EPOREDIA TRA SALASSI E ROMANI

Articolo di Fabrizio Bacolla

Da giornalelavoce.it

Eporedia è stata una realtà urbanistica, amministrativa e sociale che è durata almeno sette secoli, a partire dal 100 a.C.

Di questa importante città dell’Italia Transpadana si tramandano solo pochi scritti di autori classici, ruderi di un teatro e di un anfiteatro, resti di strade, di un acquedotto e di due ponti, frammenti di steli, di tombe, tratti di mura che ci danno alcuni elementi per tentare di ricostruire uno scenario.

Eporedia viene fondata nel 100 a.C. dai Romani come baluardo contro i Salassi. L’invasione romana della Salassia comporta una guerra, con alterne vicende, che dura dal 143 al 25 a.C., anno della definitiva sconfitta dei Salassi e della fondazione di Augusta Praetoria (Aosta).

Parlare di un piccolo popolo, vissuto in un’area limitata 2000 anni fa, è impresa complessa. Si può iniziare dicendo che tra il VI ed il IV secolo a.C. l’Italia viene invasa dai Celti. Con la conquista dell’Italia occidentale, dove erano stanziati i Ligures, i Celti danno origine ad una popolazione celto-ligure, nella quale possiamo individuare anche i Taurini e i Salassi. La conquista romana determinò la fondamentale differenza tra Liguri e Galli cioè tra la Liguria e la Transpadana di Augusto.

Non disponiamo di documenti scritti di origine celtica o salassa, mentre abbiamo alcuni documenti di autori greci e latini.

Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, Libro III, 17: Italia Transpadana, Regione XI dice “…. Augusta Praetoria dei Salassi, posta presso i due passi delle Alpi: Graio e Pennino. Si dice che di lì passassero i Cartaginesi ed il greco Ercole. La città fortificata di Eporedia fu fondata dal governo di Roma, dopo un responso dei Libri Sibillini. I Galli chiamano Eporedici gli abili maneggiatori di cavalli”.

Strabone in Geografia, Libro IV li descrive così: “L’ampia regione dei Salassi è situata in una profonda convalle chiusa da ogni parte dai monti e talora s’innanzano intorno cime elevate. Coloro che, partiti dall’Italia, vogliono varcare quei monti, svolgono il loro itinerario per quella valle da cui si dipartono due strade: delle quali una, quella che si dirige al Passo Pennino in vetta alle Alpi, è impraticabile per gli animali; l’altra è più a occidente attraverso il territorio dei Ceutrones (tribù stanziata a nord del territorio dei Salassi)”.

Sulle origini del nome di questo popolo mancano elementi. Il nome dei Salassi appare per la prima volta nel II secolo a.C. in scritti di Polibio e di Catone. Il “Cognomen Salassus” ricorre già in epoca repubblicana, è diffuso abbastanza come cognomen latino e quindi è certo un indice di provenienza etnica. Il fatto di trovarne almeno uno in età repubblicana può far pensare a una serie di rapporti abbastanza antichi e di una certa relazione costante con i Salassi, non più come popolazione chiusa nelle Alpi, ma come un popolo che chiude e sbarra il passaggio delle Alpi a suo piacimento. Per la maggior parte dei linguisti il suffisso asses è un chiaro indice di substrato mediterraneo e pre-indoeuropeo, mentre la base Sala è preromana (i Salii o Salluvii, attestati dietro Marsiglia), ma non pare di origine celtica o gallica. Si ipotizza inoltre un’origine del nome dei Salassi legata al commercio del sale, attività possibile da parte dei Salassi verso le popolazioni transalpine, anche se si deve ricordare che la distanza dal mare alla Salassia era rilevante. Fino al II secolo a.C. Eporedia era territorio dei Salassi perciò le fertili pianure canavesane erano coltivate da questo popolo.

Al riguardo ne parla nuovamente Plinio il Vecchio: “Del coltivare e di un metodo di arare nell’Italia Transpadana attuato per la situazione di guerra. I Salassi, devastando le campagne ai piedi delle Alpi, tentarono di appropriarsi del panìco e del miglio che già vi crescevano; ma poichè non erano maturi e non li potevano avere, ararono (i terreni). Essendosi le messi raddoppiate, appresero quello che oggi si chiama artrare e che allora, secondo quanto io credo, aratrare”.

Venne così scoperta per caso, 2000 anni fa, la tecnica agraria del sovescio. Strabone ci tramanda: “nel territorio dei Salassi vi sono miniere d’oro, che un tempo erano possedute dai Salassi così come questi possedevano i passi. Il fiume Duria è di loro grande giovamento per la lavorazione del metallo, per il lavaggio dell’oro; per cui in molti luoghi suddividendolo in molti canali, ne prosciugarono l’alveo. Il cui fatto, come fu di giovamento per i ricercatori d’oro, così fu di danno a coloro che coltivavano i campi sottostanti, impossibilitati ad irrigare come tal fiume, in forte pendenza, offriva la possibilità. E tal fatto fu causa di continue guerre fra quelle popolazioni. Quando i Romani ne acquistarono la sovranità, i Salassi perdettero l’indipendenza e le miniere. Tuttavia, controllando anche le montagne, contrattavano il diritto delle acque agli appaltatori delle miniere d’oro; per cui sorgevano continue controversie a causa dell’avarizia degli appaltatori. E così succedeva che coloro che venivano inviati dai Romani in quei luoghi, se desideravano far guerra, ne trovavano facilmente l’occasione”.

Appiano Alessandrino, in Romanorum Historiarum, XVIII, riporta il seguente passo: “I Salassi abitano la sommità dei monti, di difficile accesso, con i passi stretti e difficili. Per questa situazione favorevole, i Salassi non solo avevano potuto difendere la loro indipendenza, ma avevano preteso un pedaggio dai viaggiatori”.

L’imposizione dell’onere del pedaggio da parte dei Salassi verso chi attraversava la valle della Duria maior è ricordata anche da Strabone: “…costrinsero anche Decimo Bruto, reduce da Modena con i suoi, a pagare un denaro a testa…”.

Decimo Bruto, fuggito da Roma dopo la congiura contro Giulio Cesare, passa da Eporedia, dove recluta legionari per la guerra contro Antonio, e poi attraversa le Alpi. Da Eporedia scrive due lettere a Marco Tullio Cicerone, informandolo dei suoi preparativi militari: HIC (EPOREDIAE) VALEMUS RECTE … LEGIONES ARMO. Un denarius d’argento di pedaggio pro-capite, imposto ad una armata, dimostra la forza dei Salassi nel 43 a.C.

Sull’imposizione del pedaggio, da parte dei Salassi, si sono già fatte molte valutazioni, quasi fosse una pratica disonesta.

Per parte nostra osserviamo che i Salassi dovevano avere oneri notevoli per mantenere transitabile la via delle Gallie. Inoltre non è da escludere che i Salassi svolgessero anche funzioni di guida e di portatori, a favore dei viaggiatori e  dei mercanti che transitavano per i valichi alpini della valle della Duria. Per quanto riguarda i pedaggi la parola usata più frequentemente è portorium che è da intendere nel significato antico, repubblicano e ancora vivo in quest’epoca, come pagamento di una tassa di sbarco, ma questa tassa è intesa, almeno concettualmente, come contributo alle spese. Sembra quindi ovvio che i Salassi e i Romani stringessero dei trattati che comportavano dei pedaggi per i Romani, mentre per gli altri viandanti avranno pagato altri pedaggi, ad arbitrio. Tutti questi pedaggi erano fissati da una norma che non comportava nessuna lesione al prestigio dei Romani e come contropartita i Romani potevano richiedere in questi trattati il diritto di residenza dei propri commercianti e operatori d’affari, i quali naturalmente potevano, nel giro dell’economia, giovare anche ai Salassi.

Dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a.C., al termine della III guerra punica, l’indipendenza delle popolazioni alpine era una spina nel fianco per Roma, ciò sia per le difficoltà nel transito delle vallate alpine ed anche perchè le alpi, in mano a queste popolazioni ostili a Roma e fiere della loro indipendenza, potevano diventare porte aperte sulla Padania. E la discesa di Annibale attraverso le Alpi nel 218 a.C., con un forte esercito e con gli elefanti, era ancora ben presente nella memoria dei romani.

L’invasione romana del 143 a.C. della Salassia si deve porre in questo quadro, oltre all’interesse delle miniere salasse nella politica imperialistica di Roma.

Su quanto i Salassi difesero i propri territori e la loro indipendenza lo dimostrano ancora una volta i testi antichi. P.Orosio nella sua Historia, al libro V, dice: “Essendo consoli L. Appio Claudio e Q. Cecilio Metello, Appio Claudio scontratosi con i Galli Salassi e vinto, perdette 10.000 soldati…”.

J. Obsequens in De Prodigiis, Libro LXXX: “Avendo i Salassi fatto strage di Romani, i decemviri dichiararono di aver trovato nei Libri Sibillini che ogni volta che si dovesse far guerra ai Galli bisognava sacrificare nei loro stessi confini”.

Appiano Alessandrino ci rivela il quadro completo: “Vetere li assalì improvvisamente dopo aver occupato i passi con astuzia e ne teneva il controllo già da un anno. Essi, costretti alla mancanza di sale di cui fanno grandissimo uso, accettarono finalmente l’occupazione. Ma appena partito Vetere, subito cacciarono il presidio, e dopo aver occupati i transiti alpini, beffeggiarono le truppe che Cesare aveva inviato contro di loro, perchè capissero che ogni loro tentativo sarebbe stato vano. Per cui Cesare (Ottaviano Augusto) impegnato nella guerra contro Antonio, venne a trattativa con i barbari, permettendo loro di vivere secondo la propria legge e lasciandoli impuniti per quanto avevano fatto a Vetere. Ma questo comportamento destò i loro sospetti e fecero grande riserva di sale, non desistendo di fare incursioni sul territorio soggetto ai Romani, finchè Messala Corvino, inviato da Cesare contro di loro, li sottomise prendendoli per la fame. In questo modo i Salassi caddero in potere dei Romani. I Salassi depredarono qualche volta persino la cassa di Cesare e occuparono militarmente dei passi difficili, fingendo di voler riparare la strada o costruire ponti sui fiumi. Alla fine Cesare li vinse e li mise tutti all’incanto sul mercato di Eporedia, che in quel momento era stata eretta a colonia dei Romani perchè fosse di baluardo contro i Salassi; ma gli abitanti non riuscirono gran che ad opporsi, fintanto che quella popolazione fu distrutta. Se ne contarono 36.000 e 8.000 atti alle armi. La vendita sub asta fu eseguita da Terenzio Varrone, che come comandante della campagna militare contro di essi, li aveva vinti. Ed ora tutta la regione è quieta fino ai passi alpini più alti”.

Se consideriamo il numero dei Salassi venduti sub asta, non ci troviamo di fronte ad una tribù, ma ad una piccola “nazione”, che deve aver avute le sue leggi ed una gerarchia sociale definita, sia in pace che in guerra. A nostro avviso, i Salassi dovevano essere organizzati come i Ligures, con dei principes, capi di comunità in tempo di pace e comandanti militari in tempo di guerra. Dopo la vittoria, i Romani centuriano le terre e le assegnano a coloni (ex-legionari o ex-disoccupati), che possono avere le terre a seguito della lex agraria del 100 a.C., sollecitata dai Gracchi e poi realizzata da Apuleio Saturnino.

I coloni di Eporedia sono iscritti alla tribù Pollia e fruiscono di tutti i diritti civili, tra i quali quello di partecipare ai comizi per le elezioni a Roma.

Ci pare però improbabile che tutti i Salassi abbiano lasciato la loro terra. E’ verosimile che parte dei Salassi abbiano accettato di cooperare con i vincitori e che parte siano fuggiti sulle montagne, dove i Romani non potevano raggiungerli.

Se questa ipotesi è valida, nella Salassia coabitavano due gruppi etnici: i Romani, padroni delle terre più fertili e delle miniere, con il controllo dei commerci più redditizi e i Salassi che vivevano di pastorizia sulle montagne o al servizio dei Romani, nelle pianure. Nella civitas c’è il grande teatro, dove si tengono spettacoli organizzati da un choragiarus (una stele ci ricorda Aulo Tizio Bellico che aveva questo incarico in Eporedia).

A mezzo miglio da Eporedia, sulla via per Vercellae, c’è l’anfiteatro, dove sono sono rappresentati spettacoli con gladiatori, orsi, lupi….. A queste manifestazioni, molto apprezzate, prendono parte molte persone, che vengono anche dai pagi di Albianus, Claveranus, Florianus, Padonum, Lorencadium, Romanus… Nella parte alta della civitas c’è il foro, dove la gente si incontra per il mercato, le feste e le pubbliche manifestazioni. Nell’acropoli c’è anche il tempio dedicato ad Apollo, mentre nella parte bassa della città ci sono le terme. Nel foro viene esercitata la giustizia, secondo le leggi di Roma. Scuole di vario grado ed una pubblica biblioteca sono presenti in Eporedia. Due steli ci ricordano un librarius ed uno scriba librarius. Un grande acquedotto lungo 5 miglia, proveniente da Blencha, porta l’acqua potabile. Buone ed ampie strade lastricate collegano Eporedia con i principali centri dell’impero. Due ponti imponenti consentono di attraversare la Duria, a lato della civitas. Sulla Duria c’è una banchina dove attraccano navi da trasporto provenienti, attraverso il Padus, da Ticinum e da Placentia.

A lato della via per Vercellae c’è la mansio di Stallabia, dove i viaggiatori possono sostare ed ottenere riparazioni ai carri e cambi di cavalli e muli. Eporedia è anche un importante centro commerciale, sulla via delle Gallie, alla confluenza di numerose vallate. Dal territorio circostante i vilici portano al mercato animali, granaglie, verdura, frutta, burro e castagne, mentre nel centro operano molti artigiani del ferro, del legno e dell’arte delle costruzioni.

Un prodotto caratteristico allora di Eporedia è la saliunca, erba che cresce nelle vicine colline e che secondo Plinio“è di preziosa soavità che ha cominciato ad essere posta tra le rendite dello stato, come le cave di metalli. Usasi, per gentilezza, metterla tra le vesti”. 

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L’ANFITEATRO ROMANI DI EPOREDIA

Da beniculturalionline.it

L’anfiteatro di Ivrea è un anfiteatro romano costruito ad Eporedia, situato nei pressi dell’attuale centro storico di Ivrea in provincia di Torino.

Tra le poche testimonianze architettoniche dell’antica Eporedia, ultima delle colonie civium Romanorum, dedotta nel 100 a.C. ed inscritta nella tribù Pollia (in età augustea nella XI Regio corrispondente alla Gallia Transpadana), si segnalano i resti dell’anfiteatro. Il complesso fu edificato tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C., come il teatro della stessa città.

L’anfiteatro di Eporedia venne messo in luce dalla Soprintendenza alle Antichità del Piemonte (prof. G. Carducci) tra il 1955 ed il 1964. Dal suo giornale di scavo rileviamo: “Gli assi maggiori dell’arena e del muraglione perimetrale ellittico esterno reggente la summa cavea avevano direzione sensibilmente a mezzogiorno.

Nell’arena gli assi stessi, entro la fronte interna del muro del podio, misuravano rispettivamente m. 67 e 42; gli assi del muraglione esterno m.96 e 72. Il muro del podio, conservato solo in qualche tratto, si elevava sopra l’arena m. 1,50 circa.

Il muraglione perimetrale, di natura particolarmente solida, misurava quasi due metri di spessore […].


Alla estremità di mezzogiorno dell’asse minore dell’arena stessa si alzavano le tribune, ormai quasi completamente scomparse. Qui vennero ritrovate alcune ricche ed adorne spalliere enee di rivestimento di sedili riservati verosimilmente agli alti personaggi”.

Le ricerche hanno portato anche alla scoperta di ruderi di tabernae, di resti di una domus o villa suburbana demolita per costruire l’anfiteatro, resti di anfore, monete. Le ricerche, riprese nel 1984, han consentito ulteriori studi sulla villa e su frammenti di pitture parietali riferibili al III e IV stile pompeiano, databili al secondo e terzo quarto del I sec. d.C.. Degli scavi e studi della dr. Luisa Brecciaroli (Soprintendenza Archeologica del Piemonte) abbiamo importanti notizie su quest’area di Eporedia.

La realizzazione dell’anfiteatro, avvenuta verso la fine del I sec. d. C., comportò la distruzione della villa, costruita fuori le mura di Eporedia il 20-25 d. C. Questa villa era ad oriente della città, a circa 500 metri dalle probabili mura eporediesi, aveva le pareti riccamente affrescate.

La grande opera architettonica fu edificata in ordini di pietre e mattoni assai curati e, per le ragguardevoli dimensioni, il monumento è da considerarsi tra i maggiori del tempo con una capienza di almeno 5000 posti. L’anfiteatro è l’edificio più conservato e rappresentativo dell’antica Eporedia.

Testo: P. Ramella – Gruppo Archeologico Canavesano

Anfiteatro Romano di Eporedia
Indirizzo: Corso Vercelli, 60/1
Ivrea (TO)
Telefono:
Sito: http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/musei/aree-archeologiche/70-aree-arch-prov-di-torino/343-anfiteatro-di-ivrea

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