I GALLI SENONI NEL PICENO
Secondo Livio i Senoni furono gli ultimi a giungere in Italia. Per trovare un territorio libero furono costretti a scavalcare le terre già occupate da altri celti per fermarsi più a sud di tutti, nell’area delle Marche. Quanto emerge dalle fonti archeologiche contraddice in parte l’ipotesi di una recenziorità di questo popolo . Nelle Marche infatti sono localizzati i corredi più antichi di tutto il periodo delle invasioni per tale ragione la spiegazione di Livio non può essere accettata; essa dipende da una fonte greca ovvero da Polibio che descriveva la successione dei popoli in senso geografico spaziale, fraintesa da Livio in senso temporale. I confini sarebbero stati segnati a sud del fiume Esino e a nord dal fiume Uso o Montone in Romagna.. indizi di relazioni col mondo transalpino documentati a partire dal quinto secolo avanti Cristo da fibule tardo halstattiane accomunano la Picena alle problematiche dell’etruria Padana, del Veneto della area golasecchiana. Una sicura testimonianza di contatti e scambi non esclude l’inserimento di celti transalpini nelle comunità picene del periodo pre invasioni. Nel quadro delle notizie spesso contraddittorie delle fonti noi sappiamo che gli inizi del IV secolo i Senoni ebbero effettivamente un ruolo di primo piano nella guerra contro Roma e le città alleate. Certamente furono i principali artefici delle occupazione di Roma nel 386 avanti Cristo. Attualmente ne conosciamo necropoli e tombe isolate mentre rare sono identificazione degli abitati sconosciuti sotto l’aspetto della struttura delle organizzazioni. I materiali da abitato recuperati a Mondolfo, Cessapalombo e a Pesaro appartengono al quarto terzo secolo avanti Cristo fase del primato senonico nell’area Medio Adriatico. L’occupazione stabile di una regione cerniera per i collegamenti del centro Italia dell’Adriatico e dal nord lungo il Tevere e il legame con Dionisio di Siracusa, ponevano questo popolo in una posizione di primo piano rispetto agli altri Celti d’Italia già nel corso della prima metà del IV secolo aC. ( Da I Celti Bompiani catalogo mostra palazzo Grassi)
Da fabrianostorica.it di Federico Uncini
… Da Sena la loro città principale , i Celti Senoni penetrarono nell’entroterra, nelle valli del Cesano e del Misa dove fondarono Suasa e Ostra. Entrarono nell’arceviese, nelle frazioni di Montefortino, Conce d’Arcevia, nella valle Esina si insediarono nei pressi di Serra S. Quirico, S.Pietro in Musio, Castelbellino, Pianello Vallesina. Sono stati rinvenuti reperti gallici, come anche sul Cesano sul piano dei Galli a Canneto, sul monte Catria, S.Isidoro, Monterolo, Cagli e Piobbico. I barbari scesero verso Sassoferrato, Fabriano, Matelica e Camerino.
Si insediarono densamente nelle alture di Fabriano come dimostrano i reperti archeologici trovati a Vallemontagnana, monte Civitella (la Girella), i Serroni di Moscano, Rocchetta, Nebbiano, Montorso, Trinquelli, contrada Sacramento (ponte della Someglia), Foro Boario, S.Donato, S.Cassiano, Coccore e Civitalba. Sconfinarono a sud dell’ Esino dove abbiamo testimonianze a Massignano, Montesicuro, Monte Cerro, monte della Crescia presso Osimo, S.Paolina e S.Filippo d’Osimo.


LE TESTIMONIANZE DEI CELTI NELLE ATTUALI MARCHE

. Cospicui, sono i documenti nelle Marche con testimonianze archeologiche classificate Senoni ritrovate a Trivio di Serra S.Quirico, Montefortino di Acevia, Moscano di Fabriano, S.Vitale di Cagli ecc. e dell’inedito abitato di Montorso di Trinquelli, oltre in aree più a sud di Numana, Castelbellino, Filottrano, Osimo,S.Ginesio.I Senoni e i Boi adottarono le forme culturali etrusco-Italiche del centro Italia. La Italianizzazione dei Senoni è un fatto compiuto nella seconda metà del IV secolo a.C., quella dei Boi avvenne forse un po’ più tardi. I sepolcreti più consistenti delle Marche sono spesso identici a quelli contemporanei dell’area transappenninica Etrusca, sono al tempo stesso quelli che hanno restituito il maggior numero di tipi di prodotti della tecnica e dell’arte Lateniana.

I Senoni erano ricchi, perché disponevano di ingenti prede belliche e perché, al servizio di Siracusa, prima, e delle città etrusche poi, dovevano esservi buone fonti di sussistenza col mestiere delle armi.

LA COLONIZZAZIONE DEI ROMANI
Quando vennero a meno gli interessi siracusani nell’alto e medio adriatico, i Galli Senoni si accordarono con gli antichi rivali, gli Etruschi tirrenici, per fronteggiare il nuovo pericolo di Roma. Ma la coalizione gallo etrusco italica viene sconfitta e allora, sono i Boi a raccogliere l’eredità dei Senoni nel proseguimento della lotta antiromana. In un terzo tempo accorreranno anche i confratelli Gesati della Gallia, in subordine, da mercenari quali erano.
La pressione pericolosa dei Galli Senoni portò i Romani ( Polibio II, 18,9) a stipulare un trattato di pace con quest’ultimi nel 332 a.C. dal quale potrebbero trarne origine gli insediamenti Senoni nel Piceno, dato che ormai i Romani (Polibio I,6,6) consideravano la penisola come qualcosa che lo appartenesse e di cui potessero disporre liberamente e non come una serie di territori soggetti ad altri. Con la sconfitta di Sentino 295 a.C. e la fondazione della colonia di Sena Gallica (283 a.C.) i romani iniziarono ad avere il controllo dell’Adriatico. Undici anni dopo la battaglia di Sentino nel 284 a.C. una coalizione tra Etruschi e Senoni sconfisse i Romani ad Arezzo, guidati da L.Cecilio Metello che rimase ucciso. Dopo la campagna di Arezzo, la reazione romana contro i Senoni fu, secondo le fonti, particolarmente feroce. Polibio e Appiano parlano chiaramente di genocidio.
(Adattato da fabrianostorica.it di Federico Uncini)
CELTI SENONI E PICENI
Dal sito antiqui.it
..Agli inizi del IV sec. a.C. gruppi di Senoni occuparono la parte settentrionale delle Marche, un’area scarsamente popolata fin dal V sec. a.C. ma di notevole interesse strategico. L’area in questione infatti permetteva di combinare i contatti marittimi con le regioni interne dell’Appennino, lungo la vallata del Tevere; inoltre, direttrici interne e costiere la mettevano in contatto con la Puglia e la Campania. Queste possibilità furono sfruttate anche per compiere numerose azioni militari; le fonti ricordano che nel 386 a.C. un nucleo di Senoni riuscì a saccheggiare e occupare per vari mesi la stessa Roma.
La conseguenza più significativa fu certamente il “dissolvimento dell’originaria cultura lateniana in una koiné celto-greco-etrusco-italica, dove l’elemento lateniano rimase limitato pressoché al solo armamento – la lunga spada e il sistema di sospensione, in quest’epoca ancora in cuoio e munito di anelli metallici” (2).
I torques d’oro a tamponi di Santa Paolina di Filottrano, la fibula di Moscano di Fabriano e i foderi a lamina esterna di bronzo sbalzato dalle due località permettono di capire il rapporto di discendenza e i contatti di questi gruppi dopo il loro arrivo nel territorio piceno. Oltre all’omonimia di un popolo della Gallia che risiedeva nella metà del I sec. a.C. a sud di Parigi (il nome è rimasto nella città di Sens) sono gli stessi oggetti che indicano un chiaro collegamento con l’area dello Champagne e zone limitrofe (3). E’ stato addirittura scoperto che il fodero di Moscano fu decorato con lo stesso punzone utilizzato per il fodero di Epiais-Rhus, una località a nord-ovest di Parigi (4). E’ interessante pertanto collegare questi indizi con l’improvviso calo demografico che si osserva nei territori dello Champagne (ad eccezione di una piccola area nei dintorni dell’attuale Reims) verso la fine del V sec. a.C. quando numerose necropoli non vennero più utilizzate.
Secondo Tito Livio, la tribù dei Senoni, gli “ultimi arrivati” (recentissimi advenarum, Ab urbe condita, 5, 35), occuparono il territorio compreso fra il fiume Utens (Uso o Montone) a nord e il fiume Aesis (Esino) a sud. Dall’esame delle caratteristiche del territorio si è osservato che “per i Senoni dovette risultare più agevole l’occupazione della fascia costiera e dell’entroterra; le comunità indigene (umbre e, a sud dell’Esino, picene) presumibilmente si arroccarono nelle aree appenniniche” (5). La scoperta di testimonianze celtiche a sud dell’Esino, fin nelle Marche meridionali e oltre (sepolture celtiche sono state individuate anche a Campovalano, in Abruzzo), dimostra che il confine meridionale indicato da Livio non dovette essere così vincolante. “Maurizio Landolfi ha espresso un’altra possibilità, proponendo di riferire il confine indicato da Livio alle fasi più recenti dello stanziamento dei Senoni in Italia: questi in un primo momento avrebbero occupato un territorio più vasto di quello in cui si sarebbero poi ritirati” (6).
La colonia siracusana di Ancona, che probabilmente costituì il potenziamento di un centro greco già esistente, rappresentò uno dei principali mercati di mercenari gallici della penisola. Una conferma degli stretti rapporti che i Senoni ebbero con i Siracusani di Ancona e con l’area del Conero (Numana e Camerano) è rappresentata dai ritrovamenti in questi centri di spade e foderi lateniani in ferro e di altri oggetti che rimandano chiaramente all’ambiente celtico. Nella necropoli di Camerano sono state rinvenute otto tombe di guerrieri nel cui corredo, tipicamente piceno, compaiono spade (fra cui, dalla tomba n. 34, la spada “tipo Hatvan-Boldog” che trova confronti con esemplari di Ancona e Numana) e foderi di tipo celtico quasi tutte ritualmente piegati (7).
I corredi funerari delle necropoli riflettono chiaramente la molteplicità degli influssi cui furono sottoposti i Senoni. La presenza di alcuni tipi di gioielli, torques, vasellame di bronzo e d’argento, ceramiche dipinte o a vernice nera evidenziano rapporti con l’ambiente italiota; compaiono anche prodotti o influssi dagli ambienti greco-etruschi dell’Adriatico (ceramiche, anfore vinarie), umbro (armamento e giavellotti tipo pilum, tipo di sepoltura multipla che contiene guerrieri equipaggiati in modo identico), umbro-piceno (deposizione funeraria del calderone) e naturalmente etrusco.

L’influenza etrusca fu notevole; non si manifestò solamente dall’utilizzo di oggetti importati ma anche dall’adozione di modelli comportamentali, come il gioco di dadi associato a pedine di pasta vitrea colorata (8). Tra gli utensili metallici, accanto ad oggetti destinati al banchetto, al taglio e alla cottura delle carni (coltelli, fasci di spiedi, alari in ferro), al simposio (tripode, stamnos, colino, bacile, brocche, kyathoi) e alla cura del corpo, sono presenti alcuni bronzi relative alla pratica delle abluzioni (9).
Il rito funerario dei Senoni è l’inumazione in posizione supina, con la faccia orientata verso ovest, in una fossa di forma quadrangolare di dimensioni superiori a quelle del corpo, così da riservare uno spazio per il corredo e le offerte. Alcune sepolture si distinguono anche per la dimensione ancora maggiore della fossa che diventa una vera e propria camera funeraria, spesso protetta da uno strato di pietre probabilmente sostenute da un tavolato. La salma sembra fosse deposta all’interno di un cassone ligneo di cui restano soltanto i chiodi di ferro.
Le necropoli senoniche si caratterizzano per la massiccia presenza delle tombe di armati (in quella di Montefortino di Arcevia rappresentano circa la metà del totale) e per l’alta frequenza degli elmi (a Montefortino di Arcevia e in altre tombe della regione sono deposti in quasi due terzi delle sepolture dei guerrieri). La presenza di armi difensive e offensive riflette in maniera inequivocabile una società nelle quali le armi svolgevano un ruolo di primo piano; “il mercenariato e la possibilità di razzie dirette contro le ricche città del centro sud della penisola dovevano contribuire in modo decisivo alle risorse di questa comunità composta in buona parte di avventurieri che non solo partecipavano in prima persona ma controllavano probabilmente il mercato della guerra che era alimentato da un flusso di transalpini in cerca di ricchezza e gloria” (10).
confronto tra le ricche sepolture senoniche e quelle coeve picene della seconda metà del IV sec. a.C. si evince come queste ultime siano oramai l’espressione di una cultura prossima alla fine. Le associazioni funerarie nelle deposizioni picene presentano infatti caratteri diversi e meno appariscenti. Accanto ad armi di ferro ed oggetti ornamentali tipici dei Senoni compaiono rare ceramiche attiche a figure rosse, ceramiche alto-adriatiche, vasi di tipo Gnathia, ceramica a vernice nera, bacili e calderoni di bronzo (11).
Le tombe picene sono comunque caratterizzate dalla deposizione di una limitata quantità di oggetti importati, nonché di vasellame fittile e fibule che mostrano fogge simili a quelle della fase precedente. Alcuni corredi funerari piceni annoverano elementi di pura tradizione celtica (come le armi piegate) che possono documentare sia le sepolture dei Celti integrati in comunità picene quanto la diffusione di mode celtiche tra le popolazioni italiche. La documentazione di oggetti e costumi celtici in necropoli picene e, viceversa, di oggetti e costumi piceni in necropoli celtiche indica la profondità dei contatti e la reciprocità degli scambi (12).
La sovrapposizione dei gruppi celtici alle comunità picene determinò, probabilmente, anche fenomeni di integrazione su larga scala. Le testimonianze galliche dell’insediamento e della necropoli di Monte Bibele e della necropoli pretuzia di Campovalano hanno indotto alcuni studiosi ad ipotizzare l’esistenza di insediamenti misti, nei quali i Celti vivevano in maniera pacifica con le comunità locali. E’ lecito quindi supporre che anche nel territorio piceno fossero presenti insediamenti misti, formati da Celti e Piceni (13)


Tra il IV e il III sec. a.C. nello stesso circuito commerciale che assicura la diffusione dei vasi attici nei centri interni del Piceno si inseriscono anche le prime produzioni di “ceramiche alto-adriatiche”. Questa caratteristica produzione locale, ad imitazione della ceramica greca a figure rosse, oltre che nei centri piceni della zona costiera (area del Conero, Pesaro) è attestata anche nelle aree interne della regione, a Santa Paolina di Filottrano, a San Filippo di Osimo, a Montefortino d’Arcevia, a Cessapalombo e a San Vittore di Cingoli. Le botteghe alto-adriatiche si specializzarono nella produzione di crateri a campana, skyphoi, oinochoai e piattelli su alto piede (14).

Per forma e decorazione le ceramiche alto-adriatiche possono essere suddivise in tre gruppi differenti. Il gruppo I è caratterizzato da una tecnica simile a quella dei vasi a figure rosse, con le raffigurazioni risparmiate sullo sfondo del vaso (al gruppo I A si ascrivono i vasi con figure intere, al gruppo I B quelli con busti o teste femminili); nel gruppo II, il più caratteristico e maggiormente rappresentato, viene adottata la tecnica che prevede la pittura delle teste femminili sullo sfondo risparmiato; il gruppo III comprende vasi con decorazioni vegetali e geometriche (15).

Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. vengono meno i commerci attici diretti verso le zone interne del Piceno. Le ceramiche di tipo Gnathia e i crateri a corpo baccellato presenti a Numana non vengono distribuiti nelle aree interne e la loro diffusione è limitata alla zona costiera e paracostiera. Al crollo del flusso commerciale marittimo, che muovendo dalla Grecia e dall’Italia meridionale raggiungeva i centri interni, si contrappone il potenziamento del flusso interno, dall’Etruria e dal Lazio. Alla fine del IV sec. a.C. sono attestati a Pieve Torina, Tolentino e Carpignano di S. Severino Marche vasi falischi a figure rosse, un poculum del Gruppo Roselle 1889 a Carpignano di S. Severino Marche, ceramiche etrusche a vernice nera sovraddipinte di bianco e ceramiche volterrane a vernice nera (16).


Come già nel VII sec. a.C., anche in questa epoca sono attestate relazioni commerciali con il centro di Praeneste, sede nel IV-III sec. a.C. di officine specializzate nella lavorazione del bronzo, le cui importazioni sono concentrate nell’Ascolano. Le relazioni con l’Etruria vengono documentate in particolare dalla presenza dei calderoni bronzei, con anse mobili e formati da due calotte emisferiche unite da ribattini, rinvenuti sia in contesti piceni (Castelbelino, Numana) che celtici (Montefortino di Arcevia, Filottrano, Fabriano, San Ginesio) e dallo stamnos, il vaso di bronzo legato al consumo del vino caratteristico del mondo etrusco (17).
La conquista romana del Piceno

Il primo intervento romano nella storia del Piceno risale al 299 a.C. quando venne stipulato un trattato di alleanza con i Piceni contro i Galli che si erano spinti nel territorio romano a nord del Tevere. Negli anni seguenti il foedus si rivelerà utile per i Romani che furono avvertiti in tempo dai Piceni della guerra che i Sanniti, coalizzati con Sabini, Etruschi, Umbri e Galli Senoni, nel 299 a.C., stavano preparando contro Roma, guerra alla quale erano stati probabilmente invitati a partecipare gli stessi Piceni.
Nelle vicende di quegli anni, nei quali Roma è opposta in varie occasioni a Etruschi, Galli e Sanniti, il momento decisivo per le sorti dell’intera area medioadriatica è segnato dalla battaglia di Sentinum (l’odierna Sassoferrato) del 295 a.C. L’offensiva degli alleati era guidata dal generale sannita Gellio Egnazio mentre i consoli Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure comandavano l’esercito romano, a capo rispettivamente delle legioni I e III, V e VI. Diodoro ritiene che in totale vi furono 100.000 morti, mentre Livio riporta le seguenti cifre: 25.000 caduti fra gli italici, 7000 nell’esercito di Decio Mure e 1700 in quello di Rulliano; lo stesso console Decio Mure trovò la morte durante la battaglia.
Intorno al 290 a.C. si concluse la conquista romana della Sabina interna e del territorio dei Pretuzi mentre i Galli furono definitivamente sconfitti nel 283 a.C. nella battaglia presso il lago Vadimone, fra Orte e Bomarzo. I romani fondarono, nel territorio pretuzio, le colonie di Hatria e Castrum Novum, mentre nel territorio gallico la colonia di Sena Gallica.
Il rapporto di alleanza fra i Piceni e Roma si capovolse nel giro di pochi anni. In seguito alle vittorie dei Romani sui Galli e sui Pretuzi e alla confisca dei loro rispettivi territori, i Piceni sentirono molto limitata la loro autonomia. L’occasione per ribellarsi e combattere contro Roma fu la decisione di dedurre la colonia di diritto latino ad Ariminum. La sommossa picena fu sedata in due campagne militari, nel 269 a.C. e nel 268 a.C, e si conclusero con il trionfo celebrato dai consoli P. Sempronio Sofo e Appio Claudio Rosso.
Mentre Ascoli fu a testa dei rivoltosi non vi è menzione alcuna di Ancona; è probabile che la città non abbia preso parte alla rivolta e anzi avesse in precedenza stipulato un patto con Roma. Il trattamento riservato ai Piceni fu duplice, una parte (micròn apòspasma, Strabone, Geografia, V, 4, 13) della popolazione fu deportata nel golfo di Salerno, il resto venne incorporata nello stato romano.
(1) Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, Catalogo della mostra (Francoforte – Ascoli Piceno – Chieti, 1999-2000), De Luca, Roma 1999, p. 176
(2) V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 174
(3) Sia il torques di Filottrano che la fibula di Moscano trovano precisi confronti con i tipi presenti, rispettivamente, nell’area settentrionale dello Champagne e in Svizzera (area intermediaria dei contatti fra Italia e mondo transalpino) e nella stessa zona dello Champagne, V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., pp. 174-175
(4) V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 175
(5) A. Naso, I Piceni, cit., p. 253
(6) A. Naso, I Piceni, cit., p. 253
(7) M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 177
(8) V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 176
(9) Questa pratica è documentata sia nella tomba n. 2 di Santa Paolina di Filottrano (bacile con anse costituite da due coppie di guerrieri in lotta e oinochoe) sia nella tomba di Moscano di Fabriano (podanipter bronzeo di produzione magno-greco), M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 178
(10) V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 175
(11) M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 178
(12) A. Naso, I Piceni, cit., p. 261
(13) A. Naso, I Piceni, cit., p. 262
(14) I piattelli su alto piede, attestati in numerosi esemplari a Numana e Montefortino di Arcevia, sembrano derivare dai piattelli attici a figure rosse di produzione ateniese. “Il fatto che anche le botteghe lucane inviassero in area picena alcuni piatti di questo tipo potrebbe essere indicativo del favore che la forma godeva presso le popolazioni locali, in relazione al suo impiego, collegato ad usi e pratiche particolari”, M. Landolfi, Le ceramiche alto-adriatiche, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 178. Un piattello alto-adriatico, di produzione verosimilmente picena e decorato con la caratteristica riproduzione del volto femminile, venne deposto, come offerta votiva, nella grotta di Rapino (Abruzzo) in pieno territorio marrucino, A. Naso, I Piceni, cit., p. 266
(15) A. Naso, I Piceni, cit., p. 265
(16) M. Landolfi, Le ceramiche alto-adriatiche, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, cit., p. 180
(17) A. Naso, I Piceni, cit., p. 268
(19) A. Naso, I Piceni, cit., p. 273

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APPROFONDIMENTI:
https://journals.openedition.org/mefra/10043
La “Tomba della Regina” di Sirolo-Numana
La tomba della principessa picena di Sirolo
http://www.archeobologna.beniculturali.it/mostre/monterenzio_bronzi_2006.htm
