova civiltà di La Tène, introdotta nella pianura padana dai Celti (Galli) invasori, e in seguito quella romana di età tardo repubblicana.

Nonostante le profonde trasformazioni determinate da questi processi di acculturazione, ancora in età romana imperiale si manifestano nella regione dei Leponti tratti peculiari e autonomi.
I TRAFFICI ED IL COMMERCIO
Nelle civiltà antiche il vasellame metallico rappresentò sempre un prodotto di lusso utilizzato dalle classi sociali superiori: nei servizi per bere durante fe ste e banchetti; durante riti; come og getto di corredo nelle tombe più ricche. Lo studio analitico dei corredi funerari con vasellame bronzeo di importazio ne etrusca ha evidenziato che esso ve niva apparentemente deposto quasi esclusivamente nelle tombe di uomini. Un sicuro caso di corredo femminile con una Schnabelkanne è quello della tomba 1 di Pazzallo presso Lugano.”

Nell’ambito della cultura di Golasecca tra VIII e IV sec. a.C. si conoscono almeno duecentocinquanta vasi di metallo. La documentazione archeologica proviene per quattro quinti dalle necropoli di sole quattro aree: dintorni di Como, Golasecca, dintorni di Bellinzona, Castaneda, con un graduale spostamento nella frequenza dei rinvenimenti dall’area lombarda (VIII-VI sec.a.C.) a quella leponzia (a partire dal V sec. a.C. e, in modo quasi esclusivo, per tutto il IV), per motivi in parte dovuti all’effettivo declino di alcuni centri (comprensorio di Golasecca), in parte alle lacune della ricerca (dintorni di Como), in parte ai mutamenti intervenuti nel 388 a.C. con le invasioni galliche della pianura padana. 20% circa del vasellame bronzeo rinvenuto nel territorio della cultura di Golasecca è importato dall’Etruria. Si tratta di recipienti che nel mondo mediterraneo fanno parte del servizio per la preparazione e la consumazione del vino durante il simposio: sono attesta te soprattutto Schnabelkannen (brocche a becco per mescere), ma anche situle stamnoidi (contenitori per liquidi), kyathoi (piccole brocchette per at tingere), colini e bacili.
Nell’ambito della cultura di Golasecca e localizzabile uno dei più importanti centri di fabbricazione di vasi in lamina bronzea della prima età del Ferro: qui, tra Vill e IV sec. a.C., si conoscono almeno 250 recipienti metallici. Ad eccezione di un discreto nucleo che risulta importato dall’Etruria, essi appartengono nella grande maggioranza (80% circa) a produzioni di officine locali atti ve tra l’inizio del VII e il IV sec. a.C. localizzabili dapprima nei pressi di Gola secca e di Como e quindi anche nei dintorni di Bellinzona. Alcuni di questi prodotti, come le ciste a cordoni di tipo ticinese e le situle di tipo renano-ticine se, venivano anche esportati oltralpe. nell’ambito dei commerci tra mondo mediterraneo e mondo celtico transalpino che seguivano una rotta principale attraverso i valichi controllati dalle genti della cultura di Golasecca.
L ‘AMBRA

L’ambra è una resina fossile, secreta da conifere vissute per lo più nel Terziario (più di cinquanta milioni di anni fa) e oggi estinte. Essa si rinviene principalmente in giacimenti che formavano un tempo il fondale di lagune o foci fluviali: rami e tronchi caduti fluitati con la corrente dei fiumi verso il mare sono stati in tempi lunghissimi ricoperti dai sedimenti e la loro resina si è trasformata in ambra. I giacimenti d’ambra terziaria nel mondo non sono molto numerosi. In Europa se ne contano soltanto tre: in Sicilia, presso Catania; nei Carpazi rumeni; e il vastissimo deposito sulle rive del Mar Baltico.

Grazie al sofisticato metodo di analisi della spettroscopia di assorbimento dell’infrarosso è possibile riconoscere la composizione dell’ambra, che è caratteristica per ogni singolo giacimento, e determinarne cosi la provenienza. L’ambra dei Leponti, esclusivamente di origine baltica, è testimoniata da più di tremilacinquecento oggetti per un pe so complessivo di circa 6,5 kg (grandi perle infilate in orecchini a forma di staffa o a cerchio; elementi decorativi dell’arco di fibule; vaghi di collane; se paratori di collane; pendagli) che ne fanno forse il maggior complesso noto di ambre preistoriche. L’enorme quantità di ambra presente in territorio leponzio, soprattutto tra VI e IV sec. a.C. testimonia una volta di più l’importante ruolo di passaggio di flussi commerciali svolto da questa regione e pone il problema, attualmente in corso di studio, di comprendere se essa vi sia giunta come merce di scambio diretta mente dalle regioni transalpine o dal Caput Adriae attraverso la via padana.
L’ABBIGLIAMENTO
Come si vestivano uomini e le donne nel Ticino-Insubria della prima e seconda etá del Ferro.


Nell VI -V secolo a.C. le donne indossavano un abito fissato sulle spalle da fibule, sotto quale veniva portata una tunica . In vita portavano cinture chiuse con placche di lamina bronzea di forma foliata o con fermagli quadrangolari . Indossavano, inoltre, orecchini con perle d’ambra, collari in bronzo, bracciali collane con vaghi d’ambra e di vetro ed anche con pendagli o bronzo.

ABBIGLIAMENTO MASCHILE
L’abbigliamento maschile doveva essere più sobrio; gli uomini utilizzavano fibule ad arco serpeggiante, più raramente e solo nelle fasi piú antiche spl loni, sia di ferro che di bronzo, e ferma in ferro, Al fianco è probabile che portassero un coltello, sempre di ferro. Nella seconda meta del V secolo si introducono anche presso i Leponti ele menti caratteristici della civita celtica di La Tene, dapprima nel costume maschile e gradualmente in quello femminile , che rimane più a lungo legato alla tradizione golasecchiana, come per esempio ganci a traforo in bronzo e in ferro Le fibule La Tene sostituiscono poco a poco i tipi precedenti che dalla metà del III secolo scompaiono definitivamente .
La descrizione dell’ abbigliamento maschile delle popolazioni celtiche da parte delle fonti classiche, potrebbe almeno in parte valere anche ser popolazioni lepontiche del Ticino durante la seconda eta del Ferro: -vestono con abiti stravaganti dele tuniche colorate dove si mescolano tutti i colori e dei pantaloni che chiamano braghe. Vi agganciano sopra de saii rigati di stoffa, a pelo lungo d’inverno e liscia d’estate, a fitti quadrettini di tutte le gradazioni (Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 28-30), cosí come il gusto, definito smodato per gli ornamenti: portano dei gioielli d’oro, catene intorno al collo, anelli attorno alle braccia e ai polsi (Strabone Geograha, N. 4, 51 )Al fianco era sospesa una lunga spada, che poteva avere ina impugnatura e puntale decorati con in crestazioni di smalto o corallo.
LE ARMI
I Rinvenimenti di armi nella quasi totalita da corredi funerari, indicano con chiarezza che i Leponti non svilupparono un armamento originale, ma si ispirarono all’equipaggiamento di altre popolazioni, in parte utilizzando elementi importati in parte producendone imitazioni.
Durante la prima eta del Ferro nell ‘area della cultura di Golasecca, dove le armi si rinvengono solo nelle più ricche tombe dell’elite guerriera, si rivela un complesso intreccio di influssi dalle regioni in transalpine nord-occidentali e dal mondo etrusco e piceno.

Verso la meta del VI sec. viene rielaborato localmente a partire da un modello i del Piceno un tipo di elmo a calotte con borchie e gola, documentato da pochi esemplari . Particolare importanza assume nel V sec. l ‘ elmo tipo Negau caratteristico elemento dell armamento da difesa etrusco: in ambito golasecchiano ne sono testimoniali sia esemplari importati sia imitazioni locali.
Molto precocemente avverte anche influsso della nuova cultura La Tene, le cua tipiche lunghe spade in ferro con fodero con puntale trilobato compaiono in Canton Ticino nella seconda meta del V secolo a.C. Appartengono a questa tradizione anche elmi in ferro anziche in bronzo come era invece di uso comune nel mondo mediterraneo . Nel corso del III- II sec. a.C. il numero delle tombe di guerriero cresce vertiginosamente nelle necropoli leponzie sia in Ticino che nella Val d’Ossola . Durante il I secolo a.C. si fa evidente l’influsso dell’equipaggiamento de legionari romani nella spada corta e dotata di fodero in legno con bande metalliche, simile al gladius, e in esemplari isolati di pugnali ed elmi
Dopo L annessione del territorio leponzio all’impero romano cessa definitivamente l’uso di deporre armi nelle tombe.
LA LINGUA E L’ALFABETO
Nel 1817 fu ritrovata a Davesco una stele funeraria con due figure antropo- morfe che racchiudevano un’iscrizione ciascuna in un alfabeto ancora scono sciuto. Da allora sono state scoperte altre iscrizioni simili su pietra, una doz- zina nel Sottoceneri ed altre ancora nella zona di Como, a Vergiate, e in alcune località della provincia di Novara. Brevi iscrizioni graffite un alfabeto molto simile si notarono anche tra le ceramiche che si scoprivano nelle necropoli della zona di Como e, più numerose, in quelle di Ornavasso, di Solduno, di Giubiasco, e nell’abitato protostorico dei dintorni di Como.
Oggi possediamo un patrimonio relati vamente ampio di iscrizioni riferibili al territorio delle popolazioni della civiltà di Golasecca (Leponti, Orobi e Insubri), databili da fine Vil-inizi VI sec, a.C. al Bronzo. I sec. a.C. e che permettono di rico- struire le vicende linguistiche preromane di quest’area.
L’alfabeto in cui sono redatte fu deno- minato nordetrusco nel 1853 da Theo dor Mommsen e di Lugano- (termine utilizzato ancor oggi) da Carl Pauli nel 1885. Inoltre, il Pauli defini leponzio.
la lingua di queste iscrizioni, afferman done l’appartenenza alla famiglia delle lingue celtiche, fatto che venne defini tivamente dimostrato solo nel 1971 da Michel Lejeune.

Nell’alfabeto leponzio, si riconosce oggi un’evoluzione in due fasi: la più antica è databile al VI, V e parte del IV sec. a.C., la più recente dalla fine del IV fino a tutto il I sec. a.C. L’accertamento della datazione delle prime iscrizioni le ponzie al VI e al V sec. a.C. è di notevole importanza poiché dimostra che nell’area della cultura di Golasecca era parlata una lingua celtica ben prima delle invasioni galliche dell’Italia setten trionale (388 a.C.) e quindi che la celticità delle popolazioni di tale area si è formata in un’epoca molto antica, risalendo probabilmente fino all’età del bronzo.

Le iscrizioni leponzie appartengono, allo stato attuale delle conoscenze, a poche categorie: dediche votive; epitaffi sepolcrali su stele di pietra; marchi di proprietà graffiti sulle ceramiche; legende monetali; cui si aggiunge un caso isolato di serie alfabetica parziale.
LA MONETAZIONE
La moneta appare pressoché assente nell’area leponzia fino al II- inizi del Isec. a.C. quando, in tutto l’attuale Cantone Ticino, sono attestate numerosissime monete celtico-padane, sia in ripostigli che in corredi funerari, mentre risulta assente la moneta romana medio e tardo-repubblicana.


Tale territorio per il quale si possono escludere emissioni locali-era quindi estraneo alle correnti di traffico che impiegavano moneta romana e importava unicamente moneta argentea padana, utilizzandola sporadicamente in tomba o raccogliendola in complessi forse di natura votiva e creati da un accumulo di singole offerte protrattosi nel tempo. Simili modalità di formazione, a carattere rituale e votivo e non economico né di tesaurizzazione, possono spiegare sia la coesistenza di monete emes se anche a distanza di molti decenni che non possono aver circolato insieme, sia la selezione degli esemplari con l’esclusione della moneta romana. L’area si sarebbe quindi mantenuta a lungo in una cultura premonetaria, nella quale il circolante, proveniente tutto dalle zecche celtiche della pianura padana, non supportava ancora forme di economia avanzata, alla quale invece avevano ormai accesso le popolazioni oltre il confine. Nel territorio del Basso Toce, invece, dove erano stanziate gen ti pagate dai Romani per proteggere i confini, le monete sono quasi tutte ro mane, con pochi esemplari celtico-padani.
E forse solo nel sec. a.C., a ridosso delle guerre alpine di Augusto e quindi dell’integrazione nel territorio controllato direttamente da Roma, che tra i Leponti penetra una prima cultura monetaria, con una spiccata preferenza per le ultime emissioni insubri, con legenda rikoi, che vengono ritrovate anche isolate.
Analoga cultura monetaria, non sappiamo però se più legata alla pratica della deposizione votiva o alla funzione commerciale, si sviluppava nello stesso periodo nel Vallese, tra Veragri, dove però si giunse a coniazioni locali di imitazione.
Dopo l’annessione del territorio leponzio tra il 24 e il 15 a.C., come per le altre valli -pacificate dalle armi romane, l’integrazione nella cultura italico-romana avvenne in termini accelerati, certo favorita dalla riapertura dei traffici attraverso i passi alpini, con la riattivazione sicura di molti percorsi prima controllati dalle popolazioni alpine. Il territorio dell’attuale Canton Ticino entrò allora nella cultura monetaria della pianura, come dimostrano gli scavi di Muralto-Park Hotel, dove la monetazione augustea è molto ben rappresentata ed è invece assente la moneta celtico-padana.
Link sulle dracme padane di area lepontica:
https://www.academia.edu/resource/work/15033110
LA ROMANIZZAZIONE
Il contatto fra la popolazione lepontica ed i Romani avviene in modo graduale a seguito dell’espansione romana nella pianura padana nel Il secolo a.C. In questo periodo è presumibile che anche i Leponti siano stati indirettamente o di rettamente in contatto con i Romani impegnati negli scontri con gli Insubri ei Comensi. D’altro canto contatti commerciali e culturali con gruppi stanziati nella pianura padana, che vengono progressivamente integrati nel sistema amministrativo ed economico romano, proseguono senza interruzione anche nel Il e nel I secolo a.C.

Nella seconda metà del I secolo a.C. nel corredi tombali del Cantone Ticino si nota una maggiore presenza di materiali di tipo romano (ceramiche, bronzi, monete) che rivelano l’intensificarsi dei rapporti. Le tappe più importanti di questo processo sono: nel 59 a.C.la fondazione da parte di Cesare di una colonia di veterani a Como (Novum Comum); – nel 42 a.C. l’unione giuridica e amministrativa della Cisalpina al resto dell’Italia;
- dal 35 al 15 a.C. le campagne militari di Augusto, volte a sottomettere le popolazioni alpine per assicurare, fra l’altro, i transiti commerciali e mi litari attraverso le Alpi.
Anche parte dei territori dell’odierno Cantone Ticino vengono integrati nella Regio XI Transpadana; in base alle po che testimonianze epigrafiche si può desumere che il Sottoceneri è assegnato amministrativamente al municipio di Como, il Locarnese verosimilmente a quello di Milano, mentre i territori più settentrionali fanno parte del la provincia della Rezia.
In Ticino sono molto scarse le tracce di abitati della fine del I secolo a.C.: in questo periodo viene fondato il villaggio (vicus) di Muralto, che funge da testa di ponte dei commerci provenienti dalla pianura padana tramite la via d’acqua Po’ Ticino Verbano e diretti a nord; Muralto diviene così il centro d’irradiazione della cultura romana nella regione. Sulla collina di Castel Grande a Bellinzona doveva esistere probabilmente una postazione di guardia, mentre villaggi sparsi nel Sottoceneri sono finora sconosciuti.
LA ROMANITÀ SI AFFERMA
A partire dagli inizi del I secolo d.C. l’in flusso della cultura romana diventa predominante nei modi di vita e nei costumi della popolazione lepotica.
Il processo di trasformazione, testimoniato soprattutto dagli oggetti che vengono deposti nelle tombe come corredo funerario, si afferma però in modo più lento nelle valli alpine rispetto alla pianura lombarda; all’interno del terri torio ticinese si nota inoltre che gli influssi esterni vengono adottati più velocemente e in modo più completo nei piccoli centri, come a Muralto, rispetto alla periferia e alle valli.
Nelle necropoli legate vicus di Muralto i ceti più alti della popolazione, rappresentati dalle famiglie che erano state a capo delle comunità celtiche dell’età del Ferro, ostentano la propria ricchezza e la propria posizione di potere locale tramite la costruzione di tombe a camera (a inumazione) con piccoli monumenti funerari di tipo ro mano e corredi particolarmente ricchi. La cremazione, diffusa nel Sottoceneri, più direttamente in contatto con il centro di Como, è invece molto limita ta nelle necropoli del Sopraceneri, a riprova del perdurare anche in epoca romana di differenziazioni locali già presenti durante l’età del Ferro.
Gli insediamenti noti nel Sottoceneri sono rappresentati da resti di ville rurali, a cui dovevano essere legati appezzamenti non molto estesi di terreno coltivabile, e gravitavano nella sfera di influenza di Como; pure attestata è la pesca, come a Melano. A Bioggio é stato rinvenuto l’unico tempio di tipo romano di tutto il territorio cantonale, da tato al Il secolo d.C.. un piccolo edifi cio su podio, dedicato a Giove, come indica l’iscrizione sull’ara ivi rinvenuta. La piccola necropoli di Roveredo, nella valle Mesolcina, presenta gli elementi della Romanità peculiari del Soprace neri, dove nel I secolo d.C. persistono elementi di tradizione lepontica sia nel l’abbigliamento che nel rito funerario accanto ad importazioni di gusto romano,
PERSISTENZE DEI LEPONTI FINO AL III SEC D.C:
https://www.academia.edu/resource/work/34763280
IL TEMPIO DI ROLDO



LINK:
LA NECROPOLI DI GIUBIASCO :https://www.academia.edu/resource/work/1818136
https://www.academia.edu/resource/work/34763280
https://archeologiagalliacisalpina.wordpress.com/category/leponti/
https://www.archeologica.ch/pubblicazioni
https://www.azione.ch/societa/dettaglio/articolo/lalfabeto-di-lugano.html
